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V app n 948 Giacomina da Cabella figura nei cartolari delle Compere per la prim a volta alla data del 5 marzo 1409 (A S.G , Comp e M utui, ng 478, c 50 v.) E ’

Nel documento Ospedali genovesi nel Medioevo (pagine 196-199)

GLI OSPEDALI DI GENOVA MEDIEVALE

nova 20 genn 1928; cfr su questi due ospedali i capitoli relativi a q u elli di S Francesco e di suor Verdina.

21 V app n 948 Giacomina da Cabella figura nei cartolari delle Compere per la prim a volta alla data del 5 marzo 1409 (A S.G , Comp e M utui, ng 478, c 50 v.) E ’

presum ibile che i nom i segnati per le precedenti riscossioni effettuate nel 1408 (ib id (prete Gerolam o Pendola al 7 giugno, e A ntonio di S. Silvestro al 4 settem bre' fossero q u elli di procuratori, verosim ilm ente nel periodo di vacanza del rettorato.

22 l b i d ., ng. 5 0 9 , Cart. C, c. 46 v. In questa carta si attesta che l ’ospitalaria riscuo­ teva i proventi su tre luoghi, 72 lire e 10 soldi, iscritti a nome dell’o9pedale, su mandato d i prete B attolin o da Piacenza, prepositi ecclesie Sancte M. Madalene d e la m ia massarii

officii visitatoru m h ospitallium civitatis lanue.

23 lb id .

24 l b i d ., ng. 51 9 , c. 21 v. 25 l b i d ., ng. 52 4 , c. 39 v.

1435 - Caterina da Rapallo. Compare anch’essa nel p red etto cartolare, in data 15 luglio 1435 26.

- Giacomo Emanuele. Fu ospitalario, secondo quanto indica una nota contenuta nel cartolare delle C om pere27, ma non si conosce il p e ­ riodo esatto nel quale svolse tale incarico, ci è noto soltanto che gli successe la moglie Domenghina.

1444 - Domenghina da Ceva. Figlia di Antonio Ruzzo e m oglie del d efu n to Giacomo Emanuele, già ospitalario di S. M aria di Castello, essa successe al marito nella conduzione dell’ospedale. Si hanno notizie del suo rettorato nei cartolari delle Compere, dove il suo nom e è citato negli anni 1444 28, 1447 29 e 1454 30.

I dati precedentemente esposti, a proposito dell’elenco cronologico dei letto ri e procuratori, confermano ampiamente la dipendenza d ell’ospedale dalla Collegiata di S. Maria di Castello e gli stretti rapporti che il C apitolo di questa chiesa mantenne sempre con il proprio istituto ospedaliero, esem ­ pio tipico di fondazione canonicale. I rettori, nominati dal C apitolo di C a­ stello, avevano tuttavia una certa libertà amministrativa sui beni d ell’ospe­ dale, tanto è vero che, con l’atto già citato, del 22 novem bre 1303, frate Ruffino locava una casa di proprietà dell’istituto, senza dover ricorrere al benestare dei canonici. Ancora più chiaramente appare la relativa indip en­ denza del rettore in altri due atti, anch’essi già citati, nel prim o dei quali, del 2 settem bre 1348, si legge che l ’ospitalario doveva provvedere a racco­ gliere i redditi, i legati e gli altri proventi e che era inoltre autorizzato ad locan­

dum et dislocandum terras, domos et possessiones ipsius ospitalis, in piena

libertà decisionale (plenum, liberum et generale m andatum ). N el secondo documento, relativo alla nomina di Giovannina Negro, d ell’8 o tto b re 1414, si conferma che, con la carica conferita, all’ospitalaria veniva concessa ple­

nam potestatem et bailiam . . . gubernandi, gerendi, tractandi et administran-

26 Ib id ., ng. 531, c. 37 r. Dalla stessa carta si rileva che, in data 7 novem bre 1435, i proventi di competenza all’ospedale venivano riscossi da Clara da M ontenegro, osp ita­ laria della dom us di suor Verdina (cfr.), incarico questo che ven n e conferm ato anche in anni successivi, poiché la si trova ancora indicata, in tale veste, n el 1443 {ib id ., ng. 54 0 , C. PL, c. 31 v., al 13 luglio). 27 Ib id ., ng. 120, c. 46 r , anno 1454. 28 Ib id ., ng. 541, c. 29 v. 29 Ib id ., ng. 544, c. 34 r. 30 Ib id ., ng. 120, c. 46 r. - 197 —

di, e che questa ampia libertà si riferiva a tu tte quelle azioni am m inistra­

tive que soliti su n t facere et exercere hospitalari dicti hospitalis predeces-

sores ipsius lo h a n n in e e che comprendevano la riscossione dei lasciti, delle

elem osine, delle donazioni, dei proventi dei « luoghi » e la possibilità di im pegnare i redditi nel modo più utile per l’istituto, m entre era, ovviam ente, esclusa la facoltà di alienare proprietà dell’ospedale.

Sem pre a proposito della relativa indipendenza dei retto ri dell’ospizio di S. Croce, va ancora ricordato che anche la decisione di perm ettere alla rettrice Contessa, di allontanarsi per un periodo di due anni e, so p rattu tto, la concessione alla stessa di scegliersi una sostituta, purché bonam et hone­

stam , dim ostrano, da parte dei canonici di Castello, una certa liberalità, che

non era usuale in quel tem po, poiché, in genere, i Capitoli esercitavano un rigido controllo sugli istituti ospedalieri da loro dipendenti, come potrem o vedere, ad esem pio, a proposito di S. Lorenzo.

L ’ospitalario veniva per lo più scelto dai canonici tra persone di pro­ vate qualità morali e civili, ma aveva un peso non indifferente, sulla valu­ tazione, la consistenza economica del candidato e ciò, ovviam ente, perché questi, appena en trato in carica, oltre a impegnarsi, come d ’uso, sotto giu­ ram ento a provvedere ai bisogni d ell’ospedalità con rettitudine e avvedu­ tezza, doveva, per statuto, far donazione dei propri beni all’ospedale e questo, in periodi particolari di crisi, poteva significare il riassetto di un bilancio deficitario. N ell’atto di nom ina di Giovannina Negro, più volte citato, la neorettrice per l ’appunto donavit, cessit, traddidit et mandavit . . .

dicto hospitali Beate Marie . . . omnia bona sua mobilia et immobilia unde­ cum que consistentia sub quovis nom ine noncupata et tam presentia quam futura. D ai beni donati, G iovannina escludeva una casa in Ravecca, prope m u ru m vetus civitatis, le rendite di un luogo e mezzo delle Compere, oltre

a m obili, vesti e masserizie, dei quali si riservava la proprietà dum vixerit. La cessione dei propri averi all’ospedale, da parte dell’ospitalario, era irrevocabile e totale, salvo che, come abbiamo visto nel caso precedente, n e ll’atto di nom ina non fosse stata stabilita la esclusione di alcuni beni. T u t­ tavia, in alcuni casi, questi p a tti non venivano sempre rispettati e poteva accadere che qualche am m inistratore, in buona o malafede, procedesse alla v endita di qualcosa che ormai legalmente non era più di sua proprietà. N el­ l ’atto già ricordato, del 18 aprile 1415, è contenuto un esempio di questo abuso. In fa tti è qui descritta una controversia sorta tra i canonici di Castello e la già ricordata ospitalaria G iovannina, da una parte, e il laniere Giovanni da Ronco, d all’altra, a proposito della proprietà di tre soiaria di una casa

posta in contrata cursus Sarzani31. Le verande in questione erano apparte­ n u te a Leonardo da Chiavari, che le aveva cedute alla moglie, Giacomina da Cabella, la quale, dopo essere stata eletta alla direzione dell’ospedale di Ca­ stello, nonostante il giuramento di cedere ogni suo avere all’istituto e di non alienarlo mai, le vendette illecitamente al suddetto G iovanni da Ronco, per la som m a di 90 lire.

P e r quanto riguarda le funzioni dell’ospedale di Castello ricordiamo che esse ebbero un carattere poliassistenziale indirizzato su almeno tre set­ to ri, in fatti la destinazione dell’istituto, che il F erretto reputava lim itata all alloggio dei pellegrini32, è invece da ritenersi estesa anche al ricovero di m alati e all’assistenza ai poveri, come chiaramente esprim ono num erosi docum enti nei quali si fa esplicito riferimento infirmis hospitalis Sancte

Crucis (v. app. nn. 901, 903, 907, 934, 936, 940) o pauperibus ibidem com m orantibus (v. app. n. 933). Questa attività caritativa si m antenne ope­

ran te p e r quasi trecento anni, ma nel XV secolo entrò in una fase di invo­ luzione in concomitanza con lo sviluppo di nuove form e di ospedalità, ma anche in conseguenza della crisi del movimento canonicale. In fa tti il ten­ tativ o effettuato dalle autorità ecclesiastiche di disciplinare la vita del clero secolare, impegnandolo in questi organismi che presupponevano austere regole di tipo monastico, aveva avuto solo risultati tem poranei. La disciplina nelle canoniche si allentò gradualmente sempre in maggior m isura e non venne più osservato il principio basilare del movimento, espresso dalla vita in com une, e spesso i canonici si trovarono residenze ben lontane dal loro istitu to , presso il quale raramente si radunavano. Anche la Collegiata di S. M aria di Castello non fu esente da questo lassismo crescente, basterà ricor­ dare gli abusi amministrativi e lo scarso senso morale e religioso dell ultim o preposto, Melchiorre F atin an ti33 per rendersi conto della grave decadenza d ell’istituzione che, inevitabilmente si ripercuoteva anche sull ospedale da

31 La contrada di Sarzano era sede di molti artigiani tessili, e qu esto lo si rileva

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