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2. Le Fobie Specifiche: Un Modello Clinico di Paura

2.5. I Paradigmi Sperimental

Le reazioni fisiologiche elicitate dall’esposizione ad uno stimolo fobico possono essere accompagnate da un grado variabile di consapevolezza dell’avvenuta esposizione: nei paradigmi di stimolazione overt (soprasoglia) – come l’esposizione chiaramente visibile (Clearly Visible Exposure, CVE) – si osserva un aumento dell’attivazione simpatica accompagnata da disagio soggettivo, senza alcun effetto sull’evitamento. Al contrario, nell’esposizione molto breve (Very Brief Exposure, VBE) a stimoli fobici, la presentazione ripetuta di immagini fobiche mascherate rappresenta un metodo di stimolazione covert (subliminale) in grado di ridurre in pazienti aracnofobici l’evitamento e la percezione di paura nei confronti di una tarantola viva (Siegel, Anderson, & Han, 2011; Siegel & Gallagher, 2015; Siegel & Warren, 2013; Siegel & Weinberger, 2009, 2012; Weinberger, Siegel, Siefert, & Drwal, 2011). Questo suggerisce che gli effetti terapeutici si verificano in modo automatico, in particolare quando la consapevolezza dello stimolo fobico mascherato è fortemente limitata (non necessariamente eliminata) e il soggetto non esperisce paura. Per indagare i processi neuronali adattativi alla base di questo effetto, Siegel e collaboratori (Siegel et al., 2017) hanno analizzato i dati di risonanza magnetica funzionale (fRMI) di pazienti aracnofobici e soggetti sani in tre differenti condizioni: esposizione chiaramente visibile allo stimolo fobico (piena consapevolezza), esposizione molto breve alle stesse immagini fobiche mascherate (consapevolezza fortemente limitata) ed esposizione molto breve ad immagini mascherate di stimoli irrilevanti dal punto di vista fobico (controllo). I ricercatori si sono concentrati sulle differenti modalità di attivazione, durante le tre diverse condizioni, delle regioni coinvolte nell’elaborazione della paura a livello sottocorticale ‒ l’amigdala ‒ e corticale o cognitivo ‒ in particolare i sistemi neuronali che favoriscono la visione (corteccia occipitale bilaterale e parietale inferiore), corrispondenti alle diverse caratteristiche degli stimoli target e neutro; l’attenzione (corteccia prefrontale dorsolaterale e parietale bilaterale superiore), che corrisponde alla diversa salienza degli stimoli target e neutro; la valutazione affettiva (corteccia

prefrontale dorsomediale, cingolata anteriore, insula anteriore e orbitofrontale bilaterale), corrispondente alla salienza emozionale dello stimolo target (Del Casale et al., 2012; Linares et al., 2012); e il controllo motorio (striato e regioni premotorie), corrispondenti all’inibizione delle risposte agli stimoli. Le differenze di attivazione tra i due gruppi di partecipanti sono risultate più marcate durante l’esposizione chiaramente visibile, intermedie per le immagini fobiche mascherate e praticamente assenti nell’esposizione allo stimolo mascherato irrilevante (Siegel et al., 2017). Durante l’esposizione chiaramente visibile allo stimolo fobico, contrariamente alle previsioni, l’attività neuronale sia corticale che sottocorticale più marcata si è registrata nel gruppo dei partecipanti sani, in associazione ad una rapida risposta emozionale, mentre nel gruppo degli aracnofobici si è osservata una disattivazione delle regioni prefrontali ventrali ‒ tipicamente correlate alla regolazione emotiva (Delgado, Nearing, LeDoux, & Phelps, 2008; A. Hermann et al., 2009; Phelps, Delgado, Nearing, & LeDoux, 2004) ‒, delle regioni temporali ‒ tipicamente correlate al linguaggio ‒, e della Default Mode Network (corteccia cingolata posteriore, precuneo, cuneo, cortecce parietali bilaterali, regioni prefrontali mediali, giro frontale medio-superiore) ‒ correlata all’autoconsapevolezza. In linea con le ipotesi, invece, l’esposizione mascherata allo stimolo fobico ha provocato una maggior attivazione nei pazienti fobici rispetto ai controlli sani dei sistemi deputati alle emozioni sottocorticali, alla visione, all’attenzione e al linguaggio, un’attivazione paragonabile nei due gruppi delle regioni deputate alla regolazione emotiva e alla valutazione affettiva corticale, e una disattivazione della Default Mode Network più marcata negli aracnofobici (Siegel et al., 2017). Dunque, nei pazienti aracnofobici le aree deputate alla regolazione delle emozioni e al linguaggio sono disattivate dall’esposizione chiaramente visibile ed attivate dall’esposizione allo stimolo fobico mascherato. Inoltre, nei pazienti fobici, l’esposizione allo stimolo fobico mascherato induce un’attivazione delle aree deputate ad attenzione, valutazione affettiva e controllo motorio più marcata rispetto all’esposizione chiaramente visibile, che, invece, provoca una maggiore disattivazione della Default Mode Network. L’esposizione ad immagini mascherate irrilevanti dal punto di vista fobico, invece, determina più marcata attivazione delle aree visive nei controlli sani rispetto all’esposizione a stimoli fobici mascherati.

La minore attività nei pazienti fobici durante l’esposizione chiaramente visibile rispetto all’esposizione molto breve potrebbe essere determinata da un aumento dell’attività neuronale basale in risposta agli stimoli fobici, suggerendo un’ipervigilanza dei pazienti fobici di fronte alla visione diretta del loro oggetto fobico (Bar-Haim, Lamy, Pergamin, Bakermans- Kranenburg, & van IJzendoorn, 2007; Mogg & Bradley, 2002; Mogg, Philippot, & Bradley,

2004; Rinck & Becker, 2006; Teachman, Joormann, Steinman, & Gotlib, 2012; Williams, Watts, MacLeod, & Mathews, 1997). L’esposizione chiaramente visibile induce, inoltre, una riduzione dell’attività delle regioni sottocorticali e la disattivazione delle aree per la regolazione delle emozioni e il linguaggio. Questi dati suggeriscono che l’esposizione chiaramente visibile attiva nei soggetti fobici dei pattern di attività neuronale associati al deficit di modulazione della paura in senso inibitorio, determinando l’esperienza di paura significativa. Al contrario, l’esposizione a stimoli fobici mascherati induce nei pazienti fobici l’attivazione del sistema sottocorticale delle emozioni e delle aree corticali deputate a visione, attenzione e linguaggio, senza indurre l’esperienza di paura, suggerendo che il mascheramento conferisce agli stimoli fobici una maggiore capacità di attivare i sistemi neuronali di controllo cognitivo e, di conseguenza, limitare il riconoscimento degli stimoli fobici ne favorisce l’elaborazione (Siegel et al., 2017). Il mascheramento, quindi, consente l’attivazione dei sistemi di regolazione delle emozioni nei soggetti fobici e potrebbe ridurre il livello di vigilanza verso il pericolo, permettendo alle caratteristiche salienti dello stimolo fobico di attivare, ed eventualmente desensibilizzare, i sistemi neuronali di elaborazione della paura, evitando che venga esperita. Questo dato può rappresentare anche un indicatore dell’automaticità dell’elaborazione degli stimoli fobici (Wiens, 2006). Sulla base dei risultati dello Spider Stroop task, somministrato prima dell’esecuzione della fRMI, è stato anche possibile correlare l’esposizione chiaramente visibile alla paura esplicita e l’esposizione molto breve alla paura implicita. L’ipotesi suggerita dai risultati dello studio di Siegel e collaboratori è che nei pazienti fobici l’esposizione mascherata sia in grado di attivare l’elaborazione della salienza emozionale dello stimolo guidata da un obiettivo di natura adattativa, ossia il reclutamento di sistemi modulatori in senso inibitorio della paura (Siegel et al., 2017).

La ricerca sulla paura e sulle fobie non ha ancora determinato in maniera conclusiva se l’elaborazione degli stimoli emozionali sia completamente automatica (Compton, 2003; Pessoa, 2005), anche se esistono prove neurofisiologiche a favore dell’ipotesi secondo cui l’amigdala porti ad una rilevazione automatica degli stimoli minacciosi attraverso un insieme di risposte comportamentali indipendentemente da attenzione, consapevolezza o istruzioni ad eseguire un compito (Morris, Öhman, & Dolan, 1998; Vuilleumier & Schwartz, 2001). L’idea di una rilevazione automatica o “pre-attentiva” (LeDoux, 1998; Öhman & Mineka, 2001) è supportata dall’effetto del mascheramento retrogrado (backward masking), in cui immagini e parole correlate all’oggetto fobico stimolano risposte autonomiche in assenza di consapevolezza dello stimolo da parte del soggetto (Öhman & Soares, 1993, 1994; Ruiz-Padial,

Mata, Rodríguez, Fernández, & Vila, 2005; Van den Hout, de Jong, & Kindt, 2000). Inoltre, stimoli rilevanti dal punto di vista fobico sono facilmente rilevati all’interno di una serie di immagini neutre, indipendentemente dal loro numero (Blanchette, 2006; Öhman et al., 2001) e il significato negativo di parole colorate può “automaticamente” alterare la capacità di eseguire correttamente il compito nominarne il colore (Mathews & MacLeod, 1985; R. J. McNally, Riemann, & Kim, 1990; Watts, McKenna, Sharrock, & Trezise, 1986). Tuttavia, nell’elaborazione emozionale l’attenzione spaziale sembra modulare l’attivazione di diverse altre aree cerebrali oltre all’amigdala (Pessoa, Kastner, & Ungerleider, 2002). Inoltre, mentre l’amigdala destra sembra essere cruciale per le reazioni automatiche agli stimoli fobici, la valutazione del pericolo dipende dalla corteccia cingolata anteriore e insulare e richiede un adeguato coinvolgimento dell’attenzione (Straube, Mentzel, et al., 2006). Secondo alcuni autori, ogni stato emozionale implica aumentata consapevolezza selettiva piuttosto che reazioni automatiche o inconsce (Lambie & Marcel, 2002; Varela & Depraz, 2000). Sembra, dunque, che la modulazione dell’attenzione spaziale e temporale sia in grado di assegnare priorità diverse agli oggetti e agli eventi nell’ambiente. Per comprendere il rapporto tra emozione ed attenzione nella generazione della consapevolezza percettiva soggettiva, è possibile utilizzare un paradigma sperimentale in cui la percezione conscia è alterata dal carico attentivo temporale, il cosiddetto Attentional Blink. Per effetto di una temporanea cecità funzionale, infatti, quando un soggetto non è disponibile a prestare attenzione oppure sta prestando attenzione ad un’altra attività, è in grado di ignorare anche stimoli ampiamente soprasoglia (Enns & Di Lollo, 2000; C. Y. Kim & Blake, 2005; Shapiro, Raymond, & Arnell, 1994). L’effetto di Attentional Blink si verifica quando, all’interno di una sequenza di stimoli visivi in rapida successione nella stessa posizione spaziale (Rapid Serial Visual Presentation, RSVP), il soggetto non riesce ad eseguire correttamente il compito (Conditional Task) di identificare il secondo target (Probe o T2) se presentato dopo – tipicamente ad una distanza di 100-500 ms – la corretta identificazione del primo (Target o T1) (Chun & Potter, 1995; Raymond, Shapiro, & Arnell, 1992; Shapiro, Raymond, & Arnell, 1997). L’ampiezza dell’effetto corrisponde alla riduzione del numero di identificazioni di T2 rispetto alle condizioni di controllo (Simple Task), in cui al soggetto è richiesto di riconoscere solo T2 (Raymond et al., 1992). Si ritiene che la capacità di rilevare il secondo target dipenda principalmente dal carico attentivo disponibile ad una determinata distanza temporale dalla presentazione del primo target: la percezione di T2 si riduce in funzione dell’intervallo di tempo. L’effetto può essere influenzato anche dal tipo di target: la capacità di identificare T2 risulta più conservata quando il suo contenuto è di natura emozionale – come nel caso di parole (Anderson, 2005; Keil & Ihssen, 2004), volti (E. Fox, Russo, &

Georgiou, 2005; Mack, Pappas, Silverman, & Gay, 2002) o del proprio nome (Shapiro, Caldwell, & Sorensen, 1997) – oppure in presenza di fattori percettivi che ne aumentino l’unicità (Chun & Potter, 1995; Raymond, Shapiro, & Arnell, 1995). Sembra, dunque, che la capacità attivante (arousal) dello stimolo, compreso il significato emozionale, possa ridurre la soglia per la consapevolezza percettiva, facilitandola (Anderson, 2005; Anderson & Phelps, 2001). In questa prospettiva, anche gli stimoli fobici potrebbero influenzare l’effetto di Attentional Blink. In effetti, nei soggetti aracnofobici si osserva una lieve riduzione dell’effetto quando istruiti a identificare parole correlate ai ragni (Target) seguite da parole neutre come secondo target (Probe) (Cisler, Ries, & Widner, 2007).

Rispetto ai soggetti sani, gli aracnofobici presentano una maggiore capacità di identificare i ragni (Probe) in entrambe le condizioni (Simple e Conditional Task), con una significativa riduzione dell’effetto di Attentional Blink (D’Alessandro, Gemignani, Castellani, & Sebastiani, 2009). Questo suggerisce che, nei pazienti fobici, la percezione conscia dell’oggetto fobico è preservata anche quando l’attenzione è in buona parte dedicata al precedente compito di identificazione: la salienza emozionale (fobica) dello stimolo aumenta la sua probabilità di essere percepito consciamente. L’aumentata capacità di percepire lo stimolo fobico da parte dei soggetti fobici potrebbe essere dovuta ad un minor livello di attenzione richiesto oppure all’attivazione di un meccanismo involontario di cattura dell’attenzione. Secondo la prima ipotesi, negli aracnofobici potrebbe essere sufficiente un minor livello di attenzione in quanto lo stimolo fobico evoca una reazione di attivazione mediata dal sistema noradrenergico che aumenta la responsività corticale (Castellani, D’Alessandro, & Sebastiani, 2007). In alternativa, l’amigdala potrebbe aumentare la capacità di identificazione visiva attraverso risposte rapide che modulano l’attivazione delle aree visive. Tuttavia, non si può escludere che la diversa capacità di rilevazione dello stimolo tra aracnofobici e controlli sani dipenda anche da un differente grado di familiarità con i ragni, analogamente a quanto si verifica con i volti (Jackson & Raymond, 2006). In linea con la seconda ipotesi, invece, la percezione conscia potrebbe essere favorita dall’attivazione involontaria di un meccanismo di reclutamento di risorse attentive -– definito Attentional Capture (Simons, 2000; Yantis & Egeth, 1999) – indotta dalla salienza emozionale dello stimolo. In effetti, oggetti significativi, come volti sorridenti o il proprio nome, sono in grado di attirare l’attenzione anche quando disattesi e irrilevanti per il compito richiesto (Mack et al., 2002).

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