I piani di riforma per l’università di Pavia, presentati dalla Deputazione degli studi nel 1769, prevedevano l’istituzione di una cattedra di medicina pratica e clinica: il nuovo insegnamento avrebbe dovuto necessariamente svolgersi all’interno dell’ospedale S. Matteo i cui locali sarebbero anche stati ristrutturati e ampliati.
Il modello da seguire avrebbe dovuto essere quello messo a punto nelle cliniche viennesi: la riforma degli studi medici approntata nel 1753 da Gerard van Swieten, allievo di Boerhaave a Leida, prevedeva che i professori portassero i propri studenti nelle corsie degli ospedali cittadini per confermare in clinica viva quanto insegnato nelle lezioni ex cathedra75. In una
prima fase, si basò la visita al malato sul confronto con i canoni della medicina classica, limitando così l’osservazione a una semplice conferma di quanto scritto nei testi tradizionali. Van Swieten cercò però di sottrarre il più velocemente possibile il controllo della Facoltà ai medici più refrattari all’instaurazione di un insegnamento al capezzale del malato, caldeggiando la nomina di Anton de Haen, anch’egli allievo di Boerhaave. I due medici viennesi installarono presso il Burgerspital, l’ospedale civile di Vienna, una piccola clinica di due stanze da sei letti ciascuna. I malati, scelti appositamente per le lezioni cliniche, venivano visitati insieme agli studenti due volte al giorno, alla mattina e alla sera.
Nel 1775, con l’arrivo di Anton Storck a capo della Facoltà medica, si aprì all’insegnamento una porzione sempre più vasta dell’ospedale, offrendo così agli studenti la possibilità di osservare un numero significativo di malati e,
74 Cfr. R. Pasta, “L’Ospedale e la città”: riforme settecentesche a Santa Maria Nuova, in “Annali di
Storia di Firenze”, I, 2006, p. 93.
75
L’opera riformatrice di van Swieten s’inagurò nel 1749, al momento della sua nomina a capo della Facoltà medica viennese. Nel 1753 egli instaurò il primo insegnamento di clinica presso il Bürgerspital. Cfr. F.T Brechka, Gerard Van Swieten, cit. pp. 132-141; C. Probst, Der Weg des ärztlichen Erkennens am Krankenbett. Herman Boerhaave und die ältere Wiener medizinische Schule, Franz Steiner, Wiesbaden, 1972; G. B. Risse, Clinical instruction in Hospitals, cit., p. 9; O. Keel, L'avènement de la médecine, cit., p. 71.
potenzialmente, una più grossa varietà di malattie. Si tratta di un modello di clinica ‘diffusa’ che verrà applicato anche a Pavia da Giambattista Borsieri, chiamato dall’imperatrice Maria Teresa per l’instaurazione della cattedra clinica76. La chiamata del celebre clinico formatosi a Padova e Bologna giunse insieme a quella di Pietro Moscati per la cattedra di chirurgia. Entrambi avrebbero dovuto tenere le loro lezioni pratiche all’interno dell’ospedale S. Matteo, come precisato anche dal regio delegato Francesco Sartirana, incaricato di occuparsi degli affari inerenti al nosocomio. Il 19 dicembre 1769 Sartirana scrive al ministro plenipotenziario Carlo Firmian:
«Ho communicato alla congregazione del detto Pio Luogo le clementissime determinazioni di S.M. e la medesima vi si è prontamente apprestata ingiongendomi di dover io conciliare il modo col quale e li detti due professori potessero comodamente essercitare le rispettive loro incombenze e, nel tempo stesso, non fosse disturbato il necessario serviggio delli infermi. Rispetto adunque al sig. dott. Borsieri, anche con l’intelligenza delli signori medici dell’Ospitale è stato inteso che egli anderà all’Ospitale e visiterà quelli delli infermi la malatia de’ quali crederà la più conforme alle lezioni, che di mano in mano farà sopra l’Università […]. Raporto poi al sig. dott. Moscati […] occorrendole di dover fare qualche operazione non ordinaria […] ne preveniranno la notizia al detto sig. dott. Moscati, il quale intervenire, ed assisterà colli suoi scolari alle dette operazioni […]»77.
Nel primo periodo delle riforme, l’università e l’ospedale rimangono ancora due istituzioni nettamente distinte e le lezioni tenute dai professori non possono e non devono sovrapporsi alla normale attività ospedaliera. Sartirana specifica quindi che le visite utili per le lezioni di clinica dovranno essere limitate entro orari ben precisi:
perché detta sua visita non succeda o nel tempo della visita de’ medici della cura, o in altro, che potesse disturbare il serviggio delli infermi per parte dello stesso
76 Per un profilo biografico cfr. P. Casini-U. Baldini, Borsieri de Kanilfeld Giambattista, in
Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 13 (1971), p. 130. Autore delle Institutiones medicinae practicae, trattato che ebbe grande popolarità, è tuttora ricordato nei testi clinici per il cosiddetto segno di Borsieri, «una linea bianca (linea di Borsieri) che vira rapidamente al rosso osservabile quando si striscia un’unghia sulla pelle di un paziente nelle prime fasi della scarlattina»; cfr. P. Mazzarello, Storia della medicina pavese da Spallanzani e Scarpa a Golgi, in Storia di Pavia, cit., vol. 5, p. 383.
77 Cfr. la Lettera di Sartirana a Firmian, 19 dicembre 1769, in ASMi, Luoghi pii, p.a., cart. 466.
riprodotta anche in A. Scotti, L’Ospedale di San Matteo al tempo di Maria Teresa e Giuseppe II, in «Annali di storia pavese», 4-5, 1980, p. 201.
Spedale, se le farà tenere in ciascun mese l’orario del medesimo, in vista del quale il detto sig. Borsieri potrà di stagione in stagione prescegliere per la sua visita quelle ore, che troverà le più opportune78.
Esponendo il metodo seguito per il suo corso, rivolto agli studenti che hanno già frequentato le istituzioni di medicina teorica, Borsieri ne specifica le finalità. L’insegnamento di medicina pratica deve fornire in primo luogo «una completa notizia di tutte le malattie particolari del corpo umano e del modo di curarle, medicarle» e la clinica deve condurre gli studenti a fare pratica nell’esercizio «dell’arte stessa»79.
Per la pratica egli specifica che, prima o dopo le lezioni teoriche, gli studenti saranno condotti in ospedale
ed ivi non solo si avvezzerà i giovani praticanti ad esaminare gl’infermi, a conoscere di vista le malattie, a distinguerne i diversi caratteri, a rilevarne le cagioni, a spiegarne i fenomeni, a verificare quant’altro è stato loro insegnato nelle scuole, ma ancora li farà esercitarsi nella pratica, conseguendo a’ più provetti, e capaci di essi la cura d’alcuni infermi da eseguirsi colla sua assistenza, e direzione, e ne farà tessere minutamente le storie, e v’aggiungerà anche le sezioni de’ cadaveri, qualora la malattia finisca colla morte80.
78
Ibidem.
79 Cfr. il Piano del metodo che stima il professore di medicina clinica in questa Regia Università di
Pavia per adempire agli obblighi della sua cattedra, in G. Borsieri, E. Dalla Rosa, Memorie auto- biografiche di Giambattista Borsieri trentino, Lit. Tip. Scotoni e Vitti Edit., Trento, 1885, p.190. Nelle lezioni pubbliche si spiegherà la praxis medica esaminando tutti i tipi di malattie, acute e croniche. Borsieri elenca l’ordine da seguire nel trattamento di ogni malattia: « […] si premetterà la sua denominazione più propria e più comune, co’ rispettivi suoi sinonimi, dopo si darà la definizione più giusta tanto nominale quanto reale secondo il bisogno; poi la storia o descrizione di essa, indi la enumerazione delle cause predisponenti, ed occasionali e quindi spiegherannosi le relazioni, che hanno tra quelle co’ loro effetti, e i sintomi, fissando ancora, coll’esame di tutti i fenomeni, e col lume della notomia morbosa, quando è possibile, la vera prossima, e continente cagione della malattia stessa. Si passerà poi a descrivere i segni diagnostici, e prognostici, a stabilire le più ragionevoli indicazioni, e a determinare il modo di eseguirle nella cura coi mezzi generali, e speciali tratti dai tre consueti fonti, chirurgico, farmaceutico, e dietetico, soggiungendo a luogo a luogo quelle cautele ed avvertenze pratiche, che si credano più utili, e più necessarie». È lampante il debito di Borsieri nei confronti del suo maestro, Giovanni Battista Morgani, soprattutto per l’attenzione alla sede anatomica delle lesioni morbose e dunque per il reperto patologico. Borsieri indica il De cognoscendis et curandis morbis dell’ «immortale» Boerhaave come libro di testo per gli studenti e aggiunge che: «Spiegandosi un libro, siccome avvanzerà più tempo che dettandosi, così qualche volta si potrà, a foggia di conferenza, far prova del profitto degli scolari, con qualche caso in forma di collegio consultatorio, o con altro simile esercizio».
I giovani non devono quindi limitarsi all’osservazione ma sono chiamati, almeno formalmente, alla raccolta delle storie cliniche e alle dissezioni dei malati deceduti.
Il 31 maggio 1770 il professore inaugura il suo corso di medicina pratica recitando la prolusione De retardata medicinae practicae perfectione in cui imputa l’arretratezza della disciplina alle mancanze dei medici che, presi dai loro studi e mossi dalla cupidigia di conoscere, hanno «divagato dalla retta via» trascurando la pratica e l’esercizio della medicina»81. Borsieri si rivolge con tono benevolo ai giovani studenti che seguiranno il suo corso spiegando loro che l’Imperatrice l’ha chiamato
Ut vos ad Clinicam Medicinam honestissimis conditionibus accitus informem, et manu veluti ducam, quod nunquam hic ante factum […] ad me frequentes, et assidui accedite.82
Il professore sottolinea la novità del suo insegnamento, il primo di clinica istituito a Pavia: in effetti con la sua cattedra si mise in atto quanto prescritto anche dal piano scientifico per l’università di Pavia che, per l’insegnamento di medicina teorico-pratica e clinica, raccomanda di «passare alla teoria appoggiata sulla base dei fatti, e non fondata sulla illusione delle ipotesi». È interessante notare l’attenzione riposta dal Piano alla pratica in ospedale:
Portata la gioventù ad un certo grado di cognizione, il professore dovrà farne nell’ospedale l’applicazione, ed ivi avvezzare i suoi allievi ad esaminare gli infermi, conoscere di vista le malattie, distinguere i diversi caratteri, rilevarne le cagioni, e spiegarne i sintomi: ciò che principalmente forma l’oggetto della Clinica83.
Ancora prima della nascita di una vera e propria clinica universitaria, l’ospedale riveste dunque un ruolo di primo piano nella formazione pratica del medico84. L’attenzione per l’esame del malato da parte degli studenti
81
Scrive Borsieri: «Dumque omnem operam, curamque omnem in augenda, perficiendaque medicina impenderent, plurimisque inventis eam revera exornarent, usum interea, exercitationemque vel penitus neglexerunt, vel tantum primoribus labris delibarunt». Cfr. G. Borsieri, Oratio de retardata medicinae practicae perfectione, Pavia, 1771, p. 7.
82
Ivi, p. 25.
83
Statuti e ordinamenti, cit., p. 246.
84 Il ministro plenipotenziario Firmian fu certamente molto attento affinché con le riforme si
inaugurasse una collaborazione più stretta tra l’ospedale e l’università. Rivolgendosi a Francesco Sartirana puntualizzò che nel nuovo Piano per l’Università l’ospedale pavese
sembra poi allontanare l’idea di un teatro nosologico, anzi, l’ideale d’insegnamento clinico proposto dal Piano presuppone un rinnovamento profondo nell’approccio fisico al malato:
Gioverà poi moltissimo il trattare gli ammalati non solo con i metodi conosciuti, ma il tentare di perfezionarli, ed anche di metterne in pratica dei nuovi, colla scorta d’una fedele, e spregiudicata osservazione85.
Il professore dovrà scegliere «que’ malati, che più crederà, colla avvertenza di non occuparsi in un tempo, che d’un numero piuttosto ristretto, affine di non confondere gli scolari». Gli studenti comunque non devono limitarsi ad osservare quanto messo in pratica dal maestro, ma possono visitare i pazienti «in ogni ora, e fare su di essi quello ch’egli il professore darà loro la facoltà di ordinare». Nel Piano si giudicano poi indispensabili
la dissezione de’ cadaveri, in caso che tali malati soccombano alla morte; l’osservare minutamente l’affezione di tutte le parti interessate o sospette, per riscontrare le vere cagioni delle malattie86.
Dal 1772 Borsieri ottenne sedici letti «per uomini e donne, con apposita servitù e chirurghi a parte» per le sue lezioni di clinica all’interno dell’ospedale. La storiografia più legata al pensiero di Foucault ha messo l’accento sulla finalità puramente dimostrativa dell’insegnamento clinico di Borsieri87, tuttavia dobbiamo tenere presente che la sua attività fu certamente offuscata dalle successive conquiste ottenute a Pavia da Samuel Auguste Tissot e Johann Peter Frank.
Inoltre dobbiamo tenere presente che Borsieri si sentì, almeno inizialmente, molto penalizzato nell’esercizio del proprio magistero. Egli denunciò a più riprese la scarsa considerazione in cui era tenuto il suo insegnamento che, al
avrebbe dovuto sopperire alle esigenze della «scuola di medicina pratica e di chimica». Cfr. ASPv, Archivio OSM, cart. 1768-70, Convocaz. 1.
85 Statuti e ordinamenti, cit., p. 246. 86 Ibidem.
87 Cfr. A. Scotti, L’Ospedale e la città, cit., p. 175. Le tesi di Foucault sono ampiamente
contrario di quanto accadeva a Vienna, riteneva fosse trattato come «la più vile» delle cattedre88.
Certamente dobbiamo anche tenere conto delle forti resistenze poste dai membri della deputazione ospedaliera, che vedevano nell’aumento dei servizi offerti agli ammalati un lusso eccessivamente costoso per le finanze dell’ospedale89. In effetti, le condizioni per l’istallazione di una clinica universitaria all’interno dell’ospedale si sarebbero potute creare solo con le riforme nella gestione dei luoghi pii che cambieranno radicalmente il sistema assistenziale lombardo a partire dagli anni Ottanta del XVIII secolo.
Solo considerando questo insieme di fattori è possibile collocare nella giusta dimensione l’insegnamento di Giambattista Borsieri: certamente non si può attribuire a lui l’organizzazione di una vera e propria clinica universitaria, tuttavia gli elementi fortemente innovatori di cui si fece portavoce e il forte ascendente che seppe esercitare sui propri studenti contribuirono in modo decisivo agli sviluppi successivi della disciplina. La portata del suo insegnamento fu tale che si cercò di mantenere alto il nome della clinica pavese scegliendo un successore degno di portare avanti il lavoro svolto dal clinico trentino.