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2. Le Fobie Specifiche: Un Modello Clinico di Paura

2.3. Gli Stimoli Evoluzionisticamente Significat

L’aracnofobia e la paura dei serpenti sono tra le fobie specifiche più frequenti, con una prevalenza dell’1-5% (Fredrikson, Annas, Fischer, & Wik, 1996), e suscitano forte disgusto in buona parte della popolazione pediatrica (Muris, Merckelbach, & Collaris, 1997) ed adulta (Davey, 1991), nonostante al giorno d’oggi raramente questi animali rappresentino una minaccia per l’uomo (Fredrikson et al., 1996; Russell, 1991). Tuttavia, i nostri antenati hanno dovuto fronteggiare per decine di milioni di anni il pericolo rappresentato da ragni e serpenti velenosi, determinando verosimilmente nel corso dell’evoluzione dei primati lo sviluppo di meccanismi di riconoscimento rapido per questi potenziali rischi (Ne w & German, 2015). Secondo la preparedness theory of phobias (Öhman, Dimberg, & Öst, 1985; Seligman, 1971), le risposte fobiche sarebbero il risultato di una preparazione di origine biologica all’acquisizione di paure verso situazioni potenzialmente letali e all’apprendimento degli episodi in cui tali situazioni hanno innescato la paura, suggerendo che la paura possa risultare da esperienze di condizionamento. Gli studi di Öhman hanno confermato questa ipotesi, dimostrando che l’effetto di stimoli rilevanti dal punto di vista fobico sulla conduttanza cutanea, a differenza di stimoli irrilevanti, supera la durata del mascheramento retrogrado nei soggetti sani (Öhman & Soares, 1993; Soares & Öhman, 1993a) e nei pazienti fobici (Öhman & Soares, 1994). L’ipotesi di una predisposizione evolutiva alla paura verso pericoli ancestrali come ragni e serpenti potrebbe dunque spiegare l’alta prevalenza di fobie specifiche nei confronti di questi stimoli (Seligman, 1971), che risulta comunque contenuta dall’estinzione attraverso l’esposizione in un contesto sicuro e l’abituazione nel corso di uno sviluppo normale. L’abituazione selettiva ‒ ossia la capacità di familiarizzare con gli oggetti comuni nell’ambiente e di evitare quelli incontrati solo raramente ‒ è una strategia di adattamento all’ambiente molto efficiente negli animali durante il loro sviluppo, che consente di attivare meccanismi innati di evitamento del predatore in base alle caratteristiche specifiche degli oggetti nel proprio mondo. Il meccanismo innato di rilascio (Innate Releasing Mechanism,

IRM) (Burkhardt, 2005; Lorenz, 1935; Tinbergen, 1942) o, meglio, modificato dall’esperienza (IRM adjusted by Experience, IRME) (Schleidt, 1962) rappresenta il centro in cui si fissano le caratteristiche salienti per l’abituazione selettiva.

Nei famosi esperimenti con il falco/oca del 1937, Lorenz e Tinbergen hanno cercato di comprendere in che modo gli uccelli siano capaci di distinguere tra predatori e animali volanti innocui o oggetti irrilevanti che attraversano il cielo, giungendo a conclusioni contraddittorie: secondo Lorenz la caratteristica del “collo corto” e la forma del modello sono irrilevanti, fatta eccezione per i tacchini, mentre la “velocità relativamente lenta” è importante per stimolare risposte tipicamente antipredatorie (Lorenz, 1939); per Tinbergen, invece, il “collo corto” è uno stimolo saliente per scatenare la reazione in gallinacei, oche e anatre (Tinbergen, 1939). Nel 1961 Schleidt ha riprodotto gli esperimenti con il falco/oca, falsificando l’ipotesi di Tinbergen e confermando, invece, quella di Lorenz. In particolare, la velocità relativa dell’oggetto nel cielo, confrontata con le caratteristiche spaziali della dimensione apparente, consente agli animali di distinguere tra predatori da evitare e insetti da cacciare. Schleidt, inoltre, ha individuato nella novità dello stimolo una caratteristica saliente, supportando l’ipotesi dell’abituazione selettiva (Schleidt, 1961a, 1961b). Il repertorio dei comportamenti nei tacchini è piuttosto precoce (Schleidt, 1970), ma il riconoscimento del predatore e l’evitamento si sviluppano come conseguenza dell’esperienza individuale e possono essere facilitati da stimoli sociali, come segnali di allarme o risposte di paura negli altri individui (Curio, 1988; Curio, Ernst, & Vieth, 1978). La conoscenza dei predatori, così come del cibo, dipende dalla ricchezza di stimoli nell’ambiente: la risposta dei tacchini ad oggetti pericolosi come piccoli oggetti pelosi (Magg, Schleidt, & Schleidt, 1960) e serpenti (Klauber, 1972) varia in base ad abituazione e sensibilizzazione. Schleidt propone, quindi, di superare la visione semplicistica dell’ambiente come “mondo di stimoli” (Watson, 1924), attraverso la “teoria del mondo”, che prende in considerazione tutto ciò che è rilevabile attraverso gli organi sensoriali di uno specifico organismo come rilevante per il proprio ambiente personale e per la propria sopravvivenza (Schleidt, Shalter, & Moura-Neto, 2011).

Il meccanismo di evitamento del predatore in molti animali superiori corrisponde in senso più ampio all’evitamento del rischio, presente negli umani nel quadro delle fobie specifiche, caratterizzate ciascuna da una diversa età di insorgenza (Marks, 1987; Marks & Gelder, 1966). Ad esempio, la risposta avversa ai serpenti non è presente nei primi anni di vita, ma matura appena il bambino inizia ad esplorare l’ambiente al di fuori del controllo materno: la fobia specifica per i serpenti generalmente insorge entro gli 8 anni di età. La terapia espositiva, basata

sull’abituazione selettiva, è il metodo psicoterapeutico più efficace per ridurre la fobia ad un livello che permetta una valutazione razionale della situazione pericolosa (Marks & Dar, 2000; Schneider, Mataix-Cols, Marks, & Bachofen, 2005).

Da numerosi studi condotti su soggetti adulti si evince che il sistema visivo umano è in grado di rilevare rapidamente la presenza di ragni o serpenti (Öhman, Flykt, & Esteves, 2001), soprattutto nei pazienti con fobia specifica (Pflugshaupt et al., 2005), anche quando lo stimolo è presentato per un tempo molto breve. Inoltre, durante il condizionamento fobico, questi stimoli sono associati a stimoli avversi molto più rapidamente e in modo più duraturo, con minor propensione all’estinzione (Cook, Hodes, & Lang, 1986; Öhman & Mineka, 2001). Tuttavia, negli studi condotti su soggetti adulti non è possibile escludere la presenza di un’influenza da parte di esperienze socio-culturali precedentemente apprese. Dunque, sono stati condotti studi su bambini che, misurando il livello di attenzione (ad esempio tramite i tempi di osservazione) hanno evidenziato che: stimoli che rappresentano pericoli ancestrali determinano un’alterazione dell’attenzione visiva all’età di 5 mesi (LoBue & DeLoache, 2010; Rakison & Derringer, 2008) e una rilevazione più rapida rispetto ad immagini non pericolose (LoBue & DeLoache, 2010); all’età di 9 mesi l’aumento dell’attenzione si verifica verso i ragni se accoppiati ad espressioni facciali paurose e verso i serpenti indipendentemente dal contesto emozionale (Hoehl & Pauen, 2017). Esistono anche studi che hanno misurato le variazioni nei parametri fisiologici di arousal da parte dei pericoli ancestrali, ad esempio un maggior rallentamento della frequenza cardiaca (che indica un orientamento dell’attenzione), un più ampio ammiccamento da spavento (startle eye-blink) e altre reazioni di orientamento visivo durante l’ascolto di suoni rilevanti per la paura da un punto di vista evolutivo. Tuttavia, risulta difficile attribuire le variazioni alla sola risposta fobica e i risultati sono spesso contrastanti (Erlich, Lipp, & Slaughter, 2013; Thrasher & LoBue, 2016). Un metodo più affidabile per misurare l’eccitazione fisiologica è rappresentato dall’aumento della dilatazione pupillare, che può indicare un’attivazione del sistema noradrenergico ‒ quindi della risposta allo stress (Laeng, Sirois, & Gredebäck, 2012) ‒ e un aumento della concentrazione, ma anche una risposta a stimoli di tipo emozionale. Infatti, è stato dimostrato che la dilatazione pupillare aumenta nei bambini dai 14 ai 17 mesi di età in risposta ad espressioni facciali negative (di paura o tristi) (Aktar et al., 2016; Gredebäck, Eriksson, Schmitow, Laeng, & Stenberg, 2012), durante la visione o l’ascolto di un coetaneo in difficoltà nei bambini di età compresa tra i 6 e i 12 mesi (Geangu, Hauf, Bhardwaj, & Bentz, 2011), e in risposta ad azioni incongruenti con l’espressione facciale di chi le esegue nei bambini di 14 mesi, ma non a 10 mesi di età,

indicando che il riconoscimento della coerenza tra espressione emotiva ed azione di un’altra persona si sviluppa durante questo arco di tempo (Hepach & Westermann, 2013). Nel loro studio, Hoehl e collaboratori, misurando la risposta pupillare di bambini di 6 mesi di età durante la visione di stimoli che rappresentano pericoli ancestrali (ragni e serpenti) rispetto a stimoli neutrali di controllo, hanno registrato un aumento della dilatazione pupillare in risposta ad immagini contenenti ragni o serpenti, supportando l’ipotesi di un meccanismo evolutivo sensibile a questi stimoli (Hoehl, Hellmer, Johansson, & Gredebäck, 2017). Infatti, anche se i bambini sembrano essere stimolati dalla visione di esseri animati in generale, la reazione pupillare è decisamente più rapida e maggiore ‒ con coinvolgimento del sistema noradrenergico ‒ nei confronti dei pericoli ancestrali, soprattutto i serpenti. Risulta quindi condivisibile l’ipotesi dell’esistenza di un meccanismo evolutivo che potrebbe predisporre allo sviluppo di fobie specifiche verso pericoli ancestrali (Bjorklund, 2015; Bjorklund & Ellis, 2014).

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