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Per lo Stato, un corso di studi medici forma anche le figure professionali che potrebbero esercitare negli ospedali o coprire le condotte medico- chirurgiche. Come già evidenziato, in un’ottica professionalizzante, il sistema di valutazione degli studenti acquista un valore crescente e spesso nel dibattito sulle riforme degli studi si discute della necessità di introdurre esami di profitto obbligatori in aggiunta all’esame per laurea, la cui funzione era spesso puramente esornativa. A differenza dei collegi cittadini, è chiaro che i criteri di valutazione dei propri studenti da parte delle università non può che basarsi sul merito. Per una Facoltà come quella medica, avere un sistema di esami di profitto diventava una necessità sempre più sentita. Gli esami erano tradizionalmente previsti sia nei collegi che nelle università della prima età moderna168. Si trattava però generalmente di un esame

167 Cfr. A. Emch-Dériaz, La formazione del medico, in Storia della Scienza, cit., p. 716.

168 In particolare per le theses nei collegi dei gesuiti, cfr. G Baroncini., La filosofia naturale nello

Studio bolognese (1650-1750). Preliminari di una ricerca, in R. Cremante, W. Tega (a cura di), Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, Il Mulino, Bologna, 1984, pp. 274-279; Id, L’insegnamento della filosofia naturale nei collegi italiani dei gesuiti (1610-1670): un esempio di nuovo aristotelismo, in G.P. Brizzi. (a cura di), La «Ratio studiorum». Modelli culturali e pratiche

formale, spesso una recita a memoria di puncta scelti da libri di sommari, che si tramandavano quasi senza modifiche da secoli169. Le riforme settecentesche mirarono a istituire delle vere e proprie verifiche dell’apprendimento, in certi casi depotenziando l’uso delle tesi. È questo il caso dell’Università di Torino in cui l’opera riformatrice fu affidata al giurista siciliano Francesco D’Aguirre. Nel 1723 egli commentava:

«Nelle scienze politiche e positive, come sono le Leggi e la Medicina, sono più utili gli esami che le tesi, et in questi più che nelle tesi si riconosce l’abilità dello studente»170.

Nel corso del secolo anche tesi torinesi si allontanarono progressivamente dalla prova di erudizione manualistica diventando saggi tematici inerenti ricerche originali degli studenti a dimostrazione del fatto che «i meccanismi creati dalle leggi di riforma diano significativi frutti sul lungo periodo»171. Emblematico è poi il caso padovano, dove nel 1771 furono istituiti esami di profitto al termine di ogni anno accademico172.

Le università tedesche di Halle, Gottinga ed Erlangen sono certamente i ‘fari’ che guidarono la riforma delle università asburgiche173. Le dissertazioni degli studenti delle università tedesche e il modernissimo sistema di esami di profitto di Gottinga influenzeranno in modo decisivo il riformatore della facoltà medica viennese, Gerard Van Swieten. A Vienna, che doveva fungere

educative dei gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, Bulzoni, Roma, 1981, pp. 163-215; A. Barzazi, Gli affanni dell'erudizione: studi e organizzazione culturale degli ordini religiosi a Venezia tra Sei e Settecento, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, 2004, pp. 126-127.

169 Cfr. De Niet J., Teaching and examination in the statutes of North-West European Universities

(1200-1700), in Romano A. (a cura di), Gli statuti universitari: tradizione dei testi e valenze politiche: atti del Convegno internazionale di studi, Messina-Milazzo, 13-18 aprile 2004, CLUEB, Bologna, 2007, pp. 289-294.

170 Cfr. D. Carpanetto, Professione medica e università nel Piemonte del Settecento, in M. L Betri.-

A. Pastore (a cura di), L’arte del guarire. Aspetti della professione medica tra Medioevo ed età contemporanea, Clueb, Bologna, 1993, p.87.

171 Ivi, p. 88.

172 G. Ongaro., I curricula ‘filosofici’ e ‘medici’ prima di Napoleone, in L. Pepe- P. Del Negro (a

cura di), Le università napoleoniche : uno spartiacque nella storia italiana ed europea dell'istruzione superiore : atti del convegno internazionale di studi, Padova-Bologna, 13-15 settembre 2006, Clueb, Bologna, 2006, pp. 139-143.

173 Cfr. L. Boehm, Le università tedesche, in G.P Brizzi.- J. Verger (a cura di), L’università in

da modello per tutte le università austriache, si attuò un nuovo sistema di valutazione in cui la laurea perse progressivamente di solennità lasciando spazio agli esami preliminari per il conseguimento del grado accademico174. Gli Stati sotto il dominio asburgico in Italia furono interessati da un processo di riforma del sistema di esami dagli esiti alquanto differenti. A Pavia, «vanto del riformismo asburgico», fu forte il modello delle riforme viennesi. A Pisa le riforme degli studi stentarono a decollare e Pietro Leopoldo prese a modello proprio l’università lombarda per procedere con i tentativi di riforma già intrapresi nel periodo della reggenza. Uno dei punti maggiormente discussi fin dal 1771 fu proprio una nuova disciplina per gli esami di laurea, che Pietro Leopoldo giudicava del tutto inadeguati tanto da scrivere nel 1775:

Questa prova si riduce a una pura formalità tanto per i lettori che per gli scolari ed è difficile che non sia tale, onde non è stato mai pensato a migliorare il sistema. I punti per il dottorato sono in numero determinato e da due secoli in qua sempre gli stessi; onde qualunque punto sia tratto si trova già dichiarato, risoluto e disteso da altri, senza che costi alcuna fatica al lettore, né al candidato, se non che rispetto a questo una debole prova di memoria175.

Effettivamente fino al 1786 per la laurea venivano estratti a sorte due puncta tratti dai testi classici, un aforisma di Ippocrate e un passo aristotelico per i medici176. La riforma del dottorato fu oggetto specifico di un motuproprio

174 Cfr. H. Reinalter, Le riforme universitarie in Austria al tempo di Maria Teresa, in Economia,

Istituzioni, cit., p. 834. Nelle sue Memorie, Joseph Frank ricorda da un punto di vista molto particolare gli esami a cui doveva partecipare il padre, Johann Peter, in qualità di docente di Clinica a Gottinga. Scrive Joseph: «Il dottorato era preceduto, come dappertutto, da esami che richiedevano molto tempo e non rendevano un soldo a mio padre, perché le somme considerevoli pagate dagli studenti per ottenere la laurea venivano divise fra i tre professori anziani della facoltà. Questi esami si svolgevano a casa del rettore e, ciò che è stupefacente, davanti a una tavola imbandita con tutti i dolciumi di stagione. La moglie del rettore provvedeva a questo pasto grazie a un contributo da parte di ciascun candidato […]. “Prendete un pezzo di prosciutto e un bicchiere di champagne, signor candidato, diceva l’esaminatore, e nel frattempo spiegatemi quali sono le malattie che colpiscono lo stomaco”. Gli esami sarebbero stati comunque severi […] poiché i voti si davano a voce, ne seguivano spesso dei litigi tra […] i colleghi». J. Frank, Memorie I, cit., pag. 134.

175 Cfr. A. Salvestrini (a cura di), Pietro Leopoldo, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di

Arnaldo, I, Olschki, Firenze, 1969, p. 240.

176 Cfr. E. Panucci, Dall’avvento dei Lorena al Regno d’Etruria (1737-1807), in Storia

dell’Università di Pisa, cit., vol. 2/I, pp. 114-115; M. Aglietti, L’Università di Pisa in età leopoldina. La riforma degli esami di laurea, in «Bollettino storico pisano», 65, 1996, pp. 115-162.

dell’ 11 dicembre 1786177. Per fare della laurea una verifica più attendibile si decise di sostituire la recita dei punti a memoria con una prova «più sicura dell’applicazione e del profitto dei giovani negli studi dell’Università di Pisa». In base al nuovo regolamento, dopo quattro anni di studio gli studenti potevano chiedere di sostenere gli esami per il grado dottorale. Prima dell’esame dovevano esibire le fedi dei loro studi comprovanti la loro assidua frequenza dei corsi universitari: per «i filosofi e i medici» era necessario dimostrare di aver seguito per due anni il corso di anatomia, di chimica, di fisica e il corso di medicina per tre anni. L’interrogazione avrebbe quindi riguardato «la medicina e la fisica» e la promozione sarebbe stata decretata per la «pluralità dei voti» ottenuti dal candidato. Chi non avesse superato l’esame la prima volta lo avrebbe potuto risostenere fino a due volte nello spazio di due anni.

All’esame seguiva la collazione del grado, una cerimonia scrupolosamente disciplinata che si teneva nel Palazzo Arcivescovile. A ‘porte chiuse’, gli scolari dovevano recitare la professione di fede nelle mani del Vicario dell’Arcivescovo «tralasciato il giuramento di fedeltà e di obbedienza a Sua Altezza Reale che prima si faceva e che si riguarda come ingiusto rispetto ai non sudditi e come inutile e non inducente alcun nuovo legame rispetto ai sudditi». La recita dell’orazione da parte del Vicario avveniva invece pubblicamente e la cerimonia si chiudeva con la «recita delle solite formule». Nel caso pisano sembrava rimanere intatto il forte valore simbolico della cerimonia di laurea, come testimoniato anche dal potere esercitato dall’Arcivescovo che manteneva la sua carica di Grancancelliere dello Studio. Il provvedimento leopoldino fu sottoposto a una lunga serie di aggiustamenti e deroghe per venire incontro alle esigenze del collegio dei professori e dell’Arcivescovo che fecero da freno a qualsiasi progetto di ampio respiro dello studio pisano. D’altra parte anche il provveditore generale degli studi, Angelo Fabbroni, espose le sue lamentele circa il nuovo sistema di esami che giudicò eccessivamente inaffidabile e discrezionale. Nel

177 Cfr. ASPi, Università II, G 9, cc. 102r-109v. Dal 1788 lo stesso regolamento entrò in vigore

anche per l’Università di Siena. Cfr. F. Vannozzi, L’insegnamento della medicina in Siena, dal XVIII secolo ai giorni nostri, in L’Università di Siena. 750 anni di storia, Amilcare Pizzi Editore, Siena, 1991, p. 162.

1798 denunciò il lassismo degli studenti che potevano superare troppo facilmente gli esami, arrivando anche a pagare uno dei professori del Collegio perché s’informasse sugli argomenti delle interrogazioni. Il Provveditore tentò di porre rimedio al malcostume con la proposta di estrarre a sorte le materie oppure di ritornare al vecchio metodo della recita a punti, dato che sino ad allora il commento dei testi si era dimostrata la prova più adatta per valutare l’abilità degli studenti178. La situazione toscana rimase a lungo estremamente frammentata, con una formazione universitaria divisa tra Pisa, Siena e, per quanto riguarda gli studi medici in particolare, Firenze. I progetti di Pietro Leopoldo furono animati dalla ferma volontà di portare in Toscana un sistema accentrato, sul modello dell’Università di Pavia, il quale tuttavia non poteva essere replicato a Pisa, come abbiamo già avuto modo di osservare. La situazione dell’istruzione superiore in Toscana fu successivamente oggetto anche dell’attenzione della nuova amministrazione francese che affidò a un tecnico d’eccezione, il naturalista Georges Cuvier, la presidenza della Commissione straordinaria incaricata dell’ispezione dell’istruzione pubblica nei dipartimenti dell'Impero. Arrivato nel 1809 in Toscana, fu proprio Cuvier in qualità di membro del Consiglio centrale dell’Università a sostenere l’introduzione di esami di profitto e di una tesi finale obbligatoria179.