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Altre volte aveva messo alla prova Griselda, e sempre ne era rimasto soddisfatto; perché dunque tentarla ancora, e sempre con più dure prove? Per quanto alcuni trovino da lodare, in ciò, un tratto d’ingegno, a me sembra cosa molto crudele tormentare senza ragione una povera mo- glie, con angosce e paure.

Geoffrey Chaucer, Il racconto del chierico di Oxford60

Al pari delle altre commedie shakespeariane, The Taming of the Shrew mette in scena una forma di giustizia poetica o di happy ending: vale a dire, la sequenza narrativa si chiude con la realizzazione di quel “giusto desiderio” che, sin dall’inizio, anima l’azione stessa. È il personaggio di Lucentio a chiosare, in forma di commento metanarrativo, la conclusione delle ostilità e il ritorno all’armonia, opportunamente cadenzato lungo l’asse temporale dell’azione (“time it is [...] to ...”):

At last, though long, our jarring notes agree, And time it is, when raging war is done, To smile at scapes and perils overblown. (V.ii.1-3)61

Il commento di Lucentio − che, emblematicamente, apre la scena fi- nale − si avvale, al pari di altri analoghi commenti metanarrativi62, di una

duplice linea metaforica: militare e musicale. Da un lato, la guerra ha mosso l’azione, complicandola; dall’altro, l’armonia la conclude ponendo fine alle dissonanze iniziali: “our jarring notes agree”.

Si sarebbe indotti a commentare prendendo a prestito il titolo di un’al- tra commedia: “all’s well that ends well”. Senonché, proprio la commedia in questione, non a caso inclusa dalla critica nel novero delle cosidette dark comedies o problem plays, ci suggerisce, smentendo il suo stesso titolo, che non tutto è bene quel che finisce bene.

In linea generale, è il meccanismo stesso della giustizia poetica a lasciar tra- sparire la sua ambivalenza di fondo. La giustizia poetica, nella prevalenza finale del bene, postula una equivalenza tra visione del mondo e struttura narrativa.

60 G. Chaucer, I racconti di Canterbury, cit., p. 224.

61 «Alla fine, sia pure dopo lunghi conflitti, le nostre note stonate trovano un accordo, ed è

tempo, cessato l’infuriare della guerra, di sorridere delle traversie e dei pericoli scampati».

62 Si veda, ad esempio, il commento metanarrativo di Imene in As You Like It (V.iv.107-14,

Vale a dire, la formula dello happy ending traduce in termini narrativi l’idea − tanto antica quanto controversa − che il mondo sia buono e giusto. Il ragionamento sotteso a tale forma narrativa è: “dal momento che il mondo è buono, il bene alla fine prevale”. Nell’impossibilità di dimostrare la validità logica di tale premessa63, la giustizia poetica ricorre a un meccanismo di tipo

ostensivo-esemplare. È la prevalenza del bene a mostrare la bontà ed equità del mondo; è, cioè, la conclusione a supportare la premessa. Ciò che accade è bene in virtù del suo stesso accadere. Chi vince è innocente. Argomentazione di tipo ordalico.

A un primo livello di senso, The Taming of the Shrew si conforma a tale schema generale. A un livello di senso più profondo, però, al pari delle al- tre commedie shakespeariane64, ne lascia intravvedere le ambivalenze e le

contraddizioni interne. In altri termini, attraverso la struttura narrativa dello happy ending la commedia suggerisce che ciò che è accaduto è buono, giusto, o auspicabile: è buono che una giovane donna facoltosa sposi un giovane uomo altrettanto facoltoso ed è buono che ella si sottometta docilmente al marito, lasciandosi ‘guarire’ da lui. Tale visione è supportata, oltre che dai fatti stessi, ovvero dal congegno narrativo generale, anche da alcuni giudizi, quali ad esempio quello − su riportato − di Lucentio all’inizio del V atto (scena ii) nel quale si sottolinea il carattere armonizzante del finale.

Al tempo stesso, tuttavia, altri elementi incrinano la credibilità del lieto fine. Una breve digressione può risultare chiarificatrice. La storia esemplare della paziente Griselda, narrata dal Chierico di Oxford nei Canterbury Tales, e ricordata dallo stesso Petruccio, si conclude in forma di happy ending. Il superamento delle varie e dure prove a cui viene sottoposta Griselda porta, dopo lunghi anni di sofferenza, alla festa e alla gioia: “Così finì in mezzo alla festa”65. Nondimeno, è impossibile ignorare come il racconto sia disseminato

di giudizi negativi riguardo all’ostinazione di Gualtieri nel tormentare con prove crudeli e arbitrarie una moglie che aveva già dato ottima prova di sé (cfr. il passo in esergo). Il punto di vista del narratore, cioè, mina l’esemplarità conferita al racconto dalla sua struttura narrativa. In sintesi, se la struttura narrativa orienta l’assiologia del testo − ovvero il sistema di valori che ivi si manifesta − altri elementi concorrono, a loro volta, a definirla.

63 Naturalmente, il ragionamento corretto sarebbe: «se il mondo è buono, allora il bene

prevale».

64 Naturalmente, ciascuna commedia di Shakespeare, pur conformandosi allo schema

generale della giustizia poetica e dello happy ending, ne dà una sua modulazione particolare. In alcune, quali ad esempio Love’s Labour’s Lost, lo happy ending viene solo evocato e per così dire ‘posposto’ al di là della chiusura narrativa dell’azione.

Dunque, analogamente a quanto accade nel racconto di Chaucer, nella commedia shakespeariana vari elementi mettono in crisi lo happy ending, problematizzando il quadro della giustizia poetica. Proviamo ad elencarne alcuni.

Innanzitutto, il finale si rivelerà leggermente e ironicamente diverso rispetto a quanto previsto da Lucentio nel suo commento metanarrativo. La sequenza della scommessa (V.ii.66ss), infatti, andrà a contraddire il quadro di armonia e di equilibrio generale evocato nella parte iniziale della stessa scena. Anzi, sarà proprio Lucentio a essere colpito in prima persona, perché sua moglie Bianca, unitamente all’altra sposa (la vedova), lungi dal mostrarsi sottomessa, paleserà un’indole riottosa e combattiva. Alla fine del dramma, a una moglie sottomessa, faranno dunque da contrappunto due mogli per nulla intimidite dai rispettivi mariti. Il contegno di Bianca, in particolare, suggerirà un cammino inverso rispetto a quello percorso dalla sorella mag- giore: da fanciulla mite e silenziosa a moglie indipendente e sicura di sé.

Non solo. Rimangono anche profondi dubbi interpretativi sulla stessa sottomissione di Katherina e, in particolare, sul suo discorso finale rivolto a Bianca e alla vedova (vv. 142-85). Nell’appello, la protagonista riconduce la sottomissione femminile nel quadro di una presunta legge naturale (la neces- sità dell’obbedienza delle mogli sarebbe suggerita dalla morbida fragilità del corpo femminile). E conclude che le donne “are bound to serve, love and obey” (V.ii.170). Se, da un lato, l’appello di Katherina sembra allinearsi al pensiero dominante dell’epoca (in particolare, le sue parole riecheggiano sia l’idea di una legge di natura, sia la formula matrimoniale del Book of Common Prayer che imponeva alla donna una esplicita promessa di obbedienza al marito),66 dall’altro, il fatto che esso fosse affidato alla recitazione di un boy

actor, e che riecheggiasse il discorso − apertamente parodico − pronunciato dal paggio Bartholomew in abiti femminili all’interno della Cornice67, lascia

aperto qualche dubbio sulla sua credibilità68.

Né tantomeno sembrano convincere gli eccessi educativi di Petruccio, vero e proprio marito-padrone, alla stregua del Gualtieri chauceriano (e

66 Cfr. «The fourme of solemnization of Matrimonie», in The Book of Common Prayer (1559),

ed. cit, pp. 157-64.

67 La cornice, con il travestimento del paggio in moglie sottomessa, non solo anticipa,

in chiave parodica, il tema della sottomissione femminile, ma evoca anche la stessa prassi performativa del cross-dressing.

68 In alcune produzioni recenti della commedia si è cercato di suggerire, in vari modi,

che l’appello finale di Katherina è poco credibile ovvero non spontaneo: ad esempio, ne La

bisbetica domata diretta da Laura Angiulli, Katherina (impersonata da Alessandra D’Elia) recita

petrarchesco). Più che ‘guarire’ una donna bisbetica, affetta da una grave patologia umorale, Petruccio gioca col suo stesso ruolo di consorte-educa- tore-regista dell’azione. Le sue costrizioni sono talmente irragionevoli, il suo autoritarismo è talmente forte da assumere valenza caricaturale.

In generale, è proprio la poetica dell’eccesso a sottrarre credibilità alla cura umorale e alla terapia verbale messe in atto da Petruccio. La vena misogina della commedia, sottolineata dalla struttura narrativa, si stempera nei gio- chi e nelle contese linguistiche che animano i dialoghi. Il tono educativo- esemplare si carica, così, di sfumature ridicolo-farsesche. E la stessa festa nuziale, celebrata nella scena del convivio finale, si trasforma in «festa del linguaggio».