New Information and Communication Technology: nuove forme di apprendimento per gli “immigrati digitali”
2.4 Le grandi teorie della rete
La connessione affidata alle macchine sta diventando il legame sociale per eccellenza prendendo il posto delle relazioni “di persona”, face to face, puntando il tutto sui concetti di sinteticità, essenzialità e rapidità, tipici di una classica ed efficace interazione umana che punta ad essere il più rapida possibile conseguendo, al contempo, il miglior risultato comunicativo possibile (soprattutto in termini di comprensione del messaggio da parte del destinatario dello stesso) oltre a configurare un’analogia percettiva, appunto, tra forme di comunicazione mediate e forme di comunicazione faccia a faccia dove è la prima ad imitare la seconda mantenendone qualche tratto. Ciò si ha anche in base alle regole della società attuale che impone ritmi sempre più veloci e frenetici rendendo difficile fondare una coesistenza spazio-temporale tra gli interlocutori. Come spiega Ortoleva: “L’allentarsi della convivenza fisica accresce il bisogno del collegamento tecnico”227.
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Cfr. Balbi G. Magaudda P., Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, Laterza, Roma-Bari, 2014, pag. VIII.
196 L’utilizzo delle nuove tecnologie finisce con il far diventare le stesse essenziali nella vita di ciascuno e il pensare di non utilizzarle o integrarle anche in altre pratiche della quotidianità “si traduce in un’amputazione e non in un potenziamento228”.
Come gran parte delle attività umane, anche i processi comunicativi rientrano in quella sfera che costituisce la struttura sociale. Anzi, sembrerebbe occuparne il posto d’onore. E nella società contemporanea, con la digitalizzazione delle informazioni e dei contenuti, questi processi si sono arricchiti di possibilità, di formule, di nuovi modi per sperimentare la comunicazione, riuscendo a mettere in contatto tra loro con estrema facilità persone distanti in tempo reale, perfetti sconosciuti con la semplicità del dialogo che si può avere con gli amici più stretti, andando così a mettere in evidenza non solo pregi, ma anche possibili difetti.
Proprio sulla questione del valore socio comunicativo dei new media e, ancor di più, della rete, sono intervenuti diversi studiosi e sociologi che hanno detto la loro sull’argomento, formulando ipotesi, teorie o semplicemente avanzando pareri, critiche o constatazioni.
Centorino e Romeo (2012) ad esempio, definiscono la rete come un habitat. Così come un luogo in cui le caratteristiche fisiche e abiotiche permettono ad una data specie di vivere, svilupparsi, riprodursi, così la rete (che si può definire essere, in un certo senso, un medium) costituisce un terreno fertile per la nascita, la crescita e lo sviluppo di nuove forme e nuove relazioni comunicative.
Tutto ciò porta anche alla chiara comprensione di come, all’interno del processo comunicativo, il ricevente non ricopra un ruolo “subordinato” all’emittente, ma anzi, dimostra di essere un elemento attivo senza il quale non si potrebbe parlare di comunicazione ma di monologo.
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197 Ciò porta a vedere il processo di comunicazione non limitato alla semplice trasmissione di un messaggio da un emittente ad un ricevente, mediante l’uso di codici e canali. Qui si sottolinea e si mette in evidenza il potere del feedback amplificato dalle potenzialità offerte dalla rete: il social sharing, il commentare, il postare… sono tutte attività ed “iniziative” concesse all’utente che dimostra in tal modo di essere un soggetto attivo nel processo comunicativo, cosa che porta ad una necessaria ridefinizione del ruolo dello stesso destinatario della comunicazione.
Tuttavia si può affermare che il ricevente è sempre stato un soggetto attivo della comunicazione innanzitutto perché non vi può essere comunicazione senza l’intenzionalità del ricevente. Tale affermazione segue il noto assioma della Scuola di Palo Alto “non si può non comunicare”. In secondo luogo, all’interno del processo comunicativo il ricevente, come anticipato, manda un feedback all’emittente, ovvero un messaggio di ritorno che fa capire alla fonte prima della comunicazione il grado di efficienza e di efficacia della sua stessa enunciazione nonché il livello di comprensione da parte del ricevente. L’attività del destinatario della comunicazione è deducibile anche dalla volontà di disporre l’insuccesso della comunicazione stessa: il non capire di proposito e trasmettere questa idea nell’emittente del messaggio sono processi che partono, appunto, dall’intenzionalità del ricevente che dimostra, ancora una volta, di essere un soggetto attivo del processo comunicativo mirando a perseguire propri scopi.
Ma nel caso specifico della rete, chi sono questi utenti/riceventi/fruitori? E qual è il loro modo di rapportarsi al mondo del world wide web?
Mascheroni (2012) si sofferma sulla fruizione della rete da parte dei ragazzi e, in generale, delle giovani generazioni.
La rete può costituire un campo di grandi ricchezze ma al contempo di sconfinati pericoli e rischi. Proprio la facilità di instaurare relazioni con perfetti sconosciuti incrementa il rischio che utenti inesperti corrono, per non parlare di
198 messaggi truffaldini sotto forma di post, banner o email, che hanno il solo scopo di raggirare l’utente, di creare in lui un senso di incomprensione e di pericolo da scongiurare immediatamente, al fine di farlo cadere nella propria trappola finalizzata, per lo più, ad ottenere illegalmente informazioni, codici e dati personali e sensibili nonché somme di denaro.
Nel loro approccio alla rete, inoltre, i giovani fanno emergere un enorme paradosso (Bennato, 2011), riscontrato anche in quegli utenti che contano qualche anno in più: una estrema facilità e possibilità di interazione e socializzazione con il mondo intero229 restando però isolati, chiusi in una camera con la faccia rivolta verso un monitor, senza avere alcuna interazione umana face-to-face. “Grazie a internet, ci stiamo abituando a preferire il dialogo con i computer piuttosto che con le persone” (Formenti, 2011, pag. 51).
“Con un computer o uno smartphone con sé, molte persone sarebbero capaci di vivere soli su un’isola remota. I media digitali, infatti, li collegano con il resto del mondo. È proprio questo a preoccupare la psicologa canadese Susan Pinker. Nel suo nuovo libro “The Village Effect” (“L’effetto villaggio”), la studiosa lamenta: «non siamo mai stati così soli». Pinker, in particolare, osserva quanto sia importante che le persone comunichino faccia a faccia. Ciò, infatti, rende felici e aumenta l’aspettativa di vita. La psicologa zurighese Laura Tscharner si trova spesso a seguire giovani che «nonostante i molti amici su Facebook si sentono soli». Parlarsi guardandosi negli occhi, precisa, invece assicura un legame più profondo. «L’essere umano ha bisogno della voce, della mimica e dei gesti di chi ha di fronte», precisa Tscharner. «Il fatto di ricevere informazioni attraverso più canali sensoriali si ripercuote positivamente sulla nostra vita emotiva», aggiunge lo psicologo Thomas
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Quella che Weiss (1998) chiama Globalizzazione riferendosi ad “un nuovo e diverso livello di interazione socio-spaziale”.
199 Steiner […]230”. La portabilità dei nuovi media ha, da un lato, ridotto il presupposto dell’isolamento domestico per affacciarsi alla finestra del web, in quanto cellulari di ultima generazione permettono agli utenti, tra le altre cose, di connettersi “in ogni luogo ed in qualsiasi momento”. Tuttavia resta fortemente evidente l’isolamento mentale che viene a crearsi: anche se si è in una piazza, in un parco, in un possibile e potenziale contatto diretto con tante altre persone, la testa resta china su uno schermo freddo.
Questo flusso comunicativo potenzialmente globale, porta a sottolineare, seguendo gli studi di Jenkins e Castells, l’aspetto dell’alta velocità con cui viaggiano contenuti ed informazioni. A tal proposito, come sottolinea Crocitti (2012, pag. 43), “è interessante sottolineare il carattere globale assunto da tale rivoluzione, una globalità che abbraccia, senza se e senza ma, l’intero pianeta”. Infatti, continua Crocitti (ivi, pag. 50) “le nuove tecnologie ci permettono di interagire in qualsiasi momento con persone e situazioni, a prescindere dalla collocazione geografica. I nuovi media, infatti, abbattono i limiti di spazio e tempo”.
Anche Colombo (2007) affronta il tema della globalizzazione in rapporto alla digitalizzazione ed ai new media. Egli afferma che nell’arco di quindici anni sono state elaborate ben quattro teorie in merito a tale rapporto: un primo filone di studi è vicino all’ambito socioculturale e ad esso si deve l’elaborazione della teoria e dell’approccio della varietà globale; il secondo approccio riguarda la cultura globale che permette ai new media di configurarsi come strumenti di omogeneizzazione culturale; vi è, poi, la teoria del sistema- mondo per cui i new media ed i mass media sono ritenuti complici del processo di delocalizzazione; l’ultimo approccio è quello al capitalismo globale al quale viene applicata, in ambito comunicativo, la critica all’economia borghese di Karl Marx.
230 Tratto da 20 minuti, 21 ottobre 2015, pag. 9, “Connessi sui social ma soli. «Mancano la voce e i
200 Colombo (2007), inoltre, tenta di dare anche una definizione di quelli che possono essere intesi come new media, ovvero quei mezzi di comunicazione di massa sviluppatisi posteriormente alla nascita dell’informatica ed in correlazione ad essa. Essendo ormai radicato l’uso del termine “medium” per indicare i mezzi di comunicazione di massa, tali strumenti vengono definiti “nuovi media” nella misura in cui vengono utilizzati come sistemi comunicativi (one-to-many) o, comunque, su larga scala. L’interattività offerta dalle applicazioni web consente una tipologia di comunicazione propria degli stessi nuovi media, cioè né one-to-one né one-to-many, ma addirittura many- to-many. La comunicazione digitale permette, infatti, una simultaneità intercognitiva delle esperienze collettive. I nuovi media, dunque, hanno permesso il cambiamento non solo dei tradizionali mezzi di comunicazione ma anche degli utenti creando un’audience attiva, un pubblico che non resta immobile davanti al contenuto mediale, ma che interagisce con esso. I nuovi media ci chiamano ad inventare nuovi modi di ideare e fruire le nostre storie che si diramano sugli scenari costruiti dalle nuove piattaforme tecnologiche.
Definire quali siano i new media è un’operazione difficile. Porre dei paletti tra vecchio e nuovo è frutto di una distorsione prospettica che tende a ridurre la complessità del vecchio ed a sottovalutare l’impatto dei “futuri” media rispetto ad un’idealizzazione di quelli del “passato”. Pertanto, si dovrebbe accantonare l’idea che l’innovazione provochi una rottura ed un radicale cambiamento, quando invece, molto spesso, l’innovazione è solo un perfezionamento delle vecchie tecnologie, un restyling non solo estetico ma anche delle funzioni. I new media, infatti, si caratterizzano più per la ridefinizione di alcune istanze presenti già nei media tradizionali. I new media, a differenza dei mass media, si caratterizzano come meta medium, ossia tendono ad includere determinate componenti, ad interconnettersi con esse, a fondersi diventando degli ibridi. Inoltre, i nuovi media vengono considerati come dei social frame in quanto