La valutazione del know-how
3. Individuazione del know-how e sua trasferibilità
La dottrina è unanime nell’indicare tre requisiti in presenza dei quali è possibile parlare specificamente di intangible asset o “beni immateriali” propri (ne sono esempio i marchi, i brevetti, le licenze, i diritti di concessione, il software, …):
− essi necessitano di considerevoli investimenti (costi di acquisto o di produzione), ini-ziali e successivi;
− l’utilizzo nel processo produttivo genera benefici economici incrementali, ragione-volmente valutabili in termini di maggiori flussi disponibili;
− sono autonomamente trasferibili o separabili dal complesso aziendale in cui risultano inseriti.
Ne deriva che i beni immateriali propriamente detti sono al contempo “identificabili”, di norma per mezzo di un diritto di privativa giuridicamente tutelato (dalla durata del quale può spesso dedursi la loro vita economica) e “separabili”, ossia trasferibili – mediante contratto – in modo autonomo rispetto al restante patrimonio aziendale.
Esistono altresì risorse intangibili destinate ad un durevole utilizzo nel sistema aziendale, le quali – pur essendo asservite al fine della produzione della futura ricchezza economica – ____________
(5) Cfr. ampiamente sull’argomento Beretta Zanoni (2005), e Amaduzzi (2005).
(6) Sull’ampio tema della valutazione economica degli intangible si rinvia, tra gli altri, a: Brugger (1989), Gallarati (1989), Lev (2001), Renoldi (1992), Vicari (1989). Sul piano internazionale, tra i contributi più recenti si richiamano:
Nelson (2006, pp. 21-41); Ritter-Wells (2006, pp. 843-863 ); Whitwell-Lukas-Hill (2007, pp. 84-90).
(7) Cfr., tra gli altri, Mouritsen-Larsen (2005, pp. 371-394), e Pike-Roos-Marr (2005, pp. 111-124).
non soddisfano tutti e tre i requisiti succitati. Tra queste spicca appunto l’avviamento di im-presa (che, rappresentando il fattore immateriale ‘ultimo’ o residuale rispetto agli altri elementi patrimoniali tangibili e intangibili, diviene l’espressione sintetica del modo d’essere dell’impresa stessa).
Nel contesto dell’economia degli intangibili, un ruolo di spicco lo svolgono gli elementi costituenti i knowledge asset. Tra essi è collocabile il know-how (solo in prima approssimazione identificabile con la tecnologia aziendale; Zanda-Lacchini-Onesti, 2005, p. 231 ss).
Ma, prima di affrontare le delicate questioni valutative riguardanti il know-how considera-to quale fondamentale bene / risorsa immateriale dell’impresa moderna, è doveroso inqua-drarne la natura anche alla luce della sua qualificazione giuridica, specialmente al fine di veri-ficarne il grado di tutela garantita (cui invero si correlano strettamente le concrete possibilità di legittimo sfruttamento dei benefici economici del know-how).
In questa prospettiva, il know-how, noto il recente Reg. (CE) n. 772/2004, è definito – in materia di accordi di trasferimento di tecnologia – come patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate (si badi, non necessariamente non brevettabili), scaturenti da esperienze e prove(8).
Invero, con il passare del tempo, la concezione del know-how ha visto divaricare gli oriz-zonti già delineati sul piano giurisprudenziale; si ricordi che la Corte Suprema di Cassazione si era in precedenza espressa nei termini di conoscenze che nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia e di regole di condotta che nel campo della tecnica mercantile vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale, attinenti al settore organizzativo o a quello commerciale in senso stretto; individuando in esse, quale connotato essenziale, il carattere della novità e della segretezza, affinché siano qualificabili come know-how (9).
Pertanto, anche alla luce delle nuove prassi aziendali e di quelle consolidate, è dato rin-venire innanzitutto un know-how “industriale” (peraltro spesso accompagnato da accordi di fornitura) e un know-how “commerciale”. A queste classiche forme si aggiungono – oggi –, con alcune intersezioni, un know-how “organizzativo” o “gestionale” (riguardante in senso generale le adeguate capacità di amministrazione economica del sistema aziendale), un know-how specificamente “finanziario” (attinente alla gestione speciale delle peculiari modalità di finanziamento o di analisi finanziaria delle operazioni aziendali, ad esempio mediante deter-minati financial indicator, rating interni, ecc.) e finanche un, più vago, know-how “strategico” (ri-guardante le capacità di determinazione strategica in campo aziendale; a tal riguardo, si pensi a eventuali formalizzazioni di schemi strategici sequenziali o modelli preconfezionati – me-diante flow chart, ricorsioni, ecc. – di azione, tesi a guidare la formazione di strategie future sulla scorta delle migliori pratiche passate e delle abilità di forecasting / planning maturate)(10).
In breve, va detto che le forme di know-how diverse da quello industriale sono sovente appel-late in modo sbrigativo come know-how commerciale.
L’evoluzione concettuale del bene in discorso, in definitiva, vede accanto al know-how in senso stretto (detto semplicemente industriale), concepito come insieme di conoscenze, espe-rienze, accorgimenti tecnici, aventi in sé caratteri di novità e segretezza, il know-how in senso ____________
(8) È stato osservato che alla categoria del know-how possono appartenere beni intangibili di grande pregio, “superiore perfino a quello di attività brevettate o coperte dal diritto d’autore” (Renoldi, 1992, p. 34) .
(9) Cass. Civ., 20-01-1992, n. 653, in Foro It., 1992, I, p. 1021 ss.
(10) Tali tecniche evidentemente non assicurano il successo delle strategie decise a tavolino; infatti, nella realtà, mol-te stramol-tegie di reale successo si presentano come stramol-tegie, almeno parzialmenmol-te, emergenti e dunque informali.
lato (commerciale), dato invece da qualunque tipo di conoscenza o esperienza, anche non stret-tamente (in senso assoluto) segreta, utile al settore operativo in cui si colloca l’impresa; la quale la sfrutta per recare giovamento alle tecniche non solo produttive, ma piuttosto distri-butive, finanziarie, strategiche, ecc.(11).
Più esattamente, in questa prospettiva, il citato Regolamento Europeo dispone (art. 1, i) – in chiave trasversale – che il know-how è un variegato patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove, patrimonio che è:
a) segreto, “vale a dire non generalmente noto, né facilmente accessibile”;
b) sostanziale, “vale a dire significativo e utile per la produzione dei prodotti contrattuali”;
c) individuato, “vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consenti-re di verificaconsenti-re se risponde ai criteri di segconsenti-retezza e di sostanzialità”.
Un ulteriore sviluppo normativo in tema di know-how si è da ultimo avuto con il recente Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 30/2005, coordinato e aggiornato con le modi-fiche di cui al D.L. n. 35/2005 e al D.Lgs. n. 140/2006), il quale ha palesemente colmato un vuoto sul piano domestico, prevedendo (Capo II, sez. VII) due articoli sulle “informazioni segrete” (artt. 98 e 99). Il Codice in pratica vede il know-how (pur senza avvalersi della sua de-nominazione anglofona) quale insieme di informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, ivi comprese quelle commerciali, assoggettate al controllo di chi le abbia poste in essere o acquisi-te. Esse occorre che denotino i seguenti caratteri (art. 98, I comma):
− siano “segrete, nel senso che non siano nel loro insieme, o nella precisa configurazio-ne e combinazioconfigurazio-ne dei loro elementi, geconfigurazio-neralmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore”;
− “abbiano valore economico in quanto segrete” (nel senso relativo appena precisato);
− “siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”(12).
L’art. 99, invece, vieta di rivelare a terzi, oppure trasmettere o far utilizzare – evidente-mente in assenza di diverso accordo – le informazioni e le esperienze oggetto di tutela (fatta salva la disciplina della concorrenza sleale). In definitiva, il know-how è inteso, oltre che come bene immateriale, come un vero e proprio diritto, oggetto di adeguata protezione giuridica (riscattando il gap che lo divideva dalla tutela brevettuale).
Tanto chiarito, venendo all’aspetto economico-valutativo, si può proporre una distin-zione tra know-how aziendale propriamente detto o “oggettivo”, generalmente avvinto alla tecnologia e alla produzione economica d’impresa (si pensi ad esempio alle conoscenze per la fabbricazione di prodotti formalizzate mediante procedure, pattern, fasi, formule, schemi, ricette, manuali non pubblici, ecc.)(13), e know-how in senso lato o “soggettivo”, per lo più legato a determinate persone e a loro intrinseche capacità (per loro natura non affatto o compiutamente formalizzabili), competenze manageriali o lavorative (di alto livello cognitivo e a ‘valore aggiunto’: expertise o employee know-how).
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(11) Per la dottrina giuridica di veda su tutti Galgano (1995, p. 1121 ss.).
(12) Il secondo comma dell’art. 98 puntualizza che costituiscono oggetto di protezione altresì i dati relativi a prove o altri dati segreti la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio. Ci si riferisce qui, in particolare, all’entrata in commercio di “prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche”.
(13) Per una recente analisi del know-how, nell’ambito degli intangibili tecnologici, v. Ferrata (2005, pp. 5-18; 2006).
In altri termini, vi sarebbe (a) un know-how reale, incorporato o incorporabile in una ‘res’ (in-tangibile) vera e propria (avente dunque un certo supporto; s’intende non umano), ovvero in un progetto reale in via di sviluppo (in process); e (b) un know-how personale (cioè individual skill afferenti a singoli soggetti, ma pure human resource o capacità sistemiche non formalizzate), tendenzialmente volatile e non separabile autonomamente dal sistema aziendale in cui opera (epperò in qualche modo trasmissibile temporaneamente o condivisibile ad esempio me-diante forme di sharing o di collaborazione).
Questa distinzione non ricalca quella più sopra vista, che contrappone il know-how indu-striale a quello commerciale (è ad essa trasversale). Infatti, elementi oggettivizzabili come una lista clienti o un data-base, pur afferendo all’area commerciale, sarebbero da considerare come know-how specifico/oggettivo; si tratta di elementi che rappresentano beni economici separa-bili dal sistema che li ha generati (o acquisiti). Sul piano pratico, ancora, potrebbero esservi elementi oggettivi, quali un know-how strategico, che di per sé appaiono staccabili dal sistema aziendale, perché tradotti in esplicite regole preordinate di condotta, manuali (di solito inter-ni, o al più pubblicati parzialmente), schemi di azione deterministici o normativi, rapporti sto-rici dettagliati su strategie e politiche aziendali sperimentate in passato, modelli ricorsivi ecc.;
tuttavia, se è vero che tali elementi sarebbero suscettibili in astratto di autonoma valutazione, va convenuto che il loro valore fattuale dipende dalle ipotesi di concreta reimpiegabilità in realtà aziendali diverse, come pure dalle capacità personali e possibilità tecniche del nuovo management di assorbirli correttamente anche in considerazione di svariati vincoli o impedi-menti di sorta.
Da quanto sopra emerge, allora, in ottica estimativa, una classificazione sostanziale tra:
− know-how aziendale quale bene immateriale specifico; e
− know-how aziendale quale risorsa intangibile indistinta o generica (l’impresa non è in gra-do di registrarne un asset vero e proprio, specie ove derivi da talune prestazioni indivi-duali o di team, ovvero da qualità o capacità umane diffuse nell’organizzazione).
La prima categoria è passibile di valutazione autonoma (in presenza di potenziali interes-sati), giacché l’intangible asset può godere di vita autonoma; ne consegue che si tratta di beni generalmente trasmissibili anche disgiuntamente dal sistema aziendale che li ha originati. La seconda categoria, invece, non essendo economicamente staccabile dal sistema aziendale, è solo congetturalmente valutabile “a parte”: si tratta di risorse (resource/skill)(14) trasferibili solo congiuntamente all’azienda (o a un suo ramo), in linea di principio confluenti d’insieme – nell’ambito del valore di avviamento – nel cosiddetto capitale umano. In tutti i casi, può trat-tarsi di know-how in via di sviluppo e comunque migliorabile attraverso nuove energie, sfide, investimenti.