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New Information and Communication Technology: nuove forme di apprendimento per gli “immigrati digitali”

2.1 Nuovi tipi di pubblico

L’avvento di internet e del web 2.0 ha cambiato il volto di ogni rapporto emittente-ricevente configurando entrambi sullo stesso piano comunicativo ma, ancor di più, configurando entrambi all’interno di un terreno ricco di relazioni orizzontali e di interazione istantanea (Crocitti, 2012, pag. 146).

“Il momento dell’impatto esordiale di un nuovo medium nella società” comporta, dunque, “la conseguente definizione di una nuova esperienza spettatoriale” (Alovisio, 2011).

Nuovi mezzi di comunicazione chiamano a sé automaticamente nuovi tipi di pubblici mutati sia nel modo di relazionarsi al medium, sia nell’aver modificato le proprie pratiche sociali (oggi maggiormente integrate o mediate per mezzo degli strumenti connessi alla rete), sia nelle capacità e nelle competenze possedute per approcciarsi alla new entry che spesso, proprio come ha fatto la televisione, irrompe nella quotidianità di ciascuno ponendo solide e insradicabili radici nelle attività che scandiscono i ritmi della giornata (cfr. Scaglioni, Sfardini, 2008, cap. 3).

Ma, come ogni qual volta che qualcosa di nuovo bussa alla porta, il pubblico si presenta sempre poco pronto a ricevere i prodotti dell’innovazione. “Si è così poco preparati da non essere nemmeno in grado di capire come funzionassero, né a cosa servivano. Già Morse, per iniziare, dovette faticare non poco per convincere il mondo della bontà della propria invenzione, e non diversamente è toccato a quasi tutti gli inventori dell’800 […] Il pubblico è ancora diffidente verso le novità, appannato da un senso di stupore e sorpresa, e poco consapevole delle possibilità offerte dai nuovi media”. Per diffondere, dunque, un nuovo strumento era prima “necessario trovarne e inventarne gli usi. Inventare quegli usi che la società non aveva ancora messo a fuoco; perché la tecnologia, ancora una volta, si muove più velocemente degli altri livelli dell’insieme, ai quali non resta che ricucire gli strappi, e rincorrere i tempi

118 dell’innovazione. […] Un mezzo si diffonde perché intercetta un bisogno diffuso” (Miconi, 2011, pp. 33-34). Un nuovo medium, dunque, nasce, si sviluppa e si diffonde come risposta ad un’esigenza di una nuova tipologia di pubblico che finirà con l’essere utilizzatore del medium stesso.

Tutto ciò è facilitato dal fatto che i media creano significati pubblici e condivisi e sono tecnologie, strumenti, che entrano immediatamente nella quotidianità di ciascuno. Infatti si potrebbe parlare di media personali (legati all’utilizzo individuale) e media sociali (legati all’utilizzo di gruppo). La relazione che viene a crearsi tra tecnologia e società viene spiegata attraverso due approcci teorici (Bennato, 2011):

- diffusionismo: grado di deformazione che i contenuti mediali subiscono al variare delle condizioni tecnologiche, dove vi è una relazione tra uno specifico mutamento culturale e la diffusione del medium. La tecnologia, insomma, è capace di trasformare la vita sociale e le relazioni sociali. Lo studioso Tarde individua quattro variabili fondamentali ed interdipendenti di questo approccio: innovazione, tempo, canali di comunicazione, sistema sociale;

- social shaping of technology: il determinismo tecnologico influisce e condiziona sia gli aspetti materiali della nostra vita e del nostro ambiente, sia il nostro stare in società. La teoria del SST individua cinque aspetti di rilievo: la scelta (consapevole o inconsapevole), l’effetto sorpresa, il dialogo tra media digitali e l’utilizzatore, il principio di incorporazione (relazione tra dimensione tecnologica e sociale), le forme culturali dei media digitali globali (l’aspetto culturale è più importante della forma sociale).

I media in generale, allora, potrebbero essere considerati come apparati socio-tecnici che svolgono una funzione di mediazione nella comunicazione fra soggetti. I media, dunque, non sarebbero solo dei mezzi tecnologici ma anche dei sistemi socio-economici di utilizzo delle tecnologie (Gili, Colombo,

119 2012, pag. 309). Riportando questo discorso sul web, ed in generale sulle reti digitali, è possibile osservare sia comunicazioni tradizionali “a una via” (come guardate la tv/web tv o leggere un giornale online), sia comunicazioni orizzontali e peer-to-peer (per esempio sui social network). Possono trovarsi, inoltre, forme “miste” che permettono, ad esempio, di guardare un video su YouTube138 ed inserire commenti o postare e condividere un file visivo multimediale creato dall’utente stesso. Si tratta di reti comunicative in costante evoluzione nelle quali, come già discusso in precedenza, viene a modificarsi il ruolo del pubblico che si potrà qui ora analizzare in maniera specifica e sintetica attraverso uno schema elaborato da Gili e Fausto (2012, pp. 324-325).

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A tal proposito, YouTube è quanto di più emblematico ha espresso la cultura del web partecipativo. “YouTube, infatti, è una delle tecnologie che ha fatto nascere il concept del web 2.0, grazie alla sua enfasi su semplicità d’uso, diffusione rapida, centralità dell’utente, sviluppando così una serie di energie creative che sono state fatte proprie sia dall’uso amatoriale che dall’uso professionale di questo mezzo. Inoltre, YouTube si configura come un servizio che ha dato vita al genere del videosharing, ovvero piattaforme pensate per la condivisione video […] in una forma virale che si avvale di collegamenti, condivisioni (anche via mail), tag (associazione tra etichette di testo con contenuti video), inserimento di commenti, embedding (ovvero incorporazioni dei video in altri siti) in una logica molto simile a quella dei social network sites (Bennato D., Sociologia dei media digitali.

120 In primo luogo si noterà che chi utilizza i media usa delle interfacce materiali con le quali occorre prendere confidenza nel senso che “bisogna saper usare la tecnologia”, come l’accendere la tv o il pc per accedere alla programmazione offerta rispettivamente dai broadcaster tradizionali e dai palinsesti mobili delle web tv. In tal senso il destinatario dei messaggi dei media è in primo luogo un utente capace di far funzionare, per quel che gli serve e gli compete, una tecnologia. L’apprendistato per questa competenza si svolge attraverso quello che Roger Silverstone (1992) ha definito domestication139, ovvero, secondo Magaudda l’insieme dei “processi di appropriazione e incorporazione delle tecnologie mediali nei contesti familiari”140. Questo concetto, però, alla luce della nascita dei nuovi mezzi di comunicazione digitali e mobili, necessita di un ripensamento. Nello specifico caso della televisione, ma ben adattabile anche al contesto delle web tv, la domestication “dovrebbe essere intesa come uno dei mezzi di comunicazione presenti nell’unità domestica141, inseriti nella routine quotidiana e saldamente legati alle varie dimensioni della domesticità. […] Con il passare degli anni la televisione è diventata una delle tecnologie dell’informazione e della

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Il concetto della domestication (o addomesticamento) è stato elaborato nel 1992 da Silverstone insieme agli studiosi Hirsh e Morley a partire dalla metafora del ridurre la tecnologia “selvaggia” alle esigenze della famiglia. Un secondo punto chiave della teoria, però, può essere individuato nel concetto di economia morale della casa che si fonda su due prerequisiti: uno esterno, rappresentato dai membri della famiglia che mettono in atto una serie di attività di consumo e produzione che avvengono sia dentro che fuori il contesto domestico definite economia pubblica, ed uno interno nel quale le attività economiche dei suoi membri dentro la casa e fuori di essa sono ispirate da cognizioni, atteggiamenti, gusti estetici definiti dalle biografie dei suoi membri e dalle relazioni fra essi. In questo senso la casa – intesa come unità domestica – è un luogo osmotico di scambio con il mondo esterno sia di prodotti che di significati (condivisi, costruiti, comunicati) che rende la famiglia appartenente ad una specifica stratificazione sociale ma con delle peculiarità che la contraddistinguono come unica. (Bennato D., Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web

partecipativo, Laterza, Bari, 2011, p. 69).

140

Cfr. Balbi G., Magaudda P., Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, Laterza, Roma-Bari, 2014;

141

Le unità domestiche sono unità economiche e culturali formate da una rete di relazioni che coinvolgono gli individui all’interno e all’esterno delle mura domestiche, Esse hanno «un’espressione spaziale, una funzione economica e un’identità culturale» (Silverstone, 2002, pag. 139). (Cfr. Cola M., Prario B., Richeri G., Media, tecnologie e vita quitidiana: la domestication, Carocci, Roma, 2010, pag. 80).

121 comunicazione presenti nell’unità domestica. La convergenza tra informatica, telecomunicazioni e contenuti, la digitalizzazione dell’informazione, le opportunità sempre maggiori di interattività hanno trasformato e stanno trasformando l’ambiente sociale e culturale in cui la televisione viene guardata e in cui avviene il processo di addomesticamento. […] Se il processo di domestication del “semplice” apparecchio televisivo è ormai completato da lungo tempo, quello dei nuovi apparecchi e soprattutto delle nuove funzioni e dei nuovi servizi è solo all’inizio. Le unità domestiche e gli individui a loro interno dovranno addomesticare il nuovo mezzo, creando un grado di familiarità nell’uso tale da integrarlo nelle proprie routine quotidiane” (Cola, Prario, Richeri, 2010, pp. 78-88).

In secondo luogo il pubblico dei media è composto da riceventi/interpreti dei testi, ossia di soggetti che fruiscono (ed interpretano) determinati messaggi trasmessi attraverso le interfacce materiali e tecnologiche. Questa operazione richiede ciò che viene definita literacy o competenza semiotica, che viene socializzata attraverso la famiglia, la scuola e così via.

In terzo luogo l’utente dei media è anche un’emittente in quanto produttore di messaggi e significati che invia ad altri utenti. I nuovi media, infatti, abilitano i propri utenti all’attività comunicativa e non soltanto ad una presunta ricezione passiva. Nelle nuove reti di comunicazione, come accade nella comunicazione quotidiana ed ordinaria, non si è né solo emittenti né solo riceventi, ma si passa continuamente da uno stato all’altro.

Infine, l’utente/ricevente/emittente delle reti di comunicazione è anche una merce perché i suoi atti comunicativi sono oggetto di scambio economico (specie verso quelle ditte interessate a dati quali indici di ascolto, visite, visualizzazioni…).

Così come per le classiche trasmissioni televisive, anche le web tv devono necessariamente fidelizzare l’utente seguendo, però, nuove strade in quanto in

122 un contesto iper-frammentato dei consumi televisivi “nessuna posizione è garantita” (Grasso, Scaglioni, 2010).

Gli utenti fedeli sono anche quelli più attivi risultando, così, in grado di offrire i loro commenti, i loro prodotti, interagendo, al contempo, con altri utenti impegnati nella stessa cosa.

Con ogni probabilità le web tv devono fidelizzare maggiormente gli utenti rispetto alla tv tradizionale, utilizzando supporti (smartphone, tablet, computer) e attività a loro connesse (la possibilità di condivisione e commento nei social network ad esempio) che in un’era sempre più digitale risultano avere un appeal crescente. “La web tv o fidelizza il suo pubblico con un flusso continuo e rinnovato di contenuti pertinenti o non ce la può fare. Va costruita un’abitudine alla frequentazione, un’abitudine alla narrazione” (Galbiati, Piredda, 2010, pag. 54). Ma per coinvolgere, catturare e trattenere un pubblico142 (attuale o potenziale) occorre conoscerlo. Sarà qui trattata in modo più approfondito, dunque, la ridefinizione dell’identità e del ruolo dello spettatore/utente delle web tv che si avvicina sempre più al mondo social.

A tal proposito utile appare essere il concetto di Social TV inteso come fenomeno che nasce dall’incrocio spontaneo di innovazioni tecnologiche e di usi sociali da parte delle audience (Colombo, 2014, pag. 9) che vedono incrementata la loro possibilità di partecipazione e coinvolgimento. “Quando si parla di Social TV, insomma, ci si riferisce non tanto a un mezzo che si è potenziato attraverso l’assorbimento delle potenzialità delle caratteristiche del web 2.0 e dei social media, quanto piuttosto a un mezzo che si sta adattando a un ambiente tecnologico, sociale e di mercato nuovo, frutto improvviso e non

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Il pubblico può essere definito come la collettività di persone che fruiscono (usano, consumano, si appropriano, interpretano) dei contenuti veicolati dai media. I pubblici sono frutto dell’interazione fra il contesto sociale che, vincola necessità informative ed interessi culturali, e l’offerta mediale, che non deve essere banalizzata con un semplice ancoraggio alla dimensione tecnologica (Bennato D.,

Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo, Laterza,

123 deterministico del lungo processo di digitalizzazione, ma anche di più vasti cambiamenti sociali” (ivi, pag. 10).

La Social TV, secondo Cuman (ivi, pag. 23) è allora “un dispositivo, o un insieme di dispositivi e piattaforme, che consentono agli spettatori di instaurare una diversa relazione con il medium televisivo o con altri spettatori più o meno distanti”. Harboe (2009) fornisce due definizioni al concetto di Social tv, una forte e una debole. Nella sua definizione forte, la Social TV è considerata semplicemente come un sistema volto a creare “un’esperienza televisiva “come se” si stesse guardando la televisione insieme, anche se gli spettatori sono fisicamente distanti tra di loro” (Harboe, 2009, pag. 725). La definizione debole, invece, riguarda qualsiasi dispositivo tecnologico in grado di abilitare qualsiasi pratica sociale e comunicativa associata alla tv: in questo senso la pratica di fruizione condivisa o le conversazioni intorno al contenuto televisivo, siano esse precedenti o successive alla fruizione e indipendentemente dal supporto tecnologico che le veicola, sarebbero tutte considerabili come forme di “Social TV” (ibidem).

Ulteriore definizione ci giunge da Gunn Enli il quale interpreta la Social TV “come una televisione che abilita un feedback dagli spettatori attraverso una piattaforma second screen”143. A tal proposito, “è fondamentale evidenziare come oltre il 40% dei consumatori utilizzi i social media guardando contemporaneamente la televisione e condividendo istantaneamente emozioni, pensieri, personali esperienze di fruizione” (Crocitti, 2012, pag. 57). Secondo Schatz (et al., 2010, pag. 257), invece, la Social TV va letta nella sua dimensione orizzontale, ossia come “[...] una tecnologia che abilita la condivisione dell’esperienza televisiva per stimolare l’interazione sociale e gli usi sociali della televisione tra gli spettatori”. In altre parole, la Social TV sembra essere intesa tanto come la possibilità di interagire con il contenuto

143

Cuman A., Social TV: un fenomeno mutevole tra tecnologie, esperienze e mercati, in “La Social TV nell’attuale contesto evolutivo del sistema dei media”, 2014, pag. 32.

124 televisivo trasmesso dal broadcaster, quanto come la possibilità di interagire con le proprie reti sociali144 intorno al contenuto televisivo. Questi modi di intendere la Social TV fanno emergere due diverse interpretazioni: l’idea di una TV socievole da una parte, ossia di una televisione che stabilisce una relazione discorsiva con lo spettatore, e di una TV socializzabile e socializzata, cioè volta a “ricreare la socialità diretta dell’esperienza di visione condivisa e situata di contenuti televisivi in diretta nel classico ambiente da salotto” (ivi, pag. 258).

La Social TV può essere allora letta come un’ulteriore fase transitoria che nasce dall’incontro e ibridazione tra internet e la televisione, tra due modelli di comunicazione profondamente diversi tra loro (da una parte il mass medium per antonomasia, dall’altra i media networked e partecipativi), ma che sta già mutando la propria forma e le proprie definizioni, e andando verso approcci più olistici al consumo mediale, da quello sul Simultaneous Media Use (Hassoun, 2014) a tutti gli studi più recenti sulle forme di second o multiple screen consumption (Bury, Li, 2013)145. Infatti, il termine social television è comunemente utilizzato per indicare quella pratica mediale che combina il consumo di prodotti televisivi con la navigazione su piattaforme online, in particolare siti di social networking, consentendo al telespettatore di commentare ciò che sta guardando in tv e di interagire a distanza con altri telespettatori (Marinelli, Celata, 2012). In taluni casi, la medesima pratica è

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“Una rete sociale è un insieme di noti socialmente rilevanti collegati da uno o più rapporti. Nodi, o membri della rete, sono le unità che sono collegate da relazioni delle quali noi studiamo gli schemi. Queste unità sono di solito persone o organizzazioni, ma in linea di principio tutte le unità che possono essere collegate ad altre unità, possono essere analizzate come nodi. Questi includono pagine web, articoli di giornale, paesi, quartieri, dipartimenti o ruoli all’interno di organizzazioni […]” (Marin, Wellman, 2010, pp. 11-12). Da questa definizione, risulta evidente il voler considerare una rete sociale come insieme di nodi, per indicare i membri, gli individui che attraverso una serie di relazioni sono collegati fra di loro. Spiegando, al tempo stesso, che il riferimento “nodo” sta ad indicare sia le persone, sia le piu diverse unità collegate ad altre unità (Centorino M., Romeo A., Sociologia dei

digital media. Concetti e percorsi di ricerca tra rivoluzioni inavvertite e vita quotidiana,

FrancoAngeli, Milano, 2012, pag. 96).

145

125 definita anche fruizione in second screen poiché implica l’utilizzo congiunto di un secondo schermo. “Sebbene sia spesso ricondotta al paradigma della cultura partecipativa, la social television può essere più correttamente interpretata come un fenomeno “internazionale”, che si estende sia a livello orizzontale (tra i membri del pubblico) che verticale (tra il pubblico e il programma oggetto di discussione). Perlomeno nelle sue forme più diffuse in Italia, essa non può essere ricondotta a una dimensione compiutamente partecipativa (Carpentier, 2011) dal momento che le decisioni sui contenuti e il formato della trasmissione sono interamente a carico della redazione senza che il pubblico autore dei commenti abbia alcuna voce in capitolo. Si tratta piuttosto di una forma di interazione tra programma/conduttori e pubblico che, pur non incidendo sui processi decisionali, instaura una forma di reciprocità tra produzione e fruizione 146”.

Il fatto che al centro dei discorsi sociali vi siano principalmente contenuti televisivi o, generalizzando, audiovisivi (trasmessi non solo in tv ma anche dai diversi canali web) è una chiara testimonianza di come tali fonti argomentative siano il carburante per dar vita a conversazioni e interazioni (online e non).

La Social TV appare allora legata all’esperienza sociale del contenuto televisivo, a come la televisione è consumata, condivisa e commentata con gli altri attraverso molteplici piattaforme e canali. Non ci si riferisce al contenuto che trasmette ma all’esperienza sociale che crea o abilita tra utenti, spettatori, ecc.147

Approcci teorici, questi, che possono confluire nella branca dei media studies, e più in generale, degli audience studies148 poiché danno centrale

146

Carlo S., Logiche produttive e trasformazione dei consumi, tra minacce e nuovi modelli di business, in “La Social TV nell’attuale contesto evolutivo del sistema dei media”, 2014, pp.64-65.

147

Cuman A., Social TV: un fenomeno mutevole tra tecnologie, esperienze e mercati, in “La Social TV nell’attuale contesto evolutivo del sistema dei media”, 2014, pag. 30.

148

La ricerca sull’audience è riassumibile in quattro principali tipologie: la tipologia più semplice è quella che conta i consumatori e categorizza gli individui in base a variabili socio demografiche, in altre parole misura il pubblico. Viene chiamato rating, “cioè il calcolo secco dei soggetti attivi in un

126 importanza al ruolo dello spettatore e alla sua esperienza di fruizione, socializzazione e discorsivizzazione. Da questo punto di vista, la Social TV appare come un particolare tipo di esperienza televisiva evolutasi in base alla crescente pervasività e interattività delle tecnologie digitali, del web e dei social media portando a nuove opportunità di interazione dello spettatore con i contenuti televisivi insieme ad un suo ruolo attivo all’interno del sistema produttivo televisivo – dall’andamento generale di un programma a uno specifico contenuto – (Colombo,Cuman, 2012). In questo senso si configura una nuova modalità di fruizione che combina l’esperienza di intrattenimento dello spettatore televisivo tradizionale (quello seduto comodamente sul divano), con l’esperienza interattiva del web: “Una combinazione che è potente per tutti i contenuti video, e che fornisce anche un nuovo modo di esperire le applicazioni web e le interazioni personali” (Montpetit, 2009, pag. 3). Una prospettiva che richiama da vicino quella di Dan Harries, che introduce l’idea di viewsing (unione di viewing – visione di contenuti televisivi – e using – utilizzo di device digitali), vista come quella “esperienza dei media che integra efficacemente sia le attività di visione che quelle di utilizzo. [...] I viewsers sono i nuovi “consumatori connessi” che trovano il piacere

processo di consumo” (Sorice, 2007, pag. 62) e un esempio ne è Auditel. Un secondo tipo di ricerca sull’audience è l’analisi degli effetti dei media, in cui al centro dell’attenzione dei ricercatori vi è la misurazione della qualità e della qualità di tali effetti. Queste ricerche si basarono all’inizio sull’osservazione delle reazioni psico-fisiche derivanti dall’uso dei media. Un terzo tipo di ricerca sui media è quello che si rifà all’approccio usi e gratificazioni (Katz, Blumler, Gurevitch,1974). Gli studi sull’audience sono stati tradizionalmente divisi tra i ricercatori interessati a quantificare il numero di persone che ricevono un determinato messaggio mediale e i ricercatori impegnati nel raggiungere una conoscenza più profonda del significato che gli individui attribuiscono ai messaggi mediali distribuiti dai mass media convenzionali (Vicente-Marino, 2014, pag. 39). I due interessi di ricerca hanno caratterizzato lo sviluppo dei due principali approcci della ricerca sull’audience: quantitativo e qualitativo. La ricerca sull’audience dei media si è sempre focalizzata negli ultimi anni sui nuovi