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A conclusione del libro V delle Gesta Regum Anglorum, si legge un breve ma intenso elogio nei confronti del conte Roberto di Gloucester. Questi, figlio illegittimo di Enrico I re d‟Inghilterra e duca di Normandia, viene dipinto dall‟autore del testo come avente «a Normannis bellandi peritiam, a Flandrensibus liniamentorum gratiam, a Francis generositatis eminentiam», importante sostenitore della cultura, di giusta equanimità e disinteressato ai doni151.

Le notizie sulle origini di Roberto di Gloucester sono pressoché nulle: esistono alcune ipotesi riguardanti la sua nascita e adolescenza, nonostante le fonti offrano pochissime informazioni in proposito. Egli nacque intorno al 1090, probabilmente da madre inglese, anche se non mancano ipotesi su un‟origine materna di parte normanna, come nel contributo di Chris-Given Wilson e Alice Curteis all‟interno del lavoro The royal bastards of medieval England152

. Tuttavia, le pagine relative a Roberto si soffermano sul suo ruolo all‟interno del regno in seguito alla morte di Enrico I nel 1135, e le notizie sono desunte principalmente dall‟Historia Novella e dalle Gesta Stephani, che trattando dell‟anarchia inglese (1135-1154)153

, rappresentano appunto una delle maggiori fonti per la storia del periodo in questione154.

149 GRA, V.446, p. 798. 150 Ibidem, V.449, p. 800. 151

«… la perizia nelle guerre, […] la grazia nei lineamenti, […] la superiorità della generosità», GRA, V.446, p. 798. 152

Secondo gli autori, Roberto di Gloucester sarebbe nato in Normandia nel 1090, da una sconosciuta donna di Caen; Enrico appreso di questo suo figlio, decise di accoglierlo presso la corte reale e di offrirgli un‟eccellente educazione, una volta ottenuto il trono d‟Inghilterra nel 1100 (Wilson e Curteis, The royal bastards of England, p. 75). Sfortunatamente, non si riesce a comprendere su quali fonti gli autori basino le loro ipotesi: infatti né Guglielmo di Malmesbury, né Giovanni di Worchester, né l‟anonimo autore delle Gesta Stephani, chiamano Roberto di Gloucester Roberto di Caen; solo Orderico Vitale lo chiama in una occasione Roberto di Caen (Rodberto de Cadomo). Gli autori, per quel che concerne i figli «bastardi» di Enrico I, si rifanno alla raccolta ottocentesca The complete Peerage, un resoconto sull‟aristocrazia del Regno Unito, pubblicato tra il 1887 e il 1898, che segnala Roberto conte di Gloucester come Roberto di Caen, non fornendo, però, a sua volta alcuna indicazione ulteriore.

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Con il termine «Anarchia» inglese ci si riferisce al lasso di tempo intercorso tra il 1135 al 1154, periodo in cui si protrasse una lotta di successione per il trono d‟Inghilterra tra la figlia di Enrico I, l‟imperatrice Matilde e Stefano di Blois, nipote di Guglielmo il Conquistatore. Cfr. Cronne, The reign of Stephen; Crouch, The Reign of King Stephen; Davis, King Stephen; The Anarchy of King Stephen's Reign; Stringer, The Reign of Stephen.

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Differente è lo studio di David Crouch sulle origini di Roberto di Gloucester. Basando la propria indagine su fonti quali la cronaca di Giovanni di Worcester, le Gesta Regum Anglorum, le carte del monastero di Abingdon155, l‟autore ricorda che, nel 1138, durante l‟anarchia uno dei più solerti sostenitori del partito facente capo a Matilde e a Roberto di Gloucester, nonché uno fra i più attivi ribelli contro Stefano di Blois, re d‟Inghilterra156

, era Philip de Gay. Questi era figlio di Stefano de Gay, nipote di Rainald de Gay e cugino di Roberto di Gloucester. Si legge, infatti, nella cronaca di Giovanni di Worcester che:

Non multo post versus Brycstowam rex movit exercitum, ubi hisdem diebus per quendam comitis cognatum, Philippum Gai nuncupatum, velut ex inferno emeserunt Neroniana sua Deciana tempora et tormenta.157

In essa, «comitis cognatum» indica il «congiunto – cugino – del conte»158. Quest‟importante famiglia viene identificata da Crouch con i de Gay dell‟Oxfordshire, contea in cui Enrico I soggiornò in un‟occasione, durante la propria giovinezza: secondo la cronaca del monastero di Abingdon, nel 1084 il giovane Enrico trascorse la Pasqua presso l‟omonima abbazia, sotto la protezione di Roberto d‟Oilly, castellano di Oxford159

. Questa visita, ricordata dai monaci, aiutò a rendere più salde le relazioni fra l‟abbazia e la dinastia reale normanna. Si legge, infatti, nella cronaca:

Adveniente eiusdem anni Paschali festo, regis filius Henricus, tunc quidem adolescens, suis in Normannia cum patre fratribus constitutis, Abbendoniae his solemnibus, uti rex ipse mandaverat, mansit diebus, domno Osmundo, Saresbiriensi episcopo, cum Milone de Walingaford cognomento Crispin, sibi cohaerentibus; rerum copiam Roberto de Oileio non tantum regalium, sed etiam monasteri huius familiae mensis administrante.160

155

Chronicon Monasterii de Abingdon. 156

Stefano di Blois, figlio di Stefano conte di Blois e di Adele d‟Inghilterra, figlia di Guglielmo il Conquistatore, nato nel 1096 a Blois, in Francia, nipote di Enrico I d‟Inghilterra. Cresciuto presso la corte dello zio, venne incoronato re d‟Inghilterra durante la notte di Natale del 1135, nell‟abbazia di Westminster; la sua incoronazione non venne riconosciuta da Matilde, figlia di Enrico I d‟Inghilterra e imperatrice, quale vedova di Enrico V imperatore, nominata erede da Enrico I nel 1126. A seguito dell‟incoronazione di Stefano a re d‟Inghilterra, si aprì un periodo di lotta per la successione che, come già anticipato, venne detto «Anarchia». Cfr. bibliografia alla n. 209.

157

JW, pp. 248-250.

158

Dictionary of Medieval Latin from British Sources, I, A-L, p. 373. 159

Roberto d‟Oilly fu nominato primo governatore normanno di Oxford e fu responsabile per la costruzione dell‟omonimo castello. Cfr. Amt, Oilly, Robert (II) d‟,(d. 1142), Online Ed..

160

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Tornando alla famiglia della contea di Oxford, si ricorda che capostipite di essa era Rainald di Hampton e Northbrook Gay, il quale ebbe due figli maschi – Stefano e Roberto – e una femmina, il cui nome è incerto161.

Dall‟indicazione di Philip de Gay come congiunto/cugino di Stefano, dunque, si evincerebbe che quest‟ultimo fosse zio di Roberto di Gloucester e, in tal senso, Crouch propone l‟ipotesi secondo la quale la sorella di Stefano sarebbe stata amante di Enrico I. Il giovane Enrico sarebbe venuto a contatto con la figlia del conte Rainald, sorella di Stefano e Roberto de Gay, che avrebbe dato in seguito alla luce Roberto di Gloucester162, durante la visita del 1084.

Il titolo di conte di Gloucester venne conferito al giovane intorno al 1121-1122, quando egli prese in moglie Mabel, figlia di Robert Fitz Haimon163, nel periodo tra la morte di quest‟ultimo (1107) e il 1113, come attestano Guglielmo di Malmesbury nell‟Historia Novella164, Orderico Vitale nella Historia Ecclesiastica165 e le Gloucester Charters166.

Tuttavia, è pur sempre il suo importante ruolo quale sostenitore di Matilde durante l‟anarchia a ottenere maggiore spazio e nelle fonti e nella bibliografia167. Così, la critica che ha preso in considerazione le fonti su Roberto di Gloucester ha dato per assodato un aspetto particolare della figura del conte: la sua profonda cultura e il suo altissimo profilo di protettore e mecenate, nonché «precettore di vita» del futuro Enrico II d‟Inghilterra. Le parole di Martin Aurell, nel suo lavoro dal titolo L‟Empire de Plantagenêts, evidenziano questo carattere: «Robert de Gloucester, fils illegittime d‟Henry Ier et partisan du jeune Henry II, est un mécène génèreux…»168

. Questo autore basa le sue considerazioni su quanto Guglielmo di Malmesbury scrisse nelle Gesta Regum e nella

161

Crouch, Robert of Gloucester‟s mother, p. 327. 162

Cfr. Ibidem, pp. 323-332. Cfr. anche la lunga digressione inerente al ruolo di Gloucester in una disputa fra due sostenitori dell‟imperatrice Matilde. In quel frangente, il ruolo di Gloucester s‟intreccia alle politiche matrimoniali che vedono tra i protagonisti anche Philip de Gay, cugino del conte.

163

Robert Fitz Hamon (morto nel 1107), conte di Gloucester e cavaliere di Guglielmo il Conquistatore. 164

HN, I.3, p. 9. 165

OV, Lib. VIII, p. 182. 166

Earldom of Gloucester charters, p. 152.

167

La bibliografia su Roberto di Gloucester, al pari delle fonti che ne parlano, non offre numerosi contributi relativi alla nascita del conte. Incentrato sul figlio di Enrico I, è il progetto di dottorato presentato e, in seguito, discusso dal Patterson, presso l‟università Johns Hopkins di Baltimora, nel 1962: Patterson, Robert fitz Roy, earl of Gloucester, a

study of a baron c. 1093-1147, ma del quale non si hanno ulteriori riscontri. Per la bibliografia su Roberto di

Gloucester, cfr. Crouch, Robert of Gloucester‟ mother, pp. 323-332; Crouch, Robert, earl of Gloucester, and the

daughter of Zelophehad, pp. 227-243; Gwenn, Henry I‟s concubines, pp. 14-28; Hollister, The Anglo-Norman Succession debate of 1126, pp. 19-41; Patterson, William of Malmesbury's Robert of Gloucester: a re-evaluation of the

Historia Novella, pp. 983-997; Leedom, William of Malmesbury and Robert of Gloucester reconsidered, pp. 251-265; Leyser, The anglo-norman succession 1120-1125, pp. 225-241; Wilson e Curteis, The royal bastard of medieval

England, pp. 74-93; Thompson, Affair of State: the illegitimate children of Henry I, pp. 129-151.

168

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Historia Novella e su ciò che Goffredo Gaimar169 scrisse, come si vedrà, nelle Estoires des Engleis. Ma tali fonti non sono le uniche a sottolineare questo aspetto: Walter Map170, letterato presso la corte di Enrico II, all‟interno della sua opera De Nugis Curialium, definisce Roberto di Gloucester «vir magne prudencie multarumque litterarum»171. Sarà allora opportuno osservare quali fonti riportino notizie su Roberto di Gloucester e in base a esse, verificare, se possibile, quale fosse tale ruolo di protettore e mecenate.

Prendendo in considerazione le parole delle fonti testé citate, Roberto risulterebbe un sostenitore della cultura – una sorta di grande mecenate –, benché non sia chiaro in cosa consistesse questo suo ruolo. Goffredo di Monmouth172 dedicò al conte l‟opera Historia Regum Britanniae, elogiandolo con queste parole:

Opusculo igitur meo, Roberte, Claudioecestriae dux, faveas, ut sic, te doctore, te monitore corrigatur quod non ex Gaufridi Monemutensis fonticulo censeatur exortum, sed sale Minervae tuae conditum, illius dicatur editio, quem Henricus, illustribus rex Anglorum, genuit, quem philosophia liberalibus artibus erudivit, quem innata probitas militibus in militia praefecit: unde nunc Britannia, tibi temporibus nostris, ac si alterum Henricum adepta, interno gratulatur affectu.173

Questa dedica è breve ma contiene importanti informazioni: in essa si sottolineano la sapienza, la capacità militare e, soprattutto, il fatto che Roberto di Gloucester fosse considerato un «altro Enrico». Il quadro offerto, agli occhi di chi lo legge, sembra volto a creare una sorta di sinergia tra le qualità personali innate di Roberto e i meriti acquisiti lungo l‟arco della sua vita, laddove tuttavia questi ultimi sono il risultato della realizzazione delle prime. Certo, le dediche alle opere storiografiche utilizzavano forme stereotipate e avevano caratteri sempre molto enfatici, peraltro tendevano a magnificare la personalità del destinatario, favorendone eventuali imprese politiche; ciò nonostante, gli elevati attributi che punteggiano questa dedica contengono un forte significato: si tratta delle qualità ideali del principe (sapienza, capacità militare, saggezza), quell‟elenco di virtù

169

Goffredo Gaimar nacque nel XII secolo. Poeta anglo-normanno, compose l‟Estoire des Engleis, poema che in ottosillabi racconta la storia dell‟Inghilterra. Cfr. L‟Estoire des Engleis by Geffrei Gaimar.

170

Walter Map (1135 ca.-1210) scrittore inglese. Di origine gallese, visse dal 1173 presso la corte di Enrico II; in seguito venne nominato arcivescovo di Lincoln (1186) e poi arcidiacono a Oxford. Tra il 1181 e 1182 scrisse il De Nugis Curialium, un opera in tono satirico, in cui descrive la vita di corte. Cfr. Turk, De nugis curialium. Per l‟edizione all‟opera, cfr. Walter Map, De Nugis Curialium. Courties‟ Trifles, (d‟ora in avanti, in nota: De Nugis Curialium). 171

De Nugis Curialium, V.4, p. 426. 172

Goffredo di Monmouth nacque intorno al 1100 presso Monmouth nel Galles; fu monaco benedettino e successivamente arcidiacono di Monmouth, nonché vescovo di St. Asaph, morì intorno al 1155. Fondatore del mito arturiano, tra le sue opere si ricordano l‟Historia Regum Britanniae – il cui nucleo centrale concerne il favoloso regno di Artù –, le Prophetiae Merlini e la Vita Merlini. Cfr. Curley, Geoffrey of Monmouth e Gransden, Historical Writing in

England, pp. 186-218.

173

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proveniente dalla latinità classica174, che caratterizzano – secondo quanto riporta Goffredo – anche Roberto conte di Gloucester.

Parimenti, Serlone di Wilton, ecclesiastico e scrittore di origini inglesi175, compose un intenso epitaffio per Roberto – risalente al 1147 –, dove il conte viene descritto come comandante, conte e filosofo:

Te nova dampna vocant, Elegia: concipe fletum, | Omnia flere jube nomine iussa tuo! | Plange dolore novo nova dampna! sit ore tibi mens | Absque modo tristi tristior absque modo. | Stantem non poteras, Robertum vise cadentem. | Ille tibi dixit stanss »cade», »stato» cadens. | Que sit causa, vide – dices: »Me causa doloris, | Taliter ut moneam cuncta dolore monet: | Audi, gens omnis! Merorem, pectora, vultum | Voce, manu, lacrimis exprime, tunde, riga! | Plangite Robertum, miles, Glovernia, vates, | Morte ducem, comitem, philosophumque, premi.176

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«E un re europeo del pieno medioevo doveva corrispondere a modelli precisi. Doveva richiamarsi alla Bibbia ed essere costante, forte, giusto, pio, prudente; doveva seguire un codice di comportamento adeguato a quel ruolo sacerdotale che gli competeva: e perciò doveva essere temperante, affabile, moderato in ogni sua espressione, erudito e sereno; doveva essere degno del suo ruolo di re e perciò dimostrarsi largo di doni e di onori nei confronti dei suoi fedeli, e naturalmente inflessibile con chi rinnegava la fedeltà giurata; doveva difendere e conservare le chiese e i monasteri, vegliare sulla fede e battersi per essa» Cantarella, La Sicilia e i Normanni, p. 92. Si tratta delle virtù tipiche del governante (principe), con in più un carattere «sapienziale», che vanno ad aggiungersi a quelle tipiche del periodo augusteo (virtus, iustitia, clementia, pietas). Esse, che derivano dal patrimonio classico, erano già presenti nel pensiero di Platone, come virtù essenziali per il buon governo («È quindi evidente che essa [la città] è saggia e coraggiosa, temperante e giusta» La Repubblica, I, Libro IV, p. 133 e «E non dovremmo piuttosto cambiare tutto con quell‟antica moneta che è la Sapienza, solo al prezzo della quale si ha realmente fortezza, temperanza e giustizia?» Fedone, XIII.69b, p. 32). Vennero, in seguito, riprese da Cicerone che nell‟illustrare le sembianze pure dell‟onesto, le introduce come le quattro virtù cardinali («Sed omne, quod est honestum, id quattuor partium oritur ex aliqua. Aut enim in perspicientia veri sollertiaque versatur aut in hominum societate tuenda tribuendoque suum cuique et rerum contractarum fide aut in animi excelsi atque invicti magnitudine ac robore aut in omnium, quae fiunt qua eque diciuntur ordine et modo, in quo inest modestia et tempreantia. Quae quattuor quamquam inter se colligata atque implicata sunt, tamen ex singulis certa officiorum genera nascuntur, velut ex ea parte, quae prima discripta est, in qua sapientiam et prudentia ponimus, inest indagatio atque inventio veri, eiusque virtutis hoc munus est proprium» De Officis, I.5, pp. 52- 53). Infine, giunsero sino in età tardo-antica, dove vennero assimilate da Agostino il quale ricorda come già i pagani conoscessero le quattro virtù («Nonne ibi est et Fides? Quando quidem virtutem in quattuor species distribuendam esse viderunt, prudentiam, iustitiam, fortitudinem, temperantiam. […] Quare prundentia, quare sapientia» Sancti Aurelii

Augustini, De civitate Dei, I, IV.20, p. 114). Furono queste – temperantia, prudentia, fortitudo e iustitia – che vennero

indirettamente riconosciute al nuovo re in qualità di sapiens, bellator e princeps – tre figure distinte ma complementari –. Cfr. Bosl, Modelli di società medievale, pp. 61-81; Bejczy, The cardinal virtues in the Middle Ages, pp. 69-134; Cantarella, Il pallottoliere della regalità, pp. 29-44; Cantarella, La rivoluzione delle idee nel secolo undicesimo, pp. 7- 63; Cantarella, Le basi concettuali del potere, pp. 193-208; Cantarella, Principi e corti, p. 200; Cantarella, Qualche idea

sulla sacralità regale alla luce delle recenti ricerche, pp. 911-927; Chauou, L‟idéologie plantagenêt, pp. 195-202; Donà

e Zambon (a cura di), La Regalità; Isabella (a cura di) “C‟era una volta un re”; Squilloni, L‟ideale del buon governante

nel pensiero politico di Plutarco, pp. 225-243; Wallace-Hadrill, Early Germanic kingship in England and on the Continent e The Emperor and his virtues, pp. 298-323; Whitby (a cura di), The propaganda of power.

175

Serlone di Wilton (1105-1181), monaco cluniacense, aderì in seguito al movimento cistercense. Fu maestro a Parigi e abate di L‟Aumône, nel 1171, numerose le sue poesie composte in latino. Per l‟edizione delle sue poesie, cfr. Serlon

de Wilton, Poemes latins. Per gli studi su tale autore, cfr. Rigg, A history of Anglo-Latin letterature, pp. 70-72; Serlo of Wilton: biographical notes, pp. 96-101 e Wilton, Serlo of (c.1105-1181), grammarian and poet, Online Ed..

176

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Questi due quadri delineati possiedono una coerenza notevole tutta tesa a creare un‟immagine di perizia nelle armi, di autorevolezza e di sapienza, aspetti che portano Roberto a diventare caro a chiunque gli stia accanto. Tralasciando gli aggettivi con cui il conte di Gloucester viene descritto, che fanno parte, come detto, di una forma stereotipata177, ciò che risalta, in special modo nel prologo di Goffredo, è il fatto che l‟autore si auguri che attraverso il «patronage» del conte il suo testo possa:

te doctore, te monitore corrigatur quod non ex Gaufridi Monemutensis fonticulo censeatur exortum, sed sale Minervae tuae conditum, illius dicatur editio, quem Henricus, illustribus rex Anglorum, genuit, quem philosophia liberalibus artibus erudivit, quem innata probitas militibus in militia praefecit.

Ciò dimostrerebbe che Roberto rappresentava, nell‟ambiente culturale inglese del XII secolo, un importante punto di riferimento al quale un autore come Goffredo di Monmouth poteva appellarsi178.

È possibile che la retorica delle dediche nell‟Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth e nelle Gesta Regum Anglorum riveli la struttura della relazione tra patrono e scrittore? Che eccellenti monaci intellettuali – Goffredo di Monmouth, Goffredo Gaimar e Guglielmo di Malmesbury su tutti – gravitassero intorno alla corte di Roberto presso Bristol179, è un‟ipotesi interessante, vista l‟enfasi con cui egli viene descritto dai due Goffredo e da Guglielmo.

Oltre a quanto detto, si possono prendere in considerazione le parole di Goffredo Gaimar, nella chiusura del suo poema, in cui Roberto viene menzionato come «primo traduttore» – non è chiaro se tradusse o fece tradurre – di un‟opera gallese (forse l‟Historia Regum di Goffredo di Monmouth), sui re di Britannia, che a sua volta inviò a Walter Espec, militare e giurista inglese180:

Robert le quens de Gloucestre | first translater iaete gesta | solum les liveres as Waleis | kil aveient des bretons reis | Walter Espec la demandat | li quens Robert li enveiat.181

L‟autore che gli riserva lo spazio maggiore è tuttavia Guglielmo di Malmesbury, che gli dedicò le Gesta Regum Anglorum e ne fu agguerrito sostenitore nell‟Historia Novella, opera che egli redasse sul periodo della lotta per la successione al trono d‟Inghilterra, conteso fra l‟imperatrice Matilde – con il sostegno di Roberto di Gloucester – e Stefano di Blois.

177

Cantarella, La rivoluzione delle idee nel secolo undicesimo, pp. 26-28 e 54-57. 178

Gillingham, The English in the Twelfth Century, p. 234. 179

Holzknecht, Literary patronage in the Middle Ages, p. 131. 180

Bell, The epilogue of Gaimar‟s Estoire, pp. 52-59 e Damian-Grint, The new historians, pp. 49-52. 181

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È opportuno analizzare ora sia la lettera a Roberto sia l‟elogio finale a lui rivolto. L‟epistola dedicatoria inizia in modo celebrativo, con la descrizione di chi, coltivando la virtù, attraverso il proprio comportamento, consente a tutti coloro che gli stanno accanto di essere virtuosi e trasmette la propria virtù anche a chi è lontano e di misera condizione. In questo caso Guglielmo riprende182 la concezione ciceroniana di virtù – «Nihil est virtute amabilius, nihil quod magis alliciat ad diligendum»183 – ed è illuminato dalla virtù del conte, che con la sua luminosità irradia la penna dell‟autore. Ed è proprio perché fonte di vera ispirazione è stato per lui Roberto di Gloucester che Guglielmo si sente in dovere di dedicare alla sua persona le Gesta Regum Anglorum. Non solo per la virtù che lo contraddistingue, ma anche per il fatto di essere un amante delle belle lettere e soprattutto di possedere la magnanimità che fu propria dell‟avo, Guglielmo il Conquistatore, la generosità che fu propria dello zio – Roberto Curthose o Guglielmo il Rosso – e il senno che fu del padre, Enrico I:

[…] nullum enim magis decet bonarum artium fautorem esse quam te, cui adhesit magnanimitatis avi, munificentia patrui, prudentia patris; quos emulis industriae liniamentis representes illud peculiare gloriae tuae acis, quod litteris insistis.184

Non solo, ma Roberto pare coltivare, rispetto ai suoi antenati più prossimi, la passione per la cultura185, prestando attenzione anche a lavori che rimarrebbero ignoti, poiché privi dell‟opportunità