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Guerra di bande e propaganda

La lotta antipartigiana nell’OZAK

4.2 Guerra di bande e propaganda

All’intensa attività militare e politica del movimento di liberazione le forze di occupazione naziste risposero da un lato con una violenta azione repressiva, dall’altro attraverso un’intensa campagna propagandistica che mirava a screditare il movimento partigiano ed a spingere la popolazione civile locale a sostenere l’azione di controguerriglia. Nel Bandenkampf, infatti, si individuò la propaganda come una delle armi decisive da utilizzare contro le bande nel territorio. Hanns Schneider- Bosgard nel testo partiva dal presupposto che la guerra senza propaganda fosse impensabile:

Quasi non esiste uno scontro militare di una certa importanza che non sia preparato almeno propagandisticamente e il cui successo definitivo non sia dipeso dall’abilità con la quale furono impiegati i più diversi mezzi di propaganda51.

Se essa era stata decisiva e importante nei luoghi dei grandi scontri armati, lo era ancora di più in realtà «meno importanti» come quelle dell’OZAK. Anzi, sosteneva ancora l’autore, in territori così politicamente ed etnicamente frastagliati come i Balcani e soprattutto nella zona costiera adriatica, l’impegno della propaganda era ancora più importante perché:

nessuno è più accessibile ai tentativi di influenza propagandistica delle masse dei piccoli e piccolissimi popoli delle enclaves nazionali e delle minoranze nella zona europea sudorientale, masse che si trovano continuamente in movimento dal punto di vista politico52.

51 A. Sema, Bandenkampf cit., p. 173. 52 Ivi, p. 174.

Di fronte ad una popolazione sensibilmente vulnerabile, e di fronte alla continua pressione del movimento di liberazione, le forze di occupazione ritenevano necessario un intervento forte della propaganda, non solo con tutti i mezzi possibili ma soprattutto «con tutta l’acutezza pensabile». Le autorità tedesche erano consapevoli di non trovarsi di fronte ad un nemico compatto, contro il quale combattere con messaggi propagandistici o politici unici; contrariamente alle altre zone, qui l’attacco doveva volta per volta adattarsi e conformarsi ai diversi gruppi nazionali presenti sul territorio. Solo una contropropaganda su base etnica poteva raggiungere dei risultati buoni e duraturi in un territorio come quello dell’OZAK. La propaganda doveva quindi affiancare e sostenere ogni intervento militare, così da rafforzarlo e renderlo più efficace, «si tratta senza dubbio di una sincronizzazione dell’intervento, ora militare, ora propagandistico». Non a caso l’andamento della propaganda seguiva quello dello sviluppo militare: «lo scontro propagandistico si acuisce proprio come quello militare quando ci si avvicina alla crisi».

Per quanto riguarda le tecniche da applicare, si doveva considerare che «gli stessi principi che valgono per il nemico sono obbligatori anche per noi»; se il nemico spingeva le bande a continue azioni e la popolazione civile ad attivarsi in aiuto e sostegno del movimento di liberazione, allora, sosteneva ancora l’autore, la propaganda delle forze tedesche doveva rivolgersi alle bande e «fino agli estremi ambiti della popolazione civile». Per quanto riguarda i compiti della propaganda, nel testo venivano così riassunti:

il compito della propaganda di combattimento, consiste dunque nell’approfondire i contrasti politici fra le bande, per contrastare la formazione di un fronte unico. Il suo compito consiste anche nel disgregare e dividere dall’interno le singole bande per rendere più difficile la conduzione del combattimento53.

Per quanto riguarda la popolazione civile, le direttive del manuale erano precise. L’importante era che, grazie ad una azione mirata della propaganda, si riuscisse a sottrarre terreno al nemico e contemporaneamente ottenere «un’influenza più forte sulla mentalità, la psicologia e la motivazione politica» della popolazione civile

53 Ivi, p. 175.

stessa. Con tali misure i tedeschi miravano ad ottenere la fiducia della popolazione e la loro «propensione politica».

Essenziale per l’efficacia dell’azione era non lasciare mai spazio all’avversario: si doveva privare immediatamente il nemico di ogni successo sperato rispondendo colpo su colpo. Si doveva impedire al nemico di «confondere ideologicamente» la popolazione locale, «a nessun volantino di successo dei banditi deve essere data l’occasione di un’efficacia durevole. Ogni propaganda orale deve essere confutata o resa illusoria con asserzioni contrapposte», ad ogni scritto degli Alleati si doveva rispondere immediatamente.

La propaganda, quindi, svolgeva per le forze di occupazione una funzione decisiva in tutto ciò che precedeva e seguiva lo scontro armato, anzi si affermava che nella zona d’operazioni «deve essere posto a fondamento di ogni misura, contemporaneamente, anche un pensiero propagandistico».

4.2.2 L’organizzazione della propaganda nell’OZAK

Precedentemente si è visto come Rainer allo scopo di perfezionare il regime di occupazione pianificò una nuova struttura amministrativa con la quale cercò di controllare ogni settore della vita pubblica, sociale ed economica. Tra i diversi incarichi della sua macchina amministrativa, quello della propaganda fu sicuramente uno dei più importanti e, tra tutte la sezione che vi presiede la più impegnata, sino agli ultimi giorni del conflitto. Rainer utilizzò l’arma della propaganda, fin dai primi giorni dopo il suo insediamento, come strumento di pacificazione e di dominio del territorio. Dopo un breve periodo di transizione, durante il quale la responsabilità del settore propaganda ricadde sul consolato generale del Reich di Trieste, Rainer istituì all’interno del suo gabinetto la Sezione II – stampa, propaganda e cultura54, che affidò al dott. Karl Lapper55.

54 In tedesco: Abteilung II – Presse, Propaganda und Kultur.

55 F. Albanese, Rallegratevi della guerra e temete la pace! Note sulla propaganda nazista nel

Lapper, già collaboratore di Rainer come responsabile della propaganda in Carinzia, costituì attorno alla sua sede di Trieste, un’imponente ed organizzata struttura che egli riversò in modo capillare in tutte le province del territorio, coinvolgendo anche le forze della Wehrmacht. L’amministrazione tedesca mirava a realizzare una gestione monopolistica di tutto il sistema di informazione e di propaganda nell’OZAK: l’unica voce ufficiale della zona d’operazioni doveva essere quella dell’occupante. A partire dal 10 novembre 1943 tutte le pubblicazioni di notizie o comunicati, di carattere ufficiale ed ufficioso di qualsiasi autorità interna o esterna rispetto all’OZAK avrebbero dovuto seguire le seguenti disposizioni:

1. Comunicazioni di qualsiasi natura delle succitate autorità, uffici, segretari ed enti sono bloccate in linea di massima per la pubblicazione nei giornali di tutta la zona d’operazioni «Litorale Adriatico».

2. Il Supremo Commissario per la zona d’operazioni «Litorale Adriatico», sezione II, propaganda stampa e cultura decide in merito ad un’eventuale pubblicazione di qualsiasi comunicazione diramata dai enti ed uffici summenzionati.

3. […]

4. La sezione sunnominata del Supremo Commissario per la zona d’operazioni «Litorale Adriatico» deciderà quali delle notizie comunicati ecc. possono essere pubblicati dalla stampa, rispettivamente in che modo possa essere pubblicato

5. Sono esclusi da questa disposizione tutti i comunicati ufficiali o ufficiosi delle amministrazioni provinciali se contrassegnati dal competente consigliere germanico

6. Comunicati di agenzie ufficiali italiane o della radio italiana su leggi di natura civile o militare, che abbiano valore per il territorio italiano, sono bloccati per tutta la zona d’operazioni […] una eventuale pubblicazione verrà decisa di volta in volta […]56

Queste direttive garantirono a Rainer un controllo centralizzato e totale sull’informazione e sui mezzi di comunicazione destinati alle forze tedesche ma soprattutto alla popolazione civile. Tramite l’esercizio di una stretta censura, le autorità tedesche riuscirono nel loro tentativo di isolare la popolazione del territorio dal resto d’Italia, ma anche da tutto il resto del mondo. Il potente apparato propagandistico tedesco esercitò il suo potere non soltanto per mezzo della stampa, ma anche della radio, dell’attività teatrale, delle attività cinematografiche.

L’incarico dell’ufficio di Lapper doveva essere quello di sostenere l’azione politica dell’amministrazione tedesca nella sua intricata ricerca di legittimazione nei confronti della popolazione locale. Si è già parlato precedentemente dei continui richiami al passato austriaco, all’uso spropositato del vecchio legame storico di Trieste alla Mitteleuropa, o all’immagine del «mosaico di popoli e nazioni» che caratterizzava il territorio del quale la potenza germanica si presentava come l’unica amministrazione capace di garantire una pacificazione duratura. Nella difficile e continua ricerca di consenso e collaborazione, la propaganda fu molto attenta a formulare proposte diverse per ogni gruppo nazionale, promettendo un ruolo speciale a ognuno all’interno del Nuovo Ordine europeo prospettato dalla Germania nazista.

Per attuare tale programma vennero applicate anche nell’OZAK strumenti e tecniche sperimentati in altri territori occupati, adattando però i toni e i modi dell’intervento alle caratteristiche etniche e politiche di questa particolare regione.

A Trieste, all’inizio del 1944, fu insediata una filiale dell’agenzia ufficiale di notizie tedesca, il Deutsches Nachrichten-Büro, che operò anche a Lubiana. Nel territorio giunsero anche un gruppo di giornalisti della Europa Verlag, l’agenzia editoriale del Reich che curava la stampa tedesca nei territori occupati57. Questo gruppo di giornalisti non si limitò quindi alla censura della stampa già esistente, ma diede vita anche a nuovi giornali e riviste in lingua tedesca. In breve tempo nacque il giornale tedesco del Litorale Adriatico: il «Deutsche Adria Zeitung» (da ora DAZ). Esso, pubblicato ininterrottamente dal 14 gennaio del 1944 sino al 28 aprile del 1945, dava ampio spazio alle notizie provenienti dalle agenzie di stampa del Reich, ai resoconti dal fronte firmati dai reporter della Wehrmacht e delle SS, ma anche a molto materiale prodotto dai giornalisti di stanza a Trieste. In breve tempo il DAZ divenne il principale organo di propaganda a mezzo stampa di tutto l’OZAK58.

57 Questa potente casa editrice tedesca pubblicava giornali e riviste in tutto il circuito nazista, nei

paesi occupati lavorò a stretto contatto con gli uffici della Wehrmacht. Sul tema cfr.: H. W. Eckhardt, Die Frontzeitung des deutschen Heeres 1939-1945, Wien-Stuttgart, 1975; P. Longerich, Propagandisten im Krieg. Die Presseabteilung des Auswärtigen Amtes unter Ribbentrop, München, 1987.

58 Accanto al DAZ i tedeschi pubblicarono anche una rivista settimanale a colori la «Adria

Illustrierte» che uscì, dal 22 aprile del 1944 al 28 aprile 1945, in quattro lingue: italiano, tedesco, sloveno e croato. In questo modo si pensava di poter raggiungere un pubblico molto più vasto.

Importante è capire a chi si rivolgeva questa azione di propaganda: è certo che i principali fruitori del quotidiano furono i militari tedeschi delle forze di occupazione e i civili germanici impegnati negli uffici amministrativi, ma nelle intenzioni delle autorità il giornale era destinato anche alla popolazione locale. Non si è in grado però di sapere quanta diffusione abbia raggiunto tra la popolazione in quanto non ci sono dati relativi alla conoscenza della lingua tedesca nella zona. Importante rimane l’impronta e il messaggio politico-ideologico che si ritrova nel giornale, che indica la “direzione” che intende seguire la propaganda all’interno dell’OZAK. Non a caso molti articoli verranno tradotti in italiano e sloveno e fatti pubblicare su «Il Piccolo» o su altri giornali locali; gli stessi messaggi di propaganda si ritroveranno anche nei volantini che verranno distribuiti in modo capillare in tutto il territorio.

Nei diversi articoli di fonte tedesca riusciamo ad individuare ed interpretare l’impegno della propaganda tedesca in funzione antipartigiana. Compito principale fu quello di attirare i diversi gruppi nazionali verso l’orbita tedesca per impedire che queste popolazioni cadessero nella propaganda nemica e abbracciassero la causa partigiana. Attraverso lo sfruttamento dei particolarismi locali e alimentando l’insoddisfazione delle minoranze, si cercò contemporaneamente di evitare il rafforzamento del fronte antinazista. Seguendo la strategia etnico-nazionale, in Friuli era particolarmente ossessiva la propaganda contro il movimento di liberazione, accusato di appoggiare le rivendicazioni nazionaliste jugoslave rappresentate dal movimento di Tito; nelle zone slave, invece, la propaganda antipartigiana si concentrava sul pericolo che rappresentava per la gente e la patria l’avvento dell’ideologia bolscevica di cui i partigiani erano l’avanguardia. La propaganda puntò ad identificare la guerriglia partigiana con la guerra delle armate bolsceviche, sperando così di far convergere dalla parte delle forze di occupazione tutte le forze anticomuniste. Secondo Gianmarco Bresadola, che ha analizzato a fondo la propaganda tedesca nel DAZ, la strategia della propaganda tedesca mirava a paragonare la lotta del movimento partigiano con quelle di una guerra civile dove a confrontarsi non erano il comunismo e il nazionalsocialismo, ma rivoluzione e conservazione, terrore e ordine. Nella lotta contro il movimento di liberazione, la propaganda puntava a dimostrare alla popolazione locale che non avrebbe dovuto interpretare la repressione tedesca come la difesa degli interessi del Reich nell’OZAK, ma come la strenua lotta per la conservazione degli interessi collettivi.

I tedeschi erano i veri Wiederstandskämpfer59 che combattevano contro gli eserciti alleati e l’Armata Rossa in difesa dell’Europa.

Nell’ambito dello scontro voluto dai nazisti nell’Adriatisches Küstenland, da una parte vi erano le forze della rivoluzione bolscevica, le sole responsabili di aver scatenato il conflitto civile, dall’altra, guidate dai militari del Reich, le forze della conservazione, impegnate nella salvaguardia dell’ordine e della civiltà; fra i due schieramenti non vi poteva essere spazio per una terza posizione, per la neutralità e l’inerzia60.

Con questo messaggio, che i tedeschi diffusero nel territorio, intendevano spiegare alla popolazione «il vero volto» dei partigiani, quali scopi nascondevano ma soprattutto perché era assolutamente necessario annientarli.

4.2.3 La propaganda antipartigiana

Attraverso la propaganda, le autorità naziste intendevano scavare un profondo solco fra partigiani e popolazione civile, perseguendo il duplice obiettivo di isolare il movimento di liberazione dall’appoggio popolare di cui aveva bisogno per sopravvivere, e di legittimare contemporaneamente la forza e la violenza della repressione delle forze di occupazione.

I partigiani negli articoli e nei volantini tedeschi diventavano «Banditen» e le formazioni militari erano le «Banden». Una terminologia ricercata dai giornalisti tedeschi, che si rispecchiava perfettamente con quella dei documenti ufficiali della Wehrmacht, o della polizia tedesca. Sia che fosse destinata alla popolazione civile, sia che fosse destinata a soldati o ufficiali tedeschi, l’intenzione rimaneva quella di attribuire ai resistenti le caratteristiche deteriori proprie del termine. Questi combattenti diventavano agli occhi delle persone e dei soldati tedeschi dei banditi,

59 Significa: resistente, appartenente alla Resistenza. Termine molto utilizzato dalla propaganda

tedesca per indicare i propri soldati.

60 G. Bresadola, …per una migliore comprensione dei problemi di questo territorio:Il progetto

nazionalsocialista di governo del Litorale Adriatico nelle pagine della "Deutsche Adria Zeitung, in «Qualestoria», n. 2, 2002, p. 102.

ladri, briganti; le unità di combattimento erano solo delle orde di gentaglia, veri delinquenti della peggiore specie. Assegnare loro il termine «Partisan» significava riconoscere in loro dei combattenti per la difesa del proprio territorio occupato da forze nemiche. Ciò rischiava di delegittimare la presenza tedesca nel territorio e si correva il rischio che la popolazione potesse in qualche modo riconoscersi nei partigiani stessi. La popolazione doveva vedere in loro solo dei crudeli «Terroristen» pronti a tutto pur di imporre la sanguinaria e disumana ideologia del bolscevismo. Alla violenza tedesca, legalizzata perché emanazione dell’autorità e del potere e «giusta» perché aderente alle forme classiche della guerra, la propaganda tedesca contrapponeva una violenza partigiana priva di ogni dignità, amorale e barbara. Proprio a causa del loro modo di combattere, subdolo e da vigliacchi, le bande partigiane non erano degne di essere considerate alla stregua di vere e proprie formazioni militari, e i loro appartenenti non potevano e non dovevano quindi essere equiparati a soldati, ma unicamente a dei terroristi e traditori. Il trattamento riservato a tali individui era la diretta conseguenza di una simile impostazione concettuale.

La propaganda si impegnò anche nel tentativo di disgregare e dividere all’interno le singole bande. Attraverso articoli e volantini i tedeschi si impegnarono a «smascherare» la dura realtà della vita partigiana con la diffusione di notizie più o meno tendenziose sulla situazione interna delle bande. Venivano organizzate numerose mostre dove si descrivevano le tragiche condizioni di vita dei banditi, oppure spesso venivano pubblicate lettere (naturalmente false) e testimonianze dirette:

Sono senza scarpe, senza niente, senza soldi, affamato e con il pensiero sempre rivolto a voi. […] Mi dolgono le ossa, i miei piedi sono andati. Mangiamo solo polenta senza grassi e senza sale. […] Quando troviamo una mela marcia è come se fosse una torta. Spero che presto sia tutto finito, altrimenti sarebbe meglio che mi sparassi una pallottola in testa61.

Numerose testimonianze pubblicate descrivevano la disciplina come l’unico espediente per conservare la coesione delle formazioni in una atmosfera dominata da diffidenza di carattere politico e di origine nazionale.

61 Ivi, p. 106.

I comandanti godevano di ogni privilegio, mentre i singoli combattenti erano costretti a patire la fame e morire spesso per le malattie.

Il vero salto di qualità la propaganda lo fece quando negli attacchi nei confronti dei partigiani furono introdotti caratteri discriminatori tipici della concezione razziale del nazismo. In un articolo del DAZ Tito venne così descritto: «Il vostro viso, compagno Tito, spaventa per la sua primitività. La ruga verticale alla radice del naso non può tradire alcuna intelligenza, anche la bocca, piatta e larga, è quella di un uomo dei più grossolani e ordinari», mentre un reporter della Wehrmacht descrisse in questi termini il cadavere di un partigiano ucciso in Istria: «Il cappello con la stella rossa sovietica era scivolato dalla sua testa, ed un viso belluino aveva lo sguardo fisso nel vuoto»62. Ora non era più solo il comportamento o l’ideologia partigiana ad essere denigrata, erano i caratteri personali ad essere analizzati: i lineamenti fisici suggerivano mancanza di intelligenza, il viso primitivo rappresentava la violenza e la crudeltà del movimento di liberazione. I banditi seminatori di terrore diventavano riconoscibili dai loro tratti somatici, il giudizio umano soccombeva sotto il peso della politica razziale nazista. Dagli articoli emerge col tempo sempre di più una sostanziale coincidenza tra partigiani ed etnia slava (non ci si deve dimenticare che all’interno della resistenza dell’OZAK, l’elemento «slavo» era maggioritario rispetto a quello italiano). Le descrizioni dei partigiani risultano sempre più intrise di quel tradizionale disprezzo che il nazismo provò da sempre nei confronti dei popoli slavi. Una impostazione che risulterà in futuro, in palese contrasto con la politica di apertura e di consenso impostata da Rainer nei confronti del gruppo nazionale sloveno. L’aspetto fisico dimostrava che i partigiani erano un elemento «anomalo» all’interno della società, assomigliando più alle bestie che agli uomini. L’immagine del partigiano dell’DAZ avrebbe potuto benissimo confondersi con quelle del partigiano russo descritte dal regime naziste sul fronte orientale, anche in questo caso figlio di una razza «slava» e anche qui guidato dal nemico bolscevico63.

62 Le due traduzioni sono prese da G. Bresadola, …per una migliore cit., p. 107. I due articoli

originali sono rispettivamente cfr.: DAZ, 13.2.1944, Genosse Broz ohne Glorie; e DAZ, 23.1.1944, Das Lächeln der Mona Lisa. Eine Episodi aus dem Bandenkriege.

Come le grandi qualità morali e civili della razza germanica si rispecchiavano nella perfezione estetica di quel popolo, così lo spaventoso aspetto dei guerriglieri della resistenza slava suggerito dalla propaganda tedesca, avrebbe dovuto essere l’evidente sintomo della loro disumanità, dell’inciviltà e della barbarie insite nell’ideologia comunista che essi propagavano64.

Queste affermazioni specificamente razziste che si attribuivano ai «Banditen» finirono per avere non solo una valenza propagandistica, ma conseguenze devastanti sul piano della lotta di controguerriglia. Attraverso questa negazione totale di umanità, il partigiano subì un processo di spersonalizzazione che precedentemente il nazismo aveva riservato principalmente all’elemento ebraico. Come il regime aveva attuato nei confronti degli «Juden» un processo di discriminazione e disumanizzazione prima di procedere alla «soluzione finale», così ora iniziava una degradazione civile e morale del movimento di resistenza, prima di attuare la distruzione e l’annientamento (Vernichtung und Zerstörung) del movimento. Su questa linea si potrebbe dunque delineare un punto di contatto tra lo sterminio ebraico e la lotta antipartigiana. Un processo simile di negazione totale dell’umanità in con l’unico scopo doveva essere quello di estirpare in modo definitivo un avversario oramai privato di ogni diritto umano.

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