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L’indipendenza della Somalia: dalla democrazia alla dittatura

Sintetizzare un giudizio storico sull’esperienza dell’Amministrazione fiduciaria è un’operazione controversa poiché quest’ultima può essere interpretata attraverso diversi punti di vista. Nella pratica l’AFIS fu una sorta di colonialismo democratico affidato all’Italia che si rivelò incapace, per diverse ragioni che andrebbero approfondite, di elaborare soluzioni politiche e istituzionali durevoli per il futuro dello stato somalo. Purtroppo al momento della conclusione dell’incarico fiduciario affidato all’Italia, le condizioni generali del paese africano erano talmente gravi e drammatiche che, come spiega Angelo Del Boca: «La democrazia creata dall’amministrazione fiduciaria italiana sulla Somalia veniva sepolta il 21 ottobre 1969 dal solo organismo efficiente del paese, l’esercito, nel cui ambito alcune forze erano andate sviluppandosi in senso progressista dinanzi alla graduale degenerazione della prima repubblica somala» 64.

Con questi presupposti e con un futuro probabilmente già segnato, si arrivò alla fine del protettorato italiano: alla data del 1º luglio del 1960, giorno effettivo della proclamazione dell’indipendenza, la Somalia diventò una repubblica parlamentare. La costituzione somala è stata forse il risultato più significativo dello sforzo democratico italiano: una proposta per la nuova carta costituzionale era stata preparata nel 1958 dal comitato tecnico composto per la maggior parte da giuristi ed esperti italiani 65. La nuova legge fondamentale dello Stato somalo era

64 Angelo Del Boca, La politica italiana nei confronti delle sue ex colonie africane, in «Materiali di lavoro. Rivista di studi storici», 2-3/’91 – 1/’92, cit. pp. 231-248 [243]. Riguardo le spese effettive sostenute dalla repubblica italiana durante il decennio dell’AFIS è possibile consultare il fondo della magistratura dei conti operante in Somalia presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma.

65 Cfr. Mario D’Antonio, La Costituzione somala. Precedenti storici e documenti costituzionali, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1962. Un esempio di funzionario coloniale che operò in Somalia nel secondo dopoguerra è stato Ermanno Eydoux; per poter conoscere la sua esperienza segnalo tre riferimenti bibliografici: Ermanno Eydoux, In Somalia nella seconda metà del XXI

secolo: ricordi e riflessioni, in «Il Platano», 2, XXVI (2001); Id, Esperienze e ricordi di un funzionario piemontese in Africa orientale tra 1937 e 1969, in «Rivista di storia, arte e archeologia

per le province di Alessandria e Asti», CV (1996), pp. 333-335; e Gianpaolo Fassino, Ermanno

formata da centocinque articoli, suddivisi in un preambolo, cui seguivano i principi generali dello Stato, i diritti e doveri fondamentali del cittadino, l’organizzazione statale, le garanzie costituzionali e le disposizioni transitorie e finali. Nella nuova costituzione somala una delle garanzie democratiche fondamentali era assicurata dal riconoscimento della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 1948.

L’Italia si congedò ufficialmente dalla sua ex colonia con una pubblicazione a cura del governo italiano che spiegava non senza retorica ciò che la potenza amministratrice era riuscita a produrre in dieci anni di mandato fiduciario nonostante le tante avversità che aveva dovuto affrontare 66.

Oltre a ciò numerosi interventi in giornali e riviste elogiarono, con toni fortemente nazionalistici, il lavoro svolto dalle autorità italiane in Somalia, che avevano l’alta finalità di accompagnarla all’indipendenza entro i termini prefissati dall’Accordo di Tutela. Questo linguaggio eccessivamente retorico e patriottico non ha giovato a una matura e seria riflessione sull’ultima esperienza diretta dell’Italia nel continente africano, che in effetti poi venne quasi totalmente dimenticata 67.

Altri interventi descrissero con ampi particolari la drammatica situazione della fragile economia somala che registrava purtroppo un grave ritardo strutturale e un’arretratezza endemica in tutti i settori produttivi, già di per sé pochi e limitati, nonostante ci fossero state alcune strutture ereditate dal colonialismo 68.

Invece in dichiarata controtendenza rispetto al precedente periodo coloniale che aveva creato un limitato sistema scolastico essenzialmente razzista, l’unico settore in cui l’Amministrazione fiduciaria aveva messo in campo le sue risorse più ingenti fu quello dell’educazione e dell’istruzione 69. Antonio Morone ricorda

66 Cfr. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Italia e Somalia. Dieci anni di

collaborazione, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1962. Segnalo anche la seguente relazione

ufficiale: MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, L'amministrazione fiduciaria della Somalia e i

rapporti dell'Italia con la Repubblica somala. Relazione presentata al Parlamento italiano dal Ministro degli Esteri on. Antonio Segni, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1961.

67 Cfr. Ferdinando Ziccardi, Lo sforzo italiano in Somalia, in «Africa», XV, 2, 1960, pp. 65-70.

68 Cfr. Ferdinando Bigi, Situazione e prospettive economiche della Somalia alla vigilia

dell’indipendenza, in «Africa», XV, 3, 1960, pp. 133-138.

69 Cfr. Giuseppe Costanzo, L’educazione chiave dello sviluppo della Somalia, in «Africa», XV 3, 1960, pp. 139-145.

infatti come la spinta più consistente per giungere a una consapevole maturità politica e sociale del futuro Stato somalo dovesse obbligatoriamente passare attraverso la pianificazione di un programma elementare di alfabetizzazione, dopo il quale sarebbero stati previsti in seguito anche altri gradi di studi superiori:

Lungo il percorso di emancipazione politica che, attraverso la riforma elettorale, conduceva i somali dalla dipendenza all’autonomia fino alla completa indipendenza, la vera sfida per amministratori e amministrati non poteva riassumersi negli obiettivi formali del trapianto istituzionale e dell’indipendenza, ma era rappresentata dalla democratizzazione e dalla modernizzazione del paese: il campo dell’istruzione e delle politiche scolastiche è uno dei più importanti per cogliere le dimensioni di una tale sfida 70.

Le politiche scolastiche vennero realmente attuate in diverse fasi attraverso una modalità crescente e gli investimenti sia finanziari che in risorse umane furono davvero molto consistenti. I risultati finali dopo i dieci anni di protettorato si rivelarono comunque relativamente scarsi perché, nonostante la presenza delle scuole aperte dalle autorità italiane, vi erano a quel tempo in Somalia anche altri percorsi d’istruzione che venivano rappresentati dagli istituti più tradizionali come le scuole coraniche oppure dalle scuole aperte grazie ai fondi o alle borse di studio provenienti dall’Egitto, paese arabo che mirava in quel momento storico a un ampliamento della propria influenza in Somalia.

Per quanto riguarda invece il rapporto tra il moderno sistema scolastico e la trasmissione dei nuovi valori democratici italiani, che avevano tutte le intenzioni di sostituire il ricordo dell’impronta razzista tipica della passata tradizione coloniale, si evince come anche questo percorso sia stato praticato con una certa difficoltà e spesso con ritrosia, come dimostrarono ancora una volta i pensieri politici e gli atteggiamenti quotidiani dell’esigua comunità italiana rimasta in Somalia durante il protettorato, soprattutto nei riguardi dei bambini meticci:

70 Antonio Maria Morone, Politica e istruzione nella Somalia sotto tutela italiana, in Uoldelul Chelati Dirar, Silvana Palma, Alessandro Triulzi, Alessandro Volterra (a cura di), Colonia e

postcolonia come spazi diasporici. Attraversamenti di memorie, identità e confini nel Corno d’Africa, Roma, Carocci, 2011, pp. 75-92 [77].

L’esperimento fiduciario nel campo dell’istruzione ebbe il merito di far cadere il muro della segregazione razziale imposto dal colonialismo, anche se l’effetto non fu quello di una completa “democratizzazione dell’educazione”. Le scuole italiane rappresentarono un privilegio per i figli di una piccola élite, mentre la massa degli aspiranti cittadini era destinata alle scuole somale. Continuarono a costituire un mondo a parte, spesso molto penoso, i figli illegittimi di unioni tra donne somale e uomini italiani, che al tempo del colonialismo erano discriminati come “meticci” e negli anni dell’AFIS continuarono a essere conteggiati in modo separato come “euro africani” nelle statistiche ufficiali redatte dalle autorità italiane 71.

L’amministrazione fiduciaria che si concluse nel 1960, calata nella realtà del contesto africano e della complessa situazione geopolitica mondiale, non avrebbe potuto andar oltre il termine fissato dall’iniziale Accordo di Tutela: infatti, sulla lunga e tortuosa strada della decolonizzazione, proprio in quegli stessi anni, le tante indipendenze africane ponevano fine ai grandi imperi coloniali, principalmente quello francese e quello britannico. Anche l’indipendenza somala fa entrare a pieno diritto la nuova repubblica nel consesso mondiale delle nazioni indipendenti, ponendola di fronte a una serie di sfide molto ardue sia a livello nazionale che internazionale. Tutto questo perché numerose erano ancora le difficili eredità del passato coloniale italiano che l’opera dell’AFIS aveva lasciato insolute, condizionando pesantemente il futuro sviluppo dello stato somalo, come scrive Angelo Del Boca: «Per la Somalia, quindi, il 1960, anno dell’indipendenza, è anche l’anno zero, dal quale bisogna ripartire. C’è tutto da fare o da rifare. A cominciare dall’unificazione del paese. Anche se il popolo somalo costituisce da secoli un’unica entità culturale e linguistica, la sua unità politica è infatti poco più che simbolica» 72.

Dopo la proclamazione dell’indipendenza molti italiani rimasero in Somalia, così come ne erano rimasti in tutto il Corno d’Africa, soprattutto in Eritrea, negli anni Quaranta e Cinquanta 73. Essi continuarono a sviluppare le proprie attività lavorative interagendo con un tessuto sociale che già conoscevano e che

71 Ivi, pp. 75-92 [87].

72 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale. Nostalgia delle colonie, cit., p. 344.

73 Cfr. Angelo Del Boca, La nostra Africa. Nel racconto di cinquanta italiani che l’hanno

sostanzialmente non mutò, nonostante i passaggi storici e politici di considerevole portata avvenuti negli anni precedenti. Infatti i comportamenti degli italiani sostanzialmente non cambiarono rispetto al passato periodo fiduciario, soprattutto visti i buoni rapporti che seppero costruire con i dirigenti politici e i responsabili amministrativi del nuovo Stato somalo. A questo proposito Angelo Del Boca descrive la società civile somala e i rapporti tra gli italiani e i somali nei primi anni della repubblica democratica con queste parole:

All’inizio del decennio, tuttavia, come abbiamo detto, gli italiani sono ancora travagliati dai risentimenti, bloccati dall’incapacità di accettare il grande evento storico dell’indipendenza somala, decisi a tenere le distanze da un popolo che hanno sempre giudicato immaturo e inferiore. Un segno di questo atteggiamento di sfida e di disprezzo è la decisione unanime di disertare la terrazza dell’Albergo Croce del Sud, famoso luogo di incontro degli italiani da più di un trentennio, dove a un somalo era severamente proibito accedere. Così, per non mescolarsi con i somali ai tavolini, gli italiani si sono trincerati alla Casa d’Italia, ermeticamente chiusa ai nativi come i club razzisti di Pretoria e Johannesburg 74.

Quello che emerge con sempre più chiara evidenza è che non si registrò un cambiamento radicale nelle considerazioni e negli atteggiamenti degli italiani né verso l’Africa né verso gli africani, nemmeno dopo l’esperienza decennale dell’AFIS, che avrebbe dovuto creare delle occasioni di ripensamento e di riflessione sulle responsabilità del periodo coloniale, e soprattutto avrebbe potuto rappresentare lo strumento per un riscatto politico e culturale dell’Italia nei confronti della propria ex colonia e della sua popolazione.

In realtà gli italiani che rimasero in Somalia continuarono a praticare gli stessi atteggiamenti e a coltivare gli stessi pregiudizi che si erano formati durante la prima età coloniale, quella liberale, e che il regime fascista aveva giuridicamente legalizzato. Nei fatti questo pensiero teorico si concretizzava in diversi modi: innanzitutto nella visione razzista che gli italiani avevano ancora degli africani e delle loro tradizioni; poi nell’assunzione di un atteggiamento di costante arroganza e di pretesa superiorità a livello economico e culturale, ne è un esempio la Casa d’Italia di Mogadiscio, il circolo e il ritrovo della comunità italiana nella

capitale somala; infine nella considerazione e nel conseguente uso che spesso si continuava a praticare del corpo delle donne somale, che poteva ancora rappresentare in tanti casi quei miti esotici ed erotici propri della passata esperienza coloniale.

La democrazia parlamentare in Somalia durò soltanto nove anni finché il 21 ottobre 1969 il generale Mohamed Siad Barre (1919-1995), formatosi culturalmente e professionalmente in Italia durante gli anni dell’AFIS, prese il potere con un colpo di stato militare. Diverse furono le fasi della lunga dittatura: il primo periodo venne caratterizzato da una grande opera di modernizzazione del paese che prestò una primaria attenzione al mondo dei nomadi. Inoltre una delle grandi conquiste del nuovo regime fu la codificazione scritta della lingua somala nel 1972, accompagnata da un’ampia campagna di alfabetizzazione 75.

Questa fase iniziale finì fra il 1974 e il 1975, quando Siad Barre decise di dare vita a una dittatura di stampo più tradizionale che condusse, nel 1977, alla guerra con l’Etiopia per il possesso della regione confinante dell’Ogaden, da sempre territorio conteso fra le due nazioni e confine problematico rimasto insoluto anche durante il periodo dell’AFIS, nonostante questa fosse una delle questioni che l’Italia avrebbe dovuto risolvere durante il suo mandato.

Dopo la sconfitta subita a opera dell’Etiopia, il mito di costruire dal punto di vista politico una grande Somalia che riunisse tutte le popolazioni somale sparse nel Corno d’Africa andò definitivamente in frantumi. Infine gli anni Ottanta segnarono il periodo della decadenza e delle persecuzioni contro gli intellettuali e gli oppositori politici, in un crescendo costante di violazione dei diritti umani.

75 Cfr. ivi, pp. 17-21. Nel 1972 venne adottato l’alfabeto latino per la scrittura della nuova lingua somala. Assieme all’inglese e all’arabo, l’italiano rimase lingua d’istruzione scolastica fino al 1978, quando la nazionalizzazione del sistema scolastico venne completata dalla nuova politica culturale del regime che finalmente diede alla lingua somala la dignità di lingua scritta. L’italiano e il suo impiego come lingua veicolare conoscono una fase di rinnovato vigore con l’Università Nazionale Somala, che rappresentò uno dei tanti ponti di collegamento tra l’Italia e il nuovo Stato somalo, e successivamente con i programmi della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo.