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I concetti fin qui espressi sono stati evidentemente mutuati da una filosofia estremamente antica, ma Martha Nussbaum non è sicuramente un’autrice anacronistica e collocata al di fuori della contingenza del mondo in cui vive. Di seguito una breve descrizione del mondo moderno fornita dalla stessa autrice all’interno di “Non per profitto”:

“viviamo in un mondo in cui le persone si trovano di fronte, affacciate su baratri geografici, linguistici e di nazionalità. Più che in ogni altra epoca del passato, tutti noi dipendiamo da persone che non abbiamo mai visto, le quali a loro volta dipendono da noi. I problemi che dobbiamo affrontare – economici, ambientali, religiosi e politici – sono di portata mondiale e non hanno possibilità di essere risolti se non quando le persone, tanto distanti, si uniranno e coopereranno come non hanno mai fatto finora”28.

Ricapitolando, il riconoscimento di tratti condivisi ed universali è la premessa necessaria alla formazione di un dialogo condiviso e che si pone come obiettivo quello di dare ad ognuno la possibilità di svolgere una vita dignitosa. Questo terreno comune di scambio ci conduce necessariamente ad affermare che non siamo solo parte di un certo tipo di società, sviluppatasi secondo caratteristiche specifiche e derivanti dalla particolare predisposizione geografica, dalla storia e mutuate dall’economia; siamo parte di un qualcosa di più grande, di una comunità globale umana che tuttavia non annichilisce l’importanza delle differenze. Per dare una forma più comprensibile alla propria

concezione del Villaggio Globale, la filosofa attinge nuovamente ad un’immagine mutuata dallo stoicismo e raffigura il mondo come un grande organismo all’interno del quale ogni piccolo organo deve svolgere la propria parte e contribuire al buon funzionamento della totalità.

In quest’ottica, la diversità diviene ricchezza e terreno su cui basare la cooperazione in vista di un fine più grande. A tale proposito la scuola deve fornire gli strumenti per comprendere le culture altre: la storia, lo studio delle religioni e delle lingue sono per l’autrice essenziali alla rivalutazione positiva delle differenze ed efficaci antidoti all’ignoranza che nasconde la limitatezza della nostra esperienza. Per rafforzare la propria posizione la filosofa riporta l’esperienza di Billy Turcker, uno studente di economia di un importante università americana29. Il ragazzo, intervistato dall’autrice, racconta come si

sia ritrovato a frequentare alcuni corsi di filosofia e logica, in particolare di come si sia approcciato a Socrate su suggerimento di un’insegnate della facoltà. Stupito dal piacere che provava nell’apprendere la filosofia, lo studente si sarebbe poi cimentato in discussioni pratiche fondate sull’argomentazione razionale in cui gli veniva commissionato di sostenere posizioni avverse alle sue. Turcker riporta come la pratica socratica abbia cambiato man mano il suo modo di intendere la discussione politica e si sia ritrovato a fare più attenzione alle motivazioni alla base di determinate affermazioni ed alla loro validità sul piano razionale, rendendosi così conto di aver abbandonato il modello competitivo ed incentrato sul successo con cui era stato abituato a ragionare. Questo piccolo aneddoto racchiude in sé molte delle caratteristiche del pensiero delle Nussbaum ed è sicuramente esplicativo di alcuni tratti tipici del cittadino del modo: l’altro non è nemico da sconfiggere ma umano da comprendere; la discussione è terreno comune

di costruzione di significati e non luogo di sopraffazione; il razionale è la chiave per realizzare la convivenza pacifica e positiva e, infine, la scuola e lo studio ricoprono un ruolo centrale ed essenziale alla produzione di buoni cittadini e buoni umani.

Tagore scrisse che noi possiamo acquisire potere con il sapere ma la vera ricchezza la otteniamo con la sensibilità ai problemi degli altri. Egli riteneva, tuttavia, che questa educazione alla comprensione per l’altro non venisse solo sistematicamente ignorata nelle scuole ma anche severamente repressa. Infatti. i cittadini non possono comprendere autenticamente la complessità del mondo che li circonda soltanto grazie alla logica e alla semplice conoscenza dei fatti. Essi hanno bisogno di una competenza particolare, strettamente collegata alle altre due, quella che noi chiamiamo “immaginazione narrativa”, cioè la capacità di mettersi realmente nei panni di un’altra persona, di essere un lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettative e i desideri. Per sviluppare questa capacità le scuole devono assegnare un posto di rilievo nel programma di studio alle materie umanistiche, letterarie ed artistiche, coltivando una formazione di tipo partecipativo che sviluppi la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona.

Come abbiamo detto prima, i bambini nascono con una propensione di base ad aprirsi agli altri. Le loro primissime esperienze, però, sono dominate da un potente narcisismo, da un’ansia per il nutrimento e per il benessere, ancora slegati da un vero riconoscimento della realtà degli altri. In altre parole, i bambini vedono l’altro come una cosa, non come una persona, e devono gradualmente imparare a superare questa fase. Spesso accade che i bambini capiscono che i loro genitori sono delle persone ma non riescono a rispettarli, a capire che essi hanno un mondo interiore fatto di pensiero e sentimento. L’educazione e la vera crescita si ha quando il bambino è responsabile delle proprie azioni, non ha bisogno di trattare gli altri come suoi servitori e non si aspetta che gli altri risolvano i suoi

problemi. Il bambino sa che il mondo è un posto dove tutti noi abbiamo problemi e abbiamo bisogno di trovare sostegno. Crescendo, il bambino capisce che non è solo nel mondo perché vi sono altre persone con la loro vita e i loro bisogni.

La capacità più importante che un bambino deve acquisire e deve sviluppare crescendo è quella di rispettare gli altri e questa può essere raggiunta tramite il gioco, come sosteneva Donald Winnicott (1896-1971), pediatra e psicoanalista britannico. Winnicot cominciò la pratica della psicoanalisi dopo molti anni di professione pediatrica, che comunque continuò per tutta la vita. Secondo Winnicott, il bambino è molto narcisistico però gradualmente può sviluppare la capacità di stare da solo – aiutato dagli “oggetti transizionali” (le coperte e i pupazzi che permettono ai bambini di consolarsi quando i genitori sono assenti). Lentamente il bambino impara a stare da solo e comincia a vedere i genitori come delle persone autonome che non possono risolvere i suoi bisogni.

Il gioco, pensava Winnicott, è la chiave di una crescita sana della personalità e permette al bambino di acquisire fiducia e sicurezza.

Inoltre, anche Winnicott riteneva che il gioco avesse un ruolo fondamentale nella formazione di una cittadinanza democratica e sosteneva che la funzione svolta dal gioco nell’infanzia veniva sostituita dalle arti nell’età adulta. In altre parole, egli affermava che la funzione principale dell’arte in tutte le culture umane è di preservare ed ampliare lo “spazio del gioco” e dunque il ruolo delle arti nella vita umana è, principalmente quello di nutrire ed estendere la capacità di empatia. Quando l’individuo fruisce una complessa opera d’arte è come se egli provasse ancora il piacere che sperimentava nei giochi di bambino. Anche i pedagogisti di cui si è parlato prima criticavano la scuola tradizionale perché essa non comprendeva il valore educativo del gioco e ripetevano che il gioco

dovesse essere inserito nei meccanismi della formazione, sia primaria che secondaria30.

Ancora con Froebel, egli insisteva ad esempio sull’esigenza dei bambini molto piccoli di esplorare il proprio ambiente tramite la manipolazione di oggetti e usando l’immaginazione per dare vita a forme molto semplici, come sfere o cubi. Questi pedagogisti sapevano che il compito più importante della scuola è proprio quello di rafforzare le risorse emotive ed immaginative della personalità. L’istruzione tecnica e basata sui fatti non ha queste capacità innovative. Ripetiamo ancora che si può ritenere l’elaborazione artistica come la continuazione del gioco tra i bambini ed i genitori. Dewey scrisse parecchio sulle arti come ingredienti di base di una società democratica. Egli riteneva inoltre che non si dovrebbe insegnare ai bambini che l’immaginazione riguarda ciò che è irreale e fantastico. Al contrario essi devono abituarsi a cogliere la dimensione fantasiosa in ogni loro interazione e a vedere le opere d’arte come uno dei tanti ambiti in cui viene coltivata l’immaginazione. Dewey diceva che la differenza fra il gioco ed un’occupazione seria non sta nella presenza o nell’assenza di immaginazione ma nel modo in cui l’immaginazione viene esercitata. In una scuola che funzioni, i bambini arriveranno a capire che l’immaginazione è fondamentale per affrontare qualsiasi cosa che non riguardi un’esperienza fisica diretta. In altre parole, non conta solo ciò che noi concretamente abbiamo di fronte ma anche ciò che possiamo sperare, prevedere, sognare, ipotizzare come un esperimento scientifico, uno studio di economia, una proposta di legge.

Anche Tagore dava moltissima importanza alle arti ed infatti nella sua scuola veniva data enorme importanza a tutte le arti sin dall’inizio della formazione di un bambino. Per lui, il ruolo principale svolto dalle arti era quello di sviluppare la comprensione per gli altri.

Tagore si rivolgeva soprattutto alle donne e difese per tutta la vita la libertà e l’uguaglianza delle donne; capì che non si poteva semplicemente dire alle ragazze di muoversi con maggiore disinvoltura dopo tanti anni di repressione ma occorreva invece insegnare loro dei movimenti di danza che le facessero rilassare. L’istruzione basata sulla letteratura e sulle arti arricchisce l’esistenza della persona anche quando le nozioni studiate sono ormai dimenticate, sviluppa la capacità di comprendere gli altri e permette di coltivare lo “sguardo interiore” degli studenti.

In altre parole, la funzione delle arti nelle scuole e nei college è duplice: da una parte esse sviluppano le capacità di gioco e di empatia in senso generale, dall’altra parte esse lavorano sulle zone culturali meno conosciute. Bisogna comunque stare attenti perché molte volte le arti non trasmettono messaggi corretti e vengono strumentalizzate dal potere, come nel caso della letteratura e le arti dell’epoca fascista e nazista. In India, Tagore e Gandhi si sono adoperati per diffondere una cultura di pace. La scuola di Tagore, attraverso il linguaggio della danza e l’accento sulle arti, puntò a formare una personalità maschile che fosse ricettiva, giocosa e disinteressata al dominio sugli altri. In questo modo Tagore voleva rifiutare lo spirito aggressivo e colonizzatore che egli associava ai valori culturali europei e all’idea europea di virilità. Più tardi Gandhi legò chiaramente il suo approccio non violento al cambiamento sociale al rifiuto del dominio nelle relazioni sessuali. Per questo egli coltivò l’idea di educare persone che fossero “materne”, incitando i suoi seguaci a non essere violenti e dimostrando loro che si può essere veri uomini senza essere aggressivi e che la dignità umana viene prima di tutto il resto. Insomma, i bambini devono apprendere che la sensibilità non è effeminatezza e che virilità non significa non piangere, non condividere le pene dei poveri o degli esclusi. Per le arti vale quanto detto pere il pensiero critico. Si scopre che esse sono essenziali per l’obiettivo della crescita economica ed una sana cultura di mercato. I più importanti

formatori aziendali hanno capito da tempo che i buoni imprenditori devono avere una buona capacità di immaginazione. L’innovazione richiede intelligenze flessibili, aperte e creative; la letteratura e le arti stimolano queste competenze e quando esse mancano la cultura di mercato si indebolisce in fretta.

Si sarà probabilmente notato che, nelle argomentazioni fornite fin qui, del pensiero di Martha Nussbaum manca qualcosa. Se infatti la razionalità è la base del pensiero critico e della costruzione di quella comunità globale tendente all’armonia che dovrebbe essere la democrazia, essa non riesce ad esaurire il bisogno umano. Come già affermato l’autrice si sofferma sulla materialità necessaria alla vita per poter essere definita come dignitosa, questo però non basta e la filosofa sostiene quanto sia fondamentale aggiungere alla capacità logica ed agli oggetti la facoltà d’immaginare. Se infatti lo studio delle culture è in grado di fornirci elementi essenziali a comprendere l’esteriorità dell’altro, vi è una parte di esso che rimane costantemente ed inevitabilmente nascosta: l’interiorità non si mostra mai nella sua interezza e l’accesso alla diversità dell’umano che ci sta di fronte non è attuabile su base razionale. É perciò essenziale che la scuola, oltre che al pensiero critico, sviluppi negli alunni competenze immaginative capaci di fornire rappresentazioni dell’alterità. Ciò che non è accessibile su base razionale lo diventa nel momento in cui, basandomi su quello che sento in prima persona e sul funzionamento del mio corpo, riesco a raffigurare simpateticamente la reazione altrui ed il sentimento altrui. L'immaginazione metaforica è ciò per cui riusciamo a “vedere una cosa in un’altra, una cosa per un’altra”31 e, basandosi sulla fantasia, risulta importantissima alla comprensione e

31 Nussbaum M., Poetic Justice, 1996, trad.it. Giustizia Poetica, Immaginazione

letteraria e vita civile, Milano, 2012, p. 56.

strumento complementare alla logica. Il fantasticare, secondo questa accezione, darebbe valore aggiunto alla realtà. Grazie all’immaginazione infatti non solo diventiamo capaci di percepire gli stimoli esterni in funzione della loro oggettività fisica, ma possiamo attribuirvi un significato preciso: collegando gli oggetti a ciò che la nostra fantasia produce riusciamo a collegare cose in realtà distanti fra loro e trascendere la finitezza del reale andando oltre la percezione. L’autrice riprende qui le teorie di Ralph Ellison e parla di due distinte capacità di vedere collegate ad altrettanti differenti apparati visivi: se l’occhio svolge le funzioni che fisiologicamente sono attribuite alla vista, ciò non basta a soddisfare le esigenze umane. Così saremmo dotati di un “occhio interiore”32 capace di

attribuire significati agli stimoli provenienti dall’occhio esteriore ed assolutamente complementare e collegato ad esso. Per capire quanto questo sia importante per la Nussbaum è necessario analizzare il suo concetto di percezione. Per la filosofa le dotazioni fisiche ci permettono di comprendere (o meglio non-comprendere) l’altro solo in quanto materialità esterna a noi, in grado di muoversi, al massimo diverremo capaci di riconoscere la forma dell’agglomerato materiale che abbiamo di fronte, magari prevederne la traiettoria e la direzione di movimento. È più che evidente qui, come, partendo da questi presupposti, guardare ed analizzare razionalmente sia insufficiente in un processo di coniazione di concetti quali dignità umana, benessere, comprensione e via discorrendo. Se ciò con cui ci relazioniamo non è altro che un oggetto mobile non dovremmo preoccuparci di ferirlo o fargli del male. In funzione di questo prendiamo coscienza di come l’immaginazione sia assolutamente necessaria per scorgere l’umanità dell’alterità. Se non è infatti possibile percepire fisicamente quanto tutti gli esseri umani siano uguali e bisognosi di dignità, è quanto mai essenziale sviluppare le capacità

fondamentali alla rappresentazione fantastica di tali affermazioni. Basandosi sul proprio vissuto e sulla propria esperienze corporea di vita, l’individuo divine qui consapevole dell'adiacenza fra i suoi bisogni e quelli dei suoi simili che, in questo modo, non vengono più intesi come una serie di oggetti mobili ma come soggetti metaforicamente intesi oltre la dimensione materiale. La totale sottomissione del corporeo al cognitivo, caratteristica di Nussbaum, qui risulta più evidente che mai: la biologia ci concede la possibilità di vedere, ma guardare in sé è un’operazione neutra e spoglia; l’uomo deve immaginare i significati da attribuire a ciò che vede. Tramite la fantasia diamo vita a competenze empatiche e simpatetiche fondamentali a collocare l’alterità su un piano di uguaglianza rispetto alla soggettività però, ovviamente, nemmeno questo basta, ed è necessario chiamare in causa la ragione. Una volta compresa empaticamente l’alterità bisogna scegliere come comportarsi e come dirigere le azioni che ricadranno su quest’ultima, il ragionamento logico ed il pensiero critico di permettono di orientare l’agire secondo le coordinate di idee precedentemente accettate in base alla loro razionalità. Un comportamento dannoso per l’altro quindi sarà radicato in idee sbagliate in quanto non analizzate correttamente mentre, un agire corretto deriverà dalla funzionalità logica del pensiero.

Ripercorrendo il pensiero di Martha Nussbaum, in maniera sintetica, possiamo affermare che:

• La biologia fornisce gli strumenti essenziali ad una percezione che si sviluppa sull’asse della materialità e che rimane collegata al dominio fisico;

• Tale percezione è arricchita dalla facoltà immaginativa che trascende il reale e da significato al materiale;

• L’universo di significati generatosi tramite immaginazione viene analizzato e scandagliato razionalmente;

• L’analisi razionale produce idee e valori accettabili su base logica e dimostrabili come verità oggettive in funzione delle argomentazioni valide che è possibile fornire a sostegno di essi;

• Sulla base di tale sistema ideale è possibile orientare l’agire nel mondo materiale secondo le traiettorie della giustizia;

• La produzione cognitiva generatasi dalla percezione del mondo ritorna quindi ad incidere sulla categoria del reale in funzione delle azioni che è in grado di generare.

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