2. I Social Impact Bond
2.2. Gli studi italiani
In Italia la situazione relativa ai SIB è ancora allo stato primordiale: non ci sono SIB attivi nel nostro paese; l’Italia però partecipa alla Task Force internazionale sugli investimenti a impatto sociale con un proprio National Advisory Board, che ha in Giovanna Melandri il suo Presidente e numerosi membri appartenenti a fondazioni e banche, tra cui Banca Prossima che non è nuova a iniziative innovative di finanziamento del comparto sociale. L’Advisory Board italiano ha rilasciato una propria pubblicazione che è uscita in contemporanea alla pubblicazione della Task Force in ambito G8, a settembre 2014; la pubblicazione italiana ha analizzato gli investimenti ad impatto sociale secondo sei punti chiave: attrazione di capitali; metriche e indicatori di impatto sociale; cooperazione allo sviluppo; ruolo e sviluppo della imprenditorialità sociale; buone pratiche italiane e progetti pilota; implicazioni normative e fiscali.
Il punto di vista sugli investimenti a impatto sociale è molto ben espresso: “occorre riconoscere e rafforzare innanzitutto la “terza dimensione” delle scelte d’investimento; non più determinate esclusivamente da valutazioni di rischio e di rendimento, ma anche dall’impatto sociale che producono. L’introduzione di questa “terza dimensione” può generare un cambiamento di paradigma epocale dagli effetti molto profondi, sull’economia, sulla struttura del welfare, e perfino sulla finanza. […] Gli investimenti ad impatto sociale sono un prezioso strumento – un mezzo – per promuovere e sostenere il benessere delle comunità attraverso la crescita dell’imprenditorialità sociale – il fine. Uno strumento, dunque, per rendere più efficace ed efficiente la spesa pubblica e un welfare che si vuole difendere; un canale
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per veicolare risorse aggiuntive ed approcci innovativi verso i settori più fragili del nostro stato sociale. Un mezzo per rispondere a quei nuovi bisogni complementari che caratterizzano la debolezza strutturale del welfare contemporaneo: quasi ipertrofico nel settore previdenziale, molto gracile, invece, nelle politiche di inclusione e di prevenzione. Insomma, per difendere lo Stato sociale quale conquista civile, di fronte alle sfide severe e strutturali che la crisi ci impone, occorre radicalmente innovarlo, senza aggrapparsi ad una posizione meramente conservativa che rischia, paradossalmente, di favorirne le dinamiche destrutturanti”. (Advisory Board SII, 2014, cit. pag. 11)
Riguardo alle metriche e alla misurazione dell’impatto sociale, il gruppo di lavoro sottolinea che “la misurazione dell’impatto si trova nella sua fase iniziale a livello mondiale, e l’Italia non fa eccezione. Tuttavia, la ricchezza e la varietà di esperienze del panorama italiano, e le sue aree di sviluppo, testimoniano la vivacità degli operatori del settore”. (Advisory Board SII, 2014, cit. pag. 54)
Molte imprese del terzo Settore utilizzano una rendicontazione sociale che varia da azienda ad azienda con diverse forme; in particolare però vengono attivati report sociali riguardo a: inserimento lavorativo, microfinanza, sviluppo locale, cultura. Rispetto al tema dei Social Impact Bond, così come intesi in senso internazionale, anche il rapporto prende coscienza della situazione arretrata dell’Italia, ancora a secco di iniziative in questo campo: “Al momento, nel contesto italiano questi strumenti sono del tutto assenti. Alcuni stakeholder hanno avviato una ricognizione sui Social Impact Bond. In particolare, il Ministero della Giustizia ha affidato ad Human Foundation lo studio di fattibilità di un Social Impact Bond/Pay for success per la sperimentazione di interventi nel settore del reinserimento socio-lavorativo della popolazione detenuta” (Advisory Board SII, 2014, cit. pag. 48).
In Italia esistono invece alcune iniziative di Social Bond, lanciate da alcune banche, tra cui Banca Prossima e Banca UBI che hanno emesso titoli obbligazionari che offrono ai sottoscrittori un rendimento di mercato e prevedono che il denaro raccolto tramite il prestito obbligazionario collocato sia utilizzato dalla Banca per sostenere progetti o investimenti ad elevato impatto sociale, erogando somme di denaro a titolo di liberalità e/o di finanziamento a condizioni di mercato. Altra iniziativa in campo sociale di cui prendere nota è Terzo Valore, proposta da Banca Prossima: “Terzovalore.com è la piattaforma web dove le organizzazioni non profit, clienti di
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Banca Prossima, possono presentare progetti a finalità sociali e rivolgersi al «pubblico» per raccogliere, nelle forme del prestito e del dono, le risorse finanziare necessarie alla loro realizzazione.
Risultati: al 10 aprile 2014 sono stati pubblicati progetti per 8,7 milioni di euro raccogliendo prestiti per 3,65 milioni di euro da 837 prestatori e 638.000 euro da 102 donatori” (Advisory Board SII, 2014, cit. pag. 46). A quest’ultima iniziativa ha partecipato anche Cometa, risultando beneficiaria di un grande prestito per terminare la costruzione della propria città nella città nel 2012.
Lo studio più completo sullo sviluppo dei SIB in Italia è quello della Fondazione Cariplo (2013); descrive nel dettaglio il funzionamento dei SIB, ne fa alcuni esempi storici di caso di studio e prova a immaginare la sperimentazione di un SIB nel contesto italiano. Il funzionamento classico di un SIB è riassunto dalla figura che ne mostra la struttura.
Figura 1 - Schema classico di funzionamento di un Social Impact Bond (Fondazione Cariplo, 2013, pag.9)
Le considerazioni più interessanti vengono fatte rispetto al profilo giuridico di un’eventuale sperimentazione dei SIB in Italia, perché analizza il sistema di regole specifiche del nostro paese. Il SIB non è finanziariamente un bond, ma “è
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configurabile come un contratto atipico, che lega tra loro una pluralità di parti a obbligazioni reciproche parziarie. Meglio, come un insieme di contratti distinti tra loro, che si richiamano vicendevolmente e i cui contenuti rappresentano condizioni reciproche” (Fondazione Cariplo, 2013, cit. pag.36).
Un primo punto critico per introdurre i SIB in Italia è relativo alla normativa sugli appalti pubblici, dato che lo stato rimborsa i SIB, in caso di successo, utilizzando fondi pubblici soggetti alla legislazione di gare d’appalto pubbliche: “formalmente, ci troviamo di fronte a un appalto, cioè a un contratto (regolato dagli articoli 1566 e seguenti del codice civile), in cui una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere in favore di un’altra (committente o appaltante) un’opera o un servizio. Nel caso in cui il committente sia una PA, si applica una disciplina specifica, che nell’ordinamento italiano, è contenuta nel Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, il cosiddetto Codice degli Appalti. Il principio generale contenuto in questo provvedimento prevede che l’affidamento dei servizi debba “garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. […] data la natura innovativa dello strumento, non si può dire che esista un mercato maturo cui la PA si possa rivolgere, facendo riferimento a standard di servizio consolidati. La scelta della controparte e la disciplina del rapporto, quindi, difficilmente possono seguire le procedure normali. Viene da ritenere che l’elevato grado di sperimentalità richieda un meccanismo di affidamento ad hoc. Tuttavia, non è scontato che questa situazione di eccezionalità possa configurare un’esclusione della disciplina sopra citata” (Fondazione Cariplo, 2013 cit. pag.38).
Anche la Global Shapers Community ha realizzato un opuscolo in cui analizza le condizioni per proporre un SIB in Italia, cercando di creare una sorta di Social Finance all’italiana; tra i punti critici insiste sugli appalti pubblici, poiché “la normativa sugli appalti pubblici ha una forte presunzione in favore di sollecitazioni competitive sulla base di due presupposti che potrebbero mancare nel caso di un SIB: la presenza di numerosi intermediari presenti sul mercato e la possibilità di prevedere clausole contrattuali e condizioni dettagliate prima ancora di contattare tutti gli attori coinvolti” (Global Shapers Community, 2014, cit. pag. 21).
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La disciplina italiana non rende impossibile la realizzazione di un SIB, ma sicuramente lo rende complesso, aprendo il campo anche a possibili ricorsi.
I problemi maggiori si riscontrano però nella disciplina della finanza pubblica; il SIB viene pagato dalla PA dopo alcuni anni, ma immobilizzando il denaro oggi: “nel momento in cui la PA decide l’accantonamento a bilancio di una somma a copertura di determinate spese, assume l’obbligo a pagare. La giurisprudenza della Corte dei Conti stabilisce che l’atto di impegno serve a disporre l’imputazione della spesa al capitolo di bilancio ad hoc, e ha l’effetto di costituire un vincolo concreto di destinazione della somma impegnata, la quale non potrà essere utilizzata per destinazioni diverse da quella prevista. È assodato che la PA possa assumere impegni di spesa per servizi la cui esecuzione si protragga per più esercizi. […] La disciplina dei meccanismi di spesa introdotti dal Patto di stabilità ha però reso più difficile per le PA l’assunzione di obblighi a medio termine. In teoria, le spese per investimenti non sono impedite. Tuttavia, il nuovo sistema ammette le spese solo nella misura in cui siano stati rispettati dalla PA in questione una serie di altri parametri tesi a mantenere l’equilibrio complessivo del bilancio pubblico” (Fondazione Cariplo, 2013, cit. pag.39).
Non possono essere tralasciati neppure i complessi vincoli organizzativi per la costruzione di un SIB, ma sono una difficoltà inferiore rispetto alla finanza pubblica e alla disciplina sugli appalti.
Il problema legale non è soltanto italiano: anche in Gran Bretagna, per lo sviluppo del primo SIB sono state effettuate delle eccezioni alle regole, proprio per il carattere di sperimentazione della misura.
La Task Force del G8 affronta nel suo report annuale il problema regolatorio, sviluppando cinque raccomandazioni per la riuscita di un SIB:
“1. Provide capability-building grants for social sector organizations;
2. Create legal forms or regulations that protect the social mission of Impact-driven businesses.
3. Relax regulations that prevent social sector organizations from generating revenues.
4. Improve access of Impact entrepreneurs to capital, including seed, early-stage and growth capital.
5. Broaden use of outcomes-based government commissioning” (SII Task Force, 2014, cit. pag. 17).
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Lo studio di Fondazione Cariplo si conclude con alcune raccomandazioni affinché un SIB possa diventare realtà anche in Italia: “La rimozione dei vincoli dettati dal patto di stabilità per progetti di innovazione sociale finalizzati all’ottenimento di risparmi per la PA; l’introduzione di un sistema fiscale di vantaggio per gli investitori sociali che abbiano ricavato degli utili generati dal successo del SIB; la mappatura di interventi innovativi nel campo della fornitura di servizi sociali che possano essere terreno fertile per la creazione di un SIB; l’applicazione in contesti diversi di metodologie per la raccolta di dati e per la misurazione dei risultati ottenuti da determinati programmi.” (Fondazione Cariplo, 2013, cit. pag.49).
La Global Shapers Community rilancia l’importanza del risparmio per le casse dello stato come leva per il lancio dei SIB, che si affianchino però a strumenti tradizionali di sostegno dell’impegno sociale, e sulla scalabilità degli stessi: “I SIB sono particolarmente adatti per quei progetti sociali che possono essere allargati grazie all’iniezione di ulteriori risorse. La ragione sta nel circolo virtuoso che si crea con l’espansione: più si scala un progetto, maggiore è il risparmio dell’ente pubblico, maggiori sono gli introiti dei detentori dei SIB e maggiori sono le risorse liberate per ulteriori progetti di successo” (Global Shapers Community, 2014, cit. pag. 19)