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Dalla tutela degli interessi all’uso dei beni pubblici urbani a fruizione collettiva alla partecipazione dei cittadini alle scelte di gestione

A conclusione di questa parte del lavoro si può affermare che gli interessi diffusi dei cittadini

tale valutazione; questa del resto impinge nel merito dell’azione amministrativa ed è frutto dell’ampia discrezionalità di cui è titolare in materia l’amministrazione (tanto più che i beni anche immobili costituiscono lo strumento per il raggiungimento degli scopi espressamente assegnati dalla legge) e come tale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne l’ipotesi di manifesta irragionevolezza e illogicità o travisamento di fatti, che non si ravvisano nel caso di specie”.

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alla disponibilità di spazi pubblici urbani e alla fruizione dei beni che li compongono in quanto rilevanti per la qualità della vita individuale e comunitaria paiono ormai aver trovato riconoscimento e possibilità di tutela innanzi al giudice amministrativo. Quel giudice infatti riconosce di norma una posizione giuridica differenziata e dunque ammette al giudizio concernente atti di gestione e di disposizione di beni pubblici a fruizione collettiva coloro che in ragione di uno stabile collegamento (non soltanto di natura proprietaria o residenziale) con l’ambito territoriale di fruibilità del bene possono vantare un interesse, concreto, al loro uso.

Non sembrano invece, almeno per ora, aver trovato seguito tesi più innovative fondate sul principio di sussidiarietà orizzontale415 o, più specificamente, su una interpretazione, anche estensiva, volta a dare forza alla disposizione, di cui al Dlgs. n. 85/2010, intendendola come atta a legittimare sia la partecipazione ai procedimenti, sia l’impugnativa degli atti di destinazione e di valorizzazione dei beni pubblici comunali da parte dei cittadini. Tali tesi consentirebbero di ampliare ulteriormente l’insieme dei potenziali ricorrenti, di rafforzarne le ragioni di impugnativa ed anche probabilmente di allargare il campo di atti impugnabili a quelli riguardanti un insieme diversificato di beni (piani di alienazione e di valorizzazione).

Allo stato attuale si può comunque affermare che di fatto i principali fruitori dei beni pubblici urbani a fruizione collettiva possono agire in giudizio avverso atti di destinazione o di disposizione degli stessi che ledano la qualità della loro vita e siano ritenuti illegittimi in quanto riduttivi della quota standard di spazi pubblici previsti per legge. Ove poi gli atti in questione incidano anche sulla qualità dell’ambiente gli interessi dei cittadini possono altresì trovare tutela grazie all’azione di associazioni nazionali e locali di protezione ambientale.

A fronte di ciò, tuttavia, da un lato occorre tener presente che la legislazione urbanistica consente al Comune di derogare alle norme sulla individuazione negli strumenti urbanistici di quantità minime di standard e comunque né essa né i successivi piani assicurano la successiva, effettiva realizzazione degli spazi pubblici pianificati, né tanto meno consentono di configurare in capo ai cittadini interessati situazioni giuridiche soggettive tutelabili. D’altro lato, anche nel caso in cui le dotazioni pianificate si siano effettivamente tradotte in beni pubblici urbani a fruizione collettiva, il Comune, proprietario dei beni ed al contempo titolare della funzione di

415 In effetti, in proposito, anche la dottrina che più si è occupata del tema sottolinea che “perfino la giurisprudenza che ha interpretato in modo più espansivo il principio è stata ben attenta a non travalicare il confine dell’azione popolare”. E tuttavia la stessa dottrina si chiede “come questo limite possa ancora resistere in futuro, se si pone mente al fatto che la sussidiarietà valorizza l’attività svolta per gli interessi generali dei ‘singoli’ oltre che degli associati” e conclude “Una volta che viene affermata la qualificazione di soggetto ordinamentale anche dei privati a fondamento della legittimazione processuale (…), il limite che impedisce agli individui di essere portatori di interessi generali e per questo di accedere alle vie processuali sembra destinato a deflettere nel tempo”, vedi F. GIGLIONI, Forme di cittadinanza legittimate dal principio di sussidiarietà, in Diritto e società, 2, 2016, p. 331.

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pianificazione degli usi del territorio, gode di un ampio potere di gestione delle destinazioni sia dei beni pubblici, sia delle aree urbanistiche e di contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti. Un potere di fronte al quale il giudice di legittimità interviene soltanto in caso di manifesta irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti.

Ciò induce a riportare l’attenzione a monte, ovverosia sul tema della partecipazione dei cittadini, oltre che alle scelte di governo del territorio, a quelle di gestione di beni pubblici rilevanti per la qualità della vita dei singoli e della comunità cui gli stessi sono destinati. Un tema che sembra trovare una qualche eco nelle note sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle valli da pesca della laguna Veneta. In quelle pronunce, infatti, la Corte, dopo aver definito comuni i beni che per le loro intrinseche connotazioni sono strumentalmente collegati alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini, soffermandosi sui beni “comuni” a titolarità pubblica - in quei casi beni demaniali naturali dello Stato – ne sottolinea la “duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale” e da ciò fa derivare per quest’ultimo gli “oneri di una governance che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene”.

Una maggiore e più forte partecipazione dei cittadini alla definizione delle scelte di gestione dei beni pubblici ed in particolare dei beni pubblici urbani a fruizione collettiva potrebbe infatti consentire ai cittadini stessi di veder meglio soddisfatte le esigenze di disponibilità di beni di uso collettivo, rilevanti per il loro benessere. Si è già posta in questa linea qualcuna delle pronunce sopra analizzate416, in cui il giudice amministrativo si è dimostrato pronto a sostenere il diritto della collettività di partecipare ai procedimenti di gestione dei beni pubblici sulla base del principio di trasparenza dell’azione amministrativa ma anche del principio di sussidiarietà orizzontale. Ciò a conferma della tesi secondo la quale “La ricerca di un nuovo ‘legame di garanzia’ con le ‘cose’ passa attraverso il riconoscimento di un ruolo determinante all’istanza giurisdizionale, in questo caso come capace di tutelare la domanda ‘comune’ ad un procedimento gestionale il più possibile partecipato ovvero, quanto meno, ad un’istruttoria circostanziata, affinché si verifichi la coincidenza effettiva di interessi tra ciò che l’ente gestore intende perseguire e ciò che la comunità si propone”417.

Ma il tema della partecipazione dei cittadini alla gestione dei beni pubblici, ed in particolare dei beni pubblici urbani a fruizione collettiva, può essere sviluppato e applicato anche in modalità nuove, ancora una volta utilizzando in particolare il principio di sussidiarietà orizzontale. Proprio sulla base di quest’ultimo principio, nonché di alcune leggi statali e di regolamenti comunali, alcune realtà urbane stanno sperimentando nuove forme di partecipazione ed insieme di

416 In particolare, Tar Liguria, sez. II, sentenze 15 giugno 2011, n. 938 e 31 ottobre 2012, n. 1348.

417 F.CORTESE, Che cosa sono i beni comuni?, in M.BOMBARDELLI (a cura di), Prendersi cura dei beni comuni per uscire dalla crisi. Nuove risorse e nuovi modelli di amministrazione, cit., p. 57.

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collaborazione effettiva alla gestione dei beni pubblici urbani.

149 Capitolo quarto

Nuovi strumenti per la gestione dei beni pubblici urbani a fruizione collettiva

1. Sussidiarietà orizzontale e nuovi strumenti per la gestione dei beni pubblici urbani a