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All‟interno del capitolo CCXXIX del III libro, Guglielmo di Malmesbury si sofferma su importanti aspetti riguardanti la nascita del Conquistatore. Innanzitutto, l‟autore ricorda che Guglielmo era nato da una concubina di Roberto I il Magnifico: Herleva di Falaise, unita in matrimonio con il duca di Normandia secondo i costumi danesi, ma che in seguito avrebbe sposato Erluino di Counteville911. Questo aspetto avrebbe indotto una parte dei nobili normanni a contestare la possibile ascesa al ducato da parte di Guglielmo, a causa della sua illegittimità912. Eppure, Guglielmo di Malmesbury si era premurato di sottolineare, lungo le Gesta Regum, che anche durante i passati regni anglo-sassoni vi erano stati sovrani considerati illegittimi, perché nati da una concubina. Oltre ai già citati Alfredo il Grande e Atelstano, anche Aldfrith, re di Northumbria dal 685 al 704 circa913, figlio maggiore del re di Northumbria Oswio914, era stato giudicato indegno del

911

Cfr. Van Houts, The origins of Herleva, pp. 399-405. 912

«Posterity might dwell on the romantic circumstances of his birth, but sentiment could not alter the fact of the situation nor mask William‟s essential illegitimacy. William, although to be in due course styled „the Conqueror‟ or „the Great‟, was for his contemporaries emphatically „William the Bastard‟. Nor is there any reason to suppose that during his infancy he was ever considered as a possible successor to the Norman duchy» Douglas, William the Conqueror, p. 31.

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Aldfrith (morto nel 704), re di Northumbria dal 685 sino alla sua morte, descritto da Beda come uomo di grande erudizione. Il suo regno si contraddistinse per un periodo di pace, al di là di una disputa con Wilfrido vescovo di York

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trono da un gruppo di magnati, perché nato da una concubina. Ciò nonostante, una volta che il fratello minore di questi – Egfrido di Northumbria (645-685)915 – morì, coloro che lo avevano denigrato, constatando la sua dedizione agli studi e il suo animo orientato alla conoscenza filosofica, lo invitarono ad assumere il trono del regno di Northumbria, ove regnò per diversi anni in somma pace e gioia. A leggere le gesta di tali re, i sovrani illegittimi avevano governato rettamente, quanto – e talvolta meglio – di quelli legittimi.

[…] Is, quia nothus (ut diximus) erat, factione optimatum, quanuis senior, regno indignus estimatus in Hibernia, seu vi seu indignationes, secesserat. Ibi, et odio germani tutus magno otio litteris imbutus, omni philosophia composuerat animum. Quo circa, imperii habenis habiliorem estimantes, qui quondam expulerant ultro expetiuerunt; necessitas medelam ad preces refusi. Nec eos ille sua spe frustatus est; nam per decem et novem annos summa pace et gaudio provintiae prefuit, […].916

In questo passaggio emerge un aspetto singolare: Aldfrith aveva orientato il proprio animo alla formazione filosofica, analogamente a ciò che avrebbero compiuto anche Alfredo il Grande, Atelstano ed Enrico I917.

Si tratta di un retaggio platonico, per il tramite di Boezio e Cassiodoro918: il monaco di Vivarium, infatti, ricorda che è la sapientia la vera virtù del filosofo, che sovrasta tutte le altre, utilizzata talvolta con il sinonimo prudentia e ricondotta sovente all‟eruditio litterarum – da qui appunto «rex illiteratus, asinus coronatus» di Guglielmo di Malmesbury –, che è la garanzia di colui che si accinge a governare919.

(634-709). Questi, infatti, difensore della Chiesa cristiana romana era in contrapposizione con il re, vicino alle istanze della chiesa celtica. Cfr. Stenton, Anglo-Saxon England, pp. 88-90.

914

Oswio (612-704) fu sovrano della Northumbria; al sinodo di Whitby del 664, accettò gli usi e la liturgia della Chiesa cristiana Romana, favorendo la nomina di Wilfrid a vescovo di York. Cfr. Stenton, Anglo-Saxon England, pp. 83-85 e 120-122.

915

Egfrido (645-685) figlio secondogenito di Oswio, successe al padre nel 671; all‟inizio del suo regno soppresse una rivolta dei Pitti, mentre tra 671 e 675 tentò di conquistare la Mercia, sconfiggendone il re, ma venendo in seguito sconfitto da Etelredo di Mercia nel 679 (morto dopo il 704). Morì durante una spedizione in Scozia. Cfr. Stenton,

Anglo-Saxon England, pp. 85-88.

916

GRA, I.25, p. 80. 917

Anche per Guglielmo di Malmesbury, il potere legittimo ed esercitato legittimamente si pone secondo coordinate certe. Cfr. Cantarella, Principi e corti, p. 200. Va peraltro ricordata l‟esternazione compiuta dal monaco inglese: «Beata est igitur, secundum sententiam Platonis, respublica cuius rector est philosophus, cuius princeps non delectatur muneribus» GRA, V.499, p. 800.

918

«atqui tu [i. e. Philosophia] hanc sententiam Platonis ore sanxisti, beatas fore rex publicas si eas vel studiosi sapientiae regerent uel earum rectores studere sapientiae contigisset» Severino Boezio, La consolazione della filosofia, I.4.5, p. 96; «beata res publica quae tantae dominiae gubernationi gloriae. […] agnoscite, principes uiui, sapientissimae esse dominae, quod in nobis potuerit plus placere» Cassiodori Senatoris, Variae, X.4.7-8, pp. 300-301.

919

«Accessit his bonis desiderabilis eruditio litterarum, quae naturam laudabilem eximie reddit ornatam. Ibi prudens invenit, unde sapientor fiat: ibi bellator reperit, unde animi virtute roboretur: inde princeps accipit, quemadmodum populus sub aequalitate componat: nec aliqua in mundo potest, quam litterarum non augeat gloriosa notitia» Variae, X.3.4, p. 299.

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Sono virtù tipiche del principe, che assumono altresì un‟impronta «sapienziale»: già presenti in Platone920 e riprese da Cicerone921 giunsero sino in età tardo antica dove vennero assimilate da Agostino922. Temperantia, prudentia, fortitudo e iustitia furono indirettamente riconosciute al nuovo re in qualità di sapiens, bellator e princeps – tre figure distinte ma complementari –923. Tuttavia, la potentia doveva essere sempre accompagnata alla sapientia; così il re era presentato come sapiens e come potiens platonico924. Ciò denota che il principe doveva essere sapiente, acculturato, perché ogni giorno doveva ripercorrere con la lettura la legge di Dio: il suo sarebbe stato il governo perfetto perché nella cultura era contenuto il compendio della prudenza925 (ancora sapientia-prudentia). D‟altra parte, come si è scritto precedentemente in tale lavoro926, la ripresa di alcuni motivi politici, in questo caso di matrice platonica, recuperati da Boezio e Cassiodoro, venne promossa in Inghilterra da Alcuino, attraverso il riesame del De Consolatione, mettendo in primo piano un passo della stessa opera e precisamente quella sul governo del filosofo da cui Guglielmo avrebbe tratto ispirazione per il suo ritratto dei sovrani anglo-sassoni e anglo-normanni927.

Ma ritornando al testo, Guglielmo nuovamente ricorre all‟espediente del sogno e della profezia, come aveva fatto al termine del II libro, allorquando il monaco si era soffermato sulle visioni avute da Edoardo il Confessore. Il resoconto sull‟infanzia e sull‟adolescenza del futuro Conquistatore è tutto imbevuto di provvidenzialità: nel capitolo CCXXIX, l‟autore riporta un sogno e una fausta visione, entrambi relativi alla nascita del Conquistatore, la cui futura grandezza sarebbe stata preannunciata da questi istanti.

920

«È quindi evidente che essa [la città] è saggia e coraggiosa, temperante e giusta» La Repubblica, I, libro IV, p. 133. 921

«Aut enim in perspicentia veri sollertiaeque versatur aut in hominum societate tuenda tribuendoque suum cuique et rerum contractarum fide aut in animi excelsi atque invicti magnitudine ac robore aut in omnium, quae fiunt qua eque dicunt ordine et modo, in quo inest modestia et temperantia. Quae quattuor quamquam inter se colligata atque implicata sunt, tamen ex singulis certa officiorum genera nascuntur, velut ex ea parte, quae prima discripta est, in qua sapientiam et prudentia ponimus, inest indagatio atque inventio veri, eiusque virtutis hoc munus est proprium» De Officis, I.5, pp. 52-53.

922

«Quando quidem virtutem in quattuor species distribuendam esse viderunt, prudentiam, iustitiam, fortitudinem, temperantiam. […] Quare prundentia, quare sapientia» De Civitate Dei, IV.20, p. 114.

923

Vedi n. 174, p. 34. 924

«A meno che o i filosofi non regnino nelle città, o quelli che oggi han nome di re e di sovrani non prendano a nobilmente e acconciamente filosofare, e non vengano a coincidere la forza politica e la filosofia» La Repubblica, II, libro V, p. 195. Potentia (potestas) e sapientia vengono conferite all‟eletto da Dio e, va ribadito, con la prima il governante opprime i superbi e tutela gli umili, mentre con la seconda governa e istruisce i sudditi. Ulteriore testimonianza del recupero di tematiche di matrice platonica sul buon governo che si attua attraverso i classici latini, passando per Boezio e Cassiodoro, giungendo a Alcuino, senza dimenticare il virgiliano «parcere subjectis et debellare superbos».

925

Cantarella, Principi e corti, p. 226. 926

Vedi p. 34. 927

«felix populus, qui sapiente et pio regitur principe; sicut in illo platonico legitur prouerbio dicente felice esse regna, si philosophi, id est amatores sapientiae, regnarent vel reges philosophiae studerent» Alcuino, Epistola CCXXIX, p. 373, che riprende Boezio, La consolazione della filosofia, I.4-5, p. 96.

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La madre di Guglielmo, infatti, nel vedere durante un sogno che le sue viscere si estendevano e si allargavano su tutta la Normandia e sull‟Anglia, aveva avvertito la magnificenza del futuro Conquistatore. Peraltro, una volta partorito, il neonato aveva afferrato con entrambe le mani un giunco con cui si toglieva la polvere dal pavimento (una sorta di scopa); tale gesto di forza venne plaudito dalle donne di casa e la stessa ostetrica esclamò che il bambino sarebbe diventato re. Scrive Guglielmo:

[…] Puer ex ea editus Willelmus a nomine abavi dictus, cuius magnitudinem futuram matris somnium portendebat, quo intestina sua per totam Normanniam et Angliam extendi et dilatari viderat. Ipso quoque momento quo, parto laxato, in vitam effuses pusio humum attigit, ambas manus iunco quo pavimenti pulvis cavebatur impelvit, stricte quod corripuerat compugnans. Ostentum visum mulierculis laeto plasu gannientibus; obstetrix quoque fausto omine acclamant puerum regem futurum.928

In entrambi i casi sopraggiungono fattori «esterni» nell‟indicazione del futuro del neonato Guglielmo, che nella descrizione riceve oltretutto l‟appellativo di puer, parola utilizzata da Virgilio nella IV Ecloga delle Bucoliche, dove il Mantovano annuncia l‟avvento di un fanciullo che avrebbe posto fine alle ingiustizie e con il quale sarebbe giunta una nuova età dell‟oro929

. Non vi sono tuttavia ulteriori «spie» Un termine scelto ad hoc, forse per sublimare la figura del Conquistatore caricandone ulteriormente la caratura, attraverso l‟analogia con il fanciullo virgiliano?

Il livello di sublimazione aumenta, allorquando l‟autore sottolinea come, durante l‟infanzia del futuro duca, difficoltà e pericoli avrebbero potuto porre fine alla sua esistenza, se non vi fosse stato un intervento divino. Guglielmo si trovava, infatti, in una situazione assai delicata per la propria vita, poiché i nobili normanni, nonostante avessero giurato a Roberto il Magnifico fedeltà nei confronti di suo figlio, non esitarono a rompere tale giuramento, quando giunse la notizia della morte del duca normanno, che era da tempo partito per Gerusalemme930. Solamente il conte

928

GRA, III.229, p. 426. 929

«Tu modo nascienti puero, quo ferrea primum | desinet ac toto surget gens aurea mundo» Publio Virgilio Marone,

Bucoliche, a cura di M. Cavalli, Milano 1990, Ecl. IV, 8-9, p. 54. L‟identificazione del puer è uno dei problemi più

dibattuti della critica virgiliana antica e moderna. Partendo dal solo dato storico contenuto nell‟Ecloga, il consolato di Asinio Poliione del 40 a. C., alcuni hanno indicato nel bambino un figlio dello stesso Pollione, oppure un figlio atteso da Ottaviano. Più plausibile l‟ipotesi che vede nel puer lo stesso Ottaviano. Cfr. Hedberg, The Bucolics and the

medieval poetical debate, pp. 47-97; Della Corte, Le Bucoliche di Virgilio; Carp, «Puer Senex» in roman and medieval thought, pp. 736-739; Baswell, Virgil in medieval England, pp. 15-40; Kallendorf, The Virgilian tradition, pp. 547-587.

930

«Et, accersito Roberto archiepiscopo Rotomagensi avunculo suo, cum optimatibus sui ducatus velle se appetere Ierosolimitanam peregrinationem illis manifestavit. Quibus verbis omnes vehementer atoniti eius propter absentiam formidabant patriam multimode turbari. Exponens autem eis Willelmum suum filium, quem unicum apud Falesiam genuerat, ut hunc sibi sui loco dominum eligerent militieque sue principem preficerent, ab eis attentissime exigebat qui licet sub tenerrima detineretur etate decretum ducis protinus eum promta unanimitate suum collaudavere principem ac dominum, pangentes illi fidelitatem non violandis sacramentis» Gesta Normannorum Ducum of William of Jumièges,

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Gilberto di Brionne931, tutore del futuro Conquistatore, rimase fedele al fanciullo che tuttavia cresceva tranquillo, non senza l‟aiuto di Dio, che aveva previsto per questi un grande futuro.

[…] Inter haec ille, haud equidem reor sine Dei auxilio, qui eum tanto principaturum previderat imperio, tutus adolescebat, cum solus pene Gislebertus aequum et bonum armis defensitaret suis; ceteri studiis partium agebantur. […] At ille, ubi primum per aetatem potuit, militiae insignia a rege Francorum accipiens, provintiales in spem quietis erexit.932

Attraverso le parole dell‟autore, l‟aspetto provvidenziale della crescita di Guglielmo viene sottolineato ulteriormente: il suo ritratto inizia, infatti, con l‟intervento divino che prevede per lui l‟egemonia su un grande regno «qui eum tantum principaturum previderat imperio». Tramite il linguaggio usato da Guglielmo, si affaccia l‟immagine del Conquistatore che, investito dalle minacce verso la sua persona e il suo ducato, cresceva al sicuro – «tutus» – e che, una volta ottenuta l‟investitura militare da parte del re di Francia, ridestò nei propri sudditi la speranza di pace («in spem quietis erexit»).

Il giovane duca, però, non attese inerte l‟opera della provvidenza, sicché fin da subito entrò attivamente nella politica della Normandia. I capitoli seguenti – dal CCXXXI al CCXXXIV del III libro – sono densi di interessanti aspetti: vi sono elogi dell‟atteggiamento del duca normanno, richiami a glorie maggiori rispetto a quelle che lo hanno come protagonista, nonché rimandi a diritti su terre al di fuori della Normandia933.

Oltretutto, in queste imprese, egli è costantemente affiancato da traditori o da nemici che non si esimono da rompere gli accordi presi (dei veri e propri anti-modelli), accrescendo così il valore delle sue imprese e ponendo in risalto la figura del Normanno934.

È il caso di Goffredo II d‟Anjou935 – scrive il monaco di Malmesbury –, che nel 1049936, fiero per la sua crescente forza, provocava il duca per il possesso del castello di Alençon nella bassa Normandia, al confine con il Maine. Tuttavia Guglielmo, certo della sua superiorità, dopo aver

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Gilberto conte di Brionne (1000-1048), fu uno dei tutori di Guglielmo il Conquistatore quando il padre di questi, Roberto II, partì per Gerusalemme. Cfr. Bauduin, La première Normandie, p. 295.

932

GRA, III.230, p. 426. 933

«Ille, ubi civile discidium multo exercitio composuit, rem maioris gloriae animo sequens, terras olim Normanniae appendices, quae longo usu insolverant, restituire intendit, Cinomannicum dice comitatum et Britanniam» GRA, III.236, pp. 438-440.

934

Gillingham, William the Bastard at war, pp. 141-158. 935

Goffredo II, detto Martello (1006-1060), conte di Vendôme dal 1032 al 1056, poi conte d‟Anjou dal 1040 e conte di Tours dal 1044 sino alla sua morte. Cfr. Guillot, Le Comte d‟Anjou, pp. 56-101.

936

La data dell‟assedio di Domfront è stata oggetto di dibattito: a una cronologia «bassa» che colloca l‟evento al 1051, si oppone una cronologia «alta» che lo anticipa al 1049. Non interessa in questo caso conoscere i protagonisti di tale discussione. In questo lavoro si considererà il 1049 come data per l‟assedio, anche perché al concilio di Reims del 1049, Leone IX invocherà la liberazione del vescovo di Le Mans Gervais, prigioniero di Goffredo il Martello. Cfr. Douglas,

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posto sotto assedio Domfront, che era allora sotto il conte angioino, e dopo aver risposto all‟arroganza di questi con la minaccia di muovergli battaglia, indusse alla ritirata Goffredo, ottenendo la resa di Alençon senza l‟uso delle armi.

In maniera analoga, nell‟autunno del 1053, Guglielmo affrontò la ribellione di suo zio, Guglielmo conte di Arques937, di carattere infido e voltagabbana che, dopo essere fuggito di nascosto dall‟assedio di Domfront, indusse gli uomini ai quali Guglielmo aveva affidato la sicurezza del castello di Arques a passare dalla sua parte e mettersi contro il duca. Nuovamente, il Normanno organizzò il proprio esercito ma sempre comportandosi con moderazione, con l‟obiettivo di incutere nell‟animo dei nemici timore e rispetto, evitando lo spargimento di sangue.

Atteggiamento che Guglielmo ebbe anche nei confronti di Enrico I re di Francia (1008-1060)938, che da tempo era ostile al duca per ragioni non note – in realtà, l‟autore non scrive che uno dei motivi dell‟irrigidimento di Enrico I nei confronti di Guglielmo era dovuto al fatto che il successo normanno sul conte d‟Anjou nel 1052 non aveva lasciato indifferente il re di Francia939

–. Il Normanno, infatti, non assalì mai d‟improvviso il re francese e lo affrontò sempre in un giorno prefissato, rispondendo sempre ad attacchi subiti. Solamente la morte di Enrico I provocò la cessazione delle discordie. Parimenti, anche il decesso di Goffredo Martello comportò la fine dei problemi per il duca, con il ripristino della sua autorità sull‟Anjou.

Occorre sottolineare che, seppure Guglielmo utilizzi sovente Guglielmo di Jumièges e, particolarmente, Guglielmo di Poitiers per quel che concerne gli eventi della vita del Conquistatore, ciò nonostante egli ripropone tali vicende con un linguaggio tutto proprio, sicché il ritratto del duca offerto da Guglielmo procede da una provata considerazione.

Capitolo CCXXXI:

[…] Ita Martellus, tantarum virium augment turgidus, etiam Normannum comitem Alentii castelli possesione vellicavit, pronis in perfidiam habitatoribus. Qua is irritatus iniuria par pari retulit, et Defrontum, quod erat tunc comitis Andegavorum, obsidione coronavit.940

Capitolo CCXXXII:

937

Guglielmo di Arques (1026 ca.-1054 ca.), figlio di Riccardo II (996-1026), quindi zio di Guglielmo il Conquistatore, nel 1037 ricevette la contea di Talou, durante la minore età del futuro duca. Cfr. Bauduin, La première Normandie, p. 309.

938

Enrico I re di Francia (1008-1060), figlio di Roberto II il Pio re di Francia (970-1031), fu sovrano della monarchia d‟oltralpe dal 1031 sino alla sua morte. Cfr. Dhondt, Les relations entre la France et la Normandie sous Henri Ier, pp. 465-86; Hallam, The king and the princes in eleventh-century France, pp. 143-156 e Capetian France, 987-1328, pp. 95-98; Guillot e Sassier, Pouvoirs et institutions dans la France médiévale, pp. 246-250; Guillot, Hugues Capet et les

premiers Capétiens, p. 41.

939

De Boüard, Guglielmo il Conquistatore, p. 183. 940

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Posterioribus annis rebellavit Willelmus comes de Archis, Patruus eius sed nothus, a primis auspitiis ducatus infidus et versipellis; nam et in obsidione Danfronti clam profugerat, et multis sepe animi sui latebras aperuerat. Quapropter Willelmus quibusdam, quos fideles falso arbitrabatur, firmitatem castelli commiserate; verum ille astu quo callebat, multa largiendo, plura pollicendo in suas partes eosdem traduxit. Munitione igitur potitus, bellum domino suo denuntiavit. Ille solito more alacerrime Archas obsedit, dissuadentibus amicis, palam professus nichil latrines ausuros si in conspectum eius venissent. Nec promisso fide cavit: namque plusquam trecenti milites, qui pabulatum et populatum processerant, eo pene solo conspecto intra munitions refugere. Dux sine sanguine rem peragere volens, offirmato contra Archas castello, ad alia quae magis urgebant bella conversus est, simul quia sciebat regem Francorum, iam pridem nescio qua simultate sibi infesum, ad opem obsess ferandam adventare; namque predicandi moderaminis consilio, quanius iustorem causam habere videretur, cum eo decernere ferro cavebat cui et pro scramento et pro suffragio obnoxious erat.941

Capitolo CCXXXIII:

Nec rex Henricus otio indulsit, quin grunniret exercitus suos lidibrio fuisse Willelmo. Coactis itaque omnibus viribus et copiis bipertitis, totam indulavit Normanniam, […] Nec multo post tempore, discurrentibus utrobique nuntiis, pacifice conventum ut regii captivi absolverentur, come erepta vel reipienda Martello iure vendicaret legitimo.942

Capitolo CCXXXIV:

Longum est et non necessarium referre quanta inter eos contentions versatae sint, quomodo Willelmus simper superiorem manum retulerit. Quid quod inestimabili presumption fortitudinis numquam subito, nec nisi prenuntiata die, illum aggredi dignatus, nostri temporis morem animi magnitudine contempserit? Illud quoque pretereo, quod iterum ruptis amicitiis rex Henricus, Normanniam ingressus, per pagum Oximensem usque ad Fluuium Diuae pervenerit, iactitans solum oceanum progression suae esse obstaculum. Vero Willelmus, qui se videret propter fidei dissimulationem immoderate premi, tunc tandem consciae virtutis arma concutiens regias copias quae citra flumen errant (nam pars Paulo ante eius adventu auditu transuadaverat) tanta internitie cecidit ut nichil postea Frantia plus metueret quam Normannorum ferotiam irritare.943

In effetti, Goffredo Martello era stato dal 1044 – anno in cui inflisse una cocente sconfitta alla famiglia Blois-Chartres944 – sino alla sua morte, una formidabile minaccia sia per il duca di Normandia che per il re francese945. Presenza molto forte per buona parte di questo periodo nella