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Nei documenti legati all'intervento di Carlo Borromeo in merito alla disputa sorta tra deputati laici e chierici regolari, lo abbiamo visto, si fa esplicito riferimento a S. S. Martini et Catharinae au-

spicibus congregatis. Fino a quel momento l'istituto di Santa Ca-

terina non era uscito da nessuna testimonianza399. Siamo nel 1574 e ora abbiamo un primo richiamo all'esistenza di una sede con- cessa alle femmine ma nessun accenno né all'anno di fondazione, né a chi l'avesse voluta. Scrive il Morigia in Tesoro pretioso de'

Milanesi che Bona da Zenri, una delle orfanelle di Bergamo400

“era una di quelle che principiarono a Milano l'opera delle orfa- ne”. Pare lo stesso Miani l'avesse convocata per dar vita all'orfa- notrofio femminile. Ancora il Morigia in Historia delle origini di

tutte le religioni affermava che a Milano il Miani “fece tre luoghi

pij, cioè quello delli poveri orfanelli, l'altro quello delle Converti- te e il terzo quello delle fanciulle orfanelle”401

. La stessa Bona, in occasione della visita pastorale di Carlo Borromeo nel 1576, per altro, aveva avuto modo di confermare la voce che la voleva pri- ma artefice dell'orfanotrofio femminile.

Paolo da Seriate, chiamato a deporre nel processo di canonizza- zione di Girolamo Miani nel 1625, affermava di aver sentito an- che lui parlare di questa Bona da Zenri e che era opinione diffusa la voce che fosse la fondatrice dell'istituto milanese riservato alle bambine. Una certa Domenica de Cavatiis, chiamata a deporre

398 Ibidem, p.124.

399 In merito alla nascita e la storia dell'orfanotrofio di Santa Caterina in Milano si

veda: G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina delle orfane di Milano (1542-

1600), in Somascha, 1992, pp.20-58.

400 Bona da Zenri, di origine bergamasca, era nata nel 1532. Rimasta orfana era sta-

ta accolta nell'orfanotrofio di Bergamo. Giunta a Milano all'età di dieci anni entrò nell'orfanotrofio di Santa Caterina. Fu poi eletta per cinque anni come madre dell'istituto milanese.

401 P. MORIGIA, Historia dell'origine di tutte le religioni che fino ad hora sono

nello stesso procedimento di beatificazione, affermava che “i Pa- dri governano noi altre orfanelle”402

. Senza aggiungere altro in merito alla data di nascita dell'istituto. Per la verità il medico Gi- rolamo Dugnani in data 5 febbraio 1566 aveva fatto donazione, si legge nel documento, proprio al pio luogo di Santa Caterina di Milano, di un credito di seicentosessanta lire403. Stupisce quindi che, ancora nel 1574, nel Breve inviata dai deputati di San Marti- no a Carlo Borromeo per impetrare il suo intervento che dirimes- se le controversie sorte in merito all'amministrazione dell'ente, gli stessi non facciano nessun cenno all'istituto femminile. Nel 1575 Gerolamo Ragazzoni, il giorno dopo aver fatto visita all'or- fanotrofio di San Martino, “die XXX Novembris”404

, nel suo re- soconto, ci dice di essere entrato nei locali del ricovero

Sanctae Catharinae appellatum, in quo puellae itidem orphanae recipiuntur405.

In esso la cura delle orfanelle era affidata ai nobili della città, continua il Ragazzoni. Nei suoi locali trovavano alloggio settanta femmine che dovevano osservare una vita di obbedienza e di sa- ni principi morali406. Alla direzione della casa sovrintendeva una madre o governatrice407. Dello stesso avviso l'anonimo autore delle Antichità di Milano che nelle sue pagine, datate 1593, sem- bra aver preso in prestito la relazione del Ragazzoni quando af- ferma, parlando dell'orfanotrofio di Santa Caterina di Milano408, che “stanno in questa casa, o sia hospitale, ordinariamente circa settanta orfanelle, le quali oltra il governo et sopraintendenza universale de' sudetti deputati, sono governate in casa da alquante donne di honesta et virtuosa vita”409

. Come si vede i termini con cui nelle Antichità si descrive l'istituto riecheggiano quelli del Ragazzoni. Ma come aveva fatto per l'istituto di San Martino, an-

402 M. TENTORIO, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al

1650, cit., p.456.

403 Approfondimenti in tal senso li possiamo rintracciare in, G. SCOTTI, Il pio luo-

go di santo spirito alla Colombara di Milano nel secolo XVI, cit., pp.9-20.

404 La visita apostolica di Gerolamo Ragazzoni a Milano: (1575-1576) vol. I, cit.,

p.153.

405 Ibidem.

406 Ibidem:“Quam curam gerunt alii civitatis nobiles quo ad temporalia, idem vero

rector quo ad spiritualia hae modo sunt 70 et nihil fere habent in redditu. Puellas ipsas ad oboedientiam et vitam exactae comuniter servandam, adhortatum est reve- rendissimus Visitator.

407 Ibidem: “Matrem vero, vel gubernatricem ad regendas cum charitate, severita-

tem temperans humanitate, quae rex hoc in loco admonitionem visae sunt desidera- re”.

408 Sull'ubicazione della sede si veda: G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina

delle orfane di Milano (1542-1600), in Somascha, 1992, p.24.

409 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit., p.

che per la dimora femminile, il Ragazzoni prendeva atto dell'esi- stenza di questo luogo senza dilungarsi troppo. Come se avesse poco interesse nei suoi confronti. Oppure un certo pudore, per la presenza femminile, lo avesse frenato. Vista la sua reticenza, per poter avere un quadro storico più esaustivo ancora una volta dobbiamo fare affidamento alle pagine delle Antichità. L'autore a differenza del Ragazzoni infatti, ci dice, con dovizia di particolari che

sotto il governo de'i medesimi deputati, i quali, havendo per al- quanti anni governato detto hospitale di San Martino, et visto il frutto, che si cavava dalla buona institutione de' poveri figliuoli orfani, determinorno l'anno 1542, di provedere che anco le pove- re putte orfane havessero qualche luogo particolare, ove si po- tessero riporre et allevare nel timor di Dio410.

Se diamo credito a questa voce che vuole l'anno di erezione fissa- to al 1542, non si spiegherebbe la tesi che vuole Bona chiamata direttamente da Girolamo Miani per fondare l'istituto. A quella data il Miani era già morto. E' chiaro anche per l'autore delle An-

tichità che l'orfanotrofio femminile, diretta emanazione di quello

maschile, fosse gestito dalla stessa Compagnia di laici che ab- biamo ritrovato per l'orfanotrofio maschile in quanto, si legge, “questo è membro dell'hospitale di san Martino”411

e in esso ve- niva messo in pratica il progetto di raccogliere fanciulle bisogno- se, rigorosamente separate dai maschi, e porle sotto la tutela di donne oneste. La permanenza nell'istituto era segnata dalla desti- nazione delle orfanelle, una volta dimesse. Le strade erano due: o la monacazione o la collocazione da maritate. Per far ciò, leg- giamo

comminciorno a ricapitarle nel luogo, ove già era il monastero di Santo Ambrosio di Carugate, chiamato di Santa Catharina di Rancate, le cui monache erano state unite al monastero di Santa Catharina dell'ordine di Santo Agostino dell'osservanza412.

Questa le sede per alcuni anni “finché l'anno 1549 il signor Fran- cesco Taverna, allhora cancellario di questo stato, fatta fabricar una casetta a lato al portone di porta Nuova, la donò a detti depu- tati per habitatione di dette putte orfane come per instromento rogato il detto anno a 18 di febraro da Giovanni Antonio Sola,

410 Ibidem. 411 Ibidem.

412 Ibidem. Vd. C. PELLEGRINI, Frammenti su Girolamo Miani, in Somascha, an-

notaro di Milano”413

. In un elenco stilato nel 1557 troviamo tra le possessioni della Compagnia “le putte orfane di santa Cateri- na”414

ma non si parla della casa data in concessione dal Taverna. E' ancora l'anonimo delle Antichità a venirci in soccorso infor- mandoci che “la qual casetta poi l'anno 1562 s'aggrandì alquanto, fabricandovi anco la sudetta chiesa di Santa Catharina”415

, Pare che Filippo II si fosse comportato alla stessa stregua del duca Francesco Sforza nei confronti dell'istituto femminile. Come il duca, lo abbiamo visto, aveva concesso i locali esentando dal pa- gamento del fitto i padri somaschi, così il re, “allhora duca di Mi- lano, da cui fu parimente ad intercessione di detti deputati”416 aveva “donato a queste povere orfanelle, come per suo privilegio dato in Madrid a 20 di gennaro 1562”417

. L'orfanotrofio di Santa Caterina in Milano non pare essere stata l'unica istituzione a cui i Somaschi diedero vita, per altro. Lo stesso Girolamo Miani, in vita, aveva posto le fondamenta di quello di Bergamo, lo abbia- mo visto, ancor prima che nascesse l'istituto milanese e in cui, le cronache ci dicono, fu posto come Deputato nel 1592 Bartolo- meo Brocco già rettore di Somasca. Anche a Venezia, presso l'O- spedale dei SS. Giovanni e Paolo, esisteva un reparto destinato alle orfanelle dal 1530.

Sappiamo quante furono le orfane che avevano trovato asilo al momento della fondazione dell'istituto milanese. Nel 1542 sem- bra fossero quattro. Numero che salì fino a 25 cinque anni dopo, per arrivare a settanta nelle testimonianze che ho riportato. Non possediamo, però, un vero e proprio regolamento interno all'isti- tuto. Pare che le prime regole fossero da attribuire a Gerolamo Rabbia, allora priore dei deputati dell'istituto di San Martino, ma al momento della visita di Carlo Borromeo nel 1576, di esse non vi era più traccia. Dai verbali della visita possiamo, comunque, desumere che un minimo di normative fossero state consegnate al cardinale a titolo informativo in forma sommaria e, che per altro, non sembravano discostarsi troppo da quelle vigenti nell'istituto

413 Ibidem. p. 97. Francesco Taverna, di famiglia nobile, fu dottore collegiato, pre-

sidente del magistrato straordinario e gran cancelliere del duca Francesco Sforza. Carlo V, al suo arrivo a Milano, lo riconfermò nella carica. Sulla donazione di Francesco Taverna si veda ancora Ibidem, pp.81-91.

414 M. TENTORIO, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al

1650, cit., p.455.

415 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p. 97.

416 Ibidem. Si veda anche: G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina delle orfane

di Milano (1542-1600), cit., p.24.

417 Ibidem. Si veda anche: Arch. Gen. Somaschi di Genova, luoghi, Milano San

Martino. Inventario delle scritture pertinenti all'hospitale delle orfane di Santa Ca-

maschile418. L'età minima perché si potesse essere accolte era cinque anni, a differenza dei maschi che venivano accettati a set- te anni. Anche l'età di congedo era abbassata a 12 anni419. Carlo Borromeo, in seguito, stabilì l'intervallo dai sei ai dodici anni all'interno di un disposto che il cardinale volle fosse redatto per regolare la vita interna all'orfanotrofio. Era il 1583420. Revisioni più minute le ritroveremo nei quinterni datati 1591 e 1598. In ogni modo in tutte le disposizioni l'accettazione delle orfane era riservata al Capitolo dei deputati i quali poi dovevano “procurar a suo tempo di collocarle”421

, ossia di destinarle ad una occupazio- ne una volta dimesse. In casi eccezionali, poteva essere lo stesso arcivescovo a inviare all'istituto le bambine più disagiate422. Ai deputati era anche accordato il compito di procurar loro il vitto e il sostentamento. Nel Capitolo generale del 1569 la misoginia dei Chierici venne alla luce. Si dispose che le orfanelle fossero esclu- se dalla dipendenza diretta della Congregazione, togliendo loro una fonte di mantenimento, ma non di esentarle dall'assistenza spirituale423, Ciò alla luce anche delle disposizioni secondo le quali si faceva divieto di accettare la cura di bambine. Gli stessi Somaschi più volte avevano declinato da questo incarico. I decre- ti emanati dalla Compagnia dimostrerebbero la volontà di prose- guire nell'opera solo per i maschi424. “Che la compagnia non ser- va a luoghi di donne”425

si diceva, ma la realtà si dimostrò diver- sa. E contravvenendo la regola di ordinari come per esempio i Barnabiti, secondo la quale non era lecito accettare convertite ed

418 Arch. Curiale Arcivescovile di Milano, sezione XII, v.71, Santa Caterina delle

orfane, Verbale della visita di San Carlo Borromeo, 25 giugno 1576, p.7.

419 G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina delle orfane di Milano (1542-1600),

cit., p.31.

420 Si tratta degli Ordini delle putte et orfane del luogo di Santa Caterina di Porta

Nuova dati da monsignor illustrissimo et reverendissimo cardinale di Santa Pras- sede, arcivescovo di Milano, conservato presso l'Archivio Curiale arcivescovile di

Milano, sez. XIII, vol.54. Il regolamento consta di 29 capitoli. Dopo un primo ca-

pitolo introduttivo di carattere pastorale seguono il capitolo 2: Dell'institutione del luogo, il capitolo 3: Del fine delle orfane, il capitolo 4: Delle sorelle stabili, il capi-

tolo 5: Della madre. I capitoli 6-14 vertevano sulle mansioni ricoperte nell'istituto: vicarie, discrete, ascoltatrici, portinare, guardiane, maestre del leggere, sacrestane, dispensiere, infermiere. I capitoli 19-29 regolavano la vita interna: il momento del- la confessione, della comunione, del digiuno, dello stare in chiesa, del mangiare, del dormire e del silenzio.

421 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit., p.

98.

422 Ibidem.

423 M. TENTORIO, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al

1650, cit., p.456.

424 Ibidem, p.141: “Decreto che nell'accettazione dei luoghi si osservino inviola-

bilmente gli infrascritti capitoli”: (2) Che il luogo sia libero, onesto, separato da donne. (5) Che non entri alcuna donna e i soli uomini si amettono al suono del campanello alla porta.

425

orfane, i Somaschi convogliarono forze anche per assistere le bambine.

L'istituto destinato alle orfane ben presto assunse le caratteristi- che e applicò le regole in uso nelle strutture maschili. Per esem- pio l'accoglienza delle bambine era sottoposta alla verifica di al- cuni requisiti fondamentali: la loro legittimità di nascita, sancita dal battesimo, l'accertata povertà, e, in ultimo, la provata dipartita sia della madre che del padre. Così come avveniva negli orfano- trofi maschili. Anche nella visita apostolica che il vescovo Ange- lo Peruzzi426 effettua nella diocesi di Asti nel 1585, in un istituto femminile che, per altro, non era stato voluto dai padri somaschi, troviamo delle disposizioni analoghe427. Che le fanciulle siano indigenti e provengano da famiglia accertata erano regole indero- gabili anche li. Nell'istituto milanese, prima di varcare la soglia dell'istituto, l'orfana veniva visitata perché non abbia “mal di te- sta”428

si diceva. Le malattie riscontrate dovevano, se possibile, essere debellate prima dell'entrata in istituto. La giornata tipo era così scandita. Dopo la sveglia “da letto a mezz'ora del giorno”429 ad opera della guardiana si procedeva alla pulizia personale scandita dalla preghiera. Quindi le orfane leggevano qualche ca- pitolo del rosario accompagnato da orazione e meditazione men- tale430 terminata la quale iniziava la giornata lavorativa “sino si dice la messa”431

, poi, ancora al lavoro fino al desinare. Come si può vedere la giornata non si discostava troppo da quella dei ma- schi. Anche alle bambine veniva impartita un minimo di istruzio- ne per poter leggere i catechismi. Ma a differenza degli orfano- trofi riservati ai maschi, disposizioni più esaustive in merito al ti- po di istruzione ci manca. Il lavoro, che doveva occupare i bam- bini, si diceva nelle prime norme capitolari432, per le femmine era ancora più impellente. La manualità e la pratica che si richie-

426 Il 28 dicembre 1572 Peruzzi venne consacrato vescovo di Cesarea in partibus e

prestò giuramento di fedeltà al pontefice. Nel 1575 cessò dal suo incarico di vicario e da allora in avanti fu visitatore apostolico di numerose diocesi italiane: Mantova (1575-76), Pavia (1576), Pistoia (1582-83), Arezzo (1583), Luni-Sarzana (1584), Torino e Asti (1585).

427 La visita apostolica di Angelo Peruzzi nella diocesi di Asti (1585), a cura di D.

FERRO, Asti-Roma 2003, p.165, Visitatio domus orphanarum: “in domo praedicta non acceptantur nisi puelle utroque parente orbate et quae sint de legitimo matri- monio”

428 G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina delle orfane di Milano (1542-1600),

cit., p.32.

429 Ibidem. 430 Ibidem. 431 Ibidem.

432 G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., p.153.

“che tutti habiano qualch'esercitio secondo il suo grado et che si può fare più fa- cilmente da tutti”

deva alle fanciulle sarebbe bastata a soddisfare le esigenze di chi avrebbe dovuto accoglierle una volta dimesse. Fuori dall’istituto alle fanciulle era riservato solo impegno e lavoro. Se non avesse- ro trovato qualcuno disposto a sposarle avrebbero dovuto solo immolarsi alla dedizione e all’obbedienza, nelle case in cui sa- rebbero finite. E probabilmente anche se fossero giunte all’altare. Non si pretendeva da loro certo quella preparazione che, per i maschi, era la premessa ad una carriera ecclesiastica. Ne fa fede una disposizione secondo la quale la maestra di lettere, preposta alla loro educazione, in primis, doveva accertarsi, ogni giorno, che l'alunna fosse pulita e ciò soprattutto sulla cute. L’ordine era di lavar loro la testa433 e solo dopo poteva iniziare la lezione. Che si riduceva alla lettura e ad imparare l'ufficio della Madonna e al catechismo434. All'educazione delle orfanelle attendevano le so- relle stabilite coadiuvate da una guardiana che poteva essere coa- diuvata da una sotto guardiana435. Compito precipuo era quello di vigilare sulla loro effettiva deferenza e rispetto delle consegne: levata mattutina, presenza alla messa, impegno sul posto di lavo- ro436. Era tanto costante l'ingerenza delle guardiane che non si limitava all'educazione. Si prendevano cura anche del loro aspet- to apparente. Era compito delle guardiane rifornire di vesti ade- guate le fanciulle sprovviste o che avessero avuto un guardaroba scarso437. Non ultimo il contegno da mantenere all'interno della casa in cui non si tolleravano gesti avventati, grida e schiamazzi. Era fatto divieto anche di correre e vagare per i corridoi. Perché ciò non avvenisse le guardiane sorvegliavano438.

433 G. SCOTTI, Il pio Luogo di Santa Caterina delle orfane di Milano (1542-

1600), cit., p.34. 434 Ibidem, p.33. 435 Ibidem. 436 Ibidem. 437 Ibidem. 438 Ibidem.

Riassunto del I capitolo

Nel XVI secolo, a seguito di carestie ed eventi bellici, si rese necessario soccorrere l’infanzia che era rimasta colpita dalla crisi economica. I bambini a causa dell’aumento degli abbandoni fu- rono la categoria più colpita dalla crisi che investì l’Europa. Le cronache dell’epoca raccontano di orde di ragazzini che vagava- no in cerca di cibo e di un giaciglio per la notte. Le strutture, al- lora esistenti, non erano più capaci di alleviare le sofferenze. Nacquero, allora, istituti che si distinguevano per la competenza professionale che mettevano in campo. Alcuni si sarebbero occu- pati dei poveri, altri dei degenti ma ognuno di essi non avrebbe più invaso lo spazio altrui come era avvenuto fino ad allora. Le congregazioni religiose che avevano operato, per anni, a fianco delle istituzioni laiche, cercarono di convogliare gli sforzi anche in direzione dell’educazione non solo della semplice assistenza. In un periodo che stava assistendo all’esplodere del luteranesimo la chiesa aveva compreso che per arginare l’eresia fosse necessa- rio una severa istruzione religiosa. I Somaschi, come altre con- gregazioni , Scolopi o Barnabiti, cominciarono ad impegnarsi in questo settore. Artefice ne fu Girolamo Miani che già durante il suo apostolato nelle città venete, aveva prima raccolto i bambini abbandonati, poi, li aveva educati alla disciplina cattolica. L’opera di Girolamo Miani non si fermò a Venezia, da dove era partito, e Bergamo e Brescia, dove giunse nel 1530, ma si allargò ad altre città. A Milano, nel 1534, il Miani ebbe modo di fondare un orfanotrofio, il S. Martino, con la collaborazione e il sostegno del Duca Francesco che ne ammirò la probità. L’istituto si dotò, da subito di regole ferree che gli permisero di sopravvivere alle crisi economiche a cui fu soggetto nel corso dei decenni. Tra l’altro S. Martino operò con il concorso di Deputati laici che ne assunsero il controllo amministrativo mentre ai padri somaschi fu permessa la sola responsabilità dell’educazione da impartire agli orfani. Le controversie che sorsero tra Deputati e Somaschi in merito al governo dell’istituto, che negli anni aveva incamerato beni donati da numerosi benefattori, iniziarono pochi anni dopo la dipartita di Girolamo Miani e continuarono per decenni senza arrivare ad una vera e propria conciliazione.

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