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Gli approcci di ricerca sugli universali linguistici

L’APPRENDIMENTO DI UNA LINGUA STRANIERA E GLI UNIVERSALI LINGUISTICI

2. Gli universali linguistici

2.2. Gli approcci di ricerca sugli universali linguistici

Nel primo paragrafo di questo capitolo, abbiamo accennato a due modelli teorici principali, quello innatista-generativista e quello tipologico-funzionale, per quanto ri-guarda l’interpretazione dell’acquisizione di una lingua e del concetto di marcatezza. Si tratta di due approcci molto diversi tra loro che per certi versi possono essere visti come complementari197. Ora riprendiamo questi modelli e la loro interpretazione degli univer-sali linguistici.

Il primo, che rimanda alle ricerche di Chomsky, concentra l’indagine su un’unica lingua, privilegia una definizione di universali secondo strutture astratte (per esempio, la struttura sintattica profonda) e considera quasi esclusivamente spiegazioni di tipo innatistico della presenza degli universali. Alla base di questo approccio sta il presupposto secondo cui un bambino acquisisce la sua lingua madre a partire da input parziali perché riesce a inferire da essi quali, tra i principi universali astratti e innati che già possiede, sottostanno alla sua L1. Il metodo seguito da questo filone di ricerca non necessita quindi di molte lingue, poiché è sufficiente studiare i diversi livelli che vanno oltre la struttura superficiale di una sola lingua per individuare i principi astratti (gli universali linguistici o “idee innate”) che ne fondano la struttura. La critica volta da Comrie al modello innatista-generativista verte sull’impostazione di questo approccio, che sarebbe totalmente a priori; in realtà i generativisti hanno prodotto anche analisi ba-sate sulla generalizzazione a partire dall’osservazione di dati comparativi (approccio a posteriori), per cui risulterebbe ormai inappropriato il giudizio di Comrie, secondo cui questo paradigma è riducibile ad una questione di fede198.

Il secondo, invece, che fa capo ai lavori di ricerca di Greenberg, privilegia un’ampia gamma di lingue da confrontare e studiare, si concentra su universali definibi-li in modo concreto ed è aperto a diversi tipi di spiegazioni (ricorso a fattori psicologici, funzionali, ecc.) che giustifichino l’esistenza degli universali. In questo tipo di

197 P. Ramat parla in proposito dei due tipi di universali emersi in due serie di conferenze diverse: del primo tipo (univesrali definizionali, non-statistici e non-implicazionali) si è parlato al Symposium on

Uni-versals in Linguistic Theory di Austin nel 1967 (di cui alcuni ravvisano un parziale antecedente in L.

Hjelmslev e nel suo concetto di teoria indipendente dall’esperienza) e del secondo (universali non-definizionali, statistici e implicazionali) nella Dobbs Ferry Conference on Language Universals del 1961 e che si rifà all’approccio induttivo di Bloomfield. Cfr. P. Ramat, Linguistica tipologica, Il Mulino, Bolo-gna 1984, pp. 78-79.

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cio è fondamentale il confronto tra molte lingue; infatti, lo studio del linguaggio è più paragonabile a quello del comportamento di persone sottoposte a stress (che manifeste-ranno presumibilmente sintomi diversi, tutti da studiare) piuttosto che a quello delle proprietà chimiche di un campione di ferro (per il quale è indifferente che se ne analizzi uno solo o molteplici). Inoltre, lo scopo che sta alla base della ricerca sugli universali è anche quello di studiare la variabilità delle lingue e i suoi limiti. A ciò si aggiunga il fat-to che la stessa ricerca sugli universali ha mostrafat-to come talvolta la convalida di un uni-versale linguistico abbia richiesto il confronto tra molte lingue. Infine, alcuni universali (quelli implicazionali e para-implicazionali) non possono essere formulati basandosi su una sola lingua199. L’ideale, quindi, sarebbe poter utilizzare tutte le lingue del mondo, ma visto che ciò è impossibile200, sarebbe comunque sufficiente basare lo studio degli universali sul più ampio numero di lingue possibile, tale che esso costituisca anche un campione rappresentativo di tutte le lingue del mondo.

Da un punto di vista funzionale, poi, gli universali sono considerati come una serie di strategie comunicative comuni a tutte le lingue storico-naturali per realizzare il fine della comunicazione. Tali strategie rispondono ad almeno tre principi fondamentali: quello di economia, di iconicità e di motivazione comunicativa. In base al principio di economia, una lingua tende a raggiungere la massima efficacia comunicativa col minor sforzo possibile da parte del parlante, per cui le strutture linguistiche tendono a rispecchiare i limiti della memoria a breve termine201. Secondo il principio di iconicità, invece, le sequenze prodotte a livello linguistico tendono a riprodurre la concettualizzazione dell’informazione generata a livello mentale202. Alla base di tali principi, come si può notare, stanno condizionamenti di tipo universale dovuti alla facoltà umana del linguaggio e ai suoi imprescindibili aspetti

199 Cfr. Ivi, p. 33.

200 Alcune lingue si sono purtroppo ormai estinte, senza lasciar traccia, mentre altre devono ancora nasce-re; infine il numero delle lingue attualmente presenti nel mondo è così elevato che ci vorrebbe troppo tempo per studiarle, confrontarle e pervenire a risultati rilevanti.

201 Per questo motivo, per esempio, nelle frasi condizionali la condizione verrebbe posta prima della con-clusione a cui essa dà accesso, oppure le lingue tenderebbero a limitare le strutture ridondanti. Cfr. N. Grandi, Fondamenti…, p. 68.

202 “È stato possibile dimostrare con esperimenti relativi alle tecniche di percezione che certe strutture so-no più facilmente percepibili di altre; fra queste – appunto – quelle che tendoso-no a dare ciò che è so-noto pri-ma della inforpri-mazione nuova: oppure si è visto che le frasi relative incassate presentano notevolissime difficoltà di comprensione: già al livello del secondo incastro la frase è difficilmente comprensibile”: P. Ramat, Linguistica…, p. 51.

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psicologici203. Infine, secondo il principio della motivazione comunicativa, le lingue storico-naturali dovrebbero presentare almeno i fattori necessari a garantire l’efficacia della comunicazione204.

La presentazione di questi due approcci è volutamente schematica. Ciascuno di essi sottolinea l’importanza di alcuni aspetti nell’analisi linguistica, ma nella realtà dei fatti non c’è una separazione radicale tra i due. Infatti il primo approccio non esclude che un universale linguistico possa essere spiegato anche in termini funzionali o che si possa condurre lo studio comparando più lingue tra di loro, mentre il secondo non esclude, per l’esistenza di alcuni universali, una spiegazione di tipo innatista.

Tuttavia, secondo Comrie, un peso maggiore dev’essere riconosciuto all’approccio di stampo greenberghiano: “la ricerca degli universali linguistici richiede un lavoro fondato su dati tratti da una vasta gamma di lingue, se non si vuole perdere la possibilità di arrivare a importantissime generalizzazioni”205. Inoltre, per gli obiettivi che ci siamo posti nella presente ricerca, l’indagine secondo la prospettiva generativa sembra essere meno rilevante e meno pertinente in quanto essa considera l’acquisizione di una L1 (apprendimento ontogenetico) un campo privilegiato di studi nell’analisi degli universali linguistici e della capacità linguistica umana, mentre Greenberg riconosce l’importanza anche dei dati provenienti dall’acquisizione di una L2206. Non va tralascia-to il fattralascia-to che c’è discordanza tra i linguisti generativi sul ruolo svoltralascia-to dalla GU nell’apprendimento di una L2: è infatti possibile che il discente abbia accesso diretto al-la GU senza far riferimento alal-la lingua madre, o che abbiano un accesso indiretto, attra-verso la realizzazione dei parametri della propria lingua madre, o addirittura che non in-tervenga nemmeno la GU ma che si apprenda la nuova lingua attraverso altre proprietà e

203 Cfr. Ivi, pp. 52-53.

204 Per esempio, in tutte le lingue il sistema pronominale prevede almeno tre persone e due numeri, fattori necessari e imprescindibili senza i quali i pronomi non possono svolgere la loro funzione.

205 B. Comrie, op. cit., p. 60.

206 La Giacalone Ramat evidenzia infatti una maggiore apertura di Greenberg nei confronti di nuovi cam-pi di ricerca sugli universali come, appunto, l’acquisizione di una seconda lingua. Questo ampliamento di prospettive è presente nelle riflessioni di Greenberg Crosscurrents in Second Language Acquisition and

Linguistic Theories di Huebner e Ferguson. La linguista italiana, inoltre, rileva come questo connubio tra

universali e ricerca sull’acquisizione di una L2 ha apportato importanti contributi alla ricerca sugli uni-versali e sugli elementi marcati-naturali, oltre ad una migliore comprensione di come si acquisisce una lingua e di come funziona ed è strutturata la capacità linguistica dell’uomo. Sono state infatti rilevate del-le regolarità nel percorso di acquisizione di una lingua, strettamente connesse agli universali Inoltre, “Questo approccio universalistico basato su aspetti cognitivi e comunicativi permette di formulare molte affermazioni e predizioni che sono facilmente verificabili a partire dati sull’acquisizione di una L2”: tratto e tradotto da A. G. Ramat, Typological universals and second language acquisition, in S. Scalise, E. Ma-gni, A. Bisetto, Universals of Language Today, Springer, Berlino 2008, p. 5.

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abilità della mente. Infine, la ricerca degli universali in ambito generativo è concentrata quasi esclusivamente sulla sintassi, mentre ciò che interessa alla nostra indagine è il li-vello morfologico del linguaggio.