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Per il periodo da noi considerato l'abbandono era pratica molto diffusa. Già nell’epoca romana assistiamo a questa usanza. Ma in età medievale il sorgere di ospizi per trovatelli gestiti dagli orga- ni istituzionali rompe la tradizione. A Pavia, per esempio, data al 1479 la nascita di un vero e proprio ospedale degli esposti su ini- ziativa municipale250. Il primo istituto ospedaliero che prese in cura i bambini esposti era stato, però, quello detto degli Innocenti a Firenze che datava 1445.

Da quell’esperienza sorsero altre strutture , ovunque, a Venezia, a Padova, a Bologna, a Roma e a Napoli251 per fare degli esempi. In particolare, quest’ultima città, vide sorgere nel 1537 in due distinti corpi di casa uno dei più grande plessi adibiti all’assistenza dell’infanzia voluto da don Giovanni Tapia già nel 1537252. A Roma, nello stesso volgere di anni, era entrato in fun- zione l’ospedale che, comunemente, i romani chiamavano Speda-

le de’ fanciulli spersi253

.

Tuttavia per il periodo medievale e parte di quello moderno, le strutture adibite all’assistenza non erano aperte indiscriminata- mente a tutte le età. Era invalsa l’idea che il fanciullo attraversas- se due periodi distinti. Un primo, che andava dalla nascita ai sette anni, detto dell’infanzia, nel quale il bambino era considerato in- capace di qualsiasi azione e di per se stesso bisognoso di ogni cu- ra. Questo periodo della vita del bambino aveva una valenza che trascendeva la semplice età anagrafica e toccava anche ambiti re- ligiosi. Secondo il vescovo di Modena Giovanni Morone era l’età minima perché si potesse impartire la cresima254. Un secondo, la cosiddetta puerizia255, che arrivava al quattordicesimo anno, in cui, da una fase di insipienza si passava ad una più responsabile e penalmente perseguibile256. Già Giustiniano considerava il quat- tordicesimo anno di età come quello della maturità sessuale257. Lo stesso diritto canonico aveva fissato l’età minima per cui con-

250 A. PASI, Politica assistenziale e controllo sociale in età moderna, in Storia di

Pavia: l’età spagnola e austriaca, vol. IV, tomo I, Milano 1995, p.294.

251 M. GARBELLOTTI, Per carità. Poveri e politiche assistenziali nell’Italia

moderna, Roma 2013, p.97.

252P. TACCHI VENTURI, Storia della compagnia di Gesù, vol. I, parte I, p.387. 253Ibidem.

254O. NICCOLI, , Il seme della violenza: putti, fanciulli, mammoli nell’Italia tra

Cinque e Seicento, Bari 1995, p.8.

255 Secondo Andrea da Volterra “intendendo pueritia fino a quattordici anni, dal

cominciar il parlar il fanciullo” (O. NICCOLI, , Il seme della violenza: putti,

fanciulli, mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento, cit., p. XVII).

256 M. GARBELLOTTI, Per carità. Poveri e politiche assistenziali nell’Italia

moderna, cit., p.98.

257 Corpis iuris civilis, II, Codez Iustinianus, a c. di P. KRUGER, Berlino 1880,

trarre matrimonio a dodici anni per le femmine e quattordici per i maschi258. Con queste premesse era scontato che anche le struttu- re che ruotavano intorno all’infanzia fossero di due tipi. I brefo- trofi erano riservati ai più piccoli, gli istituti di accoglienza erano aperti ai bambini oltre i sette anni di età259. Ma ciò che li rendeva diversi era il metodo di assistenza in essi praticato. Nei primi si rendeva indispensabile il semplice accudimento, nei secondi, a farla da padrona, era l’istruzione e, direi, più ancora l’educazione. Giunto alla seconda fase della sua crescita il bam- bino era pronto ad essere edotto nei tre principi su cui si reggeva la società dell’epoca: l’ordine sociale, l’etica del lavoro e la tutela dell’onore260. E’ risaputo come gli amministratori dei principali

ospedali del periodo medievale e oltre, per esempio, l’Ospedale Maggiore di Milano, fossero in dovere di assolvere a questo inca- rico una volta assunta la gestione dell’istituto. L’inserimento del fanciullo nell’ingranaggio della società, cessate le necessità stret- tamente fisiologiche, era lo scopo principale. Gli istituti che ruo- tavano intorno a questa infanzia cercarono fin da subito di riem- pire il vuoto che si era creato tra società e scuola, per esempio. Quest’ultima, latitante in molte strutture, non riusciva a coinvol- gere tutta l’infanzia, vuoi per motivi economici, vuoi per motivi sociali.

Tuttavia gli scarsi mezzi economici non permisero l’espletamento delle funzioni a cui le strutture di accoglienza erano state preposte. Accanto a questi enti il XVI secolo vede il proliferare anche di orfanotrofi per volontà di Gesuiti, Oratoria- ni e Somaschi

La Chiesa pur avendo profuso nell’Alto Medioevo sforzi notevoli nell’ambito caritativo non aveva, comunque, mai dedicato molta attenzione al destino dei bambini abbandonati e non. In tutte le istituzioni volute dal clero la destinazione d’uso era stata per anni l’accoglienza dei derelitti ma solo dopo l’arrivo del Miani e dei suoi confratelli una profonda revisione della loro gestione aveva mostrato l’inefficacia dei compiti che fino a quel momento essi

258 M. GARBELLOTTI, Per carità. Poveri e politiche assistenziali nell’Italia

moderna, cit., p.98: “Doveva esso la sua origine ad un umile laico, Leonardo

Cerusi, detto per antifrasi il Letterato, (…) uomo tanto povero di letteraria coltura e di beni di fortuna , quanto ricco di senno pratico, di pietà, di amor di Dio, di cuore soprattutto compassionevole alla vista dei luridi fanciulli vaganti per le vie dell’Urbe all’accatto, senza guida e istruzione di sorta, tristamente devoti alla miseria e al vizio”.

259 Ibidem, p.100: “L’ingresso dei bambini nei brefotrofi veniva registrato in

appositi libri, sui quali si scrivevano: la data e l’ora di entrata, le generalità dell’esposto e di chi lo aveva consegnato, se conosciute, le vesti, o meglio gli stacci in cui era avvolto e l’eventuale presenza di messaggi ed oggetti”.

260

avevano assolto261. A Cremona, per esempio, esisteva già una Pia casa degli Orfani della Misericordia che era nata grazie all’impegno di gruppi laici coadiuvati dal vescovo262

. O ancora, nella stessa Milano, San Martino, che diventerà sede ufficiale per Girolamo Miani e i suoi orfani, ancor prima del suo arrivo, era servita da ricovero agli infanti abbandonati. Ma l’unico compito a cui era preposto era il mantenimento mediante l’affidamento a balia263. Nessun altra prestazione era richiesta. L'operato del Miani, ben presto, trascese da queste semplici incombenze. Il so- stentamento e il nutrimento dei bambini abbandonati non dove- vano più, d’ora in avanti, costituire il solo scopo dell’istituzione, come fino a quel momento era avvenuto. Ad esso doveva essere affiancato un serio impegno nell’istruire i giovani ad un lavoro manuale con il quale essi potessero sostentarsi da soli una volta usciti dalle braccia dei confratelli somaschi perché il “mendicare era una cosa men che cristiana”264

.

Nella lettera di Galeazzo Capella al duca Francesco Sforza datata 1534 la relazione si soffermava sulle arti impartite da Girolamo Miani “non biasimevoli per sostentar la vita”265

. Proprio perché non era solo l'accudimento al primo posto. Ne era consapevole lo stesso duca di Milano il quale, nella prescrizione inviata nel 1534 ai prelati perché concedessero un aiuto economico all’istituto e di cui abbiamo accennato sopra, non si limita ad evidenziare l’opera di istruzione della comunità. Aggiunge che l’intento era quello che i bimbi poi cercassero “essi medemi il vivere quotidiano”266 ossia che fossero resi indipendenti. Nella comunità voluta da Gi- rolamo Miani, quindi, el lavorar et la devuciun ett la carità sono il fondamento dell’opera”267

. Si diceva che chi non lavorava con pace, devozione e modestia venisse addirittura allontanato268 Si sosteneva anche che chi non lavorava non aveva diritto al pa- sto269. L’apprendistato ad un mestiere poteva avvenire indifferen-

261 A. BIANCHI, Carità ed istruzione nell’assistenza agli orfani tra XVI XVII

secolo. Gli orfanotrofi dei somaschi, in La città e i poveri. Milano e le terre lombarde dal Rinascimento all’età spagnola, a cura di D. ZARDIN, Milano 1993,

p.75.

262 Vd. Cremona, l’orfanotrofio della Misericordia, in Rivista della congregazione

di Somasca, 1941, pp.1-45.

263 S. SPINELLI, La relazione ai deputati dell’Ospedale Grande di Milano di Gian

Giacomo Gilino (4 novembre 1508), Milano 1937, pp. 67-69.

264 G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., p. 35. 265 Ibidem, p.267.

266 Ibidem, p.270.

267 Le lettere di San Girolamo Miani, in Fonti per la Storia dei Somaschi, 3,

Rapallo 1975, p.3.

268 G. BONACINA, L’origine della congregazione dei padri somaschi, cit., p.35. 269

temente presso i locali dell’istituto o direttamente a bottega270

. Nelle Antichità leggiamo che “alcuni anco si collocano con qual- che artefice o mercante della città per un certo tempo”271

. In al- cune disposizioni si legge che vi doveva essere un luogo adatto per i lavori272. Ciò per impedire che i bambini venissero mandati fuori ad imparare un mestiere, decisione che non era gradita ai superiori in quanto li avrebbe esposti a seri pericoli morali. Per altro, nelle norme più antiche, qualora l’orfano fosse stato co- stretto a uscire in giornata, l’allontanamento veniva allora consi- derato licenza273. Più tardi si prescrisse che i bambini potessero imparare le buone arti in casa senza mandarli a bottega274. I lavo- ri a cui erano avviati i bambini potevano variare e dipendevano strettamente dalle necessità del luogo. Per esempio da alcune co- stituzioni veniamo a sapere che a Genova gli orfani erano avviati alla confezione di calze, si dice, all’agucchiasotto maestri di Fer- rara275.

A Venezia, in cui proprio nella prima metà de cinquecento si era assistito ad uno sviluppo notevole dell’arte della stampa, gli or- fani della città lagunare imparavano i rudimenti della follatura della carta. Le autorità del luogo, poi, addirittura, sembra avesse- ro chiesto bambini per imbarcarli sulle flotte in qualità di mozzi. Girolamo mostra di prediligere per i suoi bambini un lavoro tec- nicamente professionale invece che una semplice occupazione che li tenesse impegnati276. Per questo motivo sappiamo, per esempio, dell’invito ad insegnare rivolto ad un maestro Arcange- lo di Vicenza. Era certamente un ingegnere molto ferrato nella tecnica, come ci dice il Sanudo277 e pare avesse progettato un marchingegno per garzar panni con acqua278. A Brescia il Miani introduce l’arte di gucchiar le berrette279

. Per diffonderla anche a Bergamo provvede a mandare maestri a proposito. Un altro pro- vetto incaricato di insegnare il mestiere ai bambini fu tal Zuanan- tonio che lavorava brocche di ferro. Sappiamo che lavorò con

270 ASMi, Atti di governo, Luoghi pii, p.a., cart. 320, “Origine, Sistema, Patrimonio

dell’Ospitale degl’Orfani di Sant’Martino in P. N. di Milano”.

271 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, a cura

di Marzia Giuliani, cit., p.100.

272 M. TENTORIO, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al

1650, cit., p.148.

273 Ibidem. 274 Ibidem. 275 Ibidem.

276 G. ODDONE, Educazione culturale di Girolamo Miani, in Un evento

miracoloso nella guerra della lega cambraica: 27/9/1511, a cura di G. GULLINO,

Venezia 2012, p.83.

277 Ibidem. 278 Ibidem. 279

tredici orfanelli pagandoli, per altro, regolarmente280. Anche l’Anonimo autore delle Antichità, una volta giunto a San Martino si accorge che nell’istituto “si tengono tre maestri, uno di sarto- ria, uno di scarpe et uno di calzette”281

perché insegnino queste arti ai bambini “secondo che ognuno si vede più habile et inclina- to”282. L’insistenza con la quale Girolamo Miani sottolinea il va-

lore edificante del lavoro rivela il timore che la povertà oziosa possa risultare perniciosa. In particolare in tenera età. Erano, per altro, già fiorite iniziative per fronteggiare la mendicità e il paras- sitismo. Parliamo, per esempio, delle leggi sui poveri varate nel 1528. Ma spesso si erano mostrate di difficile applicazione. Un’occupazione a cui l’orfano doveva dedicarsi già in tenera età era bene doversi comunque trovare anche se il bambino in que- stione non avesse mostrato particolari inclinazioni. Fin da subito ai bambini veniva impartito anche l’esercizio della questua lungo le vie della città, il servizio presso le sacrestie e l’intervento du- rante l’accompagnamento dei defunti ai funerali283

. A Genova, a rotazione, ai bambini era affidato l’incarico della cerca del pa- ne284. Ma non erano solo i generi alimentari che venivano elemo- sinati285. Li si incaricava anche di mendicare denaro286.

Nelle Antichità leggiamo che alla mancanza di denaro si suppli- sce “con l'elemosine, che vengono offerte, o che sono raccolte da alcuni d'essi orfanelli, che si mandano fuori la festa con le busso- le”287. Nel 1593 l’istituto di Milano non acconsente più che i

bimbi vadano a raccogliere le questue per le vie della città288. Poiché il principale scopo dell’istituto era che si “attendesse ad ammaestrarli al viver cristiano”289

, permetter loro di uscire era di grave danno all’anima. E tre anni prima la Congregazione aveva

280 Ibidem.

281 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p.100.

282 Ibidem.

283 M. TENTORIO, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al

1650, cit., pp.154-155.

284 Ibidem, p.154. 285 Ibidem. 286 Ibidem.

287 Antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, cit.,

p.101.

288 Ibidem, p. 155: “(…) che per l’avvenire non si mandi più i figlioli con le bussole

alle Chiese (eccetto che duoi d’essi) alli giorni festivi nel duomo, duoi ogni giorno alle orazioni ordinarie, e duoi a quelli delle donne”.

289

emanato un ordine con il quale si conferiva l’incarico della cerca alle sole persone mercenarie290.

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