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Il governo degli orfanotrofi

Dalle Antichità di Milano veniamo a sapere che San Martino “è governato (…) da ventiquattro deputati perpetui, de’ quali alcuni sono ecclesiastici, alcuni dottori, alcuni causidici di collegio, alcuni gentilhuomini et alcuni mercanti”312

. Siamo, lo ricordo, nel 1593. Venti anni prima il Ragazzoni, nella sua visita apostolica, invece non si era curato di informarci in merito all'organigramma dell'istituto. Si era limitato a dire che la cura degli orfani era affidata “ab infrascripto sacerdote rectore”313

individuato in quella figura che abbiamo visto di Antonius Persius, membro, della società dei Somaschi, secondo la dizione usata dal presule. Sottolineava, anche, la presenza di una corporazione laica la quale si era presa carico dell'amministrazione della cosa pubblica e ne era responsabile ancora “eorum cura geritur tam in corpore quam in anima a nobilibus e civitate”314

, scriveva. Non aggiungeva altro e non citava nessun nome a riguardo. Eppure già dai primordi dell'orfanotrofio di San Martino Girolamo Miani aveva cercato la presenza costante di laici che lo aiutassero economicamente a sostenere l'impresa315. Nelle Constitutioni316,

311Ibidem, p.28.

312 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p.101.

313La visita apostolica di Gerolamo Ragazzoni a Milano: (1575-1576), a cura di A.

G. GHEZZI, cit., p.152.

314 Ibidem.

315 Leggiamo in una “Informatione dell'erettione e governo dell'Ospedale di San

Martino degli orfani e Santa Caterina delle orfane” riportato da M. TENTORIO,

Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al 1650, cit., p.150

“(…) così il luogo di S. Martino è stato governato e si governa per detti religiosi regolari, e Deputati insieme”.

316 Per la precisione Constitutioni che si servano dalla Congregatione di Somasca

varate dopo la morte di Girolamo Miani si dice espressamente che fin dal primo momento dopo aver eretto istituti per il sostentamento degli orfani “sotto de questo far delle congregationi di cittadini et nobili”317

che collaborassero al buon esito. Girolamo Miani aveva raccolto intorno a sé, con il nome di “Compagnia degli orfani di San Martino”318

, un gruppo di deputati di cui conosciamo i nomi. Due di questi, Federico Panigarola319 e Marco Strada320, entreranno a far parte della Compagnia dei servi dei poveri. Gli altri, Francesco della Croce321, Gerolamo Calchi322, Francesco della Guascona323, Francesco Brivio324, e Lancellotto Fagnani erano esponenti del patriziato milanese325. L'orfanotrofio di San Martino in particolare, sappiamo, aveva avuto da subito una propria amministrazione laica. Inizialmente la direzione era stata affidata a Ambrogio Belviso, poi, a Gianfrancesco Porro. L'operato di questi deputati o dei procuratori altrimenti detti veniva a sua volta sottoposto a controllo.

Nel 1535, per portare un esempio, nell'orfanotrofio di San Martino i consuntivi di bilancio, stilati proprio dal Porro, erano stati ripresi da Giovanni Maria da Casate che provvide ad

ria dei Somaschi, 7, Roma 1978, riprodotte in G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., pp.304-308.

317 Ibidem, p.306.

318 G. SCOTTI, San Martino degli orfani di Milano dalla fondazione alla morte di

San Girolamo Miani (1534-1537), in Somascha, anno IX, n.2, 1984, pp.72.

319 Apparteneva ad una delle famiglie più illustri di Milano. Era protonotario apo-

stolico. Cfr. C. MARCORA, Ippolito II arcivescovo di Milano, in Memorie stori-

che della Diocesi di Milano, vol.VI, cit., p.422: “Al Miani si affiancarono come va-

lidi aiutanti Federico Panigarola, protonotario apostolico, il sacerdote Marco Strada ed i laici: Girolamo Calchi, Ambrogio Schieppato, Francesco Della Croce, Lancel- lotto Fagnano”.

320 Marco strada era di origine pavese. Passò molto presto nella Compagnia dei

servi poveri e l'8 agosto 1538 fu eletto tra i consiglieri della compagnia. Sulla sua figura si veda il già citato R. DA SANTA MARIA, Flavia Papia sacra, cit., p.42.

321 Di nobile famiglia milanese era giureconsulto. Figlio di Paolo Croce decurione

della città di Milano. Poi prefetto nel 1540. Cfr. SITONI, Theatrum equestris nobi-

litatis seu chronicon insignis collegii iuris peritorum, cit., c.93.

322 A lui si deve l'istituzione della scuola detta dei Calchi, appunto che sorgeva

presso San Vittore. A questa scuola sarà dato aiuto da parte della Compagnia dei servi dei poveri. Sulla sua figura di seguace del Miani abbiamo già parlato alla nota 82.

323 Oriundo da Firenze nel 1547 mise la propria casa a disposizione della Compa-

gnia. Dispose nel suo testamento che i suoi beni andassero alle scuole della carità di Milano. Le stesse scuole per gratitudine eressero in suo nome un monumento nella chiesa di S. Ambrogio. Cfr. SITONI, Theatrum equestris nobilitatis seu

chronicon insignis collegii iuris peritorum, cit., c.121.

324 Fu questore ducale sulle entrate ordinarie.

325 Di famiglia nobilissima fu padre di marco Fagnano che divenne poeta latino.

Nel 1547 Lancellotto fu delegato al capitolo delle compagnie degli orfani tenuto a Merone.

aggiungere delle modifiche. Il Porro venne così ritenuto responsabile degli ammanchi che fu costretto a rifondere. Ciò a dimostrazione che, tra le altre cose, i deputati laici erano costretti ad intervenire di tasca propria qualora il denaro a disposizione non fosse stato sufficiente. A tutti i deputati Girolamo Miani aveva riservato “ogni altra impresa”326

intendendo con il termine

altra tutto ciò che non concernesse l'educazione, l'istruzione e

l'accudimento dei bambini ospitati. Ad essi era demandato l'esercizio circa le cose temporali327. Per provvedere alla contabilità dell'istituto e conoscerne le necessità questi dovevano riunirsi una volta la settimana328. La sinergia che si era creata all'interno degli istituti tra cooperatori laici e confratelli si esplicitava nelle riunioni settimanali alle quali presiedeva il rettore in qualità di superiore religioso. Lui e il priore laico avevano piena autorità sull'orfanotrofio sebbene con ruoli distinti. Nel discorso tenuto dal vescovo di Bergamo Pietro Lippomano, e di cui abbiamo già riferito, datato 12 luglio 1533, le disposizioni in merito alla gestione degli orfanotrofi erano già ben delineate. In esso leggiamo che ai deputati doveva essere concesso il diritto “de procurar le elemosine e quelle dispensare, sicome meglio e più espediente a loro apparerà”329

. Siano anche solleciti nell'informarsi della presenza di popolazione indigente in modo tale che “li debono recevere ad essere nutriti e gubernati”330

. Il vescovo non aveva mancato nell'omelia di far notare come la partecipazione di laici alla causa non fosse solo motivo di prestigio personale perché così “ne reporteranno merito et premio immortale”331

ma soprattutto in questo modo “la città e la patria nostra tutta ne resterà bene edificata”332

. L'invito a far opera di beneficenza era accompagnato, nell'omelia del vescovo, dalla promessa di concedere quaranta giorni di indulgenza333, per meglio solleticarne l'impegno. Lippomano non

326 G. SCOTTI, San Martino degli orfani di Milano dalla fondazione alla morte di

San Girolamo Miani (1534-1537), in Somascha, anno IX, n.2, 1984, p.72.

327 Constititutioni che si servano della Congregatione di Somasca dedicata al mini-

sterio degli orfani della città di Lombardia, in Fonti per la storia dei Somaschi, 7,

Roma 1978, pp.13-14.

328 P. LIPPOMANO, Estote misericordes sicut et pater vester celestis misericors

est, Mathei quinto et Lucas sexto, in G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., pp. 264; “conveneranno tutti insieme a

consultare almeno una fiata la septimana le cose expediente e necessarie alla manutencia e acresimento de quelli pupilli orphani”.

329 Ibidem. 330 Ibidem, p.265. 331 Ibidem. 332 Ibidem.

333 Ibidem, : “(...) el reverendissimo monsignore vescovo concede generalmente a

si limitava ad auspicare che più laici convergessero verso una vita più umile. Ordinava anche “ che in tutte le terre de la dyocese (…) siano instituiti alcune devote persone quale abyno a procurare le elymosine”334

. Con l'assicurazione dello zelo filantropico da parte dei boni viri non si esauriva, per altro, il loro impegno a far opera di conversione ad una vita più devota. Il primo passo doveva consistere nel vivere cristianamente, nel rifuggire le cattive compagnie, nell'evitare traffici disonesti e nel curare in particolar modo la propria famiglia335. Ciò doveva poi tradursi in una gestione del bene pubblico assolutamente trasparente.

Nell'omelia del vescovo di Bergamo, di cui sopra, leggiamo infatti che anche le elemosina perché siano gestite in maniera corretta non “se ne faza cumulo alcuno, per voler comparar rediti”336

. Nella Bolla di Pio IV del 1563 la concessione delle indulgenze ai confratelli degli istituti per i bambini era vincolata al fatto che “per clericos et laicos insimul gubernari consueverant”337. La presenza di laici alla cosa sacra era la dimostrazione di come una in una società ben ordinata le due realtà non fossero conflittuali. Nelle Azioni della città di

Bergamo del 1533, anno in cui abbiamo visto il sorgere

dell'orfanotrofio di San Martino, per esempio, la collaborazione tra stato e chiesa è ancor più auspicata, perché, si legge “è offitio di qualunque città ben istituita haver fra le altre cose la mente in primis errecta alle cose sacre”338

. La laicizzazione di certi enti aveva caratterizzato molte realtà comunali in questo scorcio del secolo XVI. Le magistrature cittadine, in un momento di forte contrapposizione tra potere civile e potere ecclesiastico, avevano sopperito alle pastoie burocratiche cercando di rendere autonome le proprie pertinenze amministrative, da un lato, per equilibrare le tensioni che la diocesi esercitavano e, dall'altro, per poter agire in maniera indipendente. Ma Milano era un caso a parte. Nessuna magistratura cittadina aveva un ruolo ufficiale nella conduzione di luoghi pii o ospedali i quali, si era preferito, affidarli ad esponenti del patriziato locale che avevano dato mostra di capacità amministrative notevoli. Nelle Antichità ritroviamo un organigramma dei ruoli assegnati al patriziato. La disamina degli

lunque operacione, o consilio, o favore et a loro exibito, per ogni fiata giorni qua- ranta de indulgentia”.

334 Ibidem, p. 265. 335 Ibidem, p.37. 336 Ibidem, p.265.

337 Bolla di Pio IV, in G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri

somaschi, cit., p. 309.

338

incarichi ripartiti per la gestione dell'orfanotrofio è molto dettagliata. L'anonimo autore si sofferma, per esempio, sul ruolo del priore “ il cui officio dura solo sei mesi”339

e che non poteva ricoprire la stessa carica prima che fossero trascorsi due anni. Il suo incarico risiedeva nel riferire “in capitolo tutte le cose d'importanza”340

e, inoltre, si legge, che “tutto il governo di quest'opera passi bene”341

. Si passano poi in rassegna tutti gli altri ruoli. Riconosciamo così la presenza di un cancelliere “il quale ha da far tutte le scritture”342, due censori “quali hanno

d'avvertire i deputati, che mancano nel venire a' suoi tempi al capitolo”343, due ebdomadari “quali hanno da visitar i lavori che

giornalmente si fanno da gli orfanelli”344

. Leggiamo poi della presenza di due visitatori degli orfanelli, due per gli infermi e altri quattro “c'hanno cura di visitare et essaminar quelli ch'attendono alle lettere”345

non solo gli orfani ospitati in San Martino ma anche quelli che avevano trovato alloggio negli altri due istituti di Milano, della Colombara e di Trivulzio, di cui parlerò dettagliatamente nel secondo capitolo. Anche nel Capitolo del 1547 si prescrive che due dei deputati, un mercante e un artigiano, avessero l'incarico di visitar ogni zorno uno o due volte ditti orphani”346

. Rigorose le regole a cui tutti devono sottostare. “Che tutti si trovino al capitolo quattro volte al mese”347

, si legge, mentre ogni prima domenica del mese ci si riunisca per declamare i sette salmi, “con litanie et preci”348

. Non mancano perfino disposizioni post mortem. In suffragio dei deputati che fossero venuti a mancare si dispone che “gli altri dicano per l'anima sua una volta i sette salmi, con le preci appresso, et facciano celebrar una messa all'altar privilegiato di San Sepolcro”349. Ai deputati laici era richiesto anche un impegno che assicurasse un avvenire all'orfano una volta dimesso. Spettava a loro la collocazione del ragazzo. Nel 1532, per esempio, Pasqualino Zanchi un deputato presso l'orfanotrofio della Maddalena di Bergamo, si era preso cura di un orfano, Martino, che una volta dimesso era stato da lui segnalato a

339 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p.101. 340 Ibidem. 341 Ibidem. 342 Ibidem. 343 Ibidem. 344 Ibidem. 345 Ibidem.

346 G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., p. 40. 347 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p.101.

348 Ibidem. 349

Bartolomeo Zanchi perché imparasse il mestiere di calzolaio350. E' importante sottolineare che nel prosieguo dell'attività presso gli orfanotrofi gli stessi protettori o altrimenti detti devoti viri dovettero sottostare a norme totalmente distinte da quelle che regolavano l'opera dei confratelli. Si tratta delle regole confermate nel 1548. In un articolo delle stesse si faceva invito ai confratelli somaschi a redigere una regola universale che valesse per tutte quelle congregazioni cittadine che affiancavano con il loro zelo il lavoro dei prelati351. L'attenzione era rivolta principalmente ad una riforma personale. Per esempio si invitava a procurarsi un padre spirituale che vigilasse “sopra li costumj et negotij de confratelli”352

. Oppure che i propri figli fossero seguiti da “Maestri da bene (…) et non a le schole publiche et pericolose”353

. Infine che la propria opera non si fermasse tra le mura dell'istituto ma proseguisse anche fuori visitando e curando gli infermi provvedendo a interessarsi degli orfani dati a padrone354. Un anno dopo nel 1549 a Pavia le stesse norme saranno riviste e aggiornate. Fa specie, in questo caso, l'insistenza, ancor più tenace, con cui si invitava a disertare le scuole pubbliche355.

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