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Mafia e giustizia

All’apparenza naturale accostamento dei due termini. La mafia (ass. per. delinq.) è reato e la giustizia è chiamata a reprimerla.

Sicché: la mafia prospera se la giustizia non funziona o funziona male.

Accostamento non vero in termine di esclusività se è vero che la mafia prospera anche quando la giustizia funziona.

Dimostrazione: possenti indagini giudiziarie della prima metà degli anni ‘80. Centinaia di mafiosi in carcere - Maxi processo -.

Subito dopo manifestazione rinnovata della virulenza mafiosa, che non sembra neppure scalfita dalle iniziative giudiziarie. Non è pos-sibile che sia rinata.

La verità è che è rimasta intatta.

Perché?

Perché se in qualche modo (non certo al massimo della efficien-za e talvolta addirittura artigianalmente) è stato affrontato il nodo

giustizia, poco o nulla si è fatto per affrontare quella mafia-amministrazione, mafia-politica, mafia-cultura.

E se politica, amministrazione, cultura rientrano tra i grandi com-piti statuali, vuol dire che è mancato un intervento globale dello Stato nell’affrontare il fenomeno.

Per la verità è mancato anche nel campo mafia-giustizia (cioè nel campo meramente repressivo)

[Questo è l’esclusivo compito della giustizia - accertare i reati e punire i colpevoli].

È mancato perché [a differenza che nella lotta al terrorismo] non è che lo Stato si sia organizzato per una efficace repressione e l’abbia incoraggiata.

Emblematiche sono le vicende del pool antimafia di Palermo (il più valido ed efficace degli strumenti sperimentati).

Nasce per germinazione spontanea dopo decenni di disattenzione generale verso un fenomeno che intanto pesantemente si evolveva dalla fase locale-artigianale (mafia agricola, mafia della speculaz.

edilizia, attività meramente parassitarie) ad un livello industriale internazionale (favorito dal traffico della droga).

Viene apparentemente incoraggiato con l’apprestamento dei mezzi (ingenti) per la celebrazione del maxiprocesso.

Viene però totalmente delegato a risolvere il fenomeno (giudizia-riamente), essendovi per altro verso, estremo disinteresse negli altri scenari della lotta.

Viene infine decisamente ostacolato e di fatto ridotto

all’impo-tenza allorché tenta di farsi carico di tutti gli aspetti del problema divenendo punto di riferimento di ogni seria lotta alla criminalità mafiosa [spezzettamento delle indagini, garantismo esasperato, ac-cuse di protagonismo etc.].

In realtà prima di essere ridotto all’impotenza sul piano giuridico l’attività del pool (o dei pool) un effetto collaterale l’ha prodotto, an-che se non era suo compito:

effetto culturale: oggi si sa che la mafia esiste e sussistono tutte le condizioni perché vi sia conoscenza diffusa della sua essenza. Ieri non si sapeva e si negava [non c’è e se c’è non è un male. V. E. Orlando, veri sindaci - atteggiamento giovani generazioni].

Vi è stata sicuramente una crescita culturale:

- conoscenza diffusa

- attenzione opinione pubblica nazionale - convegni e dibattiti generalizzati

- abbandono della visione regionalistica, quasi fosse un problema esclusivamente siciliano, campano o calabrese.

Si comincia ormai a capire a sufficienza che la mafia è un peri-colo generalizzato per la democrazia (incide in modo fuorviante sui meccanismi del consumo).

Si capisce ormai bene che può colpire ovunque: inquinamento finanziario, sequestri di persona (li fanno sardi e calabresi, ma li ha inventati Luciano Liggio e allora non vi erano reazioni popolari). Se vi fossero state non sarebbero trascorsi anni addietro nella compren-sione e reazione al fenomeno.

Noi però oggi sappiamo che queste “bande” queste “famiglie” ma-fiose controllano vasti territori, ove hanno i loro santuari (colpendo

però anche pesantemente altrove) ma generalmente è scarsa la cono-scenza del “perché” di questa potenza che non sembra scalfibile.

Perché la mafia così diversa e così più potente della banda di Vallan-zasca o di Epaminonda, cioè di quelle forme di criminalità organizzata con le quali la civiltà metropolitana moderna deve far conto?

Bande che una incisiva azione repressiva può sgominare con rela-tiva facilità, senza che per affrontarle occorra scomodare, oltre che la giustizia, la politica, l’amministrazione e la cultura.

Perché la mafia non è soltanto una forma (sia pure particolarissi-ma) di criminalità organizzata.

È una istituzione alternativa allo Stato (storic. radicatasi nelle reg.

meridionali) che tende a presentarsi come capace di assolvere (a mo-do suo) ai compiti primari dello Stato nei campi della giustizia, della sicurezza, dell’economia.

Oggi si tende a confondere la mafia con le multinazionali del cri-mine e della droga.

Errore. Anche nei periodi di massima espressione del traffico le famiglie mafiose non rinunciavano, ad esempio, alle estorsioni ed alle tangenti. Perché?

La mafia è territorio, come lo Stato è territorio (solo che il terri-torio è il medesimo).

La “famiglia” mafiosa non sarebbe tale senza questo territorio.

E su questo territorio tende ad esercitare (a modo suo) le stesse funzioni dello Stato.

giustizia

ordine pubblico

lavoro-economia (somma algebrica zero) All’apparenza

In realtà

E come si pone nei confronti dell’altra (legittima) istituzione che pretende (legittimamente) di controllare lo stesso territorio.

Non scontro (eccezionalità degli omicidi eccellenti) ma condizio-namento dall’interno.

Metodi: 1) inserimento di propri uomini nelle istituzioni 2) corruzione o minacce ai pubblici funzionari per piegarli al suo volere

3) sfruttamento della tentazione alla convivenza che genera obiettive collusioni

Può osservarsi che almeno nel secondo capo (specie nella cor-ruzione) il fenomeno è diffuso ovunque. Sì! Ma nelle regioni ove il territorio è sentito come suo, della mafia, il titolare di questo potere è il mafioso, cioè membro di una organizzazione che tende a perpe-tuarsi e ad agire così indefinitivamente. E in più tende ad allargare sempre il suo campo di azione, minacciando anche zone prima im-muni (dovunque c’è denaro da accaparrarsi).

La mera azione della magistratura è inefficiente ed insufficiente:

1) Non può seriamente incidere sull’inserimento (apparentemente le-gittimo in senso democratico) di uomini della mafia nelle istituzioni.

- accaparramento delle risorse prodotte (tangenti estorsioni e reati mezzo per)

- dirottamento a suo favore dei flussi di finanziamento pubblico

- tendenza (nel riciclaggio) alla monopolizzazione delle attività economiche lecite.

2) Non può scoprire le corruzioni.

È il reato più diffuso e meno perseguito in Italia.

3) Spesso le collusioni obiettive neanche costituiscono reato.

Il nodo è amministrativo e politico ed è proprio in questi campi che lo Stato è assente.

Non esistono seri controlli interni sull’attività della P. A. perché controllori e controllati rispondono entrambi a logiche lottizzattarie dei partiti politici.

Gli enti locali (manifestazione immediata e visibile del potere Statuale) sono considerati dai partiti politici campi di occupazione per la soddisfazione di interessi particolaristici e non globali.

Ciò provoca:

1) Facilità di reperimento dei veicoli di infiltrazione.

2) Perdita della fiducia dell’opinione pubblica che non si riconosce nell’istituzione e dirotta altrove il suo consenso verso le organizza-zioni mafiose nel meridione (viva la mafia, viva Ciancimino, bare per il sindaco Orlando).

Occorre affrontare questo nodo politico. E se i partiti sembrano incapaci di risolvere questi problemi la crescita culturale dell’op.

pubbl. mi sembra saprà trovare la strada giusta.

Leghe - Orlando

Alleanza, quando Istituz. divenute meritevoli della “fiducia” osta-colarono seriamente sul territorio la possibilità di infiltrazione ma-fiosa (cui sarà sottratta l’arma del consenso-omertà) si potrà parlare seriamente di mafia e giustizia poiché il problema sarà meramente repressivo. Magistratura e forze dell’ordine saranno poste in grado di svuotare il pantano con armi ben diverse dal paniere di Sisifo.

Marsala, 26 maggio 1990