Tema che mi è d’obbligo trattare per evitare di invadere campi in ordine ai quali manco assolutamente di competenza, con stretta atti-nenza alle mie esperienze professionali e culturali di magistrato.
Tema che appare analogo a quello che ha a lungo agitato i dibattiti politici degli ultimi anni e che va sotto l’indicazione di “questione morale”.
Questione morale affermata come priorità nazionale da tutti i lea-ders politici e dai giornalisti che fanno opinione.
Ma come si può parlare di questione morale come di una discri-minante, di un punto di scontro e di distinzione?, senza cadere nella declamazione qualunquista del “tutto è sfascio e rovina” o senza ab-bandonarsi al sentimento di impotenza che prende ciascuno di fronte a fenomeni di proporzioni inaudite?
Come evitare il rischio che tutto ciò non porti acqua al mulino del rifiuto dello Stato e della Repubblica, a vantaggio di un indivi-dualismo utilitaristico che affida ai rapporti di puro scambio anche la soddisfazione dei bisogni più elementari?
E allora partiamo da alcuni esempi concreti, emblematici: sfascio degli ospedali, truffa nelle refezioni scolastiche. Qui non sono in gioco grandi opere pubbliche, rapporti internazionali, tasse sul pe-trolio, bensì la stessa vita dell’uomo nei momenti delicatissimi della malattia e dell’infanzia.
Non si tratta solo di commercio e di affari, è gioco sulla pelle degli altri.
L’apparecchio costosissimo di analisi giace inutilizzato negli scan-tinati dell’ospedale perché il paziente venga affidato ad uno studio privato.
Malati che muoiono perché le strutture pubbliche sono state su-bordinate ad interessi privati.
Refezioni scolastiche (Roma) affidate a ditte improvvisate.
Ecco un modo per intendere, ciascuno di noi, la questione morale:
il commercio affaristico riguarda anche la vita; il gioco degli affari tocca il nucleo costitutivo dell’esistenza: malattia, dolore, alimenta-zione.
Ma fin dove si può spingere la logica degli affari, dello scambio, della commerciabilità?
È possibile ricondurre tutto: lavoro, sicurezza, rapporto con la natura ad una questione di convenienza economica? Alla logica del do ut des?
Chi ciò considera lecito, intreccia con facilità l’affare anche col crimine.
Ecco allora le ragioni della sempre più capillare e diffusa presenza mafiosa nella attività economica e politica. La mafia è diventata uno dei principali meccanismi di accumulazione finanziaria, uno degli elementi costitutivi della stessa dinamica economica.
Flussi di narcodollari = uno dei punti di forza dello stesso sistema delle imprese.
Ma questo non sarebbe stato possibile se non si fosse estrema-mente diffusa la logica del do ut des, a qualsiasi costo e in qualsiasi campo.
In alcune città (numerose), tutto o quasi tutto passa attraverso il piccolo o grande pizzo versato al puntiglioso esattore dell’”anonima criminale”.
Situazione di illegalità diffusa, di massa, anche i diritti più ele-mentari possono farsi valere a condizione di disporre di protezioni adeguate.
Certo, ci sono riforme che potrebbero contenere in qualche modo l’arroganza e la sfrontatezza dei potenti, riforme politiche, istituzio-nali, fiscali, finanziarie.
Ma non basta.
Occorre fare i conti col fatto che questa situazione si fonda su un diffuso consenso rinuncia all’idea che il sistema possa essere cambiato o peggio si è spento il desiderio di cambiarlo.
Il consenso o è indirizzato verso la legge e le istituzioni che la
emanano e allora costituisce il fondamento principale di una ordinata vita associata.
Se invece il consenso (per varie cause e, soprattutto, per la manca-ta identificazione del citmanca-tadino con le istituzioni) è indirizzato verso istituzioni alternative (che apparentemente assicurano gli stessi servigi dello Stato) e allora costituisce il fondamento principale della potenza delle istituzioni mafiose.
Senonché mentre lo Stato può quanto meno vantare di assicurare a tutti una equa ripartizione dei mezzi e dei valori che soddisfano ai bisogni fondamentali (beni, libertà, dignità, eguaglianza), le istituzioni alternative non possono che dare ad alcuni togliendo contemporanea-mente ad altri (distribuzione a somma algebrica zero), sicché il consenso alle istituzioni alternative che può provocare singoli ed anche diffusi vantaggi, si risolve sempre in profonda ingiustizia verso la generalità.
Perché il consenso alle pubbliche istituzioni venga recuperato è anzitutto necessario che esse funzionino (non è la magistratura e la polizia che possono assicurare la sconfitta della mafia: occorre la risposta globale dello Stato).
Ma occorre insieme che venga da parte di tutti recuperato il sen-so etico della vita, la consapevolezza che il benessere a vantaggio personale o familiare non può essere perseguito a scapito degli altri;
che è questo l’imperativo morale principale del nostro tempo anche su scala planetaria.
Chi impersona le istituzioni deve essere imparziale ed efficiente distributore dei beni e dei servizi che è delegato ad amministrare (finirla con le occupazioni delle pubbliche istituzioni da parte dei partiti e dei gruppi e delle lobbies).
Chi dalle istituzioni (nelle quali deve riconoscersi) è amministrato, deve percepire come inderogabile il dovere morale di non perseguire il proprio vantaggio e quello del suo ristretto clan di appartenenza (famiglia, gruppo, nazione) cagionando contemporaneamente e ne-cessariamente il danno degli altri consociati.
Che questa (risoluzione del problema morale) sia la chiave di vol-ta, l’unica strada perseguibile per difendere la società dal malaffare ed, in particolare, la società siciliana dalla mafia, emerge autorevol-mente dall’omelia del Card. Pappalardo in occasione delle festività del Corpus Domini:
“Leggi, programmi ed interventi repressivi contro la dilagante corruzione e prevaricazione e per combattere mafia e delinquenza non daranno mai risultati apprezzabili senza un’opera che miri alla formazione delle coscienze.
La deviazione verso l’inciviltà, il malcostume e la violenza va affrontata e combattuta con rimedi dell’istruzione culturale, della formazione morale, della preparazione alla vita sociale e con una educazione spirituale che valga ad assicurare le energie necessarie per superare le tante occasioni del male che si presentano nella vita.
Vani risulterebbero altrimenti quanti altri progetti, programmi e provvedimenti si vogliono porre in atto per contrastare corruzione e prevaricazione nella sfera del pubblico e del privato.
Perché ciascuno compia il proprio dovere occorre ripartire dall’in-terno della persona: formare, cioè rifondare, la coscienza morale”.
Bari, 18 novembre 1989