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Gli anni ’90: la regionalizzazione del SSR

LA REGIONALIZZAZIONE E LA LEALE COLLABORAZIONE TRA I LIVELLI DI GOVERNO

1. C OMPETENZE AMMINISTRATIVE E SUSSIDIARIETÀ VERTICALE NELLE EVOLUZIONI LEGISLATIVE DEL S ERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

1.2. Gli anni ’90: la regionalizzazione del SSR

Nella convinzione che solo una riforma organica del modello comunale di gestione della sanità avrebbe potuto migliorare l’efficienza del sistema, l’approvazione della cd. “riforma-bis” della sanità ha rappresentato il primo organico tentativo di porre al centro dello scenario sanitario locale la Regione: titolare della funzione legislativa e amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, responsabile della programmazione sanitaria regionale e interfaccia dei livelli erogativi delle prestazioni anche per quanto attiene alla determinazione dei criteri di finanziamento, la Regione si affermava infatti come il livello territoriale di riferimento nell’organizzazione e nella concreta gestione del servizio sanitario. Nello specifico, rientravano nella competenza delle Regioni165 le linee dell’organizzazione dei servizi e delle attività destinate alla tutela della salute, i criteri di finanziamento delle USL e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle USL ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie. In questo senso, si è individuato nella Regione il vero titolare del servizio pubblico di assistenza sanitaria.

L’USL, da struttura operativa dei Comuni, si trasformava in azienda con riconoscimento di personalità giuridica pubblica166. L’aziendalizzazione delle USL era finalizzata ad evitare che si reiterasse una policitizzazione delle nuove strutture sanitarie locali, destinata ad ostacolare il perseguimento di quegli obiettivi di razionalizzazione delle risorse disponibili che erano alla base della riforma-bis della sanità. Lo schema di riferimento prescelto, pertanto, non era modulato sulla base di un assetto democratico- rappresentativo politicamente dipendente dalla Regione, bensì sulla base di un sistema

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L. 26 aprile 1982, n. 1981; l. 27 dicembre 1983, n. 730; d.l. 25 gennaio 1985, n. 8, conv. con l. 27 marzo 1985, n. 103; d.l. 19 settembre 1987, n. 382, conv. con l. 29 ottobre 1987, n. 456; l. 23 ottobre 1985, n. 595; l. 15 gennaio 1986, n. 4; d.l. 27 agosto 1993, n. 324, conv. con l. 27 ottobre 1993 n. 423.

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Art. 2 d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

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tecnocratico e monocratico in cui le logiche politiche venivano, almeno in via di principio e di diritto, a essere vincolate al rispetto di determinati requisiti di efficienza ed efficacia gestionale.

Duplice era l’estromissione dei Comuni rispetto alle istituende aziende sanitarie locali: da una parte, infatti, i nuovi enti venivano posti in stretto raccordo con le regioni, al punto che nella stessa legislazione si potè a un certo punto rinvenire una sorta di trasformazione delle Unità sanitarie locali da enti strumentali del Comune ad enti strumentali della regione167; dall’altra parte, dalle unità sanitarie locali venivano scorporati gli ospedali maggiori, a loro volta costituiti in azienda, mentre ai rimanenti presidi ospedalieri veniva riconosciuta un’autonomia economico-finanziaria.

Ovviamente, nonostante l’assetto autonomistico e tecnocratico delle istituende aziende, restava fermo il diritto-dovere degli organi rappresentativi di esprimere il bisogno sociosanitario delle Comunità locali; ma, di fatto, il ruolo dei Comuni, tanto nella programmazione, quanto nella gestione delle attività veniva ad essere fortemente ridimensionato.

Anche nell’integrazione tra servizi socio-assistenziali e servizi sanitari – ove maggiormente avrebbe potuto trovare spazio una valorizzazione del Comune quale tradizionale depositario delle competenze in materia di assistenza agli indigenti – si registrava una netta inversione di rotta rispetto agli assetti del 1978, in quanto si prevedeva che l’unità sanitaria locale potesse assumere tali servizi solo su delega dei singoli Comuni con oneri a loro carico e contabilità separata. Parallelamente, veniva soppresso qualsiasi riferimento all’obbligo di sentire i Comuni interessati nel procedimento regionale per la riduzione delle unità sanitarie locali168.

L’unico residuo spazio di intervento per i Comuni veniva pertanto a coincidere con la partecipazione del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci alla definizione delle linee di indirizzo per l'impostazione programmatica dell'attività, all’esame del bilancio pluriennale di previsione e del bilancio di esercizio, nonché alla verifica dell'andamento generale dell'attività, con la possibilità di trasmettere le proprie valutazioni e proposte al Direttore generale e alla Regione169. Anche in queste ipotesi residuali, tuttavia, le funzioni attribuite al Sindaco non erano decisionali, ma solo partecipative rispetto alle decisioni assunte

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Art. 3, comma 1, d. lgs. n. 502/1992, successivamente soppresso dal d. lgs. correttivo n. 517/1993.

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Art. 3, comma 5, d. lgs. n. 502/1992.

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dalla Regione (salvo naturalmente le garanzie di accesso agli atti e ai documenti dell’USL a tutela dei diritti dei cittadini).

Per il resto, l’organo monocratico esclusivo titolare dei poteri di gestione e di rappresentanza legale dell’USL veniva individuato nel direttore generale, la cui nomina era affidata alla Regione, restando esclusi pertanto i Comuni170; scomparivano del tutto i gli organi collegiali di rappresentanza, sostituiti da nuovi organi collegiali, primo fra tutti il Consiglio dei sanitari171, essenzialmente di natura tecnica.

Anche il perseguimento degli obiettivi di ristrutturazione della rete ospedaliera, attraverso le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti e le disattivazioni necessarie, prevedeva un coinvolgimento esclusivo della Regione, alla quale era attribuito l’onere di garantire il contenimento della spesa entro la soglia parametrica correlata ai livelli obbligatori d’assistenza.

Gli stessi controlli sulle USL e gli Enti Ospedalieri, infine, diventavano prerogativa della Regione, chiamata a pronunciarsi anche sotto forma di silenzio-assenso entro 40 giorni sui principali provvedimenti aziendali (bilancio di previsione, variazioni di bilancio, conto consuntivo, piante organiche, programmazione spese pluriennali, provvedimenti che disciplinano l’attuazione dei contratti e delle convenzioni, ecc.).

Allo Stato, attraverso la programmazione sanitaria nazionale, venivano infine mantenute le competenze relative alla definizione degli obiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione e delle linee generali di indirizzo del Servizio sanitario nazionale, alla indicazione dei livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale, alla formulazione dei progetti-obiettivo da realizzare anche mediante la integrazione funzionale e operativa dei servizi sanitari e socio- assistenziali degli enti locali, alla definizione delle esigenze prioritarie in materia di ricerca biomedica e di ricerca sanitaria applicata, alla individuazione degli indirizzi relativi alla formazione di base del personale172.

1.3. Il tentativo di recuperare uno spazio di intervento a favore dei Comuni