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CAPITOLO 4. PROFILI COMPARATISTICI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE

2. La judicial liability nell’ordinamento giuridico israeliano: un inquadramento generale

2.5. La sentenza State of Israel v Friedman et al Introduzione

2.5.3. Il giudizio della Corte e il ruolo della dottrina

Un ruolo significativo, nel giudizio della Corte distrettuale, è svolto dalla tesi di dottorato del giudice Dafna Avnieli, vertente sui limiti dell’immunità giudiziale nell’ordinamento israeliano. È anche per questo motivo che il caso State of Israel v. Friedman suscita interesse: esso rappresenta il frutto di un dialogo costante tra dottrina e giurisprudenza. Nel caso di specie, i giudici di Gerusalemme riprendono più volte le considerazioni formulate dall’Autrice per affrontare la decisione del caso ad essi sottoposto. Non solo: essi dichiarano apertamente di voler tenere conto dell’impatto che la loro decisione avrebbe sull’opinione pubblica e sul modo in cui i cittadini vivrebbero il loro rapporto con l’ordinamento giudiziario. I giudici guardano, inoltre, agli ordinamenti europei e statunitensi, per ispirarsi alle soluzioni adottate oltremare. I giudici dimostrano, in questo modo, di aver fatto proprio il pensiero espresso dal giudice Aharon Barak, di cui è opportuno riportare le parole:

“A judge should be part of his people. It is said that we sit in an ivory tower. But my tower is in the hills of Jerusalem, not on the Olympus. It is of the essence that a judge be fully conscious of his or her surroundings, of the events preoccupying the people. It is the judge’s duty to study the country’s problems, to read its literature, to listen to its music. The judge is part of his or her epoch, the son or daughter of his/her time, the product of his or her nation’s history”734.

Nella sua tesi di dottorato, il giudice Avnieli ha osservato come la previsione di un’immunità giudiziale dia luogo ad un conflitto tra due interessi contrapposti: da un lato, il principio fondamentale nella responsabilità civile, in base al quale colui che ha subito un danno ingiusto ha diritto ad una tutela che gli consenta di ottenere una riparazione del pregiudizio subito; dall’altro, l’interesse pubblico a che i giudici svolgano le loro funzioni in modo indipendente e sereno, senza il timore di ripercussioni aventi la forma di azioni civili intentate

734 BARAK, Some Reflections on the Israeli Legal System and Its Judiciary, in Electronic journal of comparative law, Vol. 6.1., April 2002, in rete: <http://www.ejcl.org/61/art61–1.html>.

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nei loro confronti, o comunque della possibilità di essere chiamati a rispondere personalmente nei confronti della vittima, per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.

I giudici della Corte distrettuale non contestano la necessità di mantenere in vigore la previsione normativa di un’immunità giudiziale. Al contrario, essi danno per pacifica la sua ragionevolezza, ma sottolineano come il punctum dolens sia costituito, piuttosto, dalla questione relativa alla portata dell’immunità. Essa, cioè, deve intendersi come piena e assoluta, o deve essere letta alla luce del principio di proporzionalità, in modo da consentire al danneggiato, quantomeno in ipotesi eccezionali, un accesso alla tutela? Con riguardo a quest’ultima ipotesi, i giudici di Gerusalemme chiariscono che la tutela del singolo non presuppone necessariamente che l’immunità personale del giudice venga meno. La tutela del danneggiato potrebbe comunque essere soddisfatta nella misura in cui si ammettesse che, a talune condizioni, sia lo Stato a rispondere per il fatto del giudice. In tal modo, la responsabilità vicaria dello Stato consentirebbe all’asserito danneggiato di ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, lasciando impregiudicata l’immunità del giudice.

La Corte di Gerusalemme constata l’esistenza di due possibili approcci ermeneutici nella lettura dell’ottava sezione della Torts Ordinance.

In base ad un’interpretazione teleologica, l’immunità giudiziale è da intendersi come funzionale a prevenire indebite pressioni e condizionamenti sul giudice, ad opera delle parti in giudizio. Stando a questa impostazione, l’indipendenza dei giudici costituisce una precondizione necessaria per l’esistenza di un ordinamento giuridico fondato sui valori di giustizia ed eguaglianza. Un ordinamento che ammetta la possibilità che le decisioni dei giudici siano condizionate dal timore di costoro di incorrere in responsabilità, sarebbe incompatibile con la ratio che sorregge la previsione dell’immunità giudiziale. Per questi motivi, un approccio teleologico impone di qualificare come assoluta l’immunità prevista dalla sezione 8 della Torts

Ordinance, anche laddove il comportamento del giudice sia connotato da dolo o colpa grave.

Un’interpretazione letterale, al contrario, suggerisce di circoscrivere l’applicabilità dell’immunità giudiziale ai soli giudici, senza estenderla anche al loro datore di lavoro (lo Stato). Un simile approccio implica inevitabilmente una riduzione della portata dell’immunità, ma al tempo stesso mette in risalto i principi di eguaglianza di fronte alla legge e di non discriminazione tra individui. I giudici riconoscono apertamente che l’attribuzione di un’immunità ad un determinato soggetto (o categoria di soggetti), con esclusione di altri, determina la diffusione di un senso di insofferenza e di disuguaglianza di fronte a quello che viene percepito come un ingiusto privilegio a favore di colui che gode dell’immunità. Questo sentimento è acuito dall’assenza di un meccanismo normativamente previsto per chiedere il risarcimento del danno conseguente ad atti dolosi o colposi del giudice. I giudici stessi constatano che tali circostanze determinano, in ultima istanza, una perdita di fiducia nella macchina giudiziaria da parte dell’opinione pubblica.

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in esame. In particolare, Tedeschi ha affermato che “l’aspirazione dei giuristi dovrebbe essere quella di abolire l’immunità. L’immunità risulta difficilmente accettabile perché contrasta con il principio di eguaglianza — il cui rispetto è necessario affinché vi sia giustizia — e perché lede ulteriormente colui che è già stato danneggiato. Ogni riduzione dell’immunità dovrebbe essere incoraggiata”735. Nettamente contraria è, invece la posizione del giudice Barak736, secondo cui l’attribuzione ai giudici di un’immunità più ampia rispetto agli altri pubblici dipendenti si giustifica alla luce della fiducia riposta sulla loro integrità, nonché dell’esperienza quotidiana, che dimostra come i casi in cui un soggetto subisce un danno ingiusto da un atto o comportamento giudiziale sono talmente rari da non giustificare le gravi conseguenze che sicuramente ricadrebbero sulla generalità dei soggetti a seguito dell’interferenza nelle decisioni dei giudici.

I giudici di Gerusalemme accedono alle osservazioni del giudice Avnieli, secondo cui la fiducia dell’opinione pubblica nel sistema giudiziario presuppone che il principio dell’immunità giudiziale venga rivalutato. Una tale rivalutazione potrebbe condurre alla conclusione che non vi è necessità di garantire ai giudici un’immunità assoluta, ma che sarebbe sufficiente un’immunità limitata, o addirittura una sua completa abolizione. La stessa Autrice, soffermandosi sull’ordinamento israeliano, osserva che negare il diritto al risarcimento a colui che ha subito un danno da un atto o comportamento di un giudice che ha agito sulla base di interessi personali, sarebbe addirittura “mostruoso”. Negli Stati Uniti — spiega l’Autrice — si è registrata una tendenza giurisprudenziale ad affermare che in determinati casi, un atto doloso non è neppure qualificabile come “giudiziale”.

Queste considerazioni dottrinali, nonché una panoramica di diritto comparato della responsabilità civile dei magistrati (in ordinamenti quali quello tedesco e francese) inducono la Corte distrettuale ad interpretare l’ottava sezione della Torts Ordinance nel senso di ritenere che la previsione di un’immunità personale a favore dei giudici non osta a che, in casi eccezionali di colpa grave di questi, i pretesi danneggiati esercitino un’azione risarcitoria nei confronti dello Stato. I giudici di Gerusalemme adducono, quale esempio di condotta connotata da colpa grave idonea a far sorgere una responsabilità vicaria dello Stato, il caso di un giudice che per ben dieci anni dalla conclusione del giudizio, si era rifiutato di emettere il relativo verdetto.

Alle obiezioni dello Stato di Israele — che aveva espresso il timore che l’ammissione di un’eventuale responsabilità dello Stato avrebbe aggravato il già elevato carico di lavoro delle corti — i giudici di Gerusalemme rispondono con una salomonica soluzione. Essi chiariscono, in particolare, che la possibilità di intentare un ricorso nei confronti dello Stato per il fatto del giudice non è assoluta, né automatica, ma è subordinata alla verifica, da parte del giudice della responsabilità, di una colpa grave in capo al giudice che abbia cagionato un danno ingiusto nei

735 Le considerazioni di Tedeschi si trovano a loro volta incorporate nella sentenza in esame.

736 Il giudice Barak è stato, tra l’altro, allievo di Tedeschi alla Hebrew University di Gerusalemme. Il loro rapporto rende ancora più avvincente il dibattito sulla giustificazione dell’istituto dell’immunità.

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confronti del ricorrente. In altri termini, la sussistenza di una mera colpa da parte del giudice non sarà sufficiente a fondare un valido ricorso nei confronti dello Stato: sarà, infatti, necessario quel quid pluris costituito dal carattere grave della stessa.

Relativamente a questo profilo, è opportuno notare come i giudici di Gerusalemme abbiano svolto un ragionamento che ricorda quello avanzato dalla giurisprudenza italiana con riferimento al filtro di ammissibilità previsto dalla l. n. 117/1988 ante riforma. In particolare, essi ritengono che la soluzione appena menzionata — in base alla quale le azioni risarcitorie contro lo Stato saranno ammesse soltanto in casi eccezionali, a seguito di una previa valutazione della colpa grave del giudice — rappresenti un adeguato bilanciamento tra gli interessi contrastanti che ruotano intorno alla figura dell’immunità. La previa delibazione del carattere grave della colpa svolge la stessa funzione che, in Italia, svolgeva il filtro di ammissibilità. Nonostante i singoli meccanismi presentino delle differenze non trascurabili (primo tra tutti, l’oggetto su cui verte il giudizio preventivo di ammissibilità, ma anche i rimedi impugnatori dell’esito dello stesso), la ratio dietro agli stessi risulta la medesima, sia nell’ordinamento israeliano, che in quello italiano (fino al 2015): entrambi sono volti a bloccare “sul nascere” le azioni prive di un serio fondamento, diminuendo, in questo modo, il rischio paventato dallo Stato di Israele (e dalla dottrina italiana, dopo l’abrogazione del filtro) che le corti siano oberate di ricorsi su processi già conclusi.

La Corte respinge, infine, le ulteriori argomentazioni proposte dallo Stato israeliano, secondo cui l’esistenza di rimedi impugnatori delle sentenze (quali l’appello) sarebbe sufficiente a tutelare i singoli dai comportamenti negligenti dei magistrati. Questo argomento non convince i giudici, che ricordano allo Stato di Israele come un’ingiustizia possa essere commessa anche in un giudizio di gravame. Il legislatore italiano, sotto questo profilo, si è dimostrato consapevole di tale eventualità, e ciò è testimoniato dalla previsione che subordina l’azione di responsabilità al previo esaurimento dei rimedi interni contro l’atto o il comportamento giudiziale737.

Nel decidere la questione ad essi sottoposta, i giudici di Gerusalemme si dimostrano coerenti con i principi poco prima sanciti: pur avendo ravvisato, nel caso di specie, la sussistenza di un comportamento negligente del giudice, essi hanno escluso che lo stesso potesse integrare colpa grave, e che fosse, dunque, idoneo a far sorgere la responsabilità dello Stato. I giudici hanno accolto, perciò, l’appello dello Stato di Israele e hanno conseguentemente dichiarato l’inammissibilità dell’azione proposta in primo grado contro lo stesso.