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Le colonie italiane tra le due guerre mondiali

Il 26 aprile 1915 l’Italia giunse alla firma del Patto di Londra e di conseguenza il successivo 24 maggio entrò nel Primo conflitto mondiale schierandosi a fianco degli Stati dell’Intesa, cioè Gran Bretagna, Francia, Russia e Serbia. La questione coloniale emerse in maniera predominante durante i lavori della conferenza di Versailles nel 1919.

La politica estera italiana era sempre stata divisa fra due tendenze parallele: la prima era quella imperialista, volta all’allargamento del proprio dominio coloniale in Africa e non solo, mentre la seconda era quella irredentista, che mirava a creare una grande potenza italiana nel Mediterraneo orientale dopo aver realizzato l’unità nazionale con l’acquisizione del controllo sull’Adriatico 16. L’Italia a Parigi si trovò quindi ad avanzare troppe pretese in modo mal organizzato e le richieste coloniali subirono una fine umiliante per la delegazione italiana seduta al tavolo della pace: inoltre, riguardo queste delicate questioni, le controverse indicazioni del Patto di Londra risultarono fatali. Dopo la conclusione della conferenza, la questione delle richieste coloniali impegnò in maniera assidua la diplomazia italiana e i governi liberali fino all’avvento del fascismo. L’unica concessione territoriale che l’Italia riuscì a ottenere nel Corno d’Africa, dopo lunghe trattative con Londra, fu la regione dell’Oltregiuba, al confine fra Kenya e Somalia, ceduta all’Italia nel 1924 e successivamente inglobata nella Somalia italiana nel 1926. Dopo la marcia su Roma del 1922 e l’avvento al potere del Partito Nazionale Fascista, la situazione politica italiana cambiò radicalmente.

In Somalia, che visse molti anni in uno stato che si potrebbe definire di isolamento e quiescenza, nel 1923 venne inviato Cesare Maria De Vecchi (1884-1959). Giunto a Mogadiscio dove rimase sino al 1928, il nuovo governatore trovò soltanto una parte del territorio somalo sotto l’effettivo controllo del governo coloniale italiano. Per questo egli provvide ad attuare il suo programma di

16 Per un seppur breve richiamo all’irredentismo ricordo alcuni testi: Mario Isnenghi, Il mito della

grande guerra, Bologna, Il Mulino, 1989, Id., I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, Alberto Mario Banti, L'onore della nazione: identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal 18^ secolo alla grande guerra, Torino, Einaudi, 2005.

disarmo delle popolazioni nomadi e di riconquista dei territori somali interni 17. Inoltre De Vecchi inaugurò una politica fatta di violenza, spregiudicatezza e completa mancanza di comprensione della realtà locale 18. La colonia risultava essere divisa infatti fra una parte meridionale posta sotto il diretto controllo italiano e una parte più settentrionale solo apparentemente vincolata all’autorità italiana ma di fatto autonoma.

In osservanza alla retorica del dominio diretto e della potenza italiana che non tratta con la società indigena, nell’autunno del 1925 il governatore De Vecchi lanciò il suo attacco al sultanato di Obbia, dove le truppe italiane giunsero alla vittoria nel 1926. Imposto l’ordine militare su un fronte, fu poi la volta della Migiurtina che si arrese alla fine del 1927. Così al termine del suo mandato nel 1928 l’opera di riconquista voluta e combattuta da De Vecchi portò ai risultati auspicati dal nuovo regime: sotto il fuoco costante di una violenta repressione la Somalia si poteva finalmente mostrare come una colonia unita e controllata dalle forze militari italiane.

Per quanto riguarda l’oltremare italiano il passaggio dall’età liberale a quella fascista non fu così nitido come si è soliti pensare. Infatti la cesura imposta per dividere i due periodi andrebbe rimossa e il contesto storico meriterebbe di essere analizzato attraverso nuovi strumenti critici, così come sostiene Angelo Del Boca:

17 Cfr. Cesare Maria De Vecchi, Orizzonti d’impero: cinque anni in Somalia, Milano, Mondadori, 1935.

18 Ricordo la leggendaria figura di Said Mohammed Abdullah Hassan (1857-1921) che guidò discontinuamente tra il 1899 e il 1921 la lotta contro le potenze straniere che occupavano la Somalia: Gran Bretagna, Italia ed Etiopia. Tra il 1899 e il 1904 i suoi seguaci, i dervisci, sconfissero le forze inglesi, etiopi ed italiane coalizzate contro di lui e dominarono un’area dai confini labili posta tra il Somaliland britannico e le aree di confine sotto il controllo degli italiani e degli etiopi. Nel 1905 il Mad Mullah, soprannominato così dagli inglesi, acconsentì a ritirarsi nel Nogal, territorio nella Somalia settentrionale italiana, ma nel 1908 riprese le armi e durante la prima guerra mondiale, sostenuto dagli ottomani e dai tedeschi, continuò la lotta combattendo soprattutto contro i britannici, i quali, una volta concluso il conflitto mondiale, intrapresero una campagna militare che lo costrinse alla fuga in Etiopia, dove alla fine morì. Segnalo il testo di Gerardo Nicolosi, Imperialismo e resistenza in Corno d’Africa. Mohammed Abdullah Hassan e il

Il fascismo, che pure disprezzerà il lassismo e le rinunzie della liberal-democrazia, non avrà invece nulla da inventare, in campo coloniale, che lo Stato liberale non abbia già inventato e messo in pratica. Sarà solo più efficiente, grazie ai meccanismi della dittatura, alle nuove armi (lecite e proibite), ai nuovi mezzi di comunicazione e di propaganda, all'adesione delle masse al mito del posto al sole19.

Nella politica coloniale africana, dopo aver riunificato e normalizzato le terre somale, il fascismo cominciò quindi a programmare la riconquista della Libia e l’aggressione militare all’impero etiopico 20.

In generale le caratteristiche del colonialismo fascista erano nuove soltanto in parte perché esse si riallacciavano concretamente ad aspetti di conquista e di potere già consolidati durante il lungo periodo liberale, così come afferma Federico Battera:

Con ciò non nego che vi siano dei caratteri specifici e comuni che caratterizzano tutta l’esperienza coloniale italiana. Per esempio, non vi fu mai un interesse di “promozione” delle popolazioni locali, cosa invece presente nell’ideologia coloniale francese che pure si avvicina al modello “prefettizio” che è quello che si impose anche nelle colonie italiane. L’esperienza liberale è segnata da un disinteresse verso le popolazioni locali che è frutto dell’assenza di un’ideologia coloniale […]. Nell’esperienza fascista, la mancata “promozione” rientrò, invece, in una politica deliberata che attribuiva alle popolazioni locali un ruolo di comparsa nella realizzazione dell’“Impero”. Una volta realizzato l’“Impero”, le

19 Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale: la conquista dell’impero, cit., p. 880.

20 In una bibliografia ormai molto vasta propongo alcuni testi che riguardano il colonialismo italiano fascista focalizzati sulle esperienze in Libia e in Etiopia: Luigi Goglia, Fabio Grassi, Il

colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma-Bari, Laterza, 1981; Angelo Del Boca, Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Roma-Bari, Laterza, 1986; Id., Dal fascismo a Gheddafi, Roma-Bari,

Laterza, 1988; Angelo Del Boca, Massimo Legnani, Mario Rossi (a cura di), Il regime fascista.

Storia e storiografia, Roma-Bari, Laterza, 1995; Angelo Del Boca (a cura di), Adua. Le ragioni di una sconfitta, Roma-Bari, Laterza, 1997; Riccardo Bottoni (a cura di), L’Impero fascista: Italia ed Etiopia 1935-1941, Bologna, Il Mulino, 2008; Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia (1936-1941), Roma-Bari, Laterza, 2008; Angelo Del Boca (a cura di), Le guerre coloniali del fascismo, Roma-Bari, Laterza 2008 e Id., La Guerra di Etiopia. L’ultima impresa del colonialismo, Milano, Longanesi, 2010.

leggi razziali tennero rigidamente separati coloni e colonizzati secondo uno schema di esclusione che in parte può richiamare l’apartheid 21.

Per quanto riguarda la Libia, già conquistata con la guerra italo-turca del 1911, giunse nel 1922 il nuovo governatore Giuseppe Volpi (1877-1947) che decise le prime operazioni di polizia contro la resistenza autoctona. Gli italiani ottennero risultati concreti con la politica di divisione dei capi locali e con azioni militari pesanti e spietate, ma in Cirenaica le azioni italiane furono più difficili a causa del minore controllo del territorio e della maggiore unità della resistenza.

In questa situazione di emergenza, nel 1928 giunse nella colonia il generale Pietro Badoglio (1871-1956) che adottò un’accorta strategia incalzando il colonnello Rodolfo Graziani (1882-1955) a operare un vero e proprio distacco territoriale fra le popolazioni libiche e la resistenza, che doveva essere circoscritta in uno spazio ristretto per poter essere poi definitivamente sconfitta. Le conseguenze di tale operazione furono drammatiche: sedentarizzate e confinate nei campi, le popolazioni seminomadi persero la propria libertà di movimento e in moltissimi casi la vita. Solo in questo quadro di profonda desolazione per i crimini commessi dagli italiani fu possibile arrestare e condannare a morte il più grande leader della resistenza libica, Omar al-Mukhtar (1861-1931). Soltanto dopo la sua esecuzione la colonia risultò «riconquistata e pacificata» 22.

In Somalia il governatore Cesare Maria De Vecchi, parallelamente alle campagne militari per la riunificazione del territorio dei somali, si occupò di altre importanti questioni per il mantenimento e lo sviluppo della colonia. Infatti venne riformata l’amministrazione coloniale dividendo la Somalia in sette commissariati. In seguito il governatore riformò la politica monetaria introducendo la lira italiana al posto della vecchia rupia indiana, cambiò il sistema tributario, ordinò la costruzione di nuove strade per favorire i collegamenti interni e per preparare militarmente la futura aggressione all’Etiopia e infine completò la linea ferroviaria che univa Mogadiscio ad alcune località dell’entroterra. L’amministrazione fascista si dedicò anche allo sviluppo economico della colonia

21 Federico Battera, Dalla tribù allo Stato nella Somalia nord-orientale: il caso dei Sultanati di

Hobiyo e Majeerteen, 1880-1930, cit., p. 226-227.

intensificando i lavori presso il comprensorio agricolo di Ganale fra il fiume Uebi Scebeli e la città di Merca.

Riguardo al confine somalo-etiopico invece gli amministratori della colonia adottarono una politica ambigua rispetto ai precedenti trattati internazionali con l’Etiopia, cercando così di guadagnare nuovi territori. Infatti già nei primi anni Trenta la colonia somala si preparava a essere l’avamposto per la futura aggressione all’Etiopia e l’instabile confine tra i due paesi rappresentava per l’Italia il pretesto più probabile per una dichiarazione di guerra.

Gli anni Trenta rappresentarono l’ultima manifestazione dell’espansionismo coloniale italiano, che sfociò nel conflitto italo-abissino del 1935-36. La guerra, lungamente premeditata e abilmente presentata sul piano propagandistico, si verificò in un momento storico in cui la spinta imperialista delle altre potenze europee si era praticamente esaurita.

L’incidente all’avamposto di Ual-ual, che si trovava lungo l’instabile confine tra Etiopia e Somalia, provocò una reazione diplomatica esagerata da parte dell’Italia. Nonostante i lunghi mesi di trattative tra le parti, l’Italia aprì le ostilità con l’Etiopia il 3 ottobre 1935. Le operazioni militari portarono l’esercito guidato dapprima dal generale Emilio De Bono (1866-1944), poi sostituito da Pietro Badoglio, alla conquista di Addis Abeba, il 5 maggio 1936, mentre il successivo 9 maggio nasceva l’Africa Orientale Italiana (AOI).