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1. Lingue dei Segni e linguaggio: approcci teorici e direzioni della ricerca attuale

1.3. Verso un rovesciamento di prospettiva

1.3.2. Un approfondimento sulla LIS

Nelle sue analisi Cristilli si riferisce frequentemente alle indagini sviluppate da Cuxac, presentandolo come «il primo […] a suggerire una diversa interpretazione dei principi di strutturazione delle lingue dei segni» (CRISTILLI 2007: 119). Come il ricercatore francese, l‘autrice denuncia un‘«impropria utilizzazione delle categorie di analisi della linguistica» (Ivi: 118) rispetto a questi sistemi, criticando l‘approccio teorico-metodologico inaugurato dalla riflessione di Stokoe, responsabile a suo parere di un‘errata individuazione dei livelli di articolazione del discorso segnato. Nei tre capitoli dell‘opera del linguista americano, ―Cherology‖, ―Morphocheremics‖ e ―Morphemics‖ il Segno emerge difatti come ―duplice entità‖ (Ivi: 128): viene interpretato sia come morfema che come parola in virtù del suo essere portatore di un significato lessicale, una confusione strettamente connessa alla duplice natura delle sue componenti, allo stesso tempo minime e significative. I parametri vengono difatti considerati come costituenti fonologiche del Segno – intendendo quest‘ultimo come morfema – ma anche come componenti morfologiche – consegnando al Segno lo stesso statuto della parola. A parere

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di Cristilli le ricerche successive sono riuscite a separare con maggior chiarezza il livello morfologico, morfo-sintattico e sintattico, mantenendo però sostanzialmente inalterata la confusione rispetto alla doppia articolazione: la riflessione viene difatti ripresa nello stesso modo sin dal fondamentale lavoro di Klima & Bellugi (1979)43 in cui si considerano due diverse funzioni dei parametri formazionali, grammaticale nel caso in cui siano morfemi e distintiva in quanto fonemi. L'autrice sostiene, al contrario, come non solo le componenti grammaticali, ma anche quelle lessicali siano costituite da unità dotate di un valore significativo riprendendo un esempio, offerto dallo stesso Stokoe, dei due Segni dell‘ASL BORROW e LEND. Sebbene essi siano senza dubbio distinti dal diverso parametro del movimento – in quanto è la diversa direzione di quest‘ultimo a comportare una modificazione sul piano del contenuto – la distinzione tra queste due occorrenze non si fonda «[…] sull‘opposizione fra due componenti prive di significato, ovvero su un‘opposizione di tipo ―fonologico‖» (CRISTILLI 2007: 127). Le differenze risultano invece associate a un particolare contenuto: «i due diversi orientamenti del movimento rappresentano […] iconicamente quelli dell‘azione del dare e del prendere in prestito in relazione al soggetto assunto come riferimento» (Ibidem)44.

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Cristilli mette in luce come le diverse ricerche sul sistema segnato si possano caratterizzare a partire dal modo in cui trattano il rapporto tra motivazione e sistematicità, sottolineando come questi primi studi abbiano messo in luce il carattere sistemico e strutturato dei Segni sottodeterminando il loro aspetto motivazionale. A parere di chi scrive, la prospettiva di Russo risulta interessante proprio perché nasce dall‘integrazione di queste due dimensioni.

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Questa riflessione sarà qui sviluppata in riferimento ai cosiddetti agreement verbs (PADDEN 1983), casi che contribuiscono a evidenziare come la distinzione tra un‘iconicità diagrammatica e a immagine (CP 2.277, HAIMAN 1980) nei sistemi segnati sia per costituzione qualcosa di sfumato (Cfr. 2.5.2.). Il caso scelto da Cristilli è ancora più emblematico perché riporta due verbi distinti nell‘ASL – e non solo due modi di flettere lo stesso verbo attraverso il movimento – esplicitando come quello che nella concezione linguistica viene letto come tratto distintivo fonologico, che permette di discernere tra due significati, vale a dire il ‗dare‘ e il ‗prendere in prestito‘, rifletta una direzionalità che è propria degli atti che li caratterizzano.

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Cristilli critica dunque lo ―sdoppiamento di prospettiva‖ (CRISTILLI 2008) appartenente a molte ricerche nelle quali la componente lessicale, in particolare i Segni frozen, non flessi, vengono studiati in termini fonologici, mentre i Segni flessi vengono analizzati a livello morfologico, sottolineando come «il livello di articolazione del Segno a cui sono ricondotte tutte le unità morfologiche esaminate è lo stesso di quello che, quando rivolgono la loro attenzione al lessico, gli Autori interpretano come fonologico» (CRISTILLI 2007: 138). L'obiezione dell‘autrice la conduce dunque a formulare un'argomentazione consistente nella tesi che, a partire dal forte carattere motivato che li contraddistingue, i parametri formazionali delle lingue segnate non possano essere descritti e paragonati a unità fonologiche, realizzando sotto-componenti dal valore inerentemente significativo.

Questa denuncia riguarda quindi un errore metodologico legato alla non considerazione del modo in cui le lingue dei Segni realizzano il rapporto tra piano dell‘espressione e piano del contenuto in modo essenzialmente diverso rispetto alle lingue vocali, originando una errata impostazione di ricerca che ha portato a reiterare un‘ambiguità tra livello fonologico e morfologico ignorando come, prese nella loro individualità, le componenti segniche veicolino spesso un certo contenuto: «come fonemi (o ―cheremi‖) sono […] interpretati i parametri formazionali del segno e, ciò, nonostante nei segni più iconici ne venga spesso illustrato il valore significativo» (CRISTILLI 2008: 33). Per rendere chiara, invece, la costitutiva differenza tra la modalità acustico-vocale e visivo-gestuale, Cristilli mette a confronto come due stessi verbi, RISPONDERE e DIRE, possono essere espressi in italiano e nella LIS. Dalla loro analisi morfologica emerge come mentre le parole italiane che li esprimono sono costituite dai rispettivi morfemi, lessicale e flessivo (ad esempio RISPOND- e -ERE), i quali non lasciano trasparire,

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attraverso la loro forma espressiva, alcun collegamento con i loro contenuti, la struttura degli stessi verbi espressi nella Lingua dei Segni italiana realizza un rapporto tra piani completamente diverso.

(CRISTILLI 2008)

Il luogo in cui le occorrenze sono realizzate, il modo in cui viene gestito l'orientamento della mano, la specifica modalità dei loro rispettivi movimenti e le loro configurazioni, quindi i parametri formazionali che costituiscono il Segno, appaiono profondamente motivati e connessi con il contenuto che rappresentano:

«Non è qui difficile riconoscere che in entrambi i segni, il luogo di esecuzione (la bocca) designa la fonte del segnale, così come il movimento, che va dalla bocca del segnante verso l'esterno, designa, in entrambi i casi, la direzione della comunicazione, che va dall'emittente (in questo caso il segnante) al destinatario; che la configurazione V di RISPONDERE appare esprimere la natura dialogica di questo atto linguistico, che si oppone a quella più individuale di DIRE che, nel segno LIS, presenta la configurazione G, e che, infine, il rovesciamento dell'orientamento, presente in RISPONDERE (ma non in DIRE) sembra rappresentare la relazione che quest'atto linguistico stabilisce rispetto a quello che lo precede (il ―domandare‖)» (Ivi: 39).

È in virtù di questa differenza che, guardando alle lingue segnate, per Cristilli «ci troviamo di fronte ad un sistema semiotico, la cui materia dell'espressione si presenta fortemente modulata e articolata in senso significativo» (Ivi, p. 35). In sintesi, l'autrice sottolinea l'esistenza di una differenza sostanziale tra lingue dei Segni e vocali, legata al fatto che in queste ultime i «morfemi lessicali non sono ulteriormente scomponibili in unità segniche, ma solo semiche» (CRISTILLI 2007: 141).

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A questo punto dell‘indagine è possibile muovere verso un‘ulteriore prospettiva che, pur posizionandosi all‘interno di un orizzonte che ridiscute una tendenza unicamente comparativa nell‘analisi delle lingue dei Segni, si differenzia dalle assunzioni utilizzate da Cristilli con le quali, si immagina, polemizzerebbe. L‘autrice critica l'atteggiamento forzatamente assimilazionista della ricerca linguistica mettendo in atto un doppio movimento: sottolineando, da un lato, le qualità proprie del sistema segnato e suggerendo, dall‘altro, come fenomeni strutturalmente simili nelle lingue vocali – ad esempio onomatopee e fonosimbolismo – siano in esse assolutamente marginali. Questi sistemi sono difatti caratterizzati da «un livello di strutturazione del segno le cui unità si presentano […] tutte e sistematicamente prive di significato» (CRISTILLI 2008: 34). L‘atteggiamento di ricerca sviluppato da altri autori propone di riconsiderare esattamente questo assunto, realizzando il cambiamento di prospettiva a cui si è fatto riferimento in queste ultime pagine: la messa a fuoco del carattere multimodale e

raffigurativo delle lingue segnate li porta a ricercare questi stessi caratteri nella dimensione del

discorso orale, attribuendo in tal senso nuova importanza agli effettivi usi linguistici dei linguaggi verbali non solo mettendo in luce, in essi, la presenza di fenomeni iconici, ma anche ipotizzando come questa presenza sia motivata da un potenziale ruolo attivamente svolto dall‘iconicità.

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