prime evidenze empiriche nella regione Campania
3. La governance nelle partecipate degli enti locali: aspetti generali
Il concreto raggiungimento, per le partecipate degli enti locali, dei requisiti di efficienza e di efficacia nello svolgimento dell’attività aziendale non può prescindere da un’attenta considerazione dei connessi assetti proprietari, ovvero delle modalità di esercizio dei diritti di proprietà da parte dei soggetti titolari(14) e dei correlati riflessi che essi determinano sugli assetti di governance. Le specificità proprie delle realtà in parola, tuttavia, pongono in evidenza come questi ultimi assetti debbano essere definiti non solo in base alle istanze degli investitori tradizionali (partners privati, altri enti pubblici ecc.) ma, anche e soprattutto, in funzione delle esigenze e delle attese della comunità locale, destinataria ultima dei servizi.(15) Fra gli strumenti “organizzativi” a disposizione dell’Ente, quello delle partecipazioni va analizzato tenendo conto di precipui fattori, riconducibili essenzialmente al diverso grado di coinvolgimento della holding pubblica nella compagine societaria ed al livello di separazione tra la proprietà e il management.
In linea con l’obiettivo della presente ricerca, escludendo dal campo di indagine i casi di partecipazioni pubbliche minoritarie, il titolare del controllo si identifica nell’Ente locale il quale, come noto, può detenere la totalità, ovvero la maggioranza del capitale nominale.
La struttura proprietaria che connota queste entità – volendo importare la tassonomia che a livello teoretico è stata elaborata per l’impresa – può rimandare tipicamente a due fattispecie, ossia a quella «chiusa» e a quella «ristretta»(16). Invero, è frequente riscontrare la prima tipologia nelle società a controllo totalitario pubblico, in virtù del fatto che la compagine manifesta una forte e stabile concentrazione del capitale nelle mani di uno o pochissimi soggetti – nel caso di specie, enti locali – i quali sono, al contempo, anche i
“fondatori” della società medesima. Ad ogni modo, pur in presenza di una pluralità significativa di enti aderenti, la struttura permane di tipo chiusa, in quanto gli stessi sono stabilmente coesi, accomunati dai medesimi interessi e poco intenzionati a consentire l’accesso a terzi investitori (privati), posta pressoché nulla la contendibilità del controllo.
Diversa è la seconda ipotesi, che accomuna questa volta le aziende a partecipazione ____________
(13) Si allude non solo alle quote di capitale conferito ma anche ai contributi in conto esercizio erogati
(14)Con riferimento alle imprese, è stato osservato come i diritti di proprietà comprendano sia il potere di governo economico, sia quello di appropriazione dei risultati economici che residuano. Sul punto, A.ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governance, Egea, 2006, pp. 121-123.
(15) Invero “nel caso specifico delle aziende considerate, gli stakeholders devono essere individuati, oltre che nei soggetti che apportano il capitale (…) e le altre risorse (…), anche nei destinatari dell’output prodotto dall’azienda, ossia l’intera collettività locale”. G.GROSSI (a cura di), La corporate governance delle società miste, Cedam, 2005, p. 4 e ss.
(16) L’impresa a proprietà ristretta «si caratterizza (…) per una compagine azionaria articolata e composita che però, come nell’impresa padronale e diversamente dalla public company, si mantiene stabile nel tempo, almeno nella sua parte più consistente». G. DONNA, La creazione di valore nella gestione dell’impresa, Carocci, 1999, p. 48 e ss.
mista, ovvero al cui azionariato figurano anche partners privati di minoranza; la proprietà ristretta, difatti, si caratterizza per l’esistenza, da un lato, di un nucleo stabile di soggetti proprietari di riferimento – enti pubblici – e, dall’altro, di un più ampio numero di investitori – privati – che detengono quote esigue del capitale, sebbene per un orizzonte temporale di medio/lungo termine.(17)
I diversi studi che si sono sviluppati sul tema hanno evidenziato come, in linea generale, entrambi i modelli – chiuso o ristretto – in linea di massima non sollevano problemi di separazione tra proprietà e controllo: ciò in quanto il maggior rischio che emerge in presenza di una compagine fortemente accentrata è compensato dall’attivo coinvolgimento della stessa proprietà al governo economico, limitando così i poteri discrezionali della classe manageriale.
L’attivismo in parola, al contempo, se pure permette di scongiurare la possibilità per i managers di perseguire fini personali (come, diversamente, accade nella fattispecie della public company)(18), può tuttavia alimentare un altro tipo di conflittualità, questa volta in seno alla medesima struttura proprietaria. Infatti, con riguardo alle partecipate miste emerge come la presenza di partners privati può paventare una contrapposizione di attese tra questi ultimi e la maggioranza (di natura pubblica), poiché divergenti sono gli obiettivi strategici di fondo sottesi alle due categorie di shareholders.(19)
Inoltre, per le specificità del settore, il principale investitore rappresenta di fatto anche l’intera comunità: agisce, cioé, sia in qualità di socio, sia in veste di regolatore/garante nell’ero-gazione dei servizi(20). Questa commistione di ruoli in capo allo stesso soggetto implica, però, anche una sovrapposizione di interessi tra loro non sempre convergenti: nel primo caso, quello di una congrua redditività aziendale, nel secondo quello di un adeguato soddisfacimento dei bisogni della collettività, che a sua volta comporta spesso l’assunzione di scelte e di comportamenti non pienamente ispirati alle logiche di profittabilità.
Va da sé allora che, in linea generale, l’assetto di governance cui addivenire debba essere pensato in modo da garantire una rappresentatività equilibrata della compagine azionaria, tentando di contemperare la diversità di propositi che vi confluiscono e di attenuare eventuali conflittualità. Si reputa, pertanto, fondamentale individuare un’architettura del governo economico idonea a tutelare le posizioni non solo di coloro che apportano capitale (shareholders), ma anche degli altri soggetti a vantaggio dei quali l’attività di ero-gazione viene svolta (stakeholders)(21).
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(17) Il vantaggio sotteso all’investimento nelle partecipate pubbliche, da parte delle imprese, può ricondursi ai benefici che scaturiscono dalla “presenza di un socio autorevole, radicato sul territorio a tempo indefinito e di cui può condividere l’immagine di tutore del pubblico interesse, con ciò migliorando la propria legittimazione sociale e di mercato”. A.GARLATTI, Enti locali e società miste: teoria e tecniche delle partnership societarie, Etas Libri, 2001, p. 23.
(18) Si allude, più precisamente ai problemi di agenzia tra proprietà e managers che caratterizzano le public company statunitensi. Cfr., per tutti, M.C.JENSEN-W.H.MECKLING, Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs, and ownership structure, in Journal of financial economics, n. 3, 1976, pp. 305-360.
(19) Al riguardo, seppur riferito alle società miste a partecipazione pubblica minoritaria, ma in ogni caso valevole anche per quelle partecipate a maggioranza, è stato segnalato come “La mancanza di unitarietà di indirizzi di governo può, infatti, generare un’eccessiva conflittualità che rischia di compromettere la sopravvivenza stessa dell’azienda”. E.ZUFFADA, Scelte strategiche negli enti locali, Giappichelli, 2006, p. 121.
(20) L’Ente locale, cioè, “assume il duplice ruolo di stockholder (azionista) e stakeholder (portatore di interessi) per cui esso è congiuntamente l’azionista di riferimento e il rappresentante degli interessi della collettività”. M.
MULAZZANI, La governance dell’ente locale tra indirizzo politico e controllo strategico sulle società per azioni dei servizi pubblici locali, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 11/12, 2005, p. 672.
(21) “Governance significa trovare le forme e i modi per contemperare interessi molteplici della società, per dare la necessaria attenzione e per rispondere in modo almeno soddisfacente alle attese dei diversi portatori di interesse con riguardo alle scelte dell’Ente/istituto/azienda”. E.BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni
Nella qualità di socio di maggioranza, l’Ente rappresenta di fatto anche il soggetto titolare dei diritti proprietari, il cui concreto esercizio si traduce, anzitutto, nella costi-tuzione e nella composizione degli organi collegiali deputati ad attuare le linee strategiche definite.
Tuttavia, stante la particolare tipologia del settore, soprattutto con riguardo alle aziende partecipate miste, lo statuto può attribuire all’Ente il potere di eleggere parte dei membri componenti i citati organi, a prescindere dalla quota partecipativa effettivamente detenuta (ovvero, può disporre del diritto di veto per determinati ambiti).(22) La previsione in commento, in pratica, attribuisce sic et simpliciter una posizione di assoluto dominio al socio pubblico rispetto a quella degli altri investitori e, di conseguenza, una prevalenza degli interessi di cui è portatore: il privilegio riconosciuto, come intuibile, si giustifica in virtù della veste di “rappresentante della collettività” che egli ricopre.
Dal punto di vista pragmatico, la selezione e la nomina diretta dei membri sovente viene effettuata nel novero degli esponenti degli organi istituzionali del soggetto pubblico medesimo(23), assicurando in questo modo una certa convergenza tra proprietà e governo. Si ritiene, infatti, che tali designazioni “interne”, realizzando teoricamente un allineamento tra il programma politico e l’indirizzo strategico, dovrebbero risolvere il problema di rap-presentare la summenzionata duplicità di figure ricoperte dalla holding nell’ambito dell’assetto di governance delle partecipate(24).
Ad una più attenta disamina, tuttavia, la risoluzione è solo formale poiché, in termini sostanziali, il meccanismo non fa altro che trasferire in capo agli organi collegiali delle partecipate le difficoltà di conciliare gli interessi derivanti dal ruolo rivestito dall’Ente, ossia in qualità sia di proprietario, sia di garante.
A titolo esemplificativo, si pensi come l’assunzione da parte del vertice di scelte volte al raggiungimento di congrui livelli di profittabilità, pur permettendo di “esternare e confermare” la propria professionalità e di appagare le esigenze del socio pubblico nella sua posizione di conferente il capitale di rischio, possa contrastare con la realizzazione degli obiettivi dell’Ente in veste di garante. Le strategie che quest’ultimo delinea, infatti, dovrebbero essere improntate al soddisfacimento della collettività in termini di conteni-mento dei prezzi, come pure di qualità del servizio erogato(25).
L’obiettivo di armonizzare la duplicità di posizioni assunte dall’Ente e di raggiungere adeguati standards quali-quantitativi definiti nella carta dei servizi è affidato ai managers i quali, al contempo, potrebbero essere portatori di propri interessi, ispirati, invece, al perseguimento di risultati di breve periodo e alla salvaguardia della loro permanenza ai vertici(26).
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pubbliche, Egea, 2006, pp. 35-36.
(22) Per le società per azioni con partecipazione pubblica minoritaria, l’art. 116 del TUEL dispone esplicitamente che “L’atto costitutivo delle società deve prevedere l’obbligo dell’Ente pubblico di nominare uno o più amministratori e sindaci”.
(23) È stato, infatti, riscontrato come, a livello europeo e limitatamente alle società miste “(…) gli organi sociali sono spesso completamente costituiti da rappresentanti scelti dal socio pubblico, anche tra i componenti dei propri organi istituzionali o i propri dipendenti; inoltre i rappresentanti dell’Ente locale svolgono spesso funzioni di presidenza degli organi esecutivi aziendali”. G.GROSSI, op. cit., 2005, p. 68 e ss.
(24) “L’istanza di indurre nelle aziende una condotta sintonica con gli orientamenti e le esigenze dell’Ente territoriale viene di solito considerata soddisfatta per il semplice fatto che ai vertici delle aziende stesse vengono collocati esponenti di fiducia del consiglio comunale/provinciale”. A.GARLATTI, op. cit., 1994, p. 165.
(25) Cfr. N.PERSIANI, op. cit., p. 83.
(26) Si rende opportuno, dunque, definire delle specifiche linee di convergenza a causa della “frequente
Pertanto, il teorico allineamento tra disegno politico e indirizzo strategico che dovrebbe scaturire dalla nomina diretta degli organi di gestione, si traduce spesso in un concreto disallineamento rispetto ai comportamenti operativi adottati dai membri esecutivi, accen-tuato ancora di più dalla scarsa presenza di strumenti di monitoraggio, a disposizione del soggetto pubblico, che consentano di verificare la fattiva realizzazione in itinere delle finalità assunte in sede di pianificazione. Probabilmente, il ricorso a premi di incentiva-zione a favore di amministratori e/o dirigenti, parametrati non solo al conseguimento di prefissati risultati economici – come tra l’altro previsto dall’attuale normativa – potrebbe costituire un espediente che, se impiegato in modo non distorto, permetterebbe di realizzare una sorta di (ri)conciliazione dei due orientamenti (strategico ed operativo)(27).
L’aspetto di maggiore criticità, dunque, risiede nella capacità di porre in essere idonei meccanismi di governo e di controllo, a disposizione dell’Ente, tali da consentire di verificare periodicamente il grado di raggiungimento delle linee strategiche formulate, opportunamente supportati sia da un flusso informativo trasparente e tempestivo, sia da una cultura ispirata ad una logica prettamente manageriale(28).