La guerra civile che ha condotto la Somalia verso l’anarchia nella quale versa purtroppo ancor oggi è iniziata nel 1991 76. La situazione interna del paese africano era drammatica, nonostante le esorbitanti donazioni ricevute negli anni Ottanta dai paesi occidentali, soprattutto dall’Italia, tramite i finanziamenti e i progetti della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo 77. Il paese era ridotto comunque in uno stato di indigenza quasi assoluta e il dittatore attendeva l’esplosione della rivolta contro il proprio potere. Siad Barre cercò di resistere oltre ogni ragionevole possibilità e infine prese la via dell’esilio, ma nel frattempo la lotta contro di lui si era trasformata in una cruentissima guerra civile. Il tribalismo, prima combattuto dal passato regime e poi resuscitato per strumentali fini politici, prese il sopravvento e la guerra divenne fratricida. Nessuna delle numerose conferenze di riconciliazione fra le parti avvenute nel corso degli anni Novanta ha saputo finora porre un freno alla tragedia e la Somalia non esiste più come nazione: il suo territorio è diventato preda dei cosiddetti “signori della guerra”. Inoltre alcune regioni della Somalia hanno proclamato una propria indipendenza, anche se mai riconosciuta a livello internazionale. A conferma di questa drammatica situazione le tragiche e lucide parole di Angelo Del Boca: «[…] la Somalia, priva di un governo legale e di ogni altra forma di autorità riconosciuta, è allo sbando, ha perso la dignità di nazione, è frantumata in una mezza dozzina di staterelli a signoria clanica, come alla fine dell’800, prima che l’Italia iniziasse la sua penetrazione nel Corno d’Africa» 78.
Infatti da parte italiana la necessità di compiere un esame di coscienza collettivo sia sul piano politico che su quello culturale sarebbe il sintomo di una maturità nazionale più consapevole dei numerosi errori commessi nel passato, che partono dalla lunga stagione coloniale fino all’appoggio al regime di Siad Barre.
76 Cfr. Federico Battera, La traiettoria dello stato in Somalia: dall’Afis al collasso, in «Africa», LXV, 1-4, 2010, pp. 215-233.
77 Cfr. Maria Cristina Ercolessi, Cooperazione allo sviluppo il caso italiano, in «Europa e regione: rivista semestrale di studi e informazione», Istituto regionale studi europei dei Friuli Venezia Giulia (Irse), Pordenone, Edizioni Concordia 7, 42, 1997, pp. 81-96.
L’ambasciatore Mario Sica, che assistette agli ultimi giorni di potere del dittatore a Mogadiscio, invita a prender coscienza tutti gli italiani sul fatto che «sarebbe il caso che in Italia si facesse una riflessione su ciò che non ha funzionato in Somalia. Non c’è dubbio alcuno che nella politica verso un paese che l’Italia ha aiutato, negli ultimi quarant’anni più di ogni altro, oggi in una situazione peggiore di ogni altro, qualcosa non ha funzionato» 79.
Molto critico è anche il giudizio di Angelo del Boca che descrive la palese incapacità e impotenza della diplomazia italiana nell’ascoltare i vari interlocutori somali e nel farsi ascoltare da loro, nonostante gli antichi legami tra Italia e Somalia avessero attraversato tante fasi storiche così diverse e lontane nel tempo, dal periodo coloniale a quello fiduciario: «Caduto il tiranno, l’Italia avrebbe forse potuto impedire che la Somalia finisse in pezzi e nel caos, se soltanto avesse esercitato con maggiore impegno, lealtà e coerenza il suo compito di mediare tra le varie forze claniche che si erano affermate nel corso della guerra civile» 80. Le varie missioni internazionali, alle quali prese parte anche l’esercito italiano nel biennio 1993-1994, hanno dimostrato l’incapacità delle Nazioni Unite di trovare una soluzione al caos somalo. Il motivo reale di quel fallimento e dell’inevitabile ritiro dei contingenti stranieri sta forse in due problemi per i quali non si riesce o non si vuole ancora oggi trovare una soluzione adeguata: il primo, di carattere internazionale, è determinato dalla delicata posizione geopolitica della Somalia nel Corno d’Africa, mentre il secondo è il cambiamento avvenuto nei clan somali, che hanno perso il loro antico ruolo sociale e politico e sono stati strumentalizzati per fini economici e militari 81.
79 Mario Sica, Operazione Somalia. La dittatura, l’opposizione, la guerra civile nella
testimonianza dell’ultimo ambasciatore d’Italia a Mogadiscio, cit., p. 233.
80 Angelo Del Boca, La politica italiana nei confronti delle sue ex colonie africane, in «Materiali di lavoro. Rivista di studi storici», 2-3/’91 – 1/’92, cit. pp. 231-248 [244-245].
81 Cfr. alcuni testi riguardo la missione internazionale: Angelo Del Boca, Tre invasioni in un
secolo, in «Studi piacentini», 13, 1993, pp. 181-189; Id., L’Italia per la terza volta in Somalia, in
«Studi piacentini», 14, 1993, pp. 29-82; Paolo Tripodi, The colonial legacy in Somalia: Rome and
Mogadishu: from colonial administration to Operation Restore Hope, Macmillan, New York, St.
Martin’s press, 1999; Bruno Loi, Peace-keeping, pace o guerra? Una risposta italiana:
l’operazione Ibis in Somalia, Firenze, Vallecchi, 2004. Sul tema della violenza durante la guerra
civile si veda Francesca Declich, When silence makes history. Gender and memories of war
La frantumazione sorta dal crollo dello Stato somalo ha condotto i somali alla fuga e alla dispersione verso altri continenti, provocando una diaspora che, al giorno d’oggi, non si è ancora conclusa 82. D’altro canto, secondo Mohamed Aden Sheikh, questa continua peregrinazione dovrà però necessariamente arrivare a una conclusione, almeno nel momento in cui i somali realizzeranno di voler e poter costruire una nuova nazione unitaria e rappresentativa: «Dobbiamo ricostruire lo Stato somalo a partire da un sistema di ampie autonomie locali, di poteri regionali e democraticamente eletti, fortemente responsabilizzati» 83. Per questi motivi la speranza più grande che la Somalia e i somali si possano augurare per loro stessi e per il loro paese è quella di ricreare passo dopo passo le fondamenta di una convivenza civile andata in frantumi ormai da più di vent’anni; come afferma Angelo Del Boca: «Bisogna far leva su ciò che unisce, non su ciò che divide» 84. Nel frattempo Gian Paolo Calchi Novati parla del dissolvimento dello Stato somalo e del conseguente vuoto di potere che si è creato, descrivendo la Somalia come un failed State: «La fine della guerra fredda ha portato all’emergere di attori internazionali non convenzionali. Tra questi, inedita è la fattispecie dello “stato fallito”, di cui la Somalia è epitome» 85.
La volontà di applicare la forma occidentale dello stato nazionale al contesto somalo è sempre stata un’operazione ardua, complessa e se guardiamo ai risultati finali anche poco riuscita. Per comprendere questo è necessario partire dalle
Violence and Conflict, London e New York, Routledge, 2001, pp. 161-175. E’ doveroso ricordare
i giornalisti Ilaria Alpi e Milan Hrovatin uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Riguardo questo caso vi è ormai una ricca bibliografia tra cui segnalo soltanto alcuni testi: Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer, Maurizio Torrealta, L’esecuzione. Inchiesta sull’uccisione di Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin, Milano, Kaos Edizioni, 1999; Marco Rizzo e Francesco Ripoli, Ilaria Alpi: il prezzo della verità, Ponte di Piave, BeccoGiallo, 2007 e Gigliola Alvisi, Ilaria Alpi. La ragazza che voleva raccontare l’inferno, Milano, Rizzoli, 2014. Segnalo anche l’opera cinematografica Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni di Ferdinando Vicentini Orgnani (2003).
82 Cfr. Nuruddin Farah, Rifugiati. Voci della diaspora somala, Roma, Meltemi, 2003 (ed. or.
Yesterday, Tomorrow. Voices from the Somali Diaspora, London-New York, Cassel, 2000).
83 Mohamed Aden Sheikh, Arrivederci a Mogadiscio: dall’amministrazione italiana alla fuga di
Siad Barre. Conversazione sulla Somalia con Pietro Petrucci, cit., p. 173.
84 Angelo Del Boca, Una sconfitta dell’intelligenza. Italia e Somalia, cit., p. 165.
85 Gian Paolo Calchi Novati, Italia e Somalia: le priorità nell’era della globalizzazione, in «ISPI Istituto per gli studi di politica internazionale», n. 63 – July 2011, pp. 1-5 [1].
origini precoloniali del territorio somalo nel Corno d’Africa, dove esistevano strutture claniche di governo sociale ed economico diverse da quelle europee allora dominanti. Questo argomento viene spiegato da Federico Battera quando sostiene che: «La società somala non è tanto estranea allo Stato, quanto piuttosto ai margini dello Stato. Ignorarlo, significa limitare la comprensione delle dinamiche evolutive della società pre-coloniale e comprendere solo in parte le dinamiche successive prodotto dell’impatto con lo Stato moderno, nella fattispecie il governo coloniale e poi lo Stato post-coloniale» 86.
Guardando invece al futuro del contesto somalo, uno dei passaggi più significativi di Gian Paolo Calchi Novati è esemplare nel descrivere ancora l’attuale situazione somala: «La Somalia non è una causa perduta ma è sicuramente un caso disperato» 87. Proprio partendo da questa grave affermazione un nuovo e maturo impegno da parte italiana potrebbe favorire l’apertura di una possibilità per non voltare definitivamente le spalle a un paese con cui l’Italia ha intrecciato dei rapporti speciali e privilegiati nel corso dei lunghi decenni passati.
86 Federico Battera, Dalla tribù allo Stato nella Somalia nord-orientale: il caso dei Sultanati di
Hobiyo e Majeerteen, 1880-1930, cit., p. 20.
87 Gian Paolo Calchi Novati, Italia e Somalia: le priorità nell’era della globalizzazione, cit., pp. 1-5 [1-5].