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Rapporti fra ordinamento UE e ordinamento nazionale.

Prima di soffermarci sulla disciplina e la casistica del tema oggetto di questo testo, sem- bra opportuno accennare anche ai rapporti tra ordinamento unionale e ordinamento in-

terno40.

Bisognerà, infatti, rispondere alla domanda relativa al come il giudice nazionale debba comportarsi laddove il procedimento, davanti a lui proposto, verta su una norma che violi le regole sovranazionali dell’Unione Europea, siano esse immediatamente applica- bili oppure necessitino di una procedura di recepimento. In altre parole, l’ordinamento comunitario va considerato come integrato in quello interno oppure da esso separato? La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea si sono pronunciate, inizialmen- te, sullo stesso caso, sposando, però, tesi contrapposte.

La prima ha seguito la teoria dualista, distinguendo nettamente il diritto comunitario da quello interno e ammettendone la loro piena coordinazione.

L’evoluzione storica della giurisprudenza costituzionale sul tema è nata, infatti, con la sentenza 7 Marzo 1964 n. 1441, che ha visto contrapporsi, a pochi mesi di anticipo ri- spetto alla Corte di Giustizia Europea, il sig. Costa all’Ente Nazionale per l’Energia E- lettrica (Enel) e alla spa Edisonvolta.

Costa contestava l’inadeguatezza della legge italiana di nazionalizzazione dell’energia elettrica (L. 6 Dicembre 1962 n. 1643) rispetto alle norme del Trattato CE e ne aveva denunciato l’illegittimità costituzionale per violazione (tra gli altri) dell’art. 11 Cost. se- condo cui “quando ricorrano certi presupposti, è possibile stipulare Trattati con cui si assumano limitazioni della sovranità ed è consentito darvi esecuzione con legge ordina- ria” (sent. 14/1964).

La Corte Costituzionale aveva sostenuto la distinzione ed equiordinazione dei due ordi- namenti42, quello nazionale e quello europeo, tanto da far sì che la violazione del Tratta-                                                                                                                

40

R. GAROFOLI – G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, V edizione, pagg. 13 – 29, 2012, ed. Nel Diritto, Roma.

41 In

APPENDICE pagg. da 133 a 136, secondo cui “la legge si è prefissa lo scopo di conseguire una migliore soddisfa- zione degli interessi della collettività in un settore economico di particolare rilievo. In (ciò) … sta l’utilità generale. E se codesta utilità deve corrispondere al bene della collettività, considerata non come somma d’individui e di gruppi, ma come complesso unitario, il fatto che la legge abbia imposto il sacrificio di particolari interessi non comporta che l’utilità generale sia venuta a mancare”.

42 Secondo la Corte, quanto detto “non importa alcuna deviazione dalle regole vigenti in ordine alla efficacia nel dirit-

to interno degli obblighi assunti dallo Stato nei rapporti con gli altri Stati, non avendo l’art. 11 conferito alla legge ordinaria, che rende esecutivo il trattato, un’efficacia superiore a quella propria di tale fonte di diritto.

to CE comportasse la responsabilità dello Stato solo sul piano internazionale, senza to- gliere alla legge (nazionale), con essa in contrasto, la sua piena efficacia.

Il Trattato, per contro, assumeva l’efficacia ad esso conferita dalla legge di esecuzione, permettendo l’applicabilità del principio della successione delle leggi nel tempo. La leg- ge interna di nazionalizzazione era, dunque, successiva a quella di esecuzione del Trattato, che, a sua volta, assumeva il rango di legge ordinaria, e prevaleva sulla secon- da in virtù del principio lex posterior derogat legi priori43.

Essa non poteva essere, dunque, soggetta a sindacato di legittimità costituzionale, ex art. 11 Cost., perché in contrasto con la legge di esecuzione del Trattato. La Suprema Corte sosteneva, infatti, che l’art. 11 Cost. non attribuisse alla legge esecutiva del Trattato “un particolare valore rispetto alle altre leggi”, che solo queste andavano considerate appli- cabili, laddove successive alla prima, e che andava escluso che ogni ipotesi di conflitto fra loro potesse dar luogo ad una questione di legittimità costituzionale.

Poco più tardi, la Corte di Giustizia Europea si pronunciò, su una questione analoga, nella causa Costa c. Enel C – 6/6444, raggiungendo un risultato contrario a quanto stabi- lito dalla Suprema Corte. Essa, infatti, sostenne la totale commistione fra i due ordina- menti (teoria monista).

La sentenza ci chiarì come “a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CE … (avesse) istituito un proprio ordinamento giuridico integrato in quello degli Stati membri (che) … i giudici nazionali (fossero) tenuti ad osservare”. Questi ultimi, limi- tando i loro poteri sovrani e trasferendo le attribuzioni alla Comunità, avevano, infatti, creato un “complesso di diritto vincolante per i cittadini e per loro stessi”.

Per questo motivo, gli Stati non potevano far prevalere, “contro un ordinamento giuridi- co da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordine comune”. La Corte, argomen-                                                                                                                

Non vale … l’altro argomento secondo cui lo Stato, una volta che abbia fatto adesione a limitazioni della propria so- vranità, ove volesse riprendere la sua libertà d’azione, non potrebbe evitare che la legge, con cui tale atteggiamento si concreta, incorra nel vizio d’incostituzionalità. Contro tale tesi stanno le considerazioni ora esposte, le quali condu- cono a ritenere che la violazione del Trattato, se importa responsabilità dello Stato sul piano internazionale, non to- glie alla legge con esso in contrasto la sua piena efficacia”.

43 Nello specifico, i giudici ci hanno chiarito che lo Stato debba fare onore agli impegni assunti e che il Trattato debba

avere, nell’ordinamento nazionale, l’efficacia ad esso conferito dalla legge di esecuzione, ma hanno aggiunto che “deve rimanere saldo l’impero delle leggi posteriori a quest’ultima, secondo i principi della successione delle leggi nel tempo, ne consegue che ogni ipotesi di conflitto fra l’una e le altre non può dar luogo a questioni di costituzionali- tà”.

44 In

APPENDICE pagg. da 137 a 140, in cui un giudice conciliatore di Milano, come nella precedente sentenza della Corte di Giustizia Europea, si era interrogato sulla compatibilità tra la legge di nazionalizzazione dell’energia elettri- ca e alcuni articoli del TCE.

tando sul tema, ha continuato, dicendo che, “se l’efficacia del diritto comunitario varias- se da uno Stato all’altro, in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pe- ricolo l’attuazione degli scopi del Trattato… Scaturito da una fonte autonoma, il diritto originato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trova- re un limite in un qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere co- munitario e senza che ne risulti scosso il fondamento stesso della Comunità”.

Alcuni hanno definito l’UE una comunità di diritto45 a cui gli ordinamenti interni vada-

no allineati (comunitarizzazione46).

Parlare di un ordinamento europeo integrato con quelli dei singoli Stati sovrani significa poter armonizzare le singole realtà giuridiche, garantendo, al primo, uniformità, certez- za, effettività e potere sui secondi.

All’appena chiarita teoria consegue che la norma interna, contrastante con il diritto co- munitario immediatamente utilizzabile, vada disapplicata dal giudice. Questo perché, sebbene i due sistemi siano integrati, il diritto comunitario assume sempre una posizio- ne di primazia su quello interno (teoria della primautè47), in quanto espressione delle

limitazioni di sovranità che l’Italia accetta per assicurare “la pace e la giustizia fra le

Nazioni” (ex art. 11 Cost.). L’Unione Europea costituisce, infatti, un ordinamento giu- ridico di nuovo genere nel diritto internazionale, a favore del quale, in specifiche mate- rie, gli Stati membri hanno rinunciato ai loro poteri sovrani.

In forza della primazia del diritto comunitario, dunque, la norma interna, contrastante con quello direttamente applicabile, andrà immediatamente disapplicata e non potranno essere emanati nuovi provvedimenti legislativi con essa incompatibili.

La sentenza in esame, infatti, ha, chiaramente, statuito che “tale integrazione del diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie e … lo spirito                                                                                                                

45

V. M. P. CHITI, La responsabilità dell’amministrazione nel diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico

comunitario, 2009, fasc. 3 – 4, pagg. 505; E. PISTOIA, Una nuova pronuncia della Corte Costituzionale sui rapporti

fra diritto nazionale e diritto europeo, in Rivista di diritto internazionale, 2011, fasc. 1, pag. 79; L. DE LUCIA, Coope-

razione e conflitto nell’Unione amministrativa europea, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2011,

fasc. 1, pag. 13; A. PREDIERI, Il diritto europeo come formante di coesione e come strumento di integrazione, in Dirit-

to dell’Unione Europea, 1996, fasc. 1, pag. 5.

46

L. PALADINI, I conflitti fra i pilastri dell’Unione europea e le prospettive del Trattato di Lisbona, in Diritto

dell’Unione Europea, 2010, fasc. 1, pag. 87; A. BERNARDI, L’armonizzazione delle sanzioni in Europa: linee rico-

struttive, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2008, fasc. 1, pag. 76; M. CONDINANZI, Fonti del terzo pila-

stro dell’Unione europea e ruolo della Corte Costituzionale, in Diritto dell’Unione Europea, 2007, fasc. 3, pag. 513;

F. MUNARI – C. AMALFITANO, Il “terzo pilastro” dell’Unione: problematiche istituzionali, sviluppi giurisprudenziali,

prospettive, in Diritto dell’Unione europea, 2007, fasc. 4, pag. 773.

47 Per l’effetto diretto e il principio di supremazia del diritto comunitario si rinvia

F. SORRENTINO, Profili costituzio-

… del Trattato hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimen- to unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordine comune”. Ancora, la sentenza Costa c. Enel ha specificato, in conclusione, che “il diritto nato dal Trattato … non potrebbe trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno, senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità”.

Il principio di primazia è stato, poi, ripreso con la sentenza della Corte Costituzionale del 27 Dicembre 1973 n. 18348, grazie alla quale si è giunti a sostenerne la validità e

che, sul presupposto di un’autonomia49 fra i due ordinamenti, l’applicazione diretta del-

le norme di diritto comunitario implichi il ritrarsi di quelle interne quale conseguenza dell’applicazione degli artt. 10 e 11 Cost.

Ha chiarito la sentenza che l’istituzione della CEE, così come l’Organizzazione delle

Nazioni Unite (ONU) in precedenza, siano frutto della comune volontà degli Stati

membri di “porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei di- retta ad assicurare … il progresso economico e sociale … eliminando le barriere che di- vidono l’Europa”.

Si è continuato, poi, dicendo che gli Stati membri della CEE (compresa l’Italia, con l’art. 11 Cost.) si sono impegnati alla collaborazione e organizzazione internazionale, hanno accettato le consequenziali limitazioni di sovranità e, in parte, conferito, agli or- gani comunitari, l’esercizio della funzione legislativa, sulle materie di cui alla parte II e III del Trattato, in ottemperanza alle finalità d’interesse generale da esso stabilite per la politica economica e sociale della Comunità.

Ne è scaturita l’impossibilità della legge interna di sostituire, abrogare, modificare o integrare una norma comunitaria preesistente, per non sollevare la questione di legittimità per contrasto con il detto art. 11 Cost. Il giudice non sarà, dunque, ancora tenuto alla disapplicazione della norma interna ma dovrà sollevare questione di                                                                                                                

48 In

APPENDICE alle pagg. da 141 a 144.

49 La sentenza ha disposto che “questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare l'autonomia dell'ordinamento co-

munitario rispetto a quello interno (sent. 98/1965). I regolamenti emanati dagli organi della C.E.E. … appartengono all'ordinamento proprio della Comunità: il diritto di questa e il diritto interno dei singoli Stati membri possono confi- gurarsi come sistemi giuridici autonomi e distinti, ancorché coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato.

Esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie … debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento … sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari”.

sapplicazione della norma interna ma dovrà sollevare questione di legittimità costitu- zionale.

Alle dette limitazioni di sovranità, lo Stato membro della CE ha ottenuto, quale corri- spettivo, i nuovi e più incisivi poteri acquisiti in seno alla Comunità.

Il necessario rinvio alla Corte Costituzionale non è mai stato accettato dalla Corte di Giustizia, come si evince dalla pronuncia del 9 Marzo 1978 (caso Simmenthal50).

Nel confermare il primato dell’ordinamento europeo, infatti, i magistrati della Corte di Giustizia hanno sostenuto che “il giudice nazionale … (abbia) l’obbligo di garantire la piena efficacia delle norme (di diritto comunitario) disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore, con essa contrastante, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via le- gislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”, come il sindacato di legittimità.

A riprova di quest’orientamento sta l’incompatibilità di qualsiasi disposizione che, ridu- cendo la concreta efficacia del diritto comunitario, neghi al giudice il potere di disappli- cazione della norma in conflitto con “le esigenze inerenti la natura stessa del diritto co- munitario”.

È nella giurisprudenza del caso Simmenthal che s’impone, agli Stati membri, l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto comunitario, comprendendo anche la tutela di diritti soggettivi nati da norme comunitarie51.

                                                                                                               

50 Il Pretore di Susa aveva sottoposto, alla Corte, le questioni pregiudiziali sulla valutazione di compatibilità, con il

Trattato, di alcune disposizioni del reg. 27 Giugno 1968 n. 805, riguardanti i diritti di visita sanitari sull’importazione di carni bovine provenienti dall’Unione, il cui importo era stato fissato nella tabella allegata alla L. 1239/1970. Dopo aver rilevato l’incompatibilità delle disposizioni con il Trattato, il Pretore aveva chiesto la restituzione dei dirit-

ti di visita e degli interessi, illegittimamente riscossi dall’amministrazione italiana.

51

L. ANTONIOLLI DEFLORIAN, Francovich e le frontiere del diritto europeo in Giuriprudenza Italiana, pt. I, pagg. da 1585 a 1597, ed. Utet, 1993, Roma.

Nello specifico, la sentenza ha precisato che “l’applicabilità diretta va(da) intesa nel senso che le norme di diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità … (esse) sono … fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro ch’esse riguardano, siano questi gli Stati membri ovvero i singoli soggetti di rapporti giuridici disci- plinati dal diritto comunitario.

Questo effetto riguarda anche tutti i giudici che … hanno il compito … di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal di- ritto comunitario.

Inoltre, in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle isti- tuzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati mem- bri, non solo di rendere ipso iure inapplicabile … qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche … di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui que- sti fossero incompatibili con le norme comunitarie.

(…)

È quindi incompatibile, con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario, qualsiasi disposizione fa- cente parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudizia-

L’interazione dei suddetti principi giurisprudenziali ha fatto sì che venisse introdotta una responsabilità civile degli Stati membri in caso di inadempimento di obblighi co- munitari fondamentali quando questo inadempimento abbia comportato la lesione di di- ritti individuali.

In ultimo, la Corte Costituzionale si è pronunciata l’8 giugno 1984 con sentenza n. 170 (cd. Granital52), sanando la complessa diatriba con la Corte di Giustizia Europea.

La Suprema Corte, infatti, ha imposto, al giudice italiano, di disapplicare la norma in- terna contrastante con un regolamento comunitario, senza ipotizzarne alcun sindacato di legittimità.

Prima di disapplicare, il giudice sarà obbligato a cercare, fra le varie possibili interpre- tazioni della norma nazionale, quella compatibile con la normativa sovranazionale diret- tamente applicabile53.

La posizione dei giudici della Corte Costituzionale è, però, nelle conseguenze, analoga ma, in nuce, molto differente rispetto a quella della Corte di Giustizia. L’ordinamento comunitario e quello interno vengono, infatti, considerati quali “sistemi normativi auto- nomi e distinti, sebbene coordinati, secondo la ripartizione delle competenze prevista dal Trattato e le norme del primo vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione in quest’ultimo, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti statali”. Non sarà, dunque, un unico sistema integrato, improntato ad un ordine prettamente ge- rarchico, ma due sistemi differenti, orientati verso la primazia.

Il diritto comunitario, che, dunque, prevale su quello interno, opera nei limiti di cui ai principi supremi e ai diritti inviolabili. Esso prevale sempre, senza che sia necessario di- stinguere fra atto comunitario precedente o successivo rispetto alla norma nazionale.                                                                                                                

ria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice … il potere di fare … tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmen- te ostino alla piena efficacia delle norme comunitarie”.

52 In Foro italiano, 1984, fasc. I, pagg. 2074 ss e riportata in

APPENDICE alle pagg. da 145 a 149.

53 L’obbligo d’interpretazione conforme si basa sul combinato disposto degli artt. 4 par. 3 TUE e 288 TFUE. Tale

obbligo, come si vedrà nel prossimo paragrafo, impone di adattare il precetto della disposizione interna agli obiettivi prescritti dall’ordinamento comunitario.

Sulla base di queste coordinate, la Corte di Giustizia ha richiesto, a tutti gli organi nazionali e, quindi, anche ai giudi- ci, di interpretare il diritto interno nel modo più compatibile con le prescrizioni del diritto comunitario, individuando il significato maggiormente concorde con l’oggetto e lo scopo della direttiva (Corte di Giustizia, 4 Luglio 2006, causa C – 212/04, sentenza Adeneler).

La sentenza adesso esaminata ha parlato di presunzione di conformità della legge interna alla norma europea e ha sostenuto che “fra le possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali va(da) prescelta quella conforme alle prescrizioni della Comunità, e per ciò stesso al disposto costituzionale, che garantisce l'osser- vanza del Trattato di Roma e del diritto da esso derivato.Quando … vi sia irriducibile incompatibilità fra la norma interna e quella comunitaria, é quest'ultima … a prevalere”.

Il giudice nazionale, dunque, dovrà non applicare54 la norma interna contrastante con il diritto comunitario immediatamente applicabile e sollevare questione di legittimità co- stituzionale quando la norma dell’UE di riferimento appaia contraria ai principi supremi e ai diritti inviolabili.

Parlare di non applicabilità della norma nazionale a favore di quella comunitaria signifi- ca non prevederne la caducazione ma sottolinearne il differente ambito di operatività e perseguire il principio dualista nell’ottica di un sempre più influente criterio di speciali-

tà.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, della Cassazione e della Corte di Giustizia, pe- rò, non si è fermata e, con nuove pronunce, ha fornito ulteriori spiegazioni ai principi appena esaminati.

Il Consiglio di Stato55 ha, per esempio, precisato che, perché si possa disapplicare una norma nazionale, è necessario che la fattispecie contestata sia assoggettabile a disposi- zioni comunitarie che abbiano efficacia diretta, la cui piena attuazione dei diritti costi- tuiti in capo ai cittadini sia impedita da una norma interna.

La Corte di Cassazione56 ha, invece, ribadito che il principio di disapplicazione della norma nazionale a favore di quella comunitaria valga solo nei rapporti verticali, cioè in quelli tra Stato e privati, e non in quelli fra privati.

Una lieve apertura verso i rapporti orizzontali, che vedono coinvolti le persone fisi- che/giuridiche tra loro, è stata proposta dalla stessa Cassazione che ha distinto il caso in cui la norma imperativa, violativa di quella comunitaria, abbia limitato l’autonomia ne- goziale per la tutela d’interessi privati dal caso in cui lo abbia fatto per la tutela d’interessi pubblici. Solo in quest’ultima ipotesi la norma interna può essere disapplica-                                                                                                                

54 La Corte Costituzionale (sent. 168/1991) preferisce parlare di non applicazione della legge nazionale invece che di

disapplicazione. La disapplicazione, infatti, evocherebbe “vizi della norma in realtà non sussistenti, in ragione …

dell’autonomia dei due ordinamenti”.

Le norme legislative nazionali in contrasto con la normativa comunitaria competente in materia non sono, quindi, invalide ma mantengono intatto il loro valore e hanno efficacia solo oltre l’ambito materiale e i limiti temporali della disciplina comunitaria.

55 Consiglio di Stato, sez. IV, 24 Marzo 2004 n. 1559, in Guida al diritto, 2004, fasc. 18, pag. 93 con nota di Caruso;

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 Febbraio 2001 n. 430, in Foro amministrativo, 2001, pag. 540 e Consiglio di Stato, sez. IV, 28 Settembre 2000 n. 5194, secondo cui “tutti i soggetti competenti, nel nostro ordinamento, a dare esecuzione