• Non ci sono risultati.

Il 10 giugno 1940 è, per il fascismo, una data memorabile. Dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annuncia l‟entrata in guerra dell‟Italia.

“Combattenti di terra, di mare, dell‟aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d‟Italia, dell‟Impero e del Regno d‟Albania! Ascoltate!

Un‟ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria (acclamazioni vivissime). L‟ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (acclamazioni, grida altissime di: “Guerra! Guerra!”) agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell‟Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l‟esistenza medesima del popolo italiano.

Italiani!

In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo (“Duce! Duce! Duce!”). Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose Forze Armate.

In questa vigilia di un evento di portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla Maestà del re imperatore (la moltitudine prorompe in grandi acclamazioni all‟indirizzo di Casa Savoia), che, come sempre, ha interpretato l‟anima della patria. E salutiamo alla voce il Fuhrer, il capo della grande Germania alleata. (Il popolo acclama lungamente all‟indirizzo di Hitler).

L‟Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. (La moltitudine grida con una sola voce: “Si!”). La parola d‟ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all‟Oceano Indiano: vincere! (Il popolo prorompe in altissime acclamazioni). E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all‟Italia, all‟Europa, al mondo.

Popolo italiano!

Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!”94.

94 Opera Omnia di Benito Mussolini, (a cura di Edoardo e Duilio Susmel), La Fenice, Firenze 1966, 2ª ristampa

Queste sono, più che le previsioni, le certezze della vigilia. E il popolo sembra accogliere con entusiasmo le parole del Duce. Nella piazza affollata, lo sguardo è rivolto all‟uomo che incarna i sentimenti, i valori, le aspirazioni della Nazione.

Anche nelle piazze delle altre città, gli Italiani ascoltano, con lo sguardo rivolto agli altoparlanti, quella voce sicura e dal tono imperioso che annuncia la vittoria e la gloria.

Le espressioni del viso, i movimenti del corpo, le lunghe pause sembrano tenere insieme, nell‟ora segnata dal destino, le tante parti, le tante piazze che si fondono in un‟unica Volontà.

Ma, quali sono i reali sentimenti? Quali sono le reazioni, non di una folla oceanica, ma delle singole persone? Non della massa, ma degli individui?

Non è facile operare tali distinzioni in un paese che dopo quasi vent‟anni di fascismo oscilla tra adesione convinta e conformismo; tra consenso pubblico e dissenso privato; tra accettazione consapevole e rifiuto represso. Gli Italiani, sono tutti fascisti? Tutti vogliono la guerra?

L‟occhio del Duce e l‟orecchio del regime vedono e ascoltano. Sono proprio gli strumenti del controllo e della censura che forniscono elementi utili per conoscere ciò che traspare dietro l‟informazione ufficiale.

I rapporti degli informatori dell‟OVRA riportano le frasi dette, gli umori, i comportamenti carpiti per strada, al bar, nei luoghi di lavoro. Sono frammenti di realtà (e di verità) riportati così come sono stati registrati.

“Milano, 10 giugno 1940 […] Milano ha accolto con commozione e serietà la notizia della nostra entrata in guerra […] Le masse hanno ascoltato le parole del Capo attentamente, e sui visi si leggeva l‟interesse e la fermezza. Confesso di essere rimasto impressionato per la tranquilla decisione con la quale i milanesi hanno appreso il nostro intervento. Non vi sono state manifestazioni di entusiasmo evidentemente perché la guerra non allieta nessuno, ma a mio avviso, vi è stata una reazione molto favorevole. Ed in tutti la certezza che il popolo italiano affronterà l‟avvenire con ferma determinazione […] Dimenticavo di riferire che allorquando il Duce salutò, nel suo discorso, il Re, le masse risposero entusiasticamente: secondo parecchi, questa fu la manifestazione più sentita e prova come il popolo abbia profondamente radicata nell‟animo Casa Savoia” 95.

Non mancano, però, le reazioni critiche.

95 Aurelio Lepre, Le illusioni, la paura e la rabbia. Il fronte interno italiano 1940-1943, Edizioni Scientifiche

“Roma, 11 giugno 1940. Lo storico discorso pronunciato ieri dal Duce […] ha, in fondo, deluso la cittadinanza che s‟aspettava chissà quali rivelazioni! Ho raccolto i primissimi commenti della folla che s‟allontanava da Piazza Venezia, ho parlato – in seguito – con molti individui d‟ogni ceto sociale. Discorso senza passione, discorso di un Uomo che non era convinto, discorso infine privo di decisivi argomenti atti a giustificare l‟intervento […] Non vi fu quell‟incontenibile entusiasmo delle grandi giornate, soprattutto di quelle che ci diedero l‟Impero. Se si accentuano gli applausi insistenti e le acclamazioni di coloro che ascoltavano inquadrati di fronte al Palazzo, il rimanente della moltitudine si dimostrò abbastanza freddo ed esplose soltanto all‟accenno fatto dal Duce alla Maestà del Re Imperatore. Molte donne piangevano e, alla fine, si è notata larga affluenza nelle Chiese”96.

Né mancano rapporti apparentemente contraddittori che registrano lo stesso evento e lo riportano con stili e toni diversi, così come diversi sono i ruoli, le funzioni, il carattere degli estensori delle relazioni.

“ Genova, 10 giugno 1940. Vengo ora dalla Piazza De Ferrari gremita di popolo. Questa massa ha ascoltato con sommo interesse ciò che il Duce ha detto, ma ciò che è mancato è stato totalmente l‟entusiasmo. Vi era su tutti i visi un‟aria grave, applausi pochissimi, solo studenti e qualche gruppo rionale ogni tanto cercava di far salire un po‟ l‟atmosfera”97.

“Genova, 11 giugno 1940. Il formidabile discorso del Duce, ascoltato da una immensa moltitudine accalcantesi in Piazza De Ferrari e nelle immediate vicinanze, ha suscitato un‟impressione vivissima […] Le parole del Duce sono state accolte da acclamazioni all‟annuncio che la guerra era dichiarata e alla promessa che la vittoria sarà nostra così come nostro sarà l‟avvenire […] Un episodio: nel momento preciso in cui il Duce lanciava la parola d‟ordine “Vincere” il sole squarciò improvvisamente le nubi illuminando le diecine di migliaia di volti protesi in alto, e l‟anima popolare trasse istintivamente i più lieti auspici dalla felice coincidenza salutandola con una ovazione travolgente[…]”98.

Le pennellate che abbozzano un quadro di lirismo e misticismo fascista non nascondono, tuttavia, alcuni elementi che sembrano alterare l‟armonia della visione.

“[…] Si notavano, è bensì vero, qua e là dei musi duri, delle facce impassibili o depresse e si capiva al volo dove erano rivolte le loro simpatie personali, qualche donna fu

96 Ivi, p. 33. 97 Ivi, p. 34. 98 Ivi, p. 35.

anche vista piangere all‟annuncio che la guerra era stata dichiarata, ma – prosegue l‟informatore – queste figurano uniche stonature che ho rilevato nel clima ardente di patriottismo che trascinava i cuori”99.

Il fascismo, dunque, ha preparato il paese alla guerra, fin dal 1922. Ha scandito le parole d‟ordine nel corso delle cerimonie in cui ha manifestato non solo una volontà di potenza ma ha anche esibito una possente muscolatura, simbolo di forza politica e culturale, di cui il corpo sociale della Nazione è la perfetta sintesi. Gli organi dello Stato e gli apparati del Partito, sotto la guida rassicurante del Duce e per mezzo dell‟attività infaticabile dei vari gerarchi, hanno creato e alimentato il consenso e adesso, nell‟”ora delle decisioni irrevocabili”, occorre dimostrare determinazione, fiducia, sicurezza.

La parola d‟ordine è Vincere! e si diffonde ovunque, trasmessa dagli altoparlanti nelle piazze e dalla radio nelle case100, anche sotto forma di canzone101.

Il Paese sembra essere pronto, soprattutto dopo le travolgenti vittorie tedesche102.

Molti giovani, con l‟entusiasmo tipico della generazione nata e cresciuta negli anni del

99 Idem.

100 Alla fine del 1939, gli abbonamenti all‟ E.I.A.R. sono 1.169.939. Per verificare il livello di consenso

radiofonico viene indetto un referendum sul tempo dedicato dagli italiani all‟ascolto della radio e sui programmi maggiormente seguiti. Al questionario rispondono, entro il 31 gennaio 1940, 901.386 abbonati. Dai dati raccolti emerge un ascolto che coinvolge, normalmente, oltre sei milioni di persone. La trasmissione più ascoltata è il

Giornale radio (97%), seguita da Varietà e selezione di canzoni (87%), Opera lirica (86%), Commenti ai fatti del giorno (85%). Accanto all‟ascolto dei canali ufficiali, c‟è anche un ascolto clandestino, punito severamente

dal regime, di Radio Londra e Radio Mosca. A queste emittenti si affiancherà, dal luglio 1941, Radio Milano

Libera e, dalla metà del 1942, La Voce dell‟America. E‟ da tener presente, infine, l‟attività di Radio Vaticana.

Per i dati del questionario Cfr. Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, Referendum EIAR 1940-XVIII.

Organizzazione e risultati statistici, Torino 1940. Più in generale, Antonio Papa, Storia politica della radio in Italia. Vol. 2° Dalla guerra d‟Etiopia al crollo del fascismo 1935-1943, Guida, Napoli 1978.

101Temprata da mille passioni /la voce d'Italia squillò! /"Centurie, coorti, legioni, /in piedi chè l'ora suonò"!

/Avanti gioventù! /Ogni vincolo, ogni ostacolo /superiamo! /Spezziam la schiavitù /che ci soffoca /prigionieri nel nostro mar! /Vincere! Vincere! Vincere! /E vinceremo in cielo in terra in mare! /E' la parola d'ordine /d'una suprema volontà /Vincere! Vincere! Vincere! /ad ogni costo! nulla ci fermerà.! /I nostri cuori esultano /nell'ansia di obbedir! /Le nostre/labbra giurano: /o vincere o morir! /Elmetto, pugnale, moschetto: /a passo romano si va! /La fiamma che brucia/nel petto/ci sprona, ci guida: si va! /Avanti! Si oserà /l'inosabile! /L'inesorabile, l'impossibile /non esiste! /La/nostra volontà /è invincibile! /Mai nessuno ci piegherà! /Vincere! Vincere! Vincere...”. Versi di Mario Zambrelli, musica di Arconi, 1940. Sul rapporto tra fascismo e società italiana, dal punto di vista delle canzoni, delle riviste di varietà e dei meccanismi di censura, Cfr. Pietro Cavallo, Pasquale Iaccio, Vincere! Vincere! Vincere! Fascismo e società italiana nelle canzoni e nelle riviste di varietà (1935-

1943), Liguori, Napoli 2003.

102 Nel periodo che intercorre tra l‟annessione dell‟Austria alla Germania e l‟invasione della Polonia si era

registrato un sentimento di ostilità e di timore nei confronti dell‟alleato germanico e di avversione nei confronti di una partecipazione alla guerra. I rapporti degli informatori del partito, trasmessi a Roma dalle province, sono significativi. Ad esempio, si segnala che “l‟opinione pubblica è nuovamente allarmata per il pericolo di una guerra” (Torino); “L‟impressione generale è che il popolo sia stanco, che tema guerre e collassi economici” (Padova); “L‟eventualità della guerra viene generalmente deprecata” (Roma); “Tutta la popolazione non sente affatto la guerra, non la vuole, la depreca” (Genova). Alberto Aquarone, Lo spirito pubblico in Italia alla vigilia

della seconda guerra mondiale, in “Nord e Sud”, n. 49, gennaio 1964. Il 19 maggio 1940, nel rapporto di un

fascismo, fatto di suggestioni d‟annunziane e di certezze mussoliniane, possono finalmente cimentarsi in un‟impresa finora solo immaginata103.

L‟idea della guerra produce, in ampi settori della società, un atteggiamento esaltante104, rivendicativo105 e fiducioso106 che sembra pervadere un corpo sociale uniforme ma, in realtà, solo all‟apparenza coeso e compatto.

Accanto ai tanti che inneggiano alla guerra, e già assaporano l‟ebbrezza della vittoria, c‟è, però, chi annota pensieri fugaci che sembrano prefigurare altri scenari.

Giuseppe Bottai scrive nel suo Diario: “A Palazzo Venezia per l‟adunata di guerra. La piazza si gremisce d‟una folla ora silenziosa ora tumultuante. Si avverte la fatica dei pochi nuclei volitivi a indirizzare gridi e acclamazioni. Senso di una quasi stupita disciplina, che il Partito non à saputo illuminare con parole d‟ordine. Mussolini parla preciso, senza gesti, ridicendo a memoria un discorso meditato. Intanto i gerarchi convenuti presso il balcone ànno un‟aria confusa di circostanza”107. E Galeazzo Ciano: “[…] Mussolini parla dal Balcone di

guerra. E non si parla più di entrata dalla parte degli alleati, bensì con i tedeschi. Questo mutamento è dovuto ai successi tedeschi che rianimano quelli a loro favorevoli, e secondariamente, sempre nella previsione sulla loro vittoria, al timore di avere contro di noi, dopo, i tedeschi vittoriosi”, Acs, Ministero degli Interni, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Affari Generali e Riservati, Partito Nazionale Fascista, Situazione politica per

province, b. 19, fasc. Roma, 19 maggio 1940, citato da Simona Colarizi, L‟opinione pubblica italiana di fronte all‟intervento in guerra, in Ennio Di Nolfo, Romain H. Rainero, Brunello Vigezzi (a cura di), L‟Italia e la

politica di potenza in Europa (1938-1940), Marzorati Editore, Milano 1988, p. 300. Sul mutamento di opinione

nei confronti della guerra e sul ruolo degli organi del regime, Cfr. Ivano Granata, Opinione pubblica, situazione

internazionale e direttive di regime: il Ministero della Cultura Popolare e la stampa, in Ennio Di Nolfo, Romain

H. Rainero, Brunello Vigezzi (a cura di), L‟Italia e la politica di potenza in Europa (1938-1940), cit.

103 “(18 marzo 1939). Nubi di guerra si addensano nel cielo d‟Europa, di quella guerra che, se ci sarà, noi

combatteremo sino in fondo e sarà la “nostra guerra”. Di noi, che apparteniamo alle generazioni che salgono all‟orizzonte della storia, con l‟imperativo categorico dei venti anni. Di noi che apparteniamo alle generazioni eredi di un secolo di gloria che è cominciata cento anni fa sui campi del Risorgimento, a cui forse è destinato di essere i realizzatori di quella più alta posizione d‟impero di giustizia per lo Stato che i padri hanno creato e forgiato”. Giorgio Mario Forni, Giornate di uno che combatte, Mondadori, Milano 1942. Citato da Bianca Ceva,

Cinque anni di storia italiana 1940-1945. Da lettere e diari di caduti, Edizioni di Comunità, Milano 1964,

p.189. Giorgio Mario Forni, studente di legge, sottotenente, nato a Bussi (Pescara) nel 1919, muore sul fronte greco-abanese nel 1941.

104 Firenze, 24 maggio 1940, “Non puoi immaginare l‟entusiasmo e le manifestazioni che avvengono in tutte le

città d‟Italia le adunate inneggianti all‟Italia e al nostro Fondatore dell‟Impero”, in Aurelio Lepre, L‟occhio del

Duce. Gli italiani e la censura di guerra 1940-1943, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, p. 18.

105 Napoli, fine maggio 1940, “Noi italiani dovremo per forza entrare in guerra, anche il più tardi possibile, per

poter avere un diritto nelle rivendicazioni”, Ivi, p. 20.

106 Firenze, 5 giugno 1940, “Da un giorno all‟altro leggerete sui giornali che anche l‟Italia è entrata in guerra. Ma

questa volta però non è come allora e vedrai che finirà molto diversamente per noi e così quando voi tornerete in Italia la troverete più grande”, Ivi, p. 22.

Palazzo Venezia. La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. Io sono triste: molto triste. L‟avventura comincia. Che Dio assista l‟Italia”108.

Anche settori come il clero e il mondo cattolico vivono la complessità del momento con atteggiamenti e comportamenti non sempre riconducibili ad una posizione univoca nei confronti della guerra. C‟è, infatti, chi manifesta sentimenti patriottici e di fedeltà al regime ma c‟è anche chi, pur in una dimensione morale e religiosa, assume una condotta che sembra porsi in contrasto con la decisone dell‟intervento militare. Sono numerosi gli appelli ai fedeli, soprattutto nel mese di maggio, a pregare la Madonna, “regina della pace”. In alcuni casi, le autorità intervengono sequestrando opuscoli e bollettini parrocchiali; in altri, invece, arrestando e condannando al confino quei sacerdoti che manifestano in modo esplico il rifiuto della guerra. Il regime esercita un controllo anche sull‟operato del clero. I questori, ad esempio, nelle loro relazioni trimestrali sulla situazione economica e politica del Paese, riportano ciò che accade nelle varie province: “qualche generica invocazione alla pace”; “casi sporadici di preti […] che dal pulpito hanno criticato l‟entusiasmo giovanile verso la guerra”; “prediche a sfondi pietistici e pacifisti”; “una attività esageratamente pacifista”. L‟intervento delle autorità è tempestivo e si va dal “sequestro di una lettera-preghiera” alla “pena al confino comminata a due parroci”. Tuttavia, l‟attività del clero non desta particolari preoccupazioni. Infatti, “è generalmente corretta” ed “è mantenuta nell‟ambito religioso”; “è ossequiente alle direttive del regime”. In alcuni casi, “il clero svolge propaganda patriottica” e “i sacerdoti continuano a fiancheggiare autorità e gerarchia”; in altri, addirittura, il clero “affianca nella sua totalità l‟opera del regime”, “è ossequiente e ligio alle direttive del regime” e i sacerdoti “si sono messi su di un giusto piano, osservando le direttive del regime”. Infine, “dopo la dichiarazione di guerra il clero ha mutato contegno invitando i cattolici a pregare per la vittoria”109.

Mussolini, dunque, ha deciso di entrare in guerra. Il Primo Maresciallo dell‟Impero110 ritiene che ci siano le condizioni, interne ed internazionali, per compiere questo passo. Il

108 Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Nuova edizione BUR Storia, Rizzoli, Milano

2005, p. 442.

109 Francesco Malgeri, La Chiesa italiana e la guerra (1940-1945), Edizioni Studium, Roma 1980. Le citazioni

sono riportate in Appendice, I. Il comportamento del clero dal 1940 al 1942 secondo le relazioni dei questori.

110 Il 30 marzo 1938 Mussolini pronuncia al Senato un discorso sulle Forze Armate della Nazione in cui dichiara

che l‟Italia può arrivare a 8 milioni di mobilitati, definisce “semplicemente superbo” il morale delle truppe e affronta il problema del Comando unico: “In Italia la guerra, come lo fu in Africa, sarà guidata, agli ordini del re, da uno solo: da chi vi parla, se, ancora una volta, questo grave compito gli sarà riservato dal destino”. Subito dopo il discorso del Duce, il Presidente del Senato dichiara: “Camerati senatori! Mi perviene dal Presidente della Camera fascista la seguente proposta di legge, che è stata dianzi approvata dall‟altro ramo del Parlamento e per la quale vi domando la discussione d‟urgenza. Ne do lettura: Articolo 1 – E‟ creato il grado di primo maresciallo dell‟impero. Articolo 2 – Tale grado è conferito a Sua Maestà il re e a Benito Mussolini, Duce del fascismo”.

paese è pronto, grazie all‟opera compiuta dal regime. L‟Italia è una grande potenza e deve occupare il posto che le spetta nella Storia. Ed ha la forza per dimostrarlo. “Il potenziamento delle nostre Forze Armate è stata la cura più assidua del Gran Consiglio. In questi ultimi cinque anni sono stati realizzati imponenti progressi, come ho documentato recentemente al Senato. Tutta l‟atmosfera nella quale si svolge la vita del popolo italiano, ha carattere militare, deve avere e avrà un carattere sempre più militare: il popolo ha l‟orgoglio di sapersi mobilitato permanentemente per le opere di pace e per quelle di guerra”111.

Al di là della propaganda e della retorica di circostanza, le condizioni delle Forze Armate e del Paese sono però ben altre112. Lo stesso Mussolini è consapevole che l‟Italia non

può spendere centinaia di miliardi per sostenere il peso di una lunga guerra113 ma, dopo le

prime travolgenti vittorie della Germania, è convinto della invincibilità dell‟alleato tedesco e della necessità di condurre una “guerra parallela” per raggiungere quegli obiettivi che consentiranno all‟Italia di diventare una potenza veramente mondiale. A Badoglio, Capo di Stato Maggiore Generale, che gli fa notare l‟assoluta impreparazione militare, Mussolini risponde: “Lei, Signor Maresciallo, ha avuto una esatta visione della situazione in Etiopia nel 1935. Ora è evidente che le manca la calma per una esatta valutazione della situazione odierna. Le affermo che in settembre tutto sarà finito e che io ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace quale belligerante”114.

(Applausi vivissimi e prolungati). “Pongo ai voti l‟urgenza”. (Il Senato approva per acclamazione)”, Opera

Omnia di Benito Mussolini, cit., nota p. 82.

111 Opera Omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XXIX, p. 117. Nello stesso intervento (Prefazione a “Il Gran

Consiglio nei primi quindici anni dell‟era fascista”, datata 1 luglio 1938), Mussolini parla di “eventi di portata storica” come la creazione dell‟impero, la collaborazione e la solidarietà con la Germania ed il Giappone in politica estera, la bonifica pontina, il problema demografico (“il problema dei problemi”), l‟innovazione del passo romano (“di una importanza eccezionale”), l‟abolizione del “lei” (“servile e straniero”). Grazie a questi e altri passi, “sarà facile travolgere i residuali scetticismi dei deficienti nostrani e stranieri, che preferirebbero l‟Italia facilona, disordinata, divertente, mandolinistica del tempo antico e non quella inquadrata, solida, silenziosa e potente dell‟era fascista”. Nell‟aprile 1940 dichiara: “[…] E‟ umiliante stare con le mani in mano mentre gli altri scrivono la storia. Poco conta chi vince. Per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento magari a calci in culo. Così farò io”, Galeazzo Ciano, Diario, cit. p. 418.

112 Vedi, ad esempio, il “Promemoria per il Capo del Governo” predisposto dal Commissario generale per le

Documenti correlati