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La crisi del regime nei manuali di storia

4. La caduta del fascismo

Il 24 luglio 1943 si riunisce, a Palazzo Venezia, il Gran Consiglio del Fascismo. E‟ il 187° dalla sua istituzione373; il primo da quando l‟Italia è in guerra374. Sarà anche l‟ultimo375.

Alle ore 17.00 sono presenti, in divisa fascista (Sahariana nera, pantaloni corti grigioverdi), così come prescrive la lettera di convocazione376, Carlo Scorza (Segretario del

Partito Nazionale Fascista), Emilio De Bono (Quadrumviro), Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon (Quadrumviro), Giacomo Suardo (Presidente del Senato), Dino Grandi (Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni), Alfredo De Marsico (Ministro di Grazia e Giustizia), Giacomo Acerbo (Ministro delle Finanze), Carlo Biggini (Ministro Educazione Nazionale), Carlo Pareschi (Ministro Agricoltura e Foreste), Tullio Cianetti (Ministro delle Corporazioni), Gaetano Polverelli (Ministro della Cultura Popolare), Luigi Federzoni (Presidente R. Accademia d‟Italia), Antonino Tringali Casanova (Presidente Tribunale Speciale), Giovanni Balella (Presidente Confederazione Industriali), Ettore Frattari (Presidente Confederazione Agricoltori), Luciano Gottardi (Presidente Confederazione Lavoratori Industria), Annio Bignardi (Presidente Confederazione Lavoratori Agricoltura), Alberto De Stefani, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bottai, Roberto Farinacci, Giovanni Marinelli, Dino Alfieri, Galeazzo Ciano, Guido Buffarini Guidi (membri a titolo personale), Umberto Albini (Sottosegretario agli Interni), Enzo Galbiati (Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), Giuseppe Bastianini (Sottosegretario Affari Esteri).

Il clima è teso. Diversi componenti sono armati di pistola. Grandi ha in tasca due bombe a mano. D‟altra parte, visto l‟ordine del giorno che ha preparato, può accadere di tutto.

“Il Gran Consiglio […] esaminata la situazione interna ed internazionale, e la condotta politica e militare della guerra, proclama il dovere per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l‟unità, l‟indipendenza, la libertà della Patria […] afferma la necessità dell‟unione

373 La prima riunione si tiene al Grand Hotel, nell‟appartamento privato di Mussolini, la sera del 15 dicembre

1922. Successivamente, con la Legge 9 dicembre 1928, n. 2693, (modificata dalla Legge 14 dicembre 1929, n. 2099) diventa organo costituzionale del Regno e “coordina e integra tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell‟ottobre 1922”.

374 Non era stato più convocato dal 7 dicembre 1939.

375 Sarà soppresso con Regio Decreto Legge 2 agosto 1943, n. 706.

376 Il Gran Consiglio è presieduto da Benito Mussolini. E‟ composto dai Quadrumviri della marcia su Roma,

nominati per un tempo illimitato; dai membri nominati per le cariche ricoperte; da “coloro che hanno, quali membri del Governo, o Segretari del Partito Nazionale Fascista dopo il 1922, o per altri titoli, benemeritato della nazione e della causa della rivoluzione fascista”. (Legge 14 dicembre 1929, n. 2099, art. 4).

morale e materiale di tutti gli italiani in quest‟ora grave e decisiva per i destini della Patria; dichiara che a tale scopo è necessario l‟immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle corporazioni, i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il capo del Governo a pregare la Maestà del re, verso la quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la nazione, affinché egli voglia, per l‟onore e per la salvezza della patria, assumere, con l‟effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare e dell‟aria, secondo l‟articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono e che sono sempre state, in tutta la nostra storia nazionale, il retaggio glorioso della nostra augusta dinastia di Savoia”377.

Alle ore 17.15 entra Mussolini, nell‟uniforme di Comandante della Milizia378. La

riunione può avere inizio.

Il Duce comincia a parlare.

“Chiuse quasi gli occhi, unì le labbra alla maniera di Scarpetta, mosse la testa in alto inclinandola lateralmente con una leggiera alzata di spalle, assumendo insomma una posa che tradotta in parole povere potrebbe suonare così: noi, figlio unto di Domineddio, abbassiamoci fino a questi poveri vermiciattoli che osano elevare lo sguardo verso di noi!”379.

Dichiara che la guerra è entrata in una fase critica, soprattutto dopo l‟invasione del territorio metropolitano. Un‟ipotesi che fino a poco tempo prima sembrava semplicemente assurda. Attribuisce, però, la responsabilità alle popolazioni siciliane, alle truppe e ai comandanti (“I nostri generali hanno tradito”) mentre elogia i generali e le truppe tedesche. Parla anche degli errori commessi in Africa da Rommel e da Graziani.

Dice di essere stato sistematicamente ingannato dai militari. Non è stato lui a chiedere il comando delle Forze armate ma è stata un‟idea di Badoglio. Riconosce solo i propri meriti.

377 Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato I. L‟Italia in guerra (1940-1943), 2. Crisi e agonia del regime, cit., p.

1541.

378 Mussolini è Capo del Governo Primo ministro Segretario di Stato; Ministro dell‟interno; Ministro degli affari

esteri; Ministro della guerra; Ministro della marina; Ministro dell‟aeronautica; Ministro delle corporazioni; Comandante generale della Milizia; Primo Maresciallo dell‟Impero. Inoltre, per delega del Sovrano, ha assunto la condotta politica e militare della guerra. In pratica, è il comandante effettivo di tutte le Forze armate, avendo alle sue dirette dipendenze il Capo di Stato Maggiore Generale (prima Badoglio poi, dal 6.12.1940 Cavallero e dall‟ 1.2.1943 Ambrosio); il Capo di Stato Maggiore dell‟Esercito (prima Graziani poi, dal 24.3.1941 Roatta, quindi Ambrosio dal 20.1.1942; Rosi dal 1.2.1943; Roatta dal 1.6.1943), il Capo di Stato Maggiore della Marina (prima Cavagnari poi, dall‟11.12.1940 Riccardi), il Capo di Stato Maggiore dell‟Aeronautica (prima Pricolo poi, dal 15.11.1941, Fourgier).

“A questa sortita gli sguardi di molti di noi si incontrarono silenziosamente. Che angoscia! Quello era dunque il condottiero che da tre anni aveva nelle sue mani la vita di milioni di soldati e di cittadini esposti all‟offesa nemica?! Eppure egli disse quelle cose con la stessa serietà di un Don Chisciotte! Ancora una volta si ricorreva al sistema di denunciare colpe che non riguardavano alcuno dei presenti, ma esclusivamente se stesso”380.

Poi, finalmente, affronta il problema fondamentale che riguarda la condotta della guerra e le sorti del Paese.

“Finora ha parlato col muso curvo sui suoi incartamenti; e i tratti, nel taglio netto della fredda luce traversa della lampada, ne apparivano disumani, in uno scorcio caravaggiesco di chiarità violente e ombre fosche. Non uomo, una trasfigurazione d‟un uomo, già visto di là dalla vita, in quel tenace sforzo di fissarsi nella storia che lo ha estraniato a sé e ai suoi, fuori d‟ogni contatto cordiale, con l‟incisiva crudezza della maschera. Ora, la sua testa si solleva nella luce diffusa dall‟alto, che tutti ci investe: la maschera cade e appare il volto, su cui leggo i segni d‟una volontà orami rassegnata alla gran resa dei conti”381.

Il problema che si pone è: guerra o pace? Resa o resistenza a oltranza?

Mussolini afferma che la Germania ha sempre manifestato una generosa solidarietà ed elenca una serie di numeri relativi alle forniture di materie prime e armamenti. Aggiunge che la massa del popolo è disciplinata. Dichiara che cambierà i comandanti, chiamerà tutte le forze non ancora impegnate per difendere il territorio e, se sarà inevitabile, trasferirà il Governo nella valle del Po.

“Il Duce ha finito. Il suo discorso non ha scosso gli animi […] Durato un‟ora e più, rimane in aria, afflosciato, com‟una bandiera senza vento”382.

Il maresciallo De Bono è il primo a parlare dopo Mussolini. Difende l‟Esercito. “Il soldato italiano si è battuto con onore sempre, in tutte le guerre, quando è stato fornito dei mezzi indispensabili per combattere e per fronteggiare l‟avversario. Come si può pretendere che le nostre truppe, tuttora armate coll‟antico fucile modello 91, quello stesso della battaglia di Adua, possano arrestare i carri armati dell‟VIII armata britannica?” Quindi, conclude dicendo: “Io non credo all‟aiuto tedesco” 383.

380 Ivi, p. 413.

381 Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, cit. pp.411-412. 382 Ivi, p. 412.

Quest‟ultima affermazione provoca l‟ira di Farinacci, convinto sostenitore dell‟alleanza con la Germania, che chiede la sostituzione immediata dell‟intero Comando supremo. Contro questa proposta insorgono De Bono, Federzoni, Bottai.

E‟ proprio Bottai a riportare l‟attenzione sul reale problema che il Gran Consiglio deve affrontare: “[…] la parte politica del Comando non ha avuto e non ha sulla parte tecnica l‟ascendente necessario a imporre le sue decisioni. Dunque, un tarlo corrode nelle sue fibre stesse il nostro sistema di comando”384.

Grandi rincara la dose e rivolgendosi a Mussolini dice: “La tua dittatura ha perduto la guerra. Il Capo che noi amavamo e seguivamo è scomparso. Togliti dal berretto quella ridicola doppia greca che ti sei goffamente attribuito; torna, se puoi, ad essere il Mussolini di una volta. Ma è troppo tardi. Siamo arrivati a veder trattati i destini di un grande popolo come le faccende private di un individuo solo”385. Poi dà lettura dell‟ordine del giorno, lo illustra e

chiede che venga messo ai voti per appello nominale.

Ancora una volta interviene Farinacci. Rivolge delle critiche a Mussolini ma di natura opposta a quelle avanzate da Grandi. E‟ l‟insufficienza della dittatura - dice - che ha portato alla situazione attuale. Aggiunge che bisogna spazzare i democratici e i liberali rimasti dentro e fuori dal partito. Riafferma la volontà di esautorare lo Stato Maggiore e, soprattutto, sostiene che occorre dimostrare maggiore lealtà verso gli alleati tedeschi. Conclude presentando un proprio ordine del giorno che riassume quanto ha appena detto.

Intervengono gli altri componenti del Gran Consiglio.

Federzoni dice che il fascismo non è più quello delle origini; che l‟impopolarità di questa guerra è nella formula della guerra fascista e nella dittatura che ha diviso gli italiani; De Marsico, interrotto continuamente da Farinacci che gli urla “tu sei un democratico, tu sei un liberale!”, si associa all‟ordine del giorno Grandi; Biggini dichiara che il Gran Consiglio non ha le competenze per trattare questi argomenti; gli risponde Bottai, ricordandogli che il Gran Consiglio è l‟organo supremo del regime.

Prende la parola Ciano. E‟ il genero del Duce ma attacca ugualmente il comportamento della Germania, ritenuto poco corretto per non aver rispettato i patti, e reclama il diritto, per l‟Italia, di riprendere la sua libertà d‟azione.

Proseguono gli interventi. De Stefani è con Grandi; Polverelli difende la dittatura di Mussolini. Galbiati è ancora più duro e intravede un tradimento nei confronti del fascismo.

384 Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, cit. p. 414.

Alle 23.30 Mussolini annuncia che la seduta è sospesa e rinviata all‟indomani. A questa decisione si oppone energicamente Dino Grandi.

“Mussolini mi fissò intensamente. Poi, dopo una pausa: “La seduta è sospesa per venti minuti, dopodiché la discussione riprenderà e passeremo ai voti”, si alzò attraversando la sala dopo aver invitato Scorza a seguirlo. Ho creduto in quel momento, e altri con me, che non sarebbe più rientrato lui bensì la milizia a sgombrare la sala”386.

A questo punto, Grandi sottopone l‟ordine del giorno agli altri componenti per riceverne l‟adesione. Non senza qualche sorpresa, raccoglie venti firme387. Si attende con

ansia il rientro di Mussolini. Cosa che avviene subito dopo. La riunione può ricominciare. Grandi consegna l‟ordine del giorno. La stessa cosa fa Farinacci. Seguono ancora altri interventi (Bastianini, Albini, Acerbo) quindi è la volta di Mussolini. Il Duce respinge l‟ordine del giorno presentato da Grandi e non condivide, se non in parte, quello presentato da Farinacci. Sostiene che non esiste una frattura fra fascismo e nazione. Semmai esistono fratture fra gerarchi: “Se frattura c‟è, bisogna dire che fu anche determinata dalle condizioni economiche di molti gerarchi, il cui livello s‟è di troppo elevato in funzione della loro vita politica. Si sono create delle fortune economiche che non si giustificano”388. Ma il colpo di

scena arriva quando dichiara di avere importanti segreti militari che non intende rivelare e che non possono farlo dubitare della certezza della vittoria. E‟ un bluff? E‟ un‟abile mossa?

Con quest‟ultimo intervento, sembra che Mussolini abbia ripreso in mano la situazione. Comincia a manifestarsi qualche dubbio e, nello stesso tempo, si rafforza qualche timore. Ma Grandi grida: “Questo è un ricatto. Il Duce ci ha posto un dilemma, quello di scegliere tra la nostra fedeltà a lui e la nostra fedeltà alla patria. Ebbene, gli rispondo, non si può esitare un solo istante, quando si tratta della patria”389. A questo punto interviene Scorza.

E‟ il Segretario del Partito e la sua posizione può essere determinante. Ha già sostenuto l‟ordine del giorno Grandi ma nel suo intervento difende Mussolini che considera l‟uomo più disubbidito del secolo. Afferma che tutto il popolo è con il partito e presenta un altro ordine del giorno.

Il fronte che sostiene Grandi sembra cedere. Suardo, piangendo, ritira la propria adesione mentre Cianetti propone un compromesso tra l‟ordine del giorno Grandi e quello

386 Dino Grandi, 25 luglio. Quarant‟anni dopo, cit. p. 260. 387 Suardo, alla fine, ritirerà la propria firma e si asterrà. 388 Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, cit. p. 418 389 Ivi, p. 264

presentato da Scorza. Ciano non esclude questa possibilità mentre Bottai è nettamente contrario.

Dagli interventi di Galbiati e di Tringali Casanova giungono allusioni all‟uso della forza e alle gravi responsabilità in merito alle decisioni assunte.

Sono le due del mattino quando interviene ancora una volta Grandi. Ribadisce con forza la propria posizione e aggiunge: “[…] Il partito è morto, la dittatura è sconfitta, ma occorre salvare tutto quello che il fascismo ha fatto di bene e che ormai al fascismo non appartiene più, poiché è diventato patrimonio della nazione, l‟esperienza laboriosa e dolorosa di un‟intera generazione. Rimaniamo fedeli al giuramento fatto al Re come soldati e come cittadini. Questo è l‟unico modo per restare ancora fedeli al fascismo e per non “tradire” il fascismo il quale non è né un uomo, né un partito, bensì un‟idea e la nazione”390.

C‟è ancora qualche altro intervento ma, ormai, è stato detto tutto. Scorza, allora, rilegge l‟ordine del giorno Grandi e lo pone in votazione: diciannove si391; sette no392.

Sono le due e quaranta del 25 luglio 1943. Mussolini guarda a lungo l‟assemblea, poi dichiara: “Voi avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta”.

Ha ragione, Mussolini, quando, nel corso della riunione del Gran Consiglio, dice “in questo momento io sono certamente l‟uomo più detestato anzi odiato in Italia”393. Sbaglia, però, ancora una volta, quando immagina le parole e il comportamento del Re 394.

Vittorio Emanuele III incontra il Duce alle ore 17.00 del 25 luglio, a Villa Savoia. Il Gran Consiglio ha da qualche ora approvato l‟ordine del giorno Grandi. Il Re ha da qualche tempo deciso come uscire dalla crisi.

Nel corso dell‟incontro, il sovrano dice a Mussolini: “Io vi voglio bene e ve l‟ho dimostrato più volte difendendovi contro ogni attacco, ma questa volta devo pregarvi di

390 Ivi, p. 267.

391 Votano si: De Bono, De Vecchi, Grandi, De Marsico, Acerbo, Pareschi, Cianetti, Federzoni, Balella, Gottardi,

Bignardi, De Stefani, Rossoni, Bottai, Marinelli, Alfieri, Ciano, Albini, Bastianini.

392 Votano no: Scorza, Biggini, Polverelli, Tringali-Casanova, Frattari, Buffarini-Guidi, Galbiati. Suardo si

astiene. Farinacci vota il proprio ordine del giorno.

393 Opera Omnia di Benito Mussolini, cit., Vol. XXXIV, p. 345.

394 “Il re può tenermi questo discorso: caro Mussolini, le cose non sono andate effettivamente bene in questo

ultimo tempo, ma a una fase difficile della guerra può seguirne una migliore. Avete cominciato, continuate. Il re può fare anche quest‟altro discorso, ed è il più probabile: dunque, signori del regime, ora che sentite di avere l‟acqua alla gola vi ricordate che esiste uno statuto; che in questo statuto c‟è un articolo 5; che, oltre allo statuto, c‟è un re; ebbene, io, accusato di aver violato per venti anni lo statuto del Regno, esco alla ribalta, accolgo il vostro invito; ma, poiché vi ritengo responsabili della situazione, approfitto della vostra mossa per liquidarvi di un colpo”. Opera Omnia di Benito Mussolini, cit. , vol. XXXIV, Storia di un anno, p. 349.

lasciare il vostro posto e di lasciarmi libero di affidare ad altri il governo”395. All‟interno della residenza del Re stazionano due capitani e tre vicebrigadieri dei Carabinieri e tre agenti di Pubblica Sicurezza. C‟è il questore Marazzini e c‟è il Ten. Colonnello Frignani. C‟è un autocarro con un plotone di cinquanta carabinieri e c‟è anche un‟autoambulanza.

Al termine del colloquio, mentre Mussolini si appresta a lasciare Villa Savoia, “il capitano Vigneri gli va incontro:

“Duce in nome di S.M. il Re vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze da parte della folla”. Mussolini allarga le mani nervosamente serrate su una piccola agenda e con un tono stanco, quasi implorante risponde: “Ma non ce n‟è bisogno!” Il suo aspetto è quello di un uomo moralmente finito, quasi distrutto: ha il colorito del malato e sembra persino più piccolo di statura. “Duce, - riprende il capitano Vigneri, - io ho un ordine da eseguire”396.

Poi lo prende da un braccio e lo aiuta a salire sull‟autoambulanza. Sono le 17.20 del 25 luglio 1943. Il Duce del Fascismo viene arrestato.

Alle 22.45, un comunicato letto alla radio397 annuncia che il Re ha accettato le

dimissioni del cavaliere Benito Mussolini.

395 Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, cit., p. 145.

396 Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato I. L‟Italia in guerra (1940-1943), 2. Crisi e agonia del regime, cit.,

Appendice. 16. L‟arresto di Mussolini nella relazione “Arresto – Detenzione – Liberazione di Mussolini”, redatta dal generale dei Carabinieri Filippo Caruso dopo la liberazione di Roma, p. 1546.

397 “Attenzione! Attenzione! Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del

Governo, Primo ministro e segretario di Stato presentate da Sua Eccellenza il cavaliere Benito Mussolini e ha nominato Capo del Governo, Primo ministro e segretario di Stato Sua Eccellenza il cavaliere Maresciallo d‟Italia Pietro Badoglio”, Gianni Isola, Cari amici vicini e lontani. Storia dell‟ascolto radiofonico nel primo decennio

repubblicano (1944-1954), La Nuova Italia, Firenze 1995, p. 1. Subito dopo, l‟annunciatore Titta Arista legge un

secondo comunicato. E‟ il proclama del Re: “Italiani, assumo da oggi il comando di tutte le Forze Armate. Nell'ora solenne che incombe sui destini della Patria ognuno riprenda il suo posto di dovere, di fede e di combattimento: nessuna deviazione deve essere tollerata, nessuna recriminazione può essere consentita. Ogni Italiano si inchini dinanzi alle gravi ferite che hanno lacerato il sacro suolo della Patria. L‟Italia, per il valore delle sue Forze Armate, per la decisa volontà di tutti i cittadini, ritroverà nel rispetto delle istituzioni che ne hanno sempre confortata l'ascesa, la via della riscossa. Italiani, sono oggi più che mai indissolubilmente unito a voi dalla incrollabile fede sull‟immortalità della Patria”. Infine, legge il terzo comunicato. E‟ il proclama di Badoglio. “Sua Eccellenza il Maresciallo d‟Italia Pietro Badoglio ha rivolto agli italiani il seguente proclama: „Italiani, Per ordine di Sua Maestà il Re e Imperatore assumo il Governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua. L'Italia, duramente colpita nelle sue province invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a Sua Maestà il Re e Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita, e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti turbare l'ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito. Viva l‟Italia. Viva il Re”.

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