• Non ci sono risultati.

Giudici tra giustizia e ingiustizie Martelli (?) - Borsellino

Ringraziamento al Comune di Racalmuto per avermi voluto invi-tare a “ragionare” attorno ad un tavolo di confronto, addirittura col ministro Martelli, asseritamente perché protagonista di uno degli

“scontri” che hanno fatto più notizia durante l’anno.

In realtà io personalmente non sono stato protagonista di nessu-no scontro e tanto menessu-no col ministro Martelli, col quale ho invece avuto due utilissimi incontri, uno anche recentissimo, nel corso dei quali ho potuto addirittura constatare la sostanziale coincidenza delle nostre analisi.

Sono stato, invece, in passato involontariamente e, per altro, muto protagonista di una sanata e “benefica” polemica innescata da Leo-nardo Sciascia, col suo famoso articolo sui “protagonisti dell’anti-mafia”, mai tuttavia trasmodata su contrapposizioni personali, che anzi i miei rapporti con Sciascia, intensissimi dapprima, anche se unilaterali (ero, rimasi e rimango un intensissimo ed entusiasta am-miratore di Sciascia, al quale, come dichiarai subito dopo l’insorgere della “polemica” debbo moltissimo della mia formazione culturale e della mia sensibilità antimafia in particolare), intensissimi divennero successivamente, poiché nel corso di un paio di incontri verificammo la sostanziale identità delle nostre vedute ed, addirittura, l’esistenza

di tutti gli obiettivi presupposti per l’instaurazione di una personale amicizia.

Ne fanno fede alcuni carissimi e mai pubblicizzati ricordi, con-sacrati in immagini fotografiche, alcune lettere con le quali Sciascia sollecitò una mia collaborazione ad indagini letterarie che andava conducendo, una intervista resa da Sciascia al periodico Il Segno, in cui chiarisce il senso delle sue affermazioni dell’anno prima sul Corriere della Sera e afferma:

“In quel mio articolo dell’anno scorso, che fu incredibilmente travisato, io intendevo semplicemente dire che il CSM avrebbe do-vuto stabilire delle regole, non andare discontinuamente, e con un linguaggio a dir poco allarmante, al caso per caso. Questo, ho avuto modo di constatarlo recentemente, l’ha capito benissimo il giudice Borsellino, e che non c’era nel mio articolo nulla di personale nei suoi riguardi. Ma non l’hanno capito, o non l’hanno voluto capire, coloro a cui piaceva attizzare una polemica vana e insulsa”.

Polemiche “vane e insulse”, come quelle sui protagonisti (giudizia-ri) dell’antimafia (non affronto poiché non è il mio campo il problema che mi sembra più consistente dei “protagonisti politici sull’antimafia altrui”) non certo allora esauritesi ma significativamente ripetute in questi ultimi anni, spesso prendendo a spunto veri problemi ma confon-dendo altrettanto spesso i reali soggetti di posizioni contrapposte.

Polemica Borsellino-Sciascia (mai esistita, la vera polemica nacque semmai tra l’area della magistratura che aveva dato vita ai pool anti-mafia e quella rifacentesi al corporativismo esasperato e livellatore, cui ancora oggi si rifà purtroppo gran parte dei magistrati, e della magistratura associata in particolare).

E la stessa polemica (sotto altra forma) è quella che oggi vuole contrapposti da un lato i magistrati e dall’altro il Ministro, che atten-terebbe alla loro indipendenza ed autonomia.

In realtà anch’essa polemica che potrebbe definirsi “vuota e in-sulsa” e che ha finito per paralizzare sostanzialmente il congresso dell’ANM di Vasto.

È vero che il Ministro e la sua Direzione Generale degli Affa-ri Penali si sono posti il problema del funzionamento del sistema giudiziario (oggi sostanzialmente paralizzato per l’esasperata per-sonalizzazione delle indagini e per la riconosciuta impossibilità di far fronte all’enorme mole dei casi oggetto del suo esame). È vero che Ministro e sua Direzione Generale hanno suggerito modifiche razionalizzatrici dell’ordinamento giudiziario. Ed è vero anche che talune di queste modifiche tendono o facilitano un ripensamento sul ruolo e collocazione istituzionale del P.M., direzione verso la quale spinge anche il nuovo sistema processual penalistico che ha ancora più esaltato la posizione di parte dell’organo di accusa.

È vero ancora che una ricollocazione ordinamentale del P.M.

avrebbe probabilmente come necessario corollario il ripensamento del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Sia chiaro che, a mio parere con ragione, questi principi (indi-pendenza ed autonomia del giudice-magistrato ed obbligatorietà dell’azione penale) vengono insistentemente (e disperatamente) difesi dai magistrati associati, convinti che il problema della giustizia-giusta non si risolve con questi riassetti rivoluzionari.

Occorre tuttavia dar atto della buona fede del Ministro allorché questi afferma che nella presente legislatura non si porrà mano a queste riforme che saranno affrontate dalla prossima.

E non mi sembra si tratti di un mero dilazionamento temporale, che così concepito non avrebbe senso e sarebbe, comunque, perico-losissimo.

La realtà è che (almeno nell’intendimento del Ministro e del Pres.

della Repubblica) la prossima legislatura dovrebbe affrontare talune riforme costituzionali di carattere generale, tali, ci si augura, da far uscire il paese dalla situazione, ormai da mezzo secolo perdurante, di democrazia-bloccata e senza possibilità di alternanze.

In un nuovo regime costituzionale aperto alla reale ed effettiva concorrenza delle forze politiche cadrebbero le ragioni delle più

fondate opposizioni (non quelle corporative) verso la dipendenza del P.M. dall’esecutivo e verso la discrezionalità dell’azione penale e sarà necessario allora che i magistrati (i quali, come tali, non hanno titolo ad interloquire sulla riforma del sistema politico) rimeditino certe loro posizioni su questi problemi, che esistono e vanno risolti.

Attualmente, prendendo doverosamente atto che nessuno (e tan-to meno il Ministro) vuole la dipendenza del P.M. dall’esecutivo e la discrezionalità dell’azione penale nell’attuale sistema politico ma vi è ricerca all’interno dell’attuale sistema di quegli aggiustamenti ordinamentali che garantiscono, quanto meno, una efficace azione della magistratura (vedi ad esempio il coordinamento delle indagini che non può essere assicurato da un organo d’accusa esasperatamente personalizzato) non ha senso opporsi strenuamente (vedi Vasto) anche a detti aggiustamenti invocando l’indipendenza della magistratura ed il principio della obbligatorietà dell’azione penale.

Si tratta di risposte che isteriliscono l’azione della magistratura associata e che favoriscono l’accusa di corporativismo a difesa di posizioni di categoria quasi che i suddetti principi, sanciti in una Costituzione (modificabile e che si vuole ma solo su detti principi modificare), fossero stati sanciti a difesa del privilegio di un ordine e non di una collettività che attende una giustizia giusta ed efficiente.

Palermo, 12 ottobre 1991

Sicilia e criminalità. Quale strategia