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La giurisprudenza: le sentenze sulle valli da pesca della laguna di Venezia

Il lavoro svolto dalla Commissione Rodotà, pur non essendosi finora tradotto in un testo legislativo, non ha soltanto alimentato un ampio dibattito dottrinale, ma pare aver influenzato anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione. Le prospettazioni della Commissione beni pubblici hanno infatti in qualche misura trovato riscontro in una serie di sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione266 vertenti sull’accertamento del diritto di proprietà sulle valli da

situazioni giuridiche soggettive che … conferiscono giuridica struttura alla collettività medesima”. In questo rapporto obbligatorio, soggetto debitore è la Repubblica e soggetto creditore una figura giuridica complessa quale il popolo.

Conseguentemente per Esposito, ove il debitore sia inadempiente, i titoli collettivi sui quali si innesta l’attività di prestazione dei pubblici poteri possono servire da strumenti di autotutela individuale e legittimare attività dirette ad apprendere i beni necessari al soddisfacimento degli interessi cui i beni medesimi sono proporzionalmente strumentali.

Tale forma di (auto)tutela dei titoli collettivi di appartenenza deve però essere compatibile con la primaria esigenza di tutela dell’ordine pubblico. Per Esposito l’autotutela, oltre ad ammettere comportamenti materiali di apprensione dei beni in questione (che devono però essere “’scriminati’, laddove diano luogo a violazione di disposizioni poste a tutela di altre prerogative individuali”), legittima forme di tutela già note all’ordinamento vigente, forme di azione popolare in ragione della “coincidenza … tra interesse individuale uti civis e interesse della collettività” . In tal senso Esposito richiama anzitutto l’art. 1145 C.c. sulle azioni di spoglio e l’art. 700 c.p.c. sugli strumenti della tutela cautelare atipica nonché, sul versante dei rapporti con l’amministrazione, il diritto del cittadino a chiedere all’amministrazione competente che provveda a rendere disponibili i beni fino ad arrivare all’eccezione di illegittimità costituzionale. A livello politico l’autore richiama istituti incidenti sul procedimento legislativo quali la petizione e l’iniziativa legislativa popolare, la sollecitazione della funzione esecutiva sulla legittimità costituzionale delle leggi e il referendum abrogativo.

Per una riconsiderazione della teoria dei beni pubblici alla luce della nozione di beni comuni, vedi anche A.LALLI, I beni pubblici. Imperativi del mercato e diritti della collettività, cit.

266 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenze 14 febbraio 2011, n. 3665 e 16 febbraio 2011, nn. 3811, 3812, 3936, 3937, 3938, 3939, sulle quali vedi in particolare: CASCIONE C.M., Le Sezioni unite per un ripensamento della categoria dei beni pubblici, in Giur. It., n. 12, 2011; CORTESE F., Dalle valli di pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?, in Giorn.dir.amm., n. 11, 2011; GRECO T.,GRECO M., La storia immutata delle valli da pesca dalla Serenissima ad oggi, in Corr. Giur., n. 6, 2011; LAFFAILLE F., Biens publics, biens communs, fonction sociale de l’Etat. La lagune de Venise et le statut des valli salse di pesca, in Rev. internat. droit. comp., 3,

86 pesca nella laguna di Venezia.

Prendendo a riferimento la sentenza delle Sezioni unite 14 febbraio 2011, n. 3665, occorre anzitutto rammentare che i due gradi di giudizio di merito avevano entrambi riconosciuto la natura demaniale delle aree in questione, accogliendo la tesi opposta dalle amministrazioni pubbliche interessate ai soggetti privati che rivendicavano la proprietà dei beni.

La Corte di Cassazione, pur confermando la ratio decidendi alla base delle sentenze di primo e secondo grado (le valli da pesca in questione erano considerate demanio pubblico ancor prima della costituzione del regno d’Italia e tale demanialità è stata confermata dalle norme vigenti — in particolare art. 28 cod. nav. — per le caratteristiche fisiche della laguna – comprendente anche le valli da pesca - e i relativi collegamenti funzionali con il mare)267 ha ritenuto di “ampliarla ed integrarla con ulteriori argomentazioni”, individuando i “criteri indispensabili per attribuire natura ‘non privata’ ad un bene immobile”.

Secondo la Corte, infatti, l’individuazione dei beni pubblici o demaniali non può più basarsi soltanto sulle norme dei codici del 1942, ma deve tener conto anche delle altre fonti ordinamentali e in particolare delle norme costituzionali. Orbene secondo la Suprema Corte, benché la Costituzione non contenga definizioni o classificazioni dei beni pubblici, dalla lettura degli articoli 2, 9 e 42 Cost. dedicati ai diritti inviolabili dell’uomo, al paesaggio e alla proprietà, e secondo la stessa Corte, direttamente applicabili, “si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale, anche nell’ambito del

‘paesaggio’, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della ‘proprietà’ dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività”.

Secondo la Corte di Cassazione, dal quadro normativo-costituzionale, data la centralità assegnata dalla nostra Costituzione alla persona umana ed ai relativi interessi, “da rendere effettiva oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, “emerge l’esigenza di guardare al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria” e dunque di non limitarsi ad una considerazione dei beni basata sulla mera individuazione della titolarità,

2016; LIETO S., “Beni comuni”, diritti fondamentali e Stato sociale. La Corte di Cassazione oltre la prospettiva della proprietà codicistica, in Pol.dir., n. 2, 2011; SAITTA F., La demanialità dei beni tra titolarità e funzione: verso un definitivo superamento delle categorie codicistiche?, in Riv. Giur. Urb., n. 1, 2011.

267 Per una critica di tale ricostruzione vedi da ultimo LAFFAILLE F.,cit.

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pubblica o privata “tralasciando l’ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati”.

La Corte ritiene quindi che “là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell’ormai datata prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica, ‘comune’ vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini”.

La Corte di cassazione sembra dunque voler trasversalmente superare la dicotomia beni pubblici-beni privati, introducendo una nuova nozione, quella di bene comune, fondata non sulla titolarità formale del bene ma sul legame funzionale che “sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo” è rinvenibile tra il bene stesso e la realizzazione di interessi, costituzionalmente tutelati, facenti capo alla collettività.

A questo punto la Corte sottolinea che dottrina e giurisprudenza hanno ormai fatto propria l’idea che “il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività” e a sostegno di tale affermazione, da un lato, richiama figure giuridiche (facenti capo sia a soggetti pubblici, sia a collettività) mediante le quali fini di interesse pubblico vengono realizzati su beni privati, quali i diritti demaniali su beni altrui, le servitù pubbliche, gli usi civici, i vincoli su beni privati finalizzati alla tutela del paesaggio e della salute; dall’altro, menziona le leggi ordinarie sulle privatizzazioni in cui “la proprietà ‘pubblica’ del bene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche (della collettività) diventano aspetti scindibili”. In tali modi “l’aspetto dominicale della tipologia del bene in questione cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentali indispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana personalità”.

Secondo le Sezioni Unite i beni comuni sarebbero dunque i beni che sulla base di una interpretazione del sistema normativo alla luce della Costituzione risultino strumentali al pieno sviluppo della persona umana; in relazione a tali beni deve essere riconosciuta a ciascuno una facoltà di godimento diretto e personale, non esclusivo ma collettivo, a prescindere dalla titolarità pubblica o privata dei beni stessi268.

268 Sul punto nota A. Lalli come la teorizzazione dei beni comuni rafforzi ulteriormente l’idea che ormai la disciplina dei beni non si limita e non può limitarsi a ripartire la titolarità dei beni tra Stato, enti pubblici e privati ma in relazione alle utilità che dai beni possono trarsi deve specificare i diritti che i terzi possono vantare sui beni stessi.

Ciò avrebbe secondo l’Autore altra conseguenza teorica: “Nella rappresentazione della tradizione giuridica, la proprietà coincideva tendenzialmente con il suo oggetto, che era la cosa in senso materiale. Dopo l’affermazione del fenomeno della frantumazione dell’istituto proprietario – in origine concepito unitariamente – in più statuti, ciò che assume rilievo sono i diritti, le facoltà e i poteri riconosciuti al titolare, in relazione al bene, ma anche gli oneri e gli

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Le sentenze gemelle delle Sezioni unite della Corte di Cassazione sulle valli da pesca della laguna di Venezia rilevano in quanto “tracciano … alcune ipotesi ricostruttive del sistema … aprono la strada a ulteriori riflessioni” e possono costituire anzitutto un criterio per una interpretazione costituzionalmente orientata dell’ordinamento ed un parametro di valutazione della compatibilità dello stesso ordinamento con i principi costituzionali richiamati, oltre che una guida per il legislatore269. A fronte di ciò occorre peraltro notare che ad oggi la stessa Corte di Cassazione, non sembra essere andata avanti nel solco segnato nelle sentenze sulle valli da pesca – sulle quali, in relazione ad alcuni profili, è intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo270 - essendosi limitata a considerare le argomentazioni sui beni comuni “ispirate (…) a suggerire la sottoposizione al regime della demanialità anche di quei beni che detta qualificazione non possiedono, e che tuttavia risultino funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività”271.

obblighi che possono essere connessi con l’uso del medesimo e che sono in correlazione con interessi e diritti di terzi sul medesimo bene. Rileva in altri termini l’aspetto immateriale dei beni (che ben possono essere cose concrete), che vengono considerati dal diritto non tanto nella loro materiale naturalità, ma come il sostrato di imputazione di fasci di situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, connesse alla disciplina dei loro usi. In questo senso il bene comune è nozione che rinvia a concetti e indica cose anche immateriali: l’insieme delle utilità e delle corrispettive facoltà di godimento e gli obblighi e i doveri imposti dal diritto in relazione all’uso del bene”, A.LALLI, op. cit., p. 275.

269 Ibidem, p. 282.

270 Corte Europea dei diritti dell’uomo, sez. II, sentenza 23 settembre 2014, proc. n. 46154/11; Pres. Işil Karakaş;

Valle Pierimpiè Società Agricola S.p.A. c. Italia. Vedi il commento di T.GRECO,M.GRECO, in Danno e responsabilità, n. 2, 2015. La Cedu – che non affronta il tema dei beni comuni – ha deciso la questione ad essa rimessa, ancora una volta confermando la propria giurisprudenza in materia di tutela della proprietà e delle legittime aspettative di godimento e di disposizione sui beni, considerate al pari della proprietà stessa ai sensi dell’art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Partendo dunque da un articolo che in verità tutela i beni, la Cedu nella sua giurisprudenza ha elaborato un proprio concetto di proprietà, autonomo rispetto a quelli esistenti negli ordinamenti degli Stati aderenti alla Convenzione, e – diversamente da quanto avviene ad es. nell’ambito della Costituzione italiana, la quale pone la proprietà tra i rapporti economici e ne sottolinea la funzione sociale – l’ha considerata come un diritto fondamentale della persona, da tutelare al pari di altri diritti dello stesso rango. La Cedu è giunta a tutelare anche soggetti che non erano titolari di un diritto di proprietà (secondo l’ordinamento interno di appartenenza), ma di un diritto o di un semplice “interesse” patrimoniale. Su tali premesse la Corte, pur riconoscendo sufficientemente fondata nel diritto nazionale italiano la dichiarazione di demanialità del bene “valle da pesca” e pur considerando innegabile la sussistenza di un fine di “pubblica utilità”, ha ritenuto che l’incertezza della situazione causata dalla prolungata inerzia delle autorità statali italiane abbia ingenerato una “ingerenza” non proporzionata nel diritto della parte privata.

Pertanto la Cedu ha condannato lo Stato italiano a pagare alla parte privata il danno morale, con riserva di condanna all’eventuale danno patrimoniale, all’esito della procedura di eventuale accordo tra le parti, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione.

271 Vedi Corte di Cassazione, sez. un., 29 maggio 2014, n. 12062 nonché Corte di Cassazione, sez. II, 23 settembre 2015, n. 18773.

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Del resto le stesse Sezioni Unite a conclusione della lunga digressione sui beni comuni, inserita in decisioni comunque volte a riaffermare la proprietà pubblica delle valli da pesca oggetto dei quesiti posti alla Suprema Corte272, tornano a riferirsi specificamente alla natura della

“demanialità”, concentrandosi, potremmo dire, sui beni-cose comuni a titolarità pubblica. Del bene demaniale le Sezioni unite evidenziano in particolare la “duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è necessaria, perché è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione”. Da ciò consegue che “la titolarità dello Stato, (Stato-collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi di tutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul piano proprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene”. In tal modo la Corte di Cassazione sembra spostare l’attenzione sulla gestione dei beni comuni a titolarità pubblica: una gestione, finora non sempre efficace e neppure economicamente sostenibile, ma che - pare di intravvedere nelle parole della Corte e nello specifico riferimento alla governance273 - proprio al fine di realizzare concretamente il godimento e l’uso pubblico del bene nelle sue diverse forme dovrebbe avvalersi della partecipazione di tutti i soggetti interessati, a partire da quella collettività che con l’ente pubblico territoriale condivide l’appartenenza dei beni stessi.