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I rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea

3. IL CASO “AVASTIN–LUCENTIS”

3.4 I rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea

Con la sentenza del 23 gennaio 2018 la Corte di giustizia si è pronunciata su quesiti che le erano stati posti dal Consiglio di Stato a norma dell’art. 267 TFUE.

In primis la Corte ha ricostruito le caratteristiche dell’Avastin nel suo impiego off-label, sottolineando che il prodotto ottenuto dalla divisione e dal riconfezionamento del medicinale, non può essere classificato come prodotto galenico per uso oftalmologico. La Corte aggiunge che i medicinali preparati in farmacia non sono soggetti al regime di autorizzazioni, tenuto conto dei mezzi economici e tecnici di tali operatori, dal momento che l’iter per l’ottenimento di una autorizzazione risulterebbe eccessivamente gravoso a livello economico.

Da ricordare che la giurisprudenza europea ha affermato la discrezionalità del carattere industriale del modo di produzione dei medicinali, sulla base della loro natura e delle disciplina ad essi applicabile, con la sentenza “Novartis Pharma GmbH contro Apozyt GmbH”.

Nell’ipotesi in cui un medicinale venga prodotto con metodo industriale ma in seguito sia soggetto a operazioni di riconfezionamento presso una farmacia, tale processo non darà origine ad una preparazione galenica

nuova, poiché non vi sarà alcuna interruzione del nesso che vincola il metodo di produzione industriale del farmaco all’ottenimento del procedimento autorizzativo dell’AIC, al contrario di interventi volti ad intervenire sulla composizione o su altri elementi essenziali del farmaco stesso. Per tali ragioni, l’Avastin off-label, prodotto con metodo industriale non può essere escluso dalla disciplina a cui sono soggetti tali farmaci, non costituendo il mero riconfezionamento in farmacia elemento rilevante per l’esclusione dalla categoria dei farmaci ottenuti con procedimento industriale.

La Corte si è pronunciata anche riguardo alla somministrazione dei farmaci off-label, analizzando il rapporto tra la legislazione farmaceutica europea e quella nazionale. La disciplina dell’Unione europea non sminuisce la competenze delle autorità degli stati membri in relazione all’organizzazione del servizio sanitario e delle risorse a questo destinate, come anche la possibilità di una regolamentazione nazionale per la somministrazione dei farmaci e la libertà terapeutica dei medici. Al contempo, queste libertà nazionali devono comunque essere bilanciate nel rispetto dei principi sovraordinati del diritto dell’Unione europea.

È evidente quindi che l’ordinamento comunitario non fa espresso divieto riguardo alla prescrizione off-label di un determinato farmaco, né tanto meno ne vieta il riconfezionamento, ma subordina queste due attività ai requisiti contenuti nella normativa specifica.

La Corte afferma quindi che il riconfezionamento di Avastin in siringhe monouso, rispetto al confezionamento nelle sue fiale originali, non generi la creazione di un prodotto nuovo rispetto a quello immesso sul mercato da Roche per la cura di patologie oncologiche. Il parere della Corte si incentra sull’elemento temporale, che caratterizza il riconfezionamento nelle fialette monouso; infatti quest’ultimo avviene dopo la concretizzazione di tutti gli effetti derivanti dall’autorizzazione all’immissione commercio che la

titolare Roche ha già ottenuto e dopo la scelta terapeutica del medico, che si identifica dal momento della prescrizione del farmaco in questione.

Secondo quanto espresso dalla Corte, il riconfezionamento di Avastin per finalità di prescrizione off-label può prescindere dall’ottenimento di una nuova AIC qualora ricorrano i seguenti requisiti:

i) questa operazione non determini una modifica sostanziale del medicinale già autorizzato per altri scopi terapeutici;

ii) la prescrizione del farmaco off-label sia effettuata sulla base di prescrizioni mediche individuali;

Queste linee guida però non sembrano rispondere coerentemente alle segnalazioni fatte dal Consiglio di Stato, il quale ben evidenziava un uso sistematico di Avastin riconfezionato, emblema di una prassi ormai consolidata tra il personale medico. Quanto affermato dalla Corte non fornisce a livello pratico né una discriminante sulla legittimità o meno dell’utilizzo massiccio di Avastin off-label, né uno schema da seguire per eventuali controlli riguardanti le prescrizioni mediche individuali. Il riferimento al “caso clinico individuale” insomma, non aiuta a contenere il vasto uso di Avastin in siringhe monodose, in quanto tale definizione è comunque rimessa alla discrezione del medico e non ha, in concreto, soltanto le caratteristiche di un parametro di valutazione oggettivo e generale, ma anche quelle di soggettività relativa alla sua possibilità di somministrazione. Con una somministrazione di massa del farmaco in questione, al di fuori delle prescrizioni originarie è ancora più difficile effettuare una differenziazione tra l’eccezionalità dell’utilizzo di un medicinale off-label e la necessità di ottenere una AIC obbligatoria, come disposto dalla normativa europea in ambito farmaceutico.

La Corte infine, forse per cautela, non si spinge a definire la prescrivibilità di un farmaco al di fuori delle indicazioni terapeutiche ed i rapporti con l’obbligatorietà di AIC: “la Corte si astiene cautamente dal chiarire i rapporti tra la prescrivibilità di un farmaco al di fuori delle indicazioni

terapeutiche autorizzate e l’ambito di elezione della deroga in materia di AIC contemplata dall’art. 5 della direttiva 2001/83 relativa ad ipotesi del tutto emergenziali. Tra queste ultime rientra il caso in cui il medico valuti che le condizioni terapeutiche dei propri pazienti richiedano l’uso di un medicinale di cui non esiste l’equivalente autorizzato sul mercato nazionale, ma sono escluse le esigenze di risparmio per i sistemi sanitari nazionali. A tal proposito, nel caso in esame non sembra riscontrabile una diversa ragione, al di fuori del contenimento della spesa sanitaria, che giustifichi l’uso di un farmaco non testato che espone il paziente a potenziali rischi per la salute (Avastin), laddove sia disponibile un farmaco i cui profili di sicurezza ed efficacia siano già stati verificati (Lucentis). L’inapplicabilità, nel caso in esame, della deroga di cui all’art. 5 avrebbe dovuto influenzare sia il bilanciamento tra i suddetti principi sia la legittimità delle norme nazionali che incentivano la somministrazione di Avastin off-label” (Guidi, 2019). E’ evidente quindi che da parte della corte non sorge la volontà di limitare la libertà dei medici nella somministrazione off-label di un farmaco anche se sul mercato fosse reperibile una alternativa non off-label, ma piuttosto la volontà di rimettere al giudice adito il dovere di verificare se se vi sia le presenza di disposizioni nazionali che incentivino l’utilizzo di un farmaco off-label come Avastin, e che tali disposizioni non siano in contrasto con le normative UE. Questa posizione, alquanto neutrale, probabilmente deriva dalla consapevolezza della complessità del processo che sta dietro al rilascio di una AIC. Autorizzazione all’immissione in commercio significa, per le imprese, aver intrapreso un cammino caratterizzato da una puntuale ricerca scientifica, da varie fasi di studio in grado di segnalare i benefici terapeutici del medicinale, ma anche i potenziali effetti collaterali. Questo procedimento ha rilevante peso anche dal punto di vista amministrativo; è soggetto ad una accurata valutazione della documentazione da parte dell’autorità amministrativa designata al rilascio dell’autorizzazione, che al tempo stesso diventa anche garante della

sicurezza e dell’efficacia del medicinale verso i consumatori finali. Potrebbe essere quindi identificabile un doppio profilo di responsabilità: per l’autorità amministrativa che conferisce l’AIC ed allo stesso tempo per l’impresa produttrice che dovrà effettuare costante sorveglianza del farmaco, anche dopo l’immissione sul mercato, per poter preservare il profilo di sicurezza. Mantenere un alto livello di sicurezza da parte delle aziende produttrici, anche dopo aver dato inizio alle vendite, significa aggiornare costantemente gli elenchi contenenti le reazioni avverse che si sono verificate e non previste ex ante per quanto riguarda l’utilizzo del farmaco on–label e includere nella scheda tecnica anche i possibili effetti indesiderati derivanti dell’utilizzo off-label del farmaco di cui l’impresa ha conoscenza. La garanzia di un elevato livello di sicurezza dei farmaci è principio fondamentale sia per l’ordinamento nazionale, sia per l’ordinamento europeo e tale costante garanzia la si può ottenere attraverso una efficace valutazione del beneficio – rischio relativa al farmaco.

L’altro rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla Corte riguarda il mercato rilevante, la cui definizione è fondamentale per poter identificare eventuali rapporti di concorrenza tra imprese in un dato mercato. In ambito farmaceutico, la definizione di mercato rilevante risulta assai complessa, a causa dei beni oggetto di scambio che lo caratterizzano, ovvero i farmaci. I medicinali si possono classificare come “beni meritori” dal momento che la loro funzione essenziale è quella di tutelare la salute pubblica e quindi mal gli si attribuiscono i tratti essenziali di mero bene economico, adatto invece per tutte le altre categorie di beni che non hanno ad oggetto al tutela di un diritto fondamentale, quale quello della salute. Su questi beni poi, vi è un forte intervento regolatorio da parte dello Stato, che impone vincoli alle dinamiche competitive che potrebbero svilupparsi. La salute pubblica comporta quindi un’esigenza di salvaguardia tramite interventi di tutela economica, funzionali al corretto andamento dell’attività di impresa e tramite azioni a garanzia della concorrenza.

La presenza dello Stato nella regolamentazione del mercato e dell’azione antitrust è giustificata dalla ricerca della massimizzazione del benessere dei consumatori e della maggior attenzione rivolta all’interesse pubblico derivante dalla tutela della salute. In questo tipo di assetto di mercato è possibile notare che difficilmente la concorrenza interviene liberamente sulle leggi della domanda e dell’offerta, per il fatto che vi sono da considerare interessi di tipo pubblico quali il diritto alla salute, il controllo della spesa pubblica ed interessi economici dei soggetti privati, in questo caso le case farmaceutiche, che mirano alla maggior remunerazione degli investimenti. Difficile anche parlare di vera e propria domanda all’interno del mercato da parte del paziente: questo non agisce come operatore libero da vincoli, ma sarà sempre subordinato e spinto al consumo di un determinato prodotto in base alla prescrizione del medico. Si potrebbe parlare quindi di domanda “per interposta persona”.

Per quanto riguarda il meccanismo dell’offerta, questa è delimitata sia dalla disciplina regolatoria del farmaco, sia dalle normative riguardanti i brevetti. Ecco quindi venir meno la maggior parte i criteri tradizionali solitamente usati per definire il mercato di riferimento.

Alla luce di quanto esposto, la Commissione Europea e le autorità antitrust nazionali hanno inserito nello stesso segmento di mercato sia l’Avastin che il Lucentis, per le patologie relative alla vista, optando quindi per una sostituibilità reciproca tra i due medicinali, non tenendo di conto del sistema di classificazione internazionale farmaceutico, ovvero dell’Anatomical Therapeutic Classification (ATC). Tale sistema raggruppa i medicinali in cinque livelli in base alla loro composizione chimica ed alla patologia cui sono ascritti, per poi collocarli nei vari segmenti di mercato.

Questo orientamento della Corte in relazione al caso, ha spinto il Consiglio di Stato a chiedersi se “ai fini della definizione del mercato rilevante, sia sufficiente verificare la sostanziale fungibilità dei prodotti farmaceutici sulla base della “normalità clinica”, ossia dal lato della domanda, o se debba

altresì valutarsi che l’offerta degli stessi sul mercato sia avvenuta in conformità al quadro regolamentare in materia di autorizzazione all’immissione in commercio. In altri termini, il giudice del rinvio ha chiesto se l’AGCM possa includere nel medesimo mercato rilevante sia il Lucentis sia l’Avastin off-label, per il caso in cui quest’ultimo non rispetti i requisiti normativi per la sua commercializzazione” (Guidi, 2019).

La risposta della Corte ha evidenziato che il ruolo dell’autorità garante della concorrenza e del mercato non deve intervenire sui meccanismi tecnici e specifici a tutela della salute pubblica che invece viene tutelata con il procedimento di ottenimento di una AIC. L’AGCM opera a livello più generale e più ampio riguardo alla tutela della concorrenza, non può intaccare i caratteri più interni delle discipline regolatorie di settore, esso segue criteri propri per raggiungere obiettivi autonomi, distinti e staccati da quelli previsti per le discipline specifiche.

È evidente quindi che per il settore farmaceutico non si può parlare di mercato rilevante in riferimento ai prodotti così come individuati e definiti sulla base delle norme regolatorie sulla commercializzazione cui sono soggetti, bensì la definizione di mercato rilevante va rimessa alle caratteristiche di fatto e concrete di tali prodotti che si rifletteranno sulle problematiche di concorrenza. La Corte ha aggiunto, nel merito della prassi di riconfezionamento di Avastin, che non si può individuare alcun aspetto di illiceità, dal momento che non è stato in primis rilevato da alcuna autorità preposta al controllo della disciplina farmaceutica, né tantomeno da alcun giudice nazionale durante il giudizio di un caso concreto. La mancanza di una pronuncia di illegittimità del procedimento di riconfezionamento altro non può che favorire l’inserimento dei due farmaci, Avastin e Lucentis, all’interno dello stesso mercato di riferimento.

Ecco che la Corte fornisce alle autorità antitrust e giudiziarie le linee guida per poter effettuare verifiche e valutazioni riguardo alla correttezza dell’offerta di Avastin off- label, sulla base di un iter logico piuttosto che

giuridico, in modo da poter mettere in atto un intervento antitrust con la consapevolezza degli effetti che da questo derivano.

3. 5 Le decisioni del Consiglio di Stato

Il 15 luglio 2019 il Consiglio di Stato si è pronunciato sul caso Avastin– Lucentis con le sentenze n. 4967/2019 – Sezione Terza e 4990/2019 – Sezione Sesta, con le quali ha condannato Roche e Novartis ad una sanzione di circa 180 milioni di Euro e confermando il provvedimento che l’AGCM aveva emanato nei confronti delle due aziende nel 2014 per pratiche anticoncorrenziali.

Nello specifico, la sentenza 4967/2019 ha confermato la legittimità dell’inserimento di Avastin utilizzato off-label nella cosiddetta lista 648 da parte dell’AIFA, che prevede la rimborsabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale dei farmaci utilizzati per la terapia di determinate patologie, anche a seguito di un utilizzo off-label, nonostante sul mercato siano presenti altri farmaci specificatamente autorizzati per una determinata patologia. Il Consiglio ha inoltre precisato che il riconfenzionamento di Avastin in siringhe monouso è possibile e non configura un procedimento necessitante di una AIC specifica ed autonoma. Tale parere esclude ogni contrasto tra la normativa italiana in ambito farmaceutico e la normativa europea; precisamente, il giudice adito non ha rilevato alcuna incompatibilità tra la normativa nazionale ed il Regolamento n.83 del 2001 in materia di prodotti farmaceutici e con il Regolamento n. 726 del 2004 relativo alla procedura comunitaria per l’autorizzazione e la vigilanza dei medicinali ad uso umano e veterinario. Nella sentenza infatti si evidenzia anche l’insussistenza di un contrasto normativo tra la normativa europea e il decreto Lorenzin, riguardante la possibilità di rimborso dei farmaci off-label

da parte del SSN anche se gli operatori sanitari potessero reperire sul mercato un farmaco con autorizzazione specifica per il trattamento del paziente, il Consiglio di Stato infatti afferma:

“Con tale affermazioni la Corte di Giustizia Europea ha sostanzialmente negato che la norma del c.d. decreto Lorenzin, che ha disposto la rimborsabilità di taluni farmaci per il loro uso off-label in presenza di una valida alternativa terapeutica, contrasti con la direttiva UE 89/105/CE ritenendo che lo Stato dispone della competenza in materia”.

Con riferimento alla problematica più complessa, quella relativa all’uso off- label del farmaco che presuppone il frazionamento e riconfezionamento del prodotto, la sua somministrazione in modo diverso, per la cura di una patologia differente, in relazione alla possibile violazione dell’art. 6, par. 1 della direttiva 2001/83/CE, il Consiglio ha rilevato che:

- la normativa dell’Unione in materia di prodotti farmaceutici non vieta né la prescrizione di un medicinale «off-label» né il suo riconfezionamento ai fini di tale uso, ma subordina dette operazioni al rispetto di condizioni stabilite da tale normativa (sentenza del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a., 179/16, EU:C:2018:25, punto 59) (punto 51).

Pertanto, ha escluso che l’utilizzazione off-label di un prodotto farmaceutico possa impattare – a priori – con la normativa europea, dovendo valutarsi caso per caso.

La Corte ha poi interpretato i quesiti e li ha esaminati in ordine logico, dando priorità al secondo, nel quale la Sezione si era posta problemi sull’applicabilità, al caso di specie, della c.d. esenzione galenica. La Corte ha fornito un’interpretazione della normativa recata dalla direttiva 2001/83/CE, richiamando propri precedenti, alcuni dei quali relativi proprio alla vicenda dell’Avastin, in modo del tutto diverso da quello prospettato

dalle parti in giudizio e ripreso dal Collegio nella propria ordinanza di rinvio pregiudiziale.

Su tale questione, la Corte ha ritenuto che: “l’ambito di applicazione della direttiva 2001/83 è stabilito, in modo positivo, al suo articolo 2, paragrafo 1, a termini del quale tale direttiva si applica ai medicinali per uso umano destinati ad essere immessi in commercio negli Stati membri, preparati industrialmente o nella cui fabbricazione intervenga un processo industriale (punto 55, prima parte)”.

Ciò significa che l’Avastin, essendo un farmaco industriale, è sottoposto all’applicazione della direttiva a prescindere dalle vicende che si pongono “a valle”, dopo la sua produzione e la immissione in commercio: ciò costituisce una garanzia perché altrimenti il prodotto non sarebbe assoggettato alle norme in tema di farmacovigilanza.

Sempre in riferimento al decreto Lorenzin, il Consiglio di Stato precisa ancora più marcatamente che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, il decreto non solo è stato emanato nel pieno rispetto della normativa europea, ma è stato finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico attraverso il contenimento della spesa sanitaria, così da poter ampliare l’accesso alle cure di tutti i soggetti affetti da maculopatia. Tale provvedimento del Ministro della Salute non ha inoltre imposto la prescrizione ai medici dell’Avastin off-label, anzi ha tutelato la piena libertà del medico nella scelta del farmaco in base alle personali esigenze del paziente cui si trovava di fronte. A parer del Consiglio non vi è alcun intento da parte dello Stato di favorire l’utilizzo di un farmaco rispetto ad un altro, ovvero il Lucentis, che comunque continua ad essere ampiamente utilizzato e preferito dai medici. Infatti nella sentenza si afferma che:

“L’introduzione del decreto Lorenzin ha consentito, infatti, nel pieno rispetto della normativa europea (come accertato dalla Corte di Giustizia

UE) di consentire ai medici di disporre di una maggiore scelta tra i farmaci da somministrare per la cura della forma “umida” della maculopatia correlata all’età, in modo da poter selezionare il prodotto più indicato per ciascun paziente soddisfacendo, nel contempo, l’interesse pubblico al risparmio di spesa che garantisce, a sua volta, la possibilità di utilizzazione delle economie per garantire ulteriori prestazioni sanitarie a favore della collettività. (..)”

La scelta dell’uso del farmaco da prescrivere rientra nella scelta del medico: la rimborsabilità dell’Avastin per l’uso off-label non ha certo imposto ai medici di prescriverlo, ha soltanto attribuito loro la possibilità di scegliere tra un maggior numero di farmaci quello più confacente alla condizione clinica del paziente.

L’introduzione normativa recata dal c.d. decreto Lorenzin non ha inciso, quindi, sulla libertà prescrittiva del medico e sulla sua responsabilità. Peraltro dalle tabelle prodotte in giudizio dall’AIFA si evince la prescrizione dell’Avastin da parte dei medici – come è logico che sia, essendo stato reso rimborsabile dal SSN – ma senza che ciò abbia determinato un crollo nelle prescrizioni degli altri farmaci destinati a quella indicazione terapeutica, che sono comunque preferiti dagli specialisti.

Sussiste, quindi, l’imprescindibile collegamento tra la prescrizione off-label dell’Avastin ed il singolo paziente, così come richiesto dalla Corte di Giustizia al giudice del rinvio, e viene assicurata anche la sicura tracciabilità degli usi intravitreali del farmaco, in modo da evitare il rischio di abusi, che – comunque – ove dovessero effettivamente verificarsi, sarebbero