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Il dibattito in campo economico e politologico

Il recente dibattito sui beni comuni sembra aver tratto particolare alimento dagli studi economici e politologici sui beni ed in particolare da studi empirici su modalità alternative di gestione degli stessi rispetto al tradizionale binomio pubblico-privato.

Per la teoria economica i beni sono risorse scarse (beni materiali ma anche immateriali, ivi compresi i servizi), atte a soddisfare un bisogno dell’uomo ed i beni pubblici sono quelli che per alcune loro caratteristiche non si prestano ad essere forniti dal mercato. Secondo tale teoria195 infatti i beni sono classificati pubblici o privati, non sulla base del formale regime di appartenenza, ma prendendo in considerazione due caratteristiche fondamentali inerenti al loro consumo: la possibilità (con riferimento alla fattibilità tecnica ed economica) di riservare l’uso del bene solo ad alcuni soggetti e dunque di inibirlo ad altri (escludibilità dal godimento del bene); il fatto che l’uso del bene da parte di un soggetto riduca la disponibilità del bene stesso per un altro soggetto (rivalità nel consumo del bene).

Sono dunque beni privati puri (private consumption goods) i beni pienamente escludibili e rivali che in ragione di tali loro caratteristiche si prestano a essere efficientemente collocati mediante meccanismi di mercato; sono invece beni pubblici puri (collective consumption goods) quelli non escludibili e non rivali di cui tutti possono godere in egual misura. Questi ultimi, in ragione delle loro caratteristiche, non sono adatti ad essere efficientemente prodotti dal mercato196, costituiscono un caso di “fallimento del mercato” e pertanto dovrebbero essere forniti da enti pubblici.

Le categorie delineate inizialmente da Samuelson costituiscono due estremi la cui reale

195 P.SAMUELSON, The Pure Theory of Public Expenditure, in Review of Economics and Statistics, 1954. ID., Diagrammatic Exposition of A Theory of Public Expenditure, in Review of Economics and Statistics, 1955; ID., Aspects of Public Expenditure Theories, in Review of Economics and Statistics, 1958.; R.MUSGRAVE, The theory of public finance: a study in public economy, MacGraw-Hill, New York, 1959. Samuelson si concentrò sulla caratteristica della rivalità, Musgrave invece sottolineò l’importanza della escludibilità.

196 Secondo l’analisi economica, dal momento che nessuno può essere escluso dal godimento del bene pubblico, i fruitori del bene stesso sarebbero indotti a comportarsi da free-riders e dunque a non contribuire ai costi di produzione pagando un prezzo o una tariffa, vedi J.E.STIGLITZ, Economia del settore pubblico, vol. 1 Fondamenti teorici, Hoepli, Milano, 2003, p. 113 ss.

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esistenza è stata ed è messa in discussione197, soprattutto a causa del verificarsi di fenomeni di congestione che incidono negativamente sulla non rivalità198. Tra i due estremi si rinvengono dunque categorie intermedie di beni in cui le caratteristiche della escludibilità e della rivalità si combinano in diverse gradazioni. Tra di esse, quella dei beni di club199, che possono essere consumati o utilizzati congiuntamente in quanto non rivali, ma che sono escludibili con riferimento ad un gruppo delimitato e quindi possono essere forniti in modo efficiente anche dal mercato200. Un esempio di beni di club è costituito proprio dai beni a fruizione collettiva locale come parchi e giardini, teatri, musei, scuole, strade, servizi di distribuzione, etc., beni indivisibili ed escludibili con riferimento ad una comunità locale, che tuttavia possono essere soggetti a fenomeni di sovraffollamento e dunque a forme di parziale rivalità nel consumo201.

Tra i beni intermedi sono stati individuati anche i beni di merito (merit goods)202. Si tratta di beni che di norma presentano le caratteristiche dei beni privati (escludibilità e rivalità), ma il cui consumo produce esternalità positive. Anche a causa di carenza di informazione il consumo dei beni di merito può essere inferiore a quello ritenuto socialmente utile e conseguentemente esso può essere oggetto di incentivazione da parte dei poteri pubblici. Tra i beni meritori rientrano ad es. la salute, l’istruzione, la cultura.

Altra categoria intermedia tra i beni pubblici puri e i beni privati puri è quella dei c.d. beni comuni o beni di cassa comune (common pool goods o common pool resources o semplicemente commons) che sono beni rivali ma, per motivi tecnici od economici, difficilmente escludibili. Si tratta anzitutto di beni naturali, quali le risorse ittiche, idriche e minerarie, boschi e foreste203, ma

197 A seguito delle critiche sollevate al saggio di SAMUELSON (The Pure Theory of Public Expenditure, 1954), lo stesso autore ha riconosciuto (Diagrammatic Exposition or a Theory of Public Expenditure, 1955, p. 350) il valore teorico della categoria dei beni pubblici puri, sottolineando che la maggior parte delle attività dei poteri pubblici erano collocabili in una posizione intermedia tra le due categorie dei beni pubblici puri e dei beni privati puri. Tra coloro che hanno criticato il primo saggio di Samuelson, Buchanan ha ribadito come nella realtà nessuno dei beni finanziati pubblicamente presenti le caratteristiche proprie della categoria descritta da Samuelson, J.M.BUCHANAN, The Demand and Supply of Public Goods, Rand-McNally, Chicago,1968, p. 49-50.

198 G.C.ROMAGNOLI, Lezioni di politica economica, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 122.

199 J.M.BUCHANAN, An economic theory of clubs, in Economica, vol. 32, n. 125, 1965.

200 G. NAPOLITANO G.,M.ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, il Mulino, Bologna, 2009, p. 86.

201 Vedi J.G.HEAD, Public goods and multi-level government, in W.L. David (ed.), Public Finance, Planning and Economic Development, St. Martin’s Press, New York, 1973. Vedi anche G.NAPOLITANO,M.ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, cit., pp. 86-87, nonché pp. 306-308.

202 R. MUSGRAVE, The theory of public finance, cit., traduz. it., R.MUSGRAVE, Beni meritori, in Id., Finanza pubblica, equità, democrazia, il Mulino, 1995, p. 129 ss.

203 I primi studi sulle common pool resources hanno riguardato in particolare le risorse ittiche, v. GORDON,H.S., The economic theory of a common-property resource: The fishery, in Journal of Political Economy, 62, 1954; SCOTT

A.D., The fishery: The objectives of sole ownership, in Journal of Political Economy, 63, 1955; SCHAEFER M., Some

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anche di beni artificiali, consistenti in una risorsa base fruita in comune (es. lo stock di risorse ittiche, un lago, un fiume, un bacino idrico sotterraneo, un’area di pascolo, ma anche una struttura costruita per un uso comune) che genera un flusso di risorse unitarie o comunque di utilità oggetto di appropriazione da parte di ciascuno degli utilizzatori204. Come reso noto da un famoso scritto del biologo Garret Hardin205 la corsa all’appropriazione dei flussi generati dalla risorsa di cassa comune pone i beni comuni a rischio di sovrasfruttamento fino alla distruzione totale (c.d. tragedia dei beni comuni), se non vengono posti limiti alle attività umane. Del resto secondo gli economisti la gestione in comune di tali beni sarebbe diseconomica, sia perché la definizione e l’applicazione di regole condivise tra gli utilizzatori per ovviare ai rischi di sovrasfruttamento comporterebbero costi troppo elevati206, sia a causa della bassa produttività a sua volta determinata dal fatto che nessuno degli utilizzatori sarebbe motivato a lavorare di più per aumentare la produttività stessa a vantaggio di tutti207. Conseguentemente studi di analisi economica del diritto hanno sostenuto che i beni comuni dovrebbero essere privatizzati208 o sottoposti a proprietà pubblica e regolamentazione amministrativa209, ma vi sono stati anche studi che hanno parlato di “comedy of the commons”, sottolineando il ruolo che tali beni (“inherently public”), in ragione della loro generale accessibilità, hanno avuto ed hanno per il benessere delle collettività, non solo in termini di ricchezza ma anche in termini di accrescimento della socievolezza e della comunicazione tra i membri di una società altrimenti atomizzata210. Altri studi, invece, hanno approfondito i problemi

considerations of population dynamics and economics in relation to the management of the commercial marine fisheries, Journal of the Fisheries Research Board of Canada, 14, 1957.

204 BLOMQUIST W.,OSTROM E. Institutional capacity and the resolution of a commons dilemma, in Policy Studies Review, 5, 1985.

205 HARDIN G., The tragedy of the Commons, in Science, 162, 1968.

206 R.H.COASE, The problem of social cost, in Journal of Law and Economics, n. 3, 1960; H.DEMSETZ, Toward a theory of property rights, in American Economic Review, n. 62, 1967.

207 D.NORTH, Institutions, Institutional Change, and Economic Performance, Cambridge University Press, New York, 1990.

208 Per tutti, vedi R.J. SMITH, Resolving the tragedy of the commons by creating private property rights in wildlife, in CATO Journal, 1, 1981.

209 Sulla “tragedia dei comuni” e sulla critica alle proprietà collettive, vedi G.NAPOLITANO, I beni pubblici e le

“tragedie dell’interesse comune”, in U.MATTEI,E.REVIGLIO,S.RODOTÀ, Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, il Mulino, Bologna, 2007.

210 C.M.ROSE, The Comedy of the Commons: Commerce, Custom, and Inherently Public Property, Faculty Scholarship Series. Paper 1828, Yale Law School, 1986, p. 723. Nel saggio Rose si riferisce a beni oggetto di

“inherently public property”, intesa come “property collectively ‘owned’ and ‘managed’ by society at large”

(“unorganized” public) e distinta da un altro tipo di public property, quella “owned and actively managed by a govenmental body” (ivi, p. 720). Rose sottolinea come questa “unorganized version of the public” sia stata fortemente sostenuta da parte della dottrina più risalente ed anche da parte di quella moderna in ragione dei positivi effetti per la

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che possono derivare dalla privatizzazione di beni pubblici o collettivi, mettendo in luce come una non attenta configurazione dei diritti proprietari possa portare alla “tragedia degli anticomuni”, ovverosia al sottoutilizzo dei beni211.

Tra le due contrapposte scuole di pensiero si è pero nel tempo fatto strada un terzo filone di ricerca (multidisciplinare) - facente capo al Workshop in Political Theory and Policy Analisys, fondato dai politologi Vincent e Elinor Ostrom presso l’Università dell’Indiana - dedicato a forme alternative di gestione dei beni comuni nella convinzione che “né lo Stato, né il mercato sono in grado di garantire sempre lo sfruttamento produttivo, nel lungo periodo, delle risorse naturali”212. In particolare Elinor Ostrom, partendo da una posizione teorica che considera gli individui come persone competenti in grado di adottare strategie cooperative per risolvere problemi comuni a vantaggio dei singoli e della comunità nel suo complesso213 nonché dalle teorie dell’azione collettiva214, ha dedicato i suoi studi all’analisi ed alla valutazione di diversi casi di gestione di risorse di cassa comune da parte delle collettività di riferimento215, al fine di verificare i risultati ottenuti ed individuare gli elementi determinanti per il successo o l’insuccesso di tali

collettività: Rose, da un lato, porta lo storico esempio della pubblicità delle strade e delle vie d’acqua pubbliche che ha avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo del commercio e dunque per la diffusione della ricchezza, ma anche per l’innalzamento del grado di socievolezza dei membri della collettività; dall’altro, sostiene che analogo ruolo può svolgere il riconoscimento da parte di alcuni giudici statunitensi dell’”inherent publicness” dell’accesso del pubblico alle spiagge per finalità socio-ricreative.

211 M.A.HELLER, The Tragedy of the Anticommons. Property in the Transition from Marx to Market, in Harvard Law Review, vol. 111, n. 3, 1998.

212 E.OSTROM, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Actions, Cambridge University Press, 1990, trad. ital. Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006, p. 12.

213 Per una ricostruzione dei fondamenti teorici alla base degli studi della Ostrom, vedi T.VITALE, Società locali e governo dei beni comuni, in Aggiornamenti sociali, n. 2, 2010.

214 Gli studi sull’azione collettiva si fondano anzitutto sul lavoro di M.OLSON, The logic of collective action:

public goods and the theory of groups, Harvard University Press, Harvard, 1965, tradotto in italiano come La logica dell’azione collettiva. I beni pubblici, la teoria dei gruppi, Feltrinelli, 1983. Secondo Olson due sono gli elementi che possono indurre gli individui a partecipare all’azione di un gruppo per la realizzazione di un bene comune o pubblico, evitando di adottare comportamenti opportunistici (free-riding): la dimensione ridotta del gruppo o, nel caso di gruppi più numerosi, l’uso di incentivi (economici o sociali) separati, distinti dal conseguimento dell’interesse comune o di gruppo, che vengono offerti individualmente ai membri del gruppo stesso a condizione che essi contribuiscano ad assumersi i costi e gli oneri che il conseguimento degli obiettivi di gruppo implica.

215 Il lavoro, riassunto nel volume citato, ha preso in considerazione casi di gestione di beni comuni di dimensione ridotta, riguardanti beni localizzati in un solo paese e coinvolgenti gruppi di individui che variano dalle 5.000 alle 15.000 unità, strettamente dipendenti dai beni in questione (villaggi di pescatori, zone di pascolo, bacini idrografici, sistemi di irrigazione, foreste comunali e simili).

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forme di gestione216. Il lavoro, che ha infine ottenuto massimo riconoscimento con l’assegnazione del premio Nobel per l’economia, ha preso in considerazione sistemi d’uso di risorse collettive di dimensioni relativamente piccole (massimo 15.000 persone), ha messo in luce il ruolo determinante di una struttura organizzativa di gestione che sospinga l’adozione di strategie individuali cooperative tra i fruitori dei beni comuni con riferimento all’uso e al mantenimento delle risorse e ha fortemente contribuito alla ulteriore diffusione degli studi sui beni comuni e sulle possibili forme di gestione e tutela.

Quanto ai diritti di proprietà, la Ostrom217 ha sottolineato la necessità di tenere distinta la nozione economica di common pool resources dalla nozione (giuridica) di common property regimes. Le common pool resources possono infatti appartenere a enti statali, regionali o locali, a gruppi comunitari, a individui, a società od essere utilizzate come open access resources da chiunque. Nella realtà si rinvengono esperienze sia positive sia negative di governo e gestione di queste risorse a prescindere dalla natura pubblica, privata o collettiva dei soggetti titolari dei beni e non esiste una associazione automatica tra common pool resources e uno specifico regime proprietario (pubblico, privato o comune). Risultano invece rilevanti per l’uso sostenibile dei beni comuni sia una restrizione dell’accesso alla risorsa di sistema (problema che può essere di non facile soluzione a causa della natura fisica del bene – si pensi ad es. all’oceano - ma anche per ragioni giuridiche, dal momento che l’ordinamento può vietare che qualcuno sia escluso dall’uso di una determinata risorsa, come può accadere per l’acqua potabile ad uso domestico), sia una limitazione delle quote, dei tempi e delle tecnologie di appropriazione delle risorse unitarie218. Non sarebbe dunque la titolarità privata, pubblica o collettiva del bene ad incidere sulla sostenibilità dell’uso delle risorse, ma la regolazione di quell’uso. In questo senso viene più volte

216 Gli elementi che caratterizzano i casi di autogoverno dei beni comuni e che si sono dimostrati efficaci sono:

1) la chiara definizione dei confini sia in relazione agli individui e alle famiglie che hanno diritto di prelevare unità di risorse dalla risorsa collettiva, sia in relazione alle modalità d’uso della risorsa comune; 2) la congruenza tra le regole di appropriazione di unità della risorsa comune, le condizioni locali e le regole di fornitura di lavoro, materiali o denaro;

3) l’adozione di metodi di decisione collettiva che consentono alla maggior parte degli individui interessati dalle regole operative di partecipare alla definizione delle stesse; 4) l’attribuzione del controllo sulle condizioni d’uso della risorsa e sul comportamento degli appropriatori a questi stessi o a soggetti a essi rispondenti; 5) la progressività delle sanzioni a carico degli appropriatori che violano norme operative; 6) l’esistenza di meccanismi di risoluzione dei conflitti, locali e a basso costo; 7) il riconoscimento da parte delle autorità governative esterne dei diritti degli appropriatori di darsi una propria organizzazione; 8) l’esistenza di organizzazioni di gestione articolate su più livelli per le risorse comuni che fanno parte di sistemi estesi e complessi, cfr. E.OSTROM, Governare i beni collettivi, cit., p. 134-135.

217 E.OSTROM, How types of good and property rights jointly affect collective action, in Journal of Theoretical Politics, n. 3, 2003, vedi anche E. OSTROM,C.HESS, Private and Common Property Rights, in Encyclopedia of Law &

Economics. Northampton, MA: Edward Elgar, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1304699, 2008.

218 E.OSTROM,C.HESS, op. cit., p. 10.

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sottolineata la differenza esistente tra open source regime, ovverosia un sistema in cui chiunque può accedere al bene comune ed appropriarsi del relativo flusso di risorse od utilità fino all’esaurimento (res nullius, ma anche res communes omnium di livello globale, beni per cui vige un diritto pubblico di accesso ed anche beni pubblici ad accesso pubblico non regolato e controllato) e common property regime, il sistema in cui la risorsa non è liberamente accessibile a tutti ma soltanto ai membri di un gruppo ben delimitato i quali hanno il diritto di escludere dall’uso coloro che non appartengono al gruppo medesimo219.

In un altro studio Schlager and Ostrom220, partendo dalla concezione della proprietà come bundle of rights, diffusa nell’analisi giuridica statunitense221, hanno individuato cinque distinti diritti rilevanti per la gestione delle risorse di cassa comune: access, il diritto di accedere ad una determinata area fisica e di godere di usi non sottrattivi (passeggiare, sostare al sole, andare in canoa, etc); withdrawal, il diritto di appropriarsi di risorse unitarie o di prodotti di una risorsa sistema (cattura di specie ittiche, derivazioni di acque, etc.); management, il diritto di regolare gli usi della risorsa e di trasformarla apportando miglioramenti; exclusion, il diritto di stabilire chi può accedere alla risorsa e chi può appropriarsi delle risorse unitarie e come si possano trasferire tali diritti; infine alienation, il diritto di vendere o trasferire temporaneamente i diritti di gestire e di escludere.

Soggetti privati (individuali o societari), pubblici o collettivi possono godere dei predetti diritti, ma non necessariamente di tutti e cinque i distinti diritti: sono authorized entrants coloro che godono del solo diritto di accesso, come i frequentatori di un parco per motivi meramente ricreativi; sono authorized users coloro che oltre al diritto di accesso hanno anche il diritto di sottrarre risorse unitarie, come raccogliere frutti o simili; sono claimants coloro che hanno anche il diritto di partecipare alla gestione delle risorse; sono proprietors coloro che, oltre ai precedenti diritti, possiedono anche quello di stabilire chi può accedere e chi può sottrarre risorse unitarie dalla risorsa sistema; sono infine owners coloro che possiedono anche il diritto di alienare i loro stessi diritti inerenti alla common pool resource.

Nella maggior parte dei sistemi proprietari denominati common property regimes i partecipanti sono proprietors, godono dunque di tutti i diritti individuati da Schlager ed Ostrom, escluso il diritto di alienazione, e si sono dotati di organizzazioni più o meno formali, ciò che

219 Ivi, p. 6-8.

220 E.SCHLAGER,E.OSTROM, Property rights regimes and natural resources: A conceptual analysis, in Land Economics, 3, 1992.

221 La teoria della proprietà come bundle of rights, originariamente sviluppatasi in Germania nell’Ottocento, si è poi diffusa negli Stati Uniti ove fu proposta da W.N.HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as applied in legal reasoning and other legal essays, Yale University Press, 1919 e costituisce la base della moderna law of property. Su tale teoria vedi A.GAMBARO, I beni, Giuffrè, Milano, 2012, p. 63 ss.

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secondo studi empirici risulta sufficiente ad assicurare decisioni che promuovano investimenti a lungo termine222.

Sebbene tutte le risorse di cassa comune pongano il problema della individuazione di sistemi di esclusione dal prelievo delle risorse unitarie e della sostenibilità del prelievo stesso, esse presentano una grande variabilità rispetto ad altre caratteristiche. Molti studi sui “communal property-rights system” attestano l’utilizzazione degli stessi in presenza di proprietà individuali, come nel caso di sistemi di irrigazione comuni per fondi di proprietà privata223; altri studi testimoniano l’efficienza e i buoni risultati ottenuti da sistemi di irrigazione soggetti a “communal proprietorship systems” rispetto a “property-rights systems involving full ownership” o a sistemi pubblici224. Anche nel campo delle risorse ittiche le gestioni in “communal proprietorship” si sono rivelate efficienti più dell’atteso.

Ciò non toglie che nella realtà i “communal property-rights systems”, come i sistemi privati e quelli pubblici, conseguono, a seconda dei casi, risultati positivi o negativi. Gli studiosi hanno individuato alcune variabili inerenti alle caratteristiche dei partecipanti che influiscono positivamente sul funzionamento di quei sistemi: la conoscenza della risorsa e la capacità di individuare costi e benefici correlati a diverse modalità di gestione; la fiducia reciproca; la stabilità del gruppo degli utilizzatori; i ridotti costi di transizione collegati alla definizione delle regole di gestione; la capacità di predisporre sistemi di monitoraggio e sanzionatori a costi relativamente bassi. Rilevanti sono anche la dimensione e l’omogeneità delle comunità di riferimento. Determinanti risultano anche il riconoscimento e il sostegno che i “communal property-rights systems” ottengono da parte dei sistemi più ampi in cui gli stessi sono inseriti.

Quanto all’utilizzo di sistemi che attribuiscano diritti individuali di appropriazione delle risorse unitarie (quote), ciò richiede la misurazione della quantità di risorse disponibili, operazione più semplice per risorse naturalmente ben delimitate o per risorse stoccabili, complessa per risorse mobili come quelle ittiche e quelle idriche225. Difficile risulta poi l’adattamento delle quote appropriabili già attribuite al mutare della situazione della risorsa comune. Alcuni studi hanno sottolineato l’importanza di un coinvolgimento degli interessati nella definizione e nell’applicazione dei sistemi fondati sull’attribuzione di diritti proprietari individuali per la effettività e l’efficacia degli stessi226.

Gli studi sui beni comuni si sono progressivamente diffusi. Nel tempo si è registrato in campo

222 E.OSTROM,C.HESS, op. cit., p. 13.

223 Ivi, p. 21.

224 Ivi, p. 22.

225 Ivi, p. 27-28.

226 Ivi, p. 29.

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economico un ampliamento dei beni considerati come commons ed insieme una “evoluzione estensiva” del significato del termine beni comuni. Oggi la locuzione viene utilizzata non soltanto con riferimento a risorse naturali quali risorse ittiche, sistemi di irrigazione, terre, boschi e foreste, ma anche ai c.d. new commons che includono tra l’altro Internet, lo spettro elettromagnetico, i dati genetici, i c.d. urban commons, tra i quali edifici comuni, parchi e giardini. Il significato del termine commons si è ampliato fino a comprendere, non soltanto i beni, parzialmente pubblici, in quanto non escludibili e rivali, ma anche a) i “beni anti-rivali”, in relazione ai quali non solo non vi sono problemi di congestione o di uso eccessivo ma addirittura il valore dei beni medesimi aumenta col crescere del numero di coloro che li utilizzano; b) i c.d. liberal commons, beni per i quali l’esclusione è impossibile, il consumo può essere individuale o congiunto, ma non può essere imposto ed ogni individuo può uscire dal gruppo di riferimento, ciò che, paradossalmente, incentiverebbe la cooperazione227; c) i semicommons, in cui una risorsa è posseduta ed utilizzata in comune in relazione ad un fine principale, mentre in relazione ad altri fini, vi sono diritti, di individui, di famiglie o di imprese, su parti separate della stessa risorsa228.

2. Il dibattito in campo giuridico: le riflessioni su una possibile riforma delle norme del