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Giurisprudenza successiva e assetto definitivo della responsabilità civile eu ropea dello Stato

RESPONSABILITA’ E ORGANI DELLO STATO COINVOLT

2. Giurisprudenza successiva e assetto definitivo della responsabilità civile eu ropea dello Stato

Numerose sono state le pronunce della Corte di Giustizia Europea che hanno seguito la sentenza Brasserie e che hanno analizzato sempre nuovi aspetti della responsabilità sta- tale derivante da inadempimento comunitario.

Nonostante la Corte, nella sentenza appena studiata, avesse attribuito ai giudici naziona- li la verifica dei criteri che permettano l’insorgere della detta responsabilità, più di una volta essa ha agito autonomamente controllando la sussistenza della violazione grave e manifesta.

Quanto detto si è verificato già nella sentenza British Telecommunications del 12 Di- cembre 1996106 da cui si è desunta la responsabilità dello Stato legislatore anche in caso di scorretta ma tempestiva trasposizione della direttiva. In questa sentenza, infatti, la Corte ha dichiarato di avere tutti gli elementi necessari per verificare la sufficiente ca- ratterizzazione dei fatti a fondamento.

Nella fattispecie, poi, la Corte ha escluso la sussistenza di una violazione grave e mani- festa perché la norma europea non era sufficientemente chiara e precisa. Non poteva es- sere, dunque, considerata oggetto di inadempimento dell’obbligo comunitario l’acquisizione di una direttiva interpretata secondo un orientamento perseguito da altri Paesi membri e non manifestatamante contrario al testo o allo scopo della direttiva107. Con la sentenza Hedley Lomas108, invece, sulla scia del caso Brasserie, un esportatore di bovini pretendeva il risarcimento per esser stato danneggiato dalla normativa restrit- tiva britannica che vietava l’esportazione di animali vivi da macello verso la Spagna, Nazione irrispettosa delle regole comunitarie in tema di abbattimento degli animali. La Corte di Giustizia Europea aveva, in questa occasione, confermato la responsabilità dello Stato per la sussistenza di un violazione grave e manifesta in un ambito riguardan- te un’attività vincolata della PA (sia essa centrale o periferica). Così le ripartizioni in-

                                                                                                               

106 Corte di Giustizia, 12 Dicembre 1996, British Telecommunications, C – 392/93, in Foro amministrativo, 1997,

pag. 1587; in Rivista di diritto internazionale, 1996, pag. 487 e in Foro italiano, 1996, fasc. IV, pag. 321.

107 Su questa stessa posizione, anche la sentenza Denkavit (Corte di Giustizia, 17 Ottobre 1996, C – 283/94) in Diritto

tributario, 1997, pag. 360; in Bollettino tributario, 1997, pag. 484; in Diritto e pratica tributaria, 1997, pag. 391; in rivista giuridica tributaria, 1997, pag. 605.

terne di competenze fra gli organi pubblici non avevano potuto pregiudicare l’obbligo risarcitorio109.

Una particolare attenzione in merito al soggetto tenuto al risarcimento, quando si tratti di Stati a struttura federale, è stata mostrata dalle sentenze Konle e Haim, che hanno, pe- rò, raggiunto posizioni contrapposte. Secondo i giudici della sentenza Konle, infatti, quando la procedura interna consenta una tutela effettiva dei diritti derivanti dall’ordinamento comunitario, può non necessariamente provvedere al risarcimento lo Stato federale, poiché non hanno alcuna importanza le singole articolazioni territoriali cui esso abbia attribuito competenze normative.

Diversamente, nella sentenza Haim110, lo Stato è l’unico interlocutore delle Istituzioni Europee111 ed è l’unico su cui possa gravare la responsabilità da illecito comunitario in via sussidiaria. Non bisognerà tener conto di chi abbia posto in essere in concreto l’illecito, siano essi Stati federati o enti pubblici dotati di una certa autonomia, conside- rati ugualmente responsabili. Lo Stato sarà responsabile, in via sussidiaria, qualora non preveda regole che garantiscano la piena ed effettiva tutela del privato112.

Ogni Stato membro, dunque, deve garantire il risarcimento e l’effettiva tutela dei singo- li, prescindendo dalla natura statale o meno di chi compia l’illecito e dal soggetto effet- tivamente obbligato, secondo l’ordinamento nazionale.

La Corte aveva, poi, risposto positivamente anche alla domanda, formulata nell’ambito della stessa fattispecie, sulla configurabilità di una responsabilità, aggiuntiva rispetto a                                                                                                                

109 La Corte ha sostenuto che, quando la PA disponga di “un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se

non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione grave e manifesta” e ancora che “lo Stato membro non (possa) adottare, unilateralmente, provvedimenti correttivi o di difesa, destinati ad ovviare all’eventuale trasgressione, da parte di un altro Stato mem- bro, delle norme di diritto comunitario, in quanto quest’ultimo non consente alcuna misura di ritorsione o di recipro- cità”.

110 Corte di Giustizia Europea, 4 Luglio 2000, causa C – 424/97, Haim, con nota di FERRARO, La sentenza Haim II e il

problema della compatibilità del sistema di responsabilità extracontrattuale per gli illeciti della PA elaborato dalla corte di Giustizia con quello vigente in Italia, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2001, pag. 416.

La fattispecie riguardava la condizione di un cittadino di uno Stato membro, il sig. S. H., che aveva chiesto, ad un ente pubblico tedesco, l’ammissione all’esercizio della professione di dentista e la relativa iscrizione all’albo. Non era stata ammessa l’iscrizione in quanto non aveva svolto in Germania il tirocinio di due anni, imposto dalla legislazione locale (art. 21 reg. 28 Maggio 1957).

111 Cfr. anche Corte di Giustizia Europea, sentenza 13 Dicembre 1991, causa C – 33/1990, Commissione vs Italia,

secondo cui “sebbene ogni Stato membro sia libero di ripartire, come crede opportuno, le competenze normative sul piano interno, tuttavia, a norma del TCE, esso resta il solo responsabile, nei confronti della Comunità, del rispetto degli obblighi derivanti dal diritto comunitario”. Questo perché “emerge, con chiarezza, dal sistema generale dei Trattati, che la nozione di Stato membro…comprend(a) le sole autorità di Governo degli Stati membri delle Comuni- tà Europee e non può estendersi agli esecutivi di regioni o di comunità autonome, indipendentemente dalla portata delle competenze attribuite a questi ultimi. Ammettere il contrario equivarrebbe a mettere in pericolo l’equilibrio isti- tuzionale voluto dai Trattati”.

quella dello Stato, in capo all’ente di diritto pubblico giuridicamente autonomo che, nel- la pratica, avesse posto in essere il comportamento illecito.

Con la sentenza Dillenkofer113, invece, si è voluto aggiungere un altro tassello al tema della responsabilità statale per violazione dell’obbligo di attuazione delle direttive so- stenendo che è, automaticamente, inquadrabile come violazione grave e manifesta la mancanza di qualsiasi provvedimento di attuazione della direttiva entro il termine stabi- lito. Al verificarsi di questa situazione, nascerà un diritto al risarcimento danni ai singoli laddove questi possano essere i beneficiari di diritti dal contenuto individuato, attribuiti dalla direttiva inattuata, e abbiano subìto un danno dalla mancata attuazione.

Se, poi, come già detto, si ha violazione grave e manifesta in mancanza di un compor- tamento vincolato dello Stato, ci si è chiesti come si possa equilibrare il rapporto tra l’attività discrezionale e l’imposizione di un termine. In altre parole, laddove l’attività contestata sia l’attuazione della direttiva, questa, con l’indicazione del termine, sembra, inevitabilmente, definita e vincolata. Ipotizzare un recepimento discrezionale entro uno specifico termine rappresenterebbe, senza dubbio, un ossimoro che anche la più estesa interpretazione non potrebbe conciliare.

Di conseguenza, il non recepimento della direttiva, in quanto atto dovuto e vincolato, integrerebbe, automaticamente, la violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario e farebbe nascere, in capo ai soggetti danneggiati, il diritto ad essere risar- citi.

La Corte ha precisato, poi, che l’attività di attuazione debba essere effettiva e consisten- te nell’adozione di tutte le misure, all’uopo, necessarie, siano esse di carattere formale o sostanziale. In quest’ottica, non si può avere recepimento quando, per esempio, sia stato

                                                                                                               

113 Corte di Giustizia, 8 Ottobre 1996, Dillenkofer, C – 178/94, in Giurisprudenza italiana, 1997, pag. 1009 con nota

di A. JANNARELLI e in Giurisprudenza italiana, 1997, pag. 210 con nota di F. REGALDO, Recenti sviluppi in tema di

responsabilità dello Stato per mancata attuazione delle direttive comunitarie: la causa Dillenkofer.

E ancora S. FURLAN, Il risarcimento dei danni causati dalla mancata attuazione di una direttiva: la sentenza Dillen-

kofer, in Diritto dell’Unione Europea, 1997, pag. 463.

Alcuni turisti tedeschi avevano agito contro la Germania che non aveva recepito, in tempo utile (31 Dicembre 1992), la dir. 90/314/CE sulle vacanze e i viaggi all inclusive.

Essa imponeva allo Stato membro di costituire o mantenere in vigore gli strumenti di garanzia del turista per i fondi da lui depositati e il suo rimpatrio, in caso d’insolvenza o fallimento dell’organizzatore o del venditore del pacchetto (art. 7).

Si tratta di quanto accaduto ai turisti tedeschi che, avendo acquistato un viaggio tutto compreso, erano stati indotti a rinunciarci o a rientrare a proprie spese, in occasione dell’insolvenza del rivenditore.

La Germania aveva, poi, acquisito la direttiva l’1/07/94 e l’aveva resa applicabile solo ai pacchetti acquistati dopo il 31/11/94.

predisposto un mero schema di legge senza farlo seguire da tutte le condizioni ulteriori e funzionali al risultato da raggiungere.

Va, inoltre, aggiunto che l’atto di acquisizione debba comportare il raggiungimento del risultato previsto dalla direttiva nella sua totalità e pienezza. Lo Stato sarà, dunque, sempre considerato inadempiente quando si limiterà, solo, ad una sua attuazione parzia- le o incompleta.

Ancora, si richiede che la trasposizione sia legislativa e certa. La Corte di Giustizia ha, infatti, imposto, al legislatore, di emanare norme cogenti che “assicurino la specificità, precisione e chiarezza richieste per soddisfare il requisito della certezza legale”. Non si potrà sopperire all’obbligo di trasposizione con la presenza di prassi o di orientamenti giurisprudenziali114 che, nella pratica, realizzino il risultato prescritto dalla direttiva i- nattuata.

Altro aspetto importante, per altro mutuato dalla sentenza Brasserie e contrapposto alle precedenti posizioni, è quello riguardante il necessario esperimento di una preventiva procedura di infrazione.

A fronte di quanto sostenuto da un vecchio orientamento giurisprudenziale e dottrinale, che ne imponeva l’esercizio prima dell’azione risarcitoria, i giudici della Dillenkofer ne hanno, infatti, escluso l’obbligatorietà.

In questo periodo si sono diffuse altre pronunce della Corte di Giustizia, consequenziali e riguardanti la fattispecie del caso Francovich.

Lo Stato italiano aveva, come è già stato scritto, recepito la dir. 80/987/CEE, più di die- ci anni dopo, con l’emanazione del d.lgs. 80/92, che permetteva ai lavoratori, in caso di fallimento o insolvenza del datore di lavoro, di ottenere l’indennizzo previsto, tramite una richiesta al Fondo di Garanzia gestito dall’INPS115.

                                                                                                               

114 Spesso solo apparenti e, comunque, non strutturalmente idonei ad assicurare un adeguato grado di certezza legale. 115 Cass. sent. 10617/1995 (riportata in

APPENDICE alle pag. da 177 a 179), analizzata nel paragrafo successivo e molto discussa in dottrina: si veda R. CARANTA, In materia di conseguenze della mancata tempestiva trasposizione di una

direttiva comunitaria nell’ordinamento italiano in Responsabilità civile e previdenza, 1996, pgg. da 309 a 319 Mila-

no e E. SCONDITTI, Profili di responsabilità civile per mancata attuazione di direttiva comunitaria: il caso “Franco-

vich” in Cassazione in Foro italiano, 1996, 1° fasc., pagg. da 503 a 519, Bologna.

Con essa, la Suprema Corte ha indicato, quale legittimato passivo all’obbligo pecuniario, lo Stato – ordinamento e non lo Stato – persona, in una delle sue manifestazioni esterne più tipiche: l’Istituto Nazionale per la Previdenza So-

ciale. Sarebbe quest’ultimo il gestore del fondo e, dunque, l’obbligato pecuniario.

La pronuncia è stata, da alcuni, contestata. Caranta, in special modo, ne ha discusso la lontananza dai principi comu- nitari. Poiché, infatti, la nostra nazione “ha deciso di far parte di una Comunità – ci spiega l’Autore – lo Stato persona ha accettato limitazioni alla propria sovranità”.

Dal detto orientamento giurisprudenziale si desume, ha continuato Caranta, l’interposizione del legislatore nazionale, tenuto a stabilire i modi e i termini dell’indennizzo.

Il decreto del ’92, però, lasciava libero lo Stato di porre dei limiti, anche temporali, all’obbligo risarcitorio nei confronti di chi avesse subìto un danno dal precedente vuoto legislativo.

Il Governo si adoperò subito, imponendo un termine decadenziale di un anno dall’entrata in vigore del decreto di attuazione, entro cui i lavoratori danneggiati dove- vano provvedere all’azione risarcitoria. Tutto questo aveva comportato l’inevitabile ri- getto di molte richieste e la necessità di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea, per il tramite dei Pretori di Bassano del Grappa, Frosinone e Venezia, perché venisse chiarita la compatibilità comunitaria o meno della subordinazione dell’azione giudiziaria ad un termine di decadenza annuale, a fronte di quello di prescrizione almeno quinquennale (o decennale se si parla di indennizzo)116.

A questa domanda ha risposto positivamente la sentenza della Corte di Giustizia, emes- sa il 10 Luglio 1997, sul caso Palmisani117 per mezzo della quale si è affermato che fis- sare termini ragionevoli, a pena di decadenza, è applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto.

La decadenza annuale prevista, secondo la Corte, non violerebbe il principio di effettivi-

tà a tutela delle posizioni giuridiche soggettive, riconosciute a livello europeo, poiché

non renderebbe impossibile o eccessivamente difficile la proposizione dell’azione risar- citoria.

Con riferimento, poi, alla questione della scelta di un termine di decadenza in luogo di quello di prescrizione di cui agli artt. 2946 o 2948 c.c. affinché valutasse l’eventuale vi- olazione del principio di non discriminazione, laddove la modalità procedurale fosse difforme rispetto a quella stabilita, per casi analoghi, dal diritto nazionale.

Come detto, la modalità procedurale scelta, a tutela di un diritto di matrice europea, non deve essere meno favorevole di quella che sia prevista, per casi analoghi, dall’ordinamento nazionale.

                                                                                                               

Sembra un controsenso ma sarà lo stesso Stato inadempiente a dover, dunque, stabilire i termini del proprio futuro adempimento.

116 Questa problematica verrà, poi, affrontata anche nel cap. III di questa tesi, al par. 1 (pagg. da 109 a 124), in quanto

l’attribuzione di uno specifico termine prescrizionale è conseguenza della corretta qualificazione della natura della responsabilità statuale.

117 Corte di Giustizia Europea, 10 Luglio 1997, causa C – 261/95, Palmisani.

I giudici hanno, infatti, sostenuto che “per quanto riguarda la compatibilità di una condizione relativa ai termini, co- me quella prevista dal decreto legislativo, con il principio di effettività del diritto comunitario, si deve costatare che la fissazione in termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, a tale esigenza in quanto costituisce l’applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto”.

Ad oggi, dunque, si può concludere che, all’esito dell’evoluzione della giurisprudenza, sembra consolidato il fondamento, i presupposti e la disciplina della responsabilità civi- le dello Stato.

Quanto al fondamento, dunque, si può tener conto della valorizzazione del principio di

leale collaborazione (art. 4 TUE), grazie al quale gli Stati membri debbano adottare le

misure di carattere generale o particolare, adeguarsi e integrare le fonti interne affinché si possa assicurare l’esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dall’appartenenza all’Unione.

Il principio in esame dimostra la propria efficacia anche in relazione ai rapporti fra l’ordinamento nazionale e quello unitario, basati sul sistema dell’integrazione sulla base del quale fonti interne e fonti sovranazionali si intersecano fra loro, permettendo a quel- le comunitarie di produrre i loro effetti pienamente, in modo uniforme in tutti gli Stati membri e, consequenzialmente, di essere fonti di diritti e obblighi per i relativi destina- tari.

Altri principi, alla base del criterio di responsabilità, sono quello dell’effetto utile e quel- lo della primazia del diritto comunitario, ad esso legato, in funzione dei quali, le posi- zioni soggettive di derivazione europea debbano godere di piena tutela giurisdizionale. Così, il diritto al risarcimento del danno per l’illecito eurounitario altro non è che una sorta di efficacia indiretta del diritto dell’Unione la cui operatività emblematica si ha in caso di diritto riconosciuto da una direttiva inattuata e, dunque, non direttamente effica- ce. In questo caso, infatti, il pregiudizio subìto dal privato non riguarda un diritto già sorto, ma una situazione giuridica soggettiva che la direttiva intendeva garantire e il cui inadempimento statale ne abbia impedito la genesi.

Quanto ai presupposti, oramai è pacifico che si richieda il diretto conferimento di dirit- ti118 (dal contenuto chiaramente individuabile) ai singoli, danneggiati dalla norma euro- pea violata, che la violazione della norma sia grave e manifesta e che essa sia legata al danno da un nesso di causalità, da valutare alla luce dei parametri effettuati dalla Corte di Giustizia e non secondo le regole di diritto interno. L’ordinamento nazionale non po- trà, dunque, aggiungere nuovi presupposti.

                                                                                                               

118 Il concetto di diritto, in tutta la disciplina dell’UE, è ampio e, com’è già stato scritto, comprende anche gli interes-

In relazione alla sufficiente caratterizzazione della violazione del diritto dell’Unione Europea va detto che questa qualifica andava sottintesa nella sentenza Francovich, in quanto non recepire in tempo una direttiva è già di per sé una lesione grave e manifesta. Diversamente, se ne è sentita la necessità di una specificazione, nella sentenza Brasse-

rie, perché si evitasse il proliferare di azioni risarcitorie per violazioni anche minime e

marginali del diritto europeo.

Indici sintomatici della violazione grave e manifesta sono: la chiarezza e precisione del- la norma violata; l’esistenza di precedenti giurisprudenziali europei che abbiano spiega- to il significato della norma; l’estensione o meno del potere discrezionale lasciato agli Stati; il carattere intenzionale della trasgressione e la non scusabilità dell’errore. Come detto, intrinseco alla violazione grave e manifesta sarebbe anche la valutazione indiretta dell’elemento psicologico che, a differenza dell’ordinamento italiano, non an- drebbe autonomamente verificato.

Quanto alla disciplina e alle modalità procedurali di esercizio dell’azione risarcitoria, si è detto che esse sono rimesse alle regolamentazioni interne dei singoli Paesi, nell’ottica del principio di autonomia processuale degli Stati.

Saranno, dunque, i singoli ordinamenti interni a dover determinare i profili procedurali, la quantificazione del danno, la determinazione del soggetto passivo e il termine di pre- scrizione119.

La competenza della normativa interna è, però, soggetta a due limiti, che vanno rispetta- ti (e accertati dal giudice) cumulativamente.

Innanzitutto, come si è già detto, l’ordinamento nazionale, nello stabilire le procedure interne, deve agire senza discriminare e, dunque, senza prevedere trattamenti meno fa-                                                                                                                

119 Allo stesso modo è il giudice nazionale a stabilire se sussista la violazione del diritto dell’UE da parte del singolo

Stato.

La Corte di Giustizia Europea ha, più volte, affermato che spetta ai giudici interni verificare la sussistenza delle con- dizioni, di matrice europea, richieste per una pronuncia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto eurouni- tario.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Giustizia Europea, sent. 10 Giugno 1999, C – 302/97, causa Konle, lad- dove essa ha chiarito che “emerge, dalla giurisprudenza della Corte, che l’applicazione dei criteri che consentono di stabilire la responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario (debba) … essere operata dai giudici nazionali.

(…)

Spetta … ai giudici nazionali valutare se una violazione del diritto comunitario sia sufficientemente caratterizzata. (…)

Spetta a ciascuno degli Stati membri accertarsi che i singoli ottengano un risarcimento del danno loro causato dall’inosservanza del diritto dell’Unione, a prescindere dalla pubblica autorità che ha commesso tale violazione e a prescindere da quella su cui … grava … l’obbligo di tale risarcimento. Uno Stato membro non può … far valere la ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra gli enti locali esistenti nel proprio ordinamento giuridico in- terno per sottrarsi alla propria responsabilità”.

vorevoli di quelli previsti dal diritto nazionale, per situazioni analoghe a quelle di matri- ce europea.

Altro limite è quello costituito dal principio di effettività che impone, alle legislazioni nazionali, di determinare condizioni, formali o sostanziali, che non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto e l’esperimento della relativa azione ri- sarcitoria.

Ancora, va detto che la quantificazione del danno, attuale e certo, comprende tanto quello emergente quanto il lucro cessante e la relativa azione risarcitoria non può essere subordinata al preventivo espletamento di una procedura di infrazione comunitaria. Ancora dubbio è se siano risarcibili solo i danni diretti e immediati oppure anche quelli

non prevedibili al momento dell’infrazione, futuri120 e non patrimoniali.

Quando non sia facile quantificare il danno si potrà procedere ad una valutazione forfe- taria.

Vige, anche in questo caso, un dovere di cooperazione che impone al danneggiato di collaborare per limitare il danno.

Il giudice sarà tenuto alla verifica di questa collaborazione e, sul danneggiato, ricadrà l’onere probatorio di aver posto in essere, tempestivamente e con ragionevole diligenza, tutti gli idonei rimedi giuridici a sua disposizione121.