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Nuovi usi, nuovi modi di approcciarsi al web: la rieducazione mediale

New Information and Communication Technology: nuove forme di apprendimento per gli “immigrati digitali”

2.3 Nuovi usi, nuovi modi di approcciarsi al web: la rieducazione mediale

“Altri fattori di movimento, in prospettiva dirompente, riguardano gli orientamenti nell’uso dei media, che da previsioni si sono trasformati in realtà. Il principale è proprio internet: nell’ultimo decennio si è intensificato e diversificato l’uso della rete, mentre l’avvento del web 2.0 e dei social network ha spostato il fuoco dell’attenzione, almeno nei segmenti più dinamici e aggiornati dell’utenza” (Piazzoni, 2014, pag. 257).

Definire un nuovo metodo di comunicazione interna che tramite l’utilizzo di una web tv raggiunga i dipendenti di una Pubblica Amministrazione, nell’attuale società, comporta il dover confrontarsi con quella categoria di persone già definita degli immigrati digitali (Ferri, 2011), ovvero coloro che si trovano a vivere parallelamente al periodo in cui i nuovi media entrano sul mercato ed a far parte della vita quotidiana di ciascuno. Gli immigrati digitali devono inoltre riabilitarsi al nuovo e diffuso concetto di sintesi in ambito comunicativo oltre a dover apprendere una nuova forma di alfabetizzazione mediale.

Nello specifico caso che si propone si tratta, allora, di vedere la nascita e lo sviluppo di un servizio (che parte da un servizio base ma costantemente in crescita di telecomunicazione, per adattarsi e stare al passo dei tempi che corrono) che potrà rappresentare anche una valida alternativa a quanto già esistente. Il nuovo supporto dovrà poi creare proprie credibilità, autorevolezza e reputazione che educhino i propri pubblici a nuove forme di contenuti e

176 narrazioni, al modo in cui riportano le notizie, ai formati e alle modalità con cui si presentano210.

Tale “contemporaneità” potrebbe condurre ad una diffusa incomprensione verso le nuove tecnologie vedendo gli utilizzatori e gli strumenti “parlare due lingue totalmente diverse”. Occorre quindi orientarsi verso un nuovo modello di educazione o, parafrasando Silverstone (2006), di “addomesticazione” all’utilizzo del nuovo medium (new media literacy o nuova alfabetizzazione, elemento richiesto ogni qual volta ci si trova di fronte ad un nuovo linguaggio) improntato su una logica di e-learning che guarda al futuro dell’educazione (alle e con le tecnologie) nell’età e con il supporto della rete e del digitale, immersi in un continuum di formazione/apprendimento on the job che ben rispecchia la logica del learning by doing.

Infatti, al di là di specifici percorsi di formazione (tra cui possono benissimo rientrare anche quelli proposti direttamente in rete), l’informatica e il digitale in generale permettono di sviluppare pratiche amatoriali di apprendimento senza aver ricevuto in precedenza alcun tipo di formazione. Questo è permesso anche dalla facile intuizione delle interfacce grafiche, semplici nel loro utilizzo anche per chi non conosce linguaggi specifici di programmazione, e dal sempre più comune e diffuso accesso alle tecnologie (anche per via dei bassi costi degli strumenti amatoriali ma tendenti al professionale). Si è di fronte ad una forma di competenza che deriva dall’esperienza diretta garantita anche da un piccolo ma significativo passo in avanti in termini di semplificazione e accessibilità.

Università e scuole, in primis, dovrebbero mettere in risalto l’importanza di conoscere le tecnologie e di definire, secondo quanto affermato da Fiorentino e Bruni (2013, pag. 11) in merito all’uso pedagogico delle tecnologie, “gli effetti e gli eventuali vantaggi che esse possono apportare al processo di

210 Cucco M. (a cura di), La trama dei media. Stato, imprese, pubblico nella società dell’informazione,

177 apprendimento. […] Sempre maggiori sono gli investimenti, di tipo economico e scientifico, realizzati nell’ambito delle tecnologie dell’informazione e dell’apprendimento sia da parte di enti europei che da parte del Miur. Lo sforzo di rinnovamento della scuola e dell’università passa anche attraverso l’alfabetizzazione informatica dei docenti” e, si può qui aggiungere per ricalcare gli scopi di questa ricerca, anche del personale tecnico amministrativo.

Secondo Jenkins (2010), l’uso delle tecnologie contribuisce al miglioramento dell’intero processo di apprendimento in qualsiasi ambito questo sia svolto (scuola, università, corsi di formazione) e verso qualsiasi destinatario esso sia rivolto (studenti, docenti, personale tecnico amministrativo, dipendenti del settore pubblico e privato). E, in questo caso, il termine apprendimento non va inteso nella totale valenza del termine ma va a parafrasare e reinterpretare sotto altre sfumature la classica definizione offerta dal dizionario Treccani: “Atto dell’apprendere, dell’acquistar cognizione”. Sotto tale accezione, si è di fronte ad una fase di apprendimento non solo quando ci si trova immersi nel contesto di una lezione o di un corso di formazione. Si ha apprendimento ogni qual volta si vuol capire qualcosa. Un qualcosa che può essere spiegato anche da qualcun altro (ad esempio un insegnante, un esperto in materia o una persona informata sui fatti) se non addirittura attraverso qualcos’altro (le nuove tecnologie comunicative nelle quali rientrano, appunto, anche le web tv). Le tecnologie digitali sono infatti ritenute portatrici di una cultura partecipativa realizzata da un’intelligenza collettiva, una cultura nuova in cui vecchi e nuovi media convergono (convergenza) e dove i prodotti migrano su più piattaforme essendo fondamentalmente “fluidi” (Jenkins, 2007 pp. XXV-XXVI).

Dal punto di vista dei nativi digitali, invece, le tecnologie risultano essere ulteriormente ben viste in quanto rappresentano il “pane quotidiano” di questa categoria di utenti che riesce a conciliare perfettamente l'educazione formale

178 che si riceve nelle classiche istituzioni del sapere (scuola, università) ed educazione mediata dalle reti sociali in cui “i giovani apprendono in modo naturale, mediante l'interazione tra pari, con ragazzi attivi nello sviluppare e produrre oggetti da condividere”211. Un fondamentale intervento, dunque, vede investire l’aspetto culturale: “è necessario affinarsi, prepararsi, formare figure professionali che siano in grado di metabolizzare l’uso di questi strumenti tanto da pensare in termini di contenuti appropriati” (Galbiati, Piredda, 2010, pag. 31). Non si dimentichi, inoltre, che i giovani di oggi saranno gli adulti di domani e, quindi, ipoteticamente alcuni degli attuali rappresentanti della categoria dei nativi digitali potrebbero avviare una propria futura carriera lavorativa nel mondo delle pubbliche amministrazioni possedendo già le basi per interfacciarsi con potenziali e nuovi strumenti attraverso i quali veicolare informazioni e comunicazioni che, allo stato attuale, potrebbero solamente affiancare i classici mezzi di trasmissione di messaggi quali, ad esempio, circolari formali legate ad un linguaggio strettamente burocratico e, per questo, spesso criptico e facilmente interpretabile in modi diversi da quelli in cui il messaggio era stato originariamente concepito. Tali strumenti, infatti, come già ribadito, non sostituiranno i normali canali di comunicazione istituzionale, ma hanno lo scopo di integrarli (riportando in modo diverso, ad esempio, le news presenti sul sito istituzionale o le stesse comunicazioni a mezzo circolare che diventano, così, punti di riferimento verso cui indirizzare gli utenti per le informazioni ufficiali) permettendo all’Amministrazione di raggiungere con maggiore semplicità lo specifico target di riferimento nei luoghi virtuali che è ormai abituato a frequentare. L'introduzione dei media digitali come strumenti di lavoro, dunque, non solo modificherebbe l'ambiente di apprendimento ma consentirebbe una conciliazione tra le vecchie e nuove modalità di trasmissione delle conoscenze veicolate, in questo caso, ad una comunicazione più informale, rapida e di facile comprensione. Del resto, se si parla di

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Fiorentino G., Bruni F. (a cura di), Didattica e tecnologie. Studi, percorsi e proposte, Carocci, Roma, 2013, pag. 12.

179 amministrazione digitale non si può obbligare l’utente a utilizzare esclusivamente modalità tradizionali di dialogo, avendo questi pieno diritto a un rapporto telematico con la PA.

Come suggerisce Fiorentino (2013, pag. 15) “ci sono almeno due modi di pensare o di usare le tecnologie. Un modo che potremmo definire “banalizzante”, consistente nel pensare alle tecnologie come a supporti che facilitano, alleggeriscono o semplicemente rendono più attraente il contesto di insegnamento (e si potrebbe aggiungere “apprendimento” nell’accezione cui ci si è rifatti in precedenza) in un’epoca in cui tutto e tutti sono sempre più immersi nel digitale. Un secondo approccio, più serio, considera invece le tecnologie, soprattutto digitali, come un’innovazione che può ridefinire lo stesso ambiente di apprendimento. […] Se le tecnologie sono concepite nel primo modo, in genere la loro adozione resta superficiale e alla prima difficoltà, dopo un iniziale entusiasmo, spesso vengono abbandonate. Se invece si è convinti del fatto che le tecnologie possano cambiare in modo innovativo ed educativo l'ambiente di apprendimento, allora la loro utilizzazione tenderà a radicarsi in modo efficace e permanente”.

Tali metodologie di trasmissione delle conoscenze, o per dirla più semplicemente, di comunicazione, che poggiano su un modello costruttivista e non tradizionale, promuovono un rapporto collaborativo e cooperativo tra i due (o più) attori del processo comunicativo, definiti originariamente come emittente e ricevente (anche se, alla luce delle continue ed inevitabili sovrapposizioni di ruolo – garantite ulteriormente dalla logica di interattività che permea i new media –, è ormai impossibile delineare un netto confine tra le due figure). Lo strumento tecnologico che media la comunicazione può essere percepito come un “facilitatore” della comunicazione stessa. Nel caso delle web tv questa facilitazione potrebbe dipendere dalla comodità nel reperire informazioni, nella semplicità ed informalità con cui esse vengono esposte, dalla possibilità di poter intervenire sul contenuto comunicativo,

180 manipolandolo, scoprendolo, esplorandolo, facendone concreta esperienza e diffondendolo a propria volta, o integrandolo con ulteriori elementi in una logica sempre social e mai formale. Tale esempio farebbe pensare alle cosiddette “tecnologie intelligenti” teorizzate da Salomon, Perkins e Globerson (1991), ovvero quelle tecnologie che, in qualità di partner degli utenti, contribuiscono alla crescita cognitiva umana durante lo svolgimento di compiti cognitivi212. Ciò che verrebbe a delinearsi, dunque, è la costituzione di “comunità virtuali con alti livelli di interazione” (Varani, 2002, pag. 11) dove il successo della comunicazione (o per meglio dire, una più corretta interpretazione ed interiorizzazione del messaggio) verte su una logica di relazione/condivisione orizzontale ben lontana da arcaici schemi di trasmissione verticale one-to-many.

La forma di apprendimento sottolineata fino a questo momento, dunque, rientrerebbe nell’area ricoperta dal già citato e-learning inteso come modello di formazione a distanza attraverso il computer e internet, strumenti che affiancano alla “tradizionale” forma di trasmissione di un contenuto comunicativo le moderne formule di interattività e multimedialità tipiche delle tecnologie digitali veicolate sempre più ad una logica informale che facilita l’interscambio di informazioni tra gli utenti, posti tutti allo stesso livello in un rapporto paritetico orizzontale e collaborativo. Quello che si delinea, dunque, come già ribadito diverse volte, è un processo di “apprendimento” diverso, innovativo se non complementare alle prassi tradizionali e che posano, ora, sul concetto di comunità virtuali che poggiano, a loro volta, su specifiche piattaforme (spesso gratuite e che prevedono, oltre ad un alto tasso di personalizzazione, servizi per la comunicazione e la collaborazione fondata su logiche di interattività e flessibilità di accesso da molteplici dispositivi, purché questi siano connessi ad internet) utili anche per “gestire la burocrazia in forma

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181 digitale”213. Dal 2005, infatti, stando al Rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono penetrate maggiormente nei servizi amministrativi ed utilizzate, appunto, per scopi amministrativi. Situazione che negli ultimi anni ha subito un ulteriore potenziamento e che ha affiancato ed implementato i tradizionali servizi tipici del lavoro di back-office con importanti e positive ripercussioni anche sulla fase di front-office214. Queste nuove tecnologie, in

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Ivi, pag. 23.

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Il back-office di un’amministrazione si compone di due elementi: redazione e banca dati. La redazione svolge un lavoro di predisposizione e costruzione delle schede-notizia, che poi andranno a far parte della banca dati. Le schede-notizia contengono la spiegazione (in maniera sommaria) di come ogni servizio è organizzato e del modo più semplice per richiederne l’utilizzo. Devono contenere l’oggetto del servizio, i dati relativi all’ufficio competente (responsabile, indirizzo, telefono, e-mail, orario di apertura, ecc.), i requisiti che devono essere posseduti dal richiedente, le modalità di richiesta, le modalità e i tempi di erogazione del servizio, la documentazione da presentare, le indicazioni di legge e i gli eventuali contributi economici a carico dell’utente. La stessa scheda-notizia è in possesso sia dell’Urp che dell’ufficio competente. L’aggiornamento delle schede-notizia rappresenta uno degli elementi decisivi per legittimare la funzione dell’Urp. Avviene sia su segnalazione degli uffici che per iniziativa della redazione dell’Urp. Per favorire l’aggiornamento, è necessario organizzare redazioni decentrate nei diversi settori dell’ente, cioè individuare per ciascun ufficio dei referenti di settore, incaricati di reperire, verificare e validare le informazioni di loro spettanza. Con questo meccanismo, la banca dati diventa anche un importante strumento di comunicazione interna, e assume anche il compito di facilitare il lavoro dei vari uffici. La redazione deve essere composta da personale selezionato e formato, perché le schede-notizia devono essere affidabili e precise, ma anche chiare e riassuntive. L’operatore della redazione deve spesso tradurre testi oscuri, prolissi, gergali e redatti da colleghi poco abituati alla limpidezza dei significati.

Le attività di back-office concorrono a garantire l’efficienza del front-office. Il front-office funziona bene solo il back-office lavora bene, cioè se la redazione riceve flussi di informazioni continui e aggiornati e puntualmente li fornice al front-office. In caso contrario, il front-office si riduce a distributore di opuscoli e fotocopie e a fornitore di banali informazioni di servizio (orari delle farmacie, giorni di apertura degli uffici). Si potrebbe dire che il back-office fa il lavoro “sporco”, mentre il front-office si prende i meriti – essendo il punto di massima visibilità dell’Urp, quello che, per intenderci, è a diretto contatto con i cittadini. Il front-office è organizzato in sportelli e call-center. Si rivolge principalmente ai cittadini, ma ad esso possono accedere anche enti ed istituzioni. Un’esperienza positiva è rappresentata dagli Sportelli unici per le imprese, che raccolgono in un solo punto competenze e adempimenti in precedenza disseminati in uffici ed enti diversi. È importante assegnare al front-office personale qualificato e dotato di una specifica professionalità (il comunicatore pubblico e il tecnico per le relazioni con il pubblico). Il call center utilizza il telefono per dare informazioni ed offrire servizi ai cittadini. Il telefono rappresenta infatti la tecnologia più conosciuta dagli italiani (il 95% delle famiglie italiane possiede un telefono fisso). Il call center deve gran parte del suo successo alla competenza dei suoi operatori. Oggi, però, è ancora difficile imbattersi in un call center pubblico efficace ed efficiente, perché nelle amministrazioni le informazioni sono sparse un po’ dovunque e ad ogni livello e, di conseguenza, richiedono tempi e procedure di ricerca abbastanza complicati. Per questo è estremamente importante avere un back-office che lavori bene. Negli ultimi anni, si è diffuso il web call center, un call center di seconda generazione capace di integrarsi con internet. Nel momento in cui arriva la chiamata, questa può anche essere girata all’operatore o all’ufficio di competenza – nei casi più specifici –, ma spesso è il centralino o il sistema software a fornire le risposte – nel caso di domande semplice o frequenti. In questo modo, le domande più

182 sostanza, si pongono come strumenti di comunicazione non complessi e che facilitano il dialogo tra gli utenti (grazie anche alla relativa facilità nell'utilizzo degli strumenti ed alla possibilità di attivare spazi interattivi) che, ora più che mai, dimostrano di essere soggetti attivi di tale processo di “apprendimento 2.0” in quanto sono essi stessi a scegliere, ricercare, richiedere e verificare l'esistenza di determinate informazioni (tecnologia pull), senza limitarsi a riceverle passivamente (tecnologia push)215.

In un’accezione classica, la logica push potrebbe essere rappresentata, in ambito lavorativo di un ente pubblico o di un’azienda privata, da circolari scritte, riunioni obbligatorie, corsi di formazione in tempi stabiliti. Questa applicazione, alla luce della moderna concezione di fare impresa/organizzazione, dovrebbe essere disincentivata “perché l’efficienza della comunicazione deriva dall’eliminazione della comunicazione superflua e pertanto il valore della comunicazione è determinato solo da ciò che l’utente ritiene essergli necessario per il perseguimento dei propri obiettivi aziendali” (Di Bari, 2000, pag. 139). La logica pull, invece, “è paragonabile alla filosofia giapponese del just in time che ha portato a termini come “zero magazzino”, “zero difetti” e “qualità totale” nella gestione di sistemi produttivi manifatturieri. Ci si attiva per soddisfare un bisogno sulla base di una richiesta di fabbisogno e non sulla base di una imposizione, né di una previsione a priori” (ivi, pag. 140).

La potenzialità di queste tecnologie, allora, poggia sulle capacità di interazione tra gli utenti, tra utenti ed autore del contenuto (distanza che si

frequenti sono evase automaticamente dal sistema con una notevole riduzione delle code. Inoltre, tutte le risposte date dagli operatori più esperti alle domande più complesse vengono conservate e rimesse in circolo, in modo da rendere fruibile a tutti la conoscenza creata.

Per il futuro si lavora al coordinamento tra gli Urp dei vari enti. Si delinea cioè un nuovo percorso destinato a realizzare gli Sportelli polifunzionali e, infine, lo Sportello unico della Pubblica

amministrazione, con l’interconnessione telematica delle banche dati.

215

Fiorentino G., Bruni F. (a cura di), Didattica e tecnologie. Studi, percorsi e proposte, Carocci, Roma, 2013, pag. 26.

183 riduce in quanto gli user possono o intervenire su un prodotto realizzato da altri o realizzare prodotti propri in una logica di prosumers) e tra gli utenti e la piattaforma in modo da percepire come fondamentali le relazioni sociali (o para-sociali) che si formano e che portano ad implementare la forza e l'efficacia dello strumento stesso attraverso la partecipazione ed il contributo che ogni utente può dare. I ruoli di produttore e fruitore o, ancor prima di emittente e ricevente, come già si è avuto modo di vedere, vengono a ridefinirsi e inevitabilmente a sovrapporsi ed a interscambiarsi.

Allo stato attuale, oltre ad una massiccia e capillare presenza nel settore privato, esistono numerose piattaforme per la Pubblica Amministrazione che nascono, spesso, con l’obiettivo dell'aggiornamento professionale dei dipendenti, ma non solo. Come riporta Occhionero, “tra gli enti pubblici della PA si veda il caso dell’Emilia Romagna che è dotata di un portale di e-learning per la pubblica amministrazione (www.regionedigitale.net) chiamato SELF, Sistema di e-learning facilitato, in grado di offrire agli enti locai del territorio regionale uno strumento per la formazione assistita dalle tecnologie. [...] Anche le aziende e i liberi professionisti possono contare su specifiche piattaforme per erogare o fruire di alcuni progetti di apprendimento, ad esempio per essere aggiornati sulle normative, per organizzare corsi di formazione, per migliorare l’organizzazione dell'azienda stessa”216, per pubblicare o comunicare avvisi. Da questo meccanismo non sono esenti le scuole. Infatti, il 70% degli istituti scolastici dichiara di utilizzare nella didattica quotidiana (e, si può aggiungere, anche verso il proprio personale) ogni tipo di tecnologia, dalla navigazione in internet ai social network a Skype, passando per le piattaforme digitali tematiche e le webconference217. Ad ulteriore testimonianza di ciò si può citare il “Meeting nazionale degli studenti

216

Ivi, pp. 26-27

217

184 sulla scuola digitale” Tablet School 12, svolto il 24 febbraio 2016 all’I.I.S.S. “L. Pilla” di Campobasso ed organizzato dal Centro Studi Impara Digitale, un’associazione nata per promuovere lo sviluppo di una modalità didattica innovativa, che permetta alla scuola italiana ed europea di beneficiare significativamente del potenziale offerto dall’introduzione della tecnologia digitale. All’evento hanno preso parte oltre 1100 persone provenienti da varie regioni italiane. “I Tablet School – si legge nella nota ufficiale diramata in occasione dell’evento dal dirigente scolastico Rossella Gianfagna – sono manifestazioni che hanno come obiettivo quello di promuovere e diffondere l’idea del cambiamento della scuola grazie a metodologie didattiche innovative e all’uso del digitale, attraverso la condivisione di esperienze tra docenti, studenti e genitori. Durante l’evento si svolgeranno laboratori in cui vengono simulate lezioni svolte da docenti e studenti con l’uso delle tecnologie”.

Ciò che salta all’occhio, poi, è che tutti i casi di creazione di piattaforme comunicative da dedicare anche a prassi di comunicazione interna delle Pubbliche Amministrazioni, nascono e si sviluppano in primis in seno a contesti universitari.

La possibilità di utilizzare questi servizi a partire da molteplici strumenti ricettivi (smartphone, tablet, pc...) portano gli utilizzatori degli stessi contenuti ad entrare a far parte del “club” degli users olways on, ovvero degli utenti connessi ad internet sempre e ovunque, sulla scia di quanto formulato da Scaglioni e Sfardini (2008) in merito ai concetti di ricezione multitiming e multiplacing, quest’ultima dovuta in particolare modo dalla capacità delle