• Non ci sono risultati.

La nascita e lo sviluppo della fotografia nel contesto coloniale

La costruzione dell’immaginario nel contesto africano si è sviluppata anche attraverso la fruizione di alcuni dispositivi forniti dallo sviluppo tecnologico coevo all’epoca dell’espansione coloniale europea nel continente africano. Il più significativo è stato sicuramente quello della fotografia, il cui avvento in Africa è difatti coinciso con il periodo in cui il continente era diviso e dominato da alcune grandi potenze europee come la Gran Bretagna, la Francia, il Portogallo e il Belgio, a cui seguirono gli “imperi minori”, cioè la Germania e l’Italia.

Anche il giovane regno postunitario contribuì, almeno in parte, alla rappresentazione fotografica di un continente così vasto e ancora poco conosciuto. Nonostante nella seconda metà dell’Ottocento l’organizzazione della colonia fosse alquanto improvvisata e le azioni fossero sovente lasciate alle intenzionalità dei singoli, ci furono dei fotografi professionisti che si recarono nei territori africani e documentarono molti aspetti di quell’esperienza coloniale 70.

Riguardo l’arrivo e il successivo utilizzo del mezzo fotografico nei primi territori africani conquistati dall’Italia, in particolar modo in Eritrea, Massimo Zaccaria afferma:

Le fotografie, dopo essere state appannaggio delle sole edizioni di lusso, potevano essere riprodotte sulla maggior parte delle riviste popolari, e ben presto avrebbero fatto la loro comparsa sulla stampa quotidiana. Si era così superato un notevole limite della comunicazione affidata alle fotografie, che dopo essere state un fenomeno elitario, assumevano ora una dimensione popolare senza precedenti. Il caso delle cartoline è forse quello più emblematico in questo senso. Se ancora il termine "civiltà delle immagini" non era stato coniato, è però vero che molti

70 Cfr. il seguente contributo dove vengono nominati e studiati i principali fotografi italiani che operarono in Eritrea: Massimo Zaccaria, In posa per una più grande Italia. Considerazioni sulle

prime immagini del colonialismo italiano, 1885-1898, in Maria Grazia Bollini (a cura di), Eritrea 1885-1898. Nascita di una colonia attraverso i documenti e le fotografie di Antonio Gandolfi, Ledru Mauro e Federigo Guarducci, Bologna, Comune di Bologna, 2007, pp. 339-358.

cominciavano ad intuire le enormi potenzialità comunicative del materiale fotografico, e il ruolo che poteva giocare nella formazione del consenso 71.

Dopo questa riflessione non bisogna però sostenere che la fotografia fosse inserita in un progetto di propaganda predefinito e organizzato dalle autorità governative all’interno della vita delle colonie. Anzi il caso italiano si differenzia proprio per la tendenza a non sfruttare pienamente il potenziale della fotografia, mentre invece altre società coloniali avevano compreso l'importanza del mezzo fotografico e lo avevano utilizzato nelle proprie campagne di espansione. Nonostante ciò si può sostenere che la fotografia abbia comunque una: «funzione di strumento potente di significazione attraverso il quale le cose acquistano visibilità e senso in modo assai più imperativo e immediato rispetto alla scrittura, veicolando una conoscenza dell’alterità africana che è in se stessa strumento di controllo e di appropriazione» 72.

Le immagini e i ritratti che giungevano dalle terre conquistate dagli europei, e anche da quelle del Corno d’Africa occupato dall’Italia, erano resoconti che riflettevano una costruzione arbitraria dell’intero continente africano, dei suoi uomini e delle sue donne, come sostiene Silvana Palma:

Nell’immaginario del conquistatore, che permea l’intera storia dell’espansione coloniale, il corpo della donna nera diviene il «bottino» più ambito, oggetto di un desiderio che in Africa può dispiegarsi libero da responsabilità, inibizioni e controlli, e che finisce col diventare una delle spinte più potenti alla conquista. […] La fotografia, sia professionale che amatoriale, riflette e amplifica questo desiderio. Il corpo della donna diventa il soggetto più fotografato in assoluto e nella sua nudità – il più delle volte imposta dal fotografo, soprattutto in terre a maggioranza musulmana quali la Somalia, la Libia e il bassopiano eritreo – esso risponde alla rappresentazione che si ha o si vuole dare di loro: quella di una disponibilità totale e invitante, che finirà col fissare stereotipi talmente saldi e duraturi da sostituirsi

71 Massimo Zaccaria, «Quelle splendide fotografie che riproducono tanti luoghi pittoreschi».

L’uso della fotografia nella propaganda coloniale italiana (1898-1914), in Cristiana Fiamino (a

cura di), Identità d’Africa fra arte e politica, Roma, Aracne, 2008, pp. 147-173 [149-151].

72 Silvana Palma, Fotografia di una colonia: l’Eritrea di Luigi Naretti (1885-1900), in «Quaderni Storici», 109, aprile 2002, p. 98.

all’immagine reale della donna africana e sopravvivere inalterati ben oltre l’esperienza coloniale 73.

Infatti l’Africa era rappresentata come una terra selvaggia, priva di leggi e di cultura, un luogo cioè da conquistare, da dominare e in seguito d’addomesticare. Inoltre, agli occhi degli europei, i paesaggi africani rispecchiavano l'idea del selvaggio, di una natura incontrastata e indomabile che soffocava e impediva all'uomo di emergere in tutte le sue potenzialità, mentre gli animali aiutavano a enfatizzare l'ideale della ferocia, della brutalità e della pericolosità di quei luoghi geograficamente lontani 74. Le grandi potenze europee, tra cui l’Italia, si assunsero l'arbitrario compito di portare la “civiltà” nelle terre africane attraverso gli interventi di alcuni agenti appartenenti a diverse categorie, tra cui i missionari, i funzionari e i militari.

Il primo passo per realizzare questo obiettivo è stata l’imposizione di una rigida gerarchia sociale. Per questo motivo anche le fotografie dovevano far emergere chiaramente l’impostazione gerarchica che si andava sviluppando nel mondo coloniale: la superiorità dei colonizzatori bianchi doveva emergere in confronto all'inferiorità dei colonizzati neri, nella loro sudditanza politica e soprattutto culturale. Il corpo degli africani divenne quindi centrale in questo tipo di discorso: soprattutto quello delle donne è stato oggetto di profonde strumentalizzazioni poiché esso venne fotografato e rappresentato per trasmettere l’ideale carnale di bellezza e sensualità. Infatti nelle fotografie le africane venivano quasi sempre ritratte nude per esaltarne la presunta sinuosità delle forme e il colore scuro della pelle. La sessualità che esse avrebbero dovuto incarnare ed esprimere serviva a soddisfare i desideri più nascosti del colonizzatore bianco che proveniva da un mondo dove la sfera sessuale era contenuta da un forte controllo morale e sociale.

73 Silvana Palma, L’Italia coloniale, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 44-45.

74 Riguardo i risultati culturali prodotti dal rapporto con la relazione coloniale si vedano alcuni testi: Elisabeth Edwards, Anthropology and Photography 1860-1920, Yale, Yale University Press, 1992; Nicholas B. Dirks (a cura di), Colonialism and Culture, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1992; Raymond Corbey, Ethnographic showcases 1870-1930, in «Cultural Anthropology», n. 8 (3) 1993, pp. 338-369; Frederick Cooper, Anne Stoler (a cura di), Tensions of Empire.

Per queste ragioni la conquista dell’Africa, metafora del più intimo possesso della donna africana, era uno dei motivi sventolati dalle propagande nazionali per incitare gli uomini verso l'avventura coloniale 75.

Nonostante l’ampio e complesso fenomeno della decolonizzazione, cioè di quel processo storico che ha condotto all’indipendenza la maggior parte degli stati nazionali africani, il punto di vista eurocentrico attraverso il quale si era soliti guardare l’Africa e tutti i suoi aspetti non è stato purtroppo completamente abbandonato. In una successiva fase storica di rinnovamento, almeno nelle intenzioni, si sarebbe potuta osservare l’Africa sollevando da essa il velo dell’ipocrisia e della costruzione colonialista. L’uso della fotografia infatti, che è sempre rimasta comunque uno strumento di mediazione tra l’oggetto rappresentato e la realtà, sarebbe potuto diventare il mezzo per rappresentare il continente africano in maniera più realistica e nelle sue varie e profonde diversità, attraverso uno sguardo più autentico nel ritrarre le specifiche realtà nelle loro differenze. Per esempio in molte immagini la gerarchia sociale e spaziale del tempo coloniale si riproduce ancora tra i vari soggetti rappresentati e troppo spesso il fotografo e i suoi obiettivi si ritrovano posizionati su un piano di confronto impari come già avveniva nel periodo precedente. Infatti le diverse relazioni di dominio che si sono instaurate in Africa durante il passato coloniale

75 In Italia lo sviluppo di una cultura fotografica di argomento coloniale fu tardo, nonostante l’utilizzo del mezzo fotografico in colonia sia stato sostanzialmente coevo alla sua diffusione in madrepatria. Per un’analisi di questa problematica si vedano: Gabriella Campassi, Maria Teresa Sega, Uomo bianco, donna nera: l’immagine della donna nella fotografia coloniale, “Rivista di storia e critica della fotografia”, n. 5, 1983, pp. 54-62; Luigi Goglia, Nota sulla cartolina

fotografica coloniale italiana, in “Rivista di storia e critica della fotografia”, n. 5, 1983, pp. 8-12;

Id., Storia fotografica dell’Impero fascista, 1935-1941, Bari, Laterza, 1985; Raffaele Messina,

Fotografia e storia coloniale, in «Italia contemporanea», 167, 1987, pp. 129-135; Nicola Labanca, Uno sguardo coloniale. Immagine e propaganda nelle fotografie e nelle illustrazioni del primo colonialismo italiano, «AFT Archivio fotografico toscano», IV, 8, 1988, pp. 43-61; Luigi Goglia, Colonialismo italiano e fotografia: il caso italiano (1885-1940), Messina, Sicania, 1989; Silvana

Palma, Fotografia di una colonia: l’Eritrea di Luigi Naretti (1885-1900), cit.; Ando Gilardi,

Storia della fotografia pornografica, Milano, Bruno Mondadori, 2002; Angelo Del Boca, Nicola

Labanca, L'impero africano del fascismo nelle fotografie dell'Istituto Luce, Editori Riuniti-Istituto Luce, Roma, 2002; Mario Lombardo (a cura di), Impero d’Italia 1890-1947. Le colonie

d’oltremare, Milano, Touring editore, 2004; Silvana Palma, L’Africa nella collezione fotografica dell’Isiao. Il fondo Eritrea-Etiopia, Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, 2005.

venivano rappresentate e si generavano attraverso il mezzo fotografico perché secondo le parole di Susan Sontag: «L’atto di fotografare ha qualcosa di predatorio. Fotografare una persona equivale a violarla, vedendola come essa non può mai vedersi, avendone una conoscenza che essa non può mai avere; equivale a trasformarla in oggetto che può essere simbolicamente posseduto» 76.

Nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento, l’intreccio tra l’espansione coloniale e l’evoluzione tecnologica ha influenzato i comportamenti sociali e razziali degli europei. A partire da quel momento infatti, l’Africa viene presentata agli occhi dell’Europa come un’icona: il continente africano è, per la maggior parte degli europei, non l’Africa reale che appartiene ai suoi abitanti, bensì un continente fortemente idealizzato e comunque sempre alterato da una rappresentazione coloniale che ne plasma la stessa immagine esterna e ne piega i destini alle proprie esigenze politiche ed economiche.

La retorica coloniale aveva poi aggiunto quei caratteri di distanza culturale e di superiorità di razza e di classe che caratterizzavano da sempre ogni rappresentazione dell’altro; per questi motivi l’universo iconografico dei soggetti coloniali non è mai una rappresentazione neutra ma appare fortemente connotata fin dalle sue origini. Alessandro Triulzi cerca di risalire alle categorie delle prime rappresentazioni coloniali per trovare le radici profonde che legano il passato all’attuale contesto così ricco di problematicità, tra cui l’intolleranza razziale, affermando che:

Lo storico africanista non può non sentirsi chiamato in causa in questa ricerca di radici dei nostri immaginari, e dei loro complessi dislocamenti nel tempo, un’indagine che appare più che necessaria oggi, specialmente in Italia, dove rinnovati stereotipi e pregiudizi nei confronti degli «altri» sembrano alimentare sempre più le nostre stesse pratiche di rapporti interpersonali, nonché quella ambigua rappresentazione dell’alterità espressa quotidianamente dai media e dalla pubblicità murale e televisiva 77.

76 Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Torino, Einaudi, 1978, p.14 (ed. or. On photography, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1977).

77 Alessandro Triulzi, L’Africa come icona. Rappresentazioni dell’alterità nell’immaginario

coloniale italiano di fine Ottocento, in Angelo Del Boca (a cura di), Adua. Le ragioni di una sconfitta, Roma – Bari, Laterza, 1998, pp. 255-281 [255-256].

Quindi il legame che unisce il mezzo fotografico e la costruzione di un determinato immaginario coloniale è intrinseco e necessario ai fini degli studi, tanto che lo stesso Alessandro Triulzi afferma:

La ricerca sulla fotografia coloniale in Italia e all’estero, con la sua vasta produzione di immagini stereotipate e di luoghi comuni visivi, ha mostrato con abbondanza di esempi l’importante ruolo svolto dalle immagini fotografiche per la ricostruzione dell’ «universo iconografico coloniale». E in realtà i primi risultati della ricerca storico-filologica sulla fotografia coloniale degli ultimi dieci anni hanno permesso di andare oltre le immagini e di cominciare a indagare le strutture mentali e i molteplici spazi di reciproca invadenza che hanno accomunato creatori e fruitori di immagini coloniali nella formazione del vasto patrimonio iconografico di fine secolo 78.

In quel particolare contesto iconografico uno strumento prezioso che venne ampiamente sfruttato per aderire all’ideale coloniale era quello delle cartoline illustrate. Infatti sin dai primi anni del colonialismo italiano nel Corno d’Africa la cartolina costituì il materiale propagandistico più popolare perché rappresentava il veicolo più semplice e veloce da far circolare e diffondere in una società italiana in gran parte analfabeta. Inoltre la crescita esponenziale della produzione e della circolazione di cartoline ha comportato la fissazione di una immagine stereotipata delle colonie e dei colonizzati, soprattutto delle figure femminili.

I soggetti che utilizzarono maggiormente questo nuovo tipo di comunicazione furono i militari, cioè la categoria dei colonizzatori che sin dai primi anni si presentava come la più numerosa nel territorio coloniale. Gli italiani in colonia seppero in generale sfruttare il potenziale comunicativo delle cartoline, nelle quali erano solitamente ritratte le truppe italiane stanziate in Africa oppure piccoli gruppi di militari o singoli soldati, mentre lo sfondo dell’immagine ritraeva splendidi paesaggi selvaggi e incontaminati. Inoltre vicino agli italiani erano spesso ritratti altri soggetti che rafforzeranno la visione stereotipata e ricca di pregiudizi del mondo africano. Infatti in numerose cartoline si potevano osservare degli animali autoctoni messi in posa come trofei dopo lunghe partite di caccia. Inoltre accanto agli italiani colonizzatori si trovavano in posa anche gli indigeni e

uno spazio particolare veniva lasciato alle donne africane, ritratte in particolari posizioni seducenti, spesso nude, che lasciavano intuire una facile conquista per un desiderio maschile continuo e irrefrenabile 79. Per tutte queste ragioni le cartoline influenzarono la società italiana nel lungo e stratificato processo di costruzione di un immaginario coloniale.

In generale il discorso fotografico, che comprende anche le cartoline illustrate, rientra in quello che è il più ampio tema della propaganda, che cercava di diffondere tra l’opinione pubblica nazionale un moto di slancio e affezione nei confronti della sfera coloniale, trovando i motivi per una profonda adesione alle varie campagne belliche di conquista nei nuovi territori africani, così sostiene infatti Massimo Zaccaria:

A tutti erano chiari i vantaggi che potevano derivare all'espansione coloniale da un solido supporto popolare, tanto che questo divenne un obiettivo comune ad ogni circolo espansionista. Si assistette, quindi, ad un notevole investimento, sia in termini di risorse materiali che umane, nel campo della propaganda coloniale e nella costruzione di una serie di "miti", capaci di giustificare l'espansione oltremare. I1 fatto che poi questa griglia mentale riaffiori ancor oggi, testimonia la profondità con cui la mentalità coloniale ha contribuito a formare il nostro orizzonte culturale 80.

A proposito dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana di fine Ottocento nei confronti delle imprese militari in Africa, ci furono degli elementi che palesarono una forte impreparazione iniziale; nonostante ciò Alessandro Triulzi sostiene:

La nuova presenza esterna dell’Italia, insufficientemente preparata a livello istituzionale e militare, fu invece accompagnata e in qualche modo appoggiata da un forte movimento di opinione che in pochi anni rese le mire espansionistiche del

79 Cfr. Paola Callegari, Ernesto Sturani (a cura di), L’Italia in posa. Cento anni di cartoline

illustrate, Electa, Napoli, 1997. Sulla questione dell’utilizzo delle cartoline illustrate per veicolare

un certo tipo di messaggio sul corpo delle donne africane si veda: Nicoletta Poidimani, Difendere

la “razza”. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini, cit.

80 Massimo Zaccaria, «Quelle splendide fotografie che riproducono tanti luoghi pittoreschi».

L’uso della fotografia nella propaganda coloniale italiana (1898-1914), in Cristiana Fiamino (a

paese «appettibili e accettabili anche all’opinione pubblica». Furono la letteratura di consumo e la stampa, specie quella illustrata, a offrire gli strumenti di divulgazione più efficaci dell’impresa coloniale; la fotografia e il disegno illustrato ne immortalarono visivamente le tappe iconografiche e la impressero solidamente nell’immaginario collettivo 81.

Proprio riguardo la costruzione e la successiva espansione di quel determinato immaginario coloniale, furono diversi i supporti culturali che veicolarono all’opinione pubblica un certo messaggio costruito sull’Africa e sugli africani, compiendo allo stesso tempo una forte azione di propaganda. Oltre al caso della fotografia, vi furono anche altre categorie che sono state rilevanti nel raggiungere questo obiettivo, come per esempio la stampa, la letteratura e la musica. Ovviamente ciascuno di questi ambiti culturali, attraverso i proprio specifici linguaggi, si rivolse ad un pubblico eterogeneo e stratificato 82.

Nonostante il notevole ritardo rispetto agli altri contesti europei, al fine di chiarire gli strumenti utilizzati per raggiungere categorie di pubblico così differenti, le diverse tipologie di ricezione e i risultati che hanno prodotto nella società coeva

81 Alessandro Triulzi, L’Africa come icona. Rappresentazioni dell’alterità nell’immaginario

coloniale italiano di fine Ottocento, in Angelo Del Boca (a cura di), Adua. Le ragioni di una sconfitta, cit., pp. 255-281 [267-268].

82 Per un’analisi del ruolo di questi diversi ambiti nella definizione di un immaginario coloniale italiano segnalo alcuni testi: Giovanna Tomasello, La letteratura coloniale italiana dalle

avanguardie al fascimo, Palermo, Sellerio, 1984; Maria Pagliara, Il romanzo coloniale. Tra imperialismo e rimorso, Roma-Bari, Laterza, 2001; Giovanna Tomasello, L’Africa tra mito e realtà. Storia della letteratura coloniale italiana, Sellerio, Palermo 2004; Michele Nani, Ai confini della nazione: stampa e razzismo nell’Italia di fine Ottocento, cit.; Chiara Plazzi, Nemico della Patria! Migranti e stranieri nel melodramma italiano da Rossini a Turandot, Acireale, Bonanno

Editore, 2007. Per quanto riguarda il Novecento segnalo invece: Riccardo Bonavita, Gli spettri

dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea, Bologna, Il mulino, 2009. E’ un testo

pubblicato postumo a cura di Giuliana Benvenuti e Michele Nani (si veda nello specifico il terzo capitolo: Il lungo viaggio del razzismo fascista. Un percorso nell’immaginario del ventennio, pp. 77- 96). Riguardo alla musica si pensi all’importante filone delle canzonette che raggiunsero la loro massima diffusione e popolarità durante il ventennio fascista: Pietro Cavallo, Pasquale Iaccio (a cura di), Vincere! Fascismo e società italiana nelle canzonette e nelle riviste di varietà

l’immagine di un’Africa idealizzata fatta di seduzione e insieme di repulsione, Alessandro Triulzi fornisce la seguente spiegazione:

[…] il ritardo con cui l’Italia arriva all’espansione coloniale e il vuoto culturale e politico in cui tale processo viene avviato permette un’immagine dell’Africa che è presa di pari passo dalle convenzioni letterarie e artistiche e dai canoni classificatori e antropologici, dell’Italia di fine secolo: sulla conoscenza compiuta di genti e luoghi prevale ovunque la letteratura, lo spettacolo, il «colore» 83.

L’Italia postunitaria, la quale tentava invano di affermare un’immagine di sé come grande potenza al pari delle altre nazioni europee nella ricerca di un’Africa onirica e selvaggia, cercava allora quella posizione di grandezza e di superiorità proiettandola nell’alterità e nella diversità. In questo senso l’immagine idealizzata dell’Africa era finalizzata alla creazione di un’identità collettiva alterata attorno alla quale far convogliare il consenso verso l’impresa coloniale, giustificata quasi sempre proprio dalla conquista e dalla conversione del diverso, di chi rappresentava l’altro da sé, in questo caso il selvaggio 84.

83 Alessandro Triulzi, L’Africa come icona. Rappresentazioni dell’alterità nell’immaginario

coloniale italiano di fine Ottocento, in Angelo Del Boca (a cura di), Adua. Le ragioni di una sconfitta, cit., pp. 255-281 [269-271].

84 Si veda l’intervento di Valentina Richichi, Rappresentazione ed autorappresentazione

nell’Africa dall’epoca coloniale all’età contemporanea, in Dialoghi mediterranei, 9, 2014,

http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/rappresentazione-ed-autorappresentazione-nellafrica-allepopea-coloniale-alleta-contemporanea/, consultato il 03/09/2014.