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Gli sviluppi processuali e normativi del caso

3. IL CASO “AVASTIN–LUCENTIS”

3.3 Gli sviluppi processuali e normativi del caso

Con la sentenza n. 12168 del 2014 il TAR Lazio ha respinto il ricorso presentato da Roche e Novartis contro il provvedimento che le sanzionava. Dopo la pronuncia del Consiglio di Stato in appello, sono stati posti da parte

di quest’ultimo alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea. Con tali quesiti si chiedeva alla Corte:

i) se le parti di un accordo di licenza possano essere considerate concorrenti nel caso in cui l’impresa licenziataria sia in grado di operare nel mercato rilevante soltanto in virtù dell’accordo stesso e, in caso contrario, quali conseguenze si potrebbero configurare con l’applicabilità dell’art. 101 TFUE;

ii) in che modo possa essere definito il mercato rilevante del farmaco, se il mercato rilevante possa essere definito in maniera autonoma rispetto al contenuto dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio e se possano essere considerati sostituibili un farmaco dotato di AIC per determinate indicazioni terapeutiche e un farmaco utilizzato in modalità off-label per le stese patologie;

iii) se per meglio definire il mercato rilevante sia necessaria la perfetta sostituibilità tra i farmaci e la condizione che la domanda e l’offerta di tali farmaci si siano generate nel rispetto delle normative di riferimento;

iv) se l’enfatizzazione degli effetti collaterali relativi all’utilizzo di un farmaco off-label possa essere identificata come intesa tra le imprese in questione, anche se non supportata da studi scientifici.

La Corte, in prospettiva dell’udienza, ha posto alle parti alcuni quesiti specifici per un approfondimento dei criteri più idonei in materia di concorrenza che potessero essere applicati dalle autorità competenti. “Questi quesiti miravano ad effettuare una valutazione dell’efficacia dell’insieme di norme sulla fabbricazione, commercializzazione e prescrizione off- label di due farmaci, al fine di determinare se tra questi vi possa essere una sostituibilità” (Gorza, 2018).

Prima di trattare nello specifico le questioni pregiudiziali relative ai quesiti posti alla Corte, occorre fare un confronto tra la normativa comunitaria e quella italiana in relazione all’utilizzo di farmaci off-label.

Per quanto riguarda la normativa Europea, come precisato anche dalla Commissione Europea, questa non disciplina espressamente la materia relativa ai farmaci off-label, né le modalità in cui i medici possano prescrivere un farmaco non autorizzato, dal momento che tali questioni vengono rinviate ai singoli stati. Al contempo però la disciplina europea chiarisce il meccanismo di approvazione dei farmaci e quali di questi siano soggetti ad eccezioni rispetto all’obbligo di AIC. Infatti nella Direttiva n. 83 del 2001 CE, al considerando 2, si afferma che: «lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanità pubblica”e all’articolo 3 si precisa che: “La presente direttiva non si applica: 1) ai medicinali preparati in farmacia in base ad una prescrizione medica destinata ad un determinato paziente (detti formula magistrale); 2) ai medicinali preparati in farmacia in base alle indicazioni di una farmacopea e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti che si servono in tale farmacia (detti formula officinale)».

Da menzionare anche l’art 6.1, al considerando 1, che afferma: «Nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un’autorizzazione all’immissione in commercio delle autorità competenti di detto Stato membro, rilasciata a norma della presente direttiva oppure senza un’autorizzazione concessa a norma del combinato disposto del regolamento (CE) n. 726/2004». Nella disposizione appena riportata, ovvero riguardo all’obbligo di ottenimento di una AIC, vi rientrano anche tutte le modifiche, le estensione e le altre modalità di presentazione che può subire un prodotto farmaceutico. L’ottenimento di una AIC, come afferma la Corte, è elemento importante ed imprescindibile per poter perseguire gli obiettivi di tutela della salute e di eliminazione degli ostacoli che impediscono e rallentano lo scambio di medicinali tra gli Stati membri.

Per suffragare i sopradetti principi la Direttiva n. 83 del 2001 CE, all’art. 87.1 vieta “qualsiasi pubblicità di un medicinale per cui non sia stata rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio”.

Da menzionare anche il Regolamento n. 726 del 2004, che ha introdotto una procedura centralizzata valida per tutti i Pesi europei, che permette di poter ottenere una AIC per determinate categorie di farmaci, come indicato al considerando 13: “nell'interesse della salute pubblica, le decisioni di autorizzazione nell'ambito della procedura centralizzata dovrebbero essere prese in base ai criteri scientifici oggettivi della qualità, sicurezza ed efficacia del medicinale interessato, escludendo considerazioni economiche o d'altro tipo”. Inoltre , all’art. 3, si sottolinea che “Nessun medicinale contemplato nell'allegato può essere immesso in commercio nella Comunità senza un’autorizzazione”.

La normativa europea, permette però una deroga all’obbligo di ottenimento di una AIC, ma questo è possibile soltanto in via subordinata e può avere ad oggetto esclusivamente casi eccezionali, per poter meglio concretizzare l’efficacia della procedura di AIC. Riguardo a questa ipotesi nella Direttiva n. 83 del 2001 si afferma che l’AIC non si applica: “ai medicinali preparati in farmacia in base ad una preparazione medica destinata ad un determinato paziente (formula magistrale)” ed inoltre all’art. 5.1 si prevede che “uno Stato membro può, conformemente alla legislazione in vigore e per rispondere ad esigenze speciali, escludere dall’ambito di applicazione della presente direttiva i medicinali forniti per rispondere ad un’ordinazione leale e non sollecitata, elaborati conformemente alle prescrizioni di un operatore sanitario autorizzato e destinati ad un determinato paziente sotto la sua personale e diretta responsabilità”.

È da evidenziare che tali deroghe ai principi generali devono essere soggette ad una interpretazione di tipo restrittivo, altrimenti verrebbe meno il perseguimento dello scopo principale di suddette norme, ovvero la tutela della salute.

L’AIC quindi rappresenta uno strumento di tutela in via anticipata sia per i pazienti sia per i medici, perché è il presupposto fondamentale per l’immissione sul mercato del farmaco, a seguito di una specifica ed approfondita valutazione preventiva dei benefici e dei rischi relativi alle sue indicazioni terapeutiche. L’AIC quindi sintetizza i concetti di qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco che verrà commercializzato.

Per quanto riguarda l’Italia, la normativa in materia di medicinali stabilisce che il medico è tenuto alla prescrizione del medicinale autorizzato, limitando l’utilizzo di medicinali o indicazioni non autorizzati. Questo è affermato chiaramente nel cosiddetto Codice dei Medicinali, ovvero il Decreto Legislativo 24 aprile 2006 n. 219, dove all’art. 6 si prevede che “Nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un'autorizzazione” dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) o dell’ European Medicine Agency (EMA).

All’interno del sistema normativo italiano riguardante la materia è da ricordare la Legge n. 94 del 1998, cosiddetta “Legge Di Bella”, che sostiene si il principio per cui la prescrizione dei farmaci debba essere soggetta all’AIC, ma allo stesso tempo prevede in via eccezionale la possibilità di poter prescrivere farmaci off-label, investendo il medico della facoltà di poter prescrivere tali medicinali per uno scopo terapeutico non approvato, stante la presenza di determinate condizioni che giustificano tale decisione del medico.

Infatti all’art. 3 comma 1 si afferma che: “in singoli casi il medico può, sotto la propria e diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare il medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata (…) qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di

somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale”.

È evidente che la scelta del medico, in base a quanto disposto dalla Legge 94/98, non deve configurarsi in una prassi generalizzata ma deve essere circoscritta a singoli casi, previa acquisizione del consenso informato del paziente.

Successivamente, sul criterio di eccezionalità della prescrizione di un farmaco off-label, sono intervenute la Legge Finanziaria del 2007 e la Legge Finanziaria del 2008, che hanno introdotto ulteriori restrizioni per i medici, nel caso in cui prescrivano un farmaco off-label del quale non sono disponibili dati relativi alle sperimentazioni ed agli studi clinici, che ne attestino sicurezza ed efficacia.

“Dal quadro normativo emerge il comportamento cui dovrebbero attenersi le aziende farmaceutiche: in questi casi dovrebbero limitarsi a prendere atto delle valutazioni indipendenti delle autorità regolatorie” (Gorza, 2018). Per quanto riguarda la rimborsabilità dei medicinali off-label, in relazione al caso Avasti–Lucentis, la rimborsabilità era subordinata all’assenza di una valida alternativa terapeutica approvata.

La “Legge Di Bella”, conferiva la possibilità di un rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale per i farmaci off-label, in assenza di valida alternativa terapeutica, stabilendo che la Commissione Unica del Farmaco (CUF) ed AIFA potessero redigere un apposito elenco di farmaci soggetti a tale eccezionale rimborso, dando così origine alla così detta lista 648. A seguito del provvedimento dell’Autorità contro le due aziende farmaceutiche, vi è stato un altro intervento legislativo con la Legge del 16 maggio 2014, detta Legge Lorenzin, integrativa della disciplina sulla rimborsabilità dei farmaci, ovvero la legge 648 del 1996.

la Legge Lorenzin ha previsto la possibilità di introdurre i medicinali off- label nella lista 648, a seguito di autorizzazione di AIFA, anche se vi fosse la possibilità di reperire una alternativa terapeutica autorizzata, alla condizione

che tale indicazione sia conforme agli studi effettuati nell’abito della comunità medico – scientifica, nazionale ed internazionale, rispettando parametri di economicità ed appropriatezza.

A seguito ed in applicazione della legge Lorenzin, il 23 giugno 2014, AIFA ha pubblicato la Determina n. 622 con l’inserimento del bevacizumab ad uso intravitreale nella lista 648, riferendolo all’indicazione terapeutica per la degenerazione maculare correlata all’età.

Con la Determina 622, l’AIFA ha circoscritto in un primo tempo la possibilità di somministrazione di bevacizumab intravitreale soltanto all’interno di ospedali pubblici indicati dalle Regioni, per poi includere anche le strutture private con la determina del 30 gennaio 2015. Nella determina 622 si precisava inoltre che la possibilità di dispensazione di bevacizumab intravitreale doveva essere concessa “soltanto alle farmacie ospedaliere, in possesso dei necessari requisiti, nel rispetto delle norme di buona preparazione”. Nel 2017 AIFA ha deciso di affidare la dispensazione del farmaco anche alle farmacie non ospedaliere operanti sul territorio. Nel caso di specie AIFA condiziona la rimborsabilità di bevacizumab intravitreale alla sussistenza di una formulazione magistrale, che per essere legittima deve rispettare determinati requisiti normativi. In base quindi alla disciplina italiana ed alla giurisprudenza europea, una preparazione magistrale deve essere allestita a seguito di una “specifica prescrizione personalizzata” e destinata “un paziente specificamente designato identificato prima di ogni singola preparazione del medicinale di cui trattasi, preparazione che deve essere realizzata specificamente per il paziente medesimo (la preparazione di un medicinale deve necessariamente intervenire successivamente all’effettuazione della prescrizione destinata ad un malato determinato)”. Devono quindi sussistere le “esigenze speciali” richiamate dalla direttiva n. 83 del 2001 CE riferibili esclusivamente al bisogno terapeutico del paziente.

Nel caso dei consumi relativi a bevacizumab intraoculare, il provvedimento dell’Autorità sostiene che sia individuabile una vera e propria produzione seriale di bevacizumab intravitreale per una tipologia di pazienti non differenziata e generalizzata, facendo così venir meno il principio della preparazione magistrale rivolta soltanto a specifiche esigenze cliniche individuali. A tal proposito, vista la serialità della produzione del farmaco in questione, veniva ipotizzata la necessità di una AIC obbligatoria per poter essere considerato come preparazione magistrale sterile.