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Un aspetto rilevante che caratterizza le Gesta Regum Anglorum è rappresentato dalle sue numerose redazioni, dovute a una continua rielaborazione del testo. Come è stato detto nel capitolo precedente319, l‟opera venne iniziata intorno al 1118, interrotta, ripresa e portata a termine tra il 1125 e il 1127, per essere rivista e modificata dal 1135 al 1140320. Pur tuttavia, non oltre tale data poiché Guglielmo era impegnato nella composizione dell‟Historia Novella. Queste considerazioni trovano testimonianza nella seconda lettera dedicatoria, dove si sottolinea che il lavoro fu interrotto e in seguito ripreso.

Quo merore costernati, decrevimus stili abiurare studium, cum videremus exisse de medio hortatricem studiorum. Enimuero procedente tempore rupere silentium tum amicorum petitio, tum rei utilitas, quia videbatur et erat indignum ut tantorum virorum sepeliretur memoria, immorerentur gesta321 .

Diversi mutamenti di contenuto si possono cogliere dall‟edizione critica, che presenta in due colonne differenti le parti del testo scritte nel 1125 e le correzioni del 1140322. Ma come collocare tali modificazioni contenutistiche? Nella revisione delle Gesta Regum, Guglielmo rettifica le considerazioni su Guglielmo il Conquistatore323, su Guglielmo il Rosso, sul clero secolare324, impreziosendo il testo con approfondimenti sulla storia del regno del Wessex. Tali revisioni possono essere individuate grazie alla tradizione manoscritta, che si può dividere in tre fasi: la prima appartiene al primo periodo «lavorativo» di Guglielmo, la seconda e la terza appartengono al secondo periodo. Thomson, nella sua monografia sul monaco di Malmesbury325 parla dell‟attività storiografica di Guglielmo: egli indica il primo periodo di attività dell‟autore tra il 1115 e il 1125,

319

Vedi pp. 4-9. 320

Thomson, William of Malmesbury, pp. 7-8. 321

GRA, Ep. II, p. 8. 322

Giova riprendere il contenuto della n. 36 a p. 7: «I manoscritti delle Gesta Regum Anglorum si dividono in quattro versioni: le prime due – la T e la A, quest‟ultima presenta alcune modifiche rispetto alla prima – appartengono al primo periodo di lavoro di Guglielmo. La terza (C) e la quarta (B) risalgono al secondo periodo […]» Ibidem, Vol. I, pp. xiii- xxvi e Vol. II, pp. xvii-xxxv

323

Peraltro, Guglielmo attribuirà al Conquistatore l‟appellativo di «Grande» – «Willelmi Magni» – nelle ultime pagine del V libro. Ibidem, V.390, p. 708.

324

W. Stubbs, Op. Cit., p. xxxiii. 325

Thomson, William of Malmesbury, pp. 7-9. L‟autore, a sua volta, concorda con quanto scrive Stubbs, nell‟introduzione all‟edizione delle GRA del 1887-89, p. xxxiii.

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mentre il secondo periodo dell‟attività storiografica corrisponde invece agli anni 1130-1143, ovvero sino alla morte di Guglielmo. Confrontando quanto scritto dal monaco in più momenti, è possibile osservare quali passaggi l‟autore riscrisse in toni differenti.

Tuttavia non è ancora chiaro quali possano essere stati i motivi di tali revisioni; se, infatti, attraverso la lettura del prologo al II libro è possibile ipotizzare un approfondimento di nozioni, giacché: «immo, dum vivo, michi cognoscenda communicet, ut meo stilo apponantur saltem in marginem quae non occurrerunt in ordine»326, nel prologo al IV libro, vi è l‟eventualità che le correzioni fossero il risultato di alcune critiche ricevute: «Sunt alii qui nos ex segnitie sua mettente impares tanto muneri existimant, et hoc studium prava sugallatione contaminant»327. Entrambe le ipotesi sono plausibili, così come la possibilità che, essendovi nuovi destinatari, le scelte di partenza potessero essere modificate: «[…] et illi quidem modeste iam prurientem impulere ut ceptum presequerer. Illorum itaque quos penitus reposito amore diligo hortatibus animatis assurgo, ut pectoris nostri promptuario victurum apuda se amicitiae pignus contineant»328.

Nel capitolo CCXXXVIII del III libro, dove si parla della preparazione alla battaglia di Hastings del 1066329 da parte del Conquistatore, nel descrivere in modo positivo l‟atteggiamento di nobili ed ecclesiastici normanni, l‟autore sottolinea come il loro encomiabile comportamento fosse parzialmente degenerato, trascorsi pochi anni dalla Conquista. Ma mentre nella prima stesura egli utilizza un lessico schietto e diretto, nella seconda cerca di mitigare tale atteggiamento. Si legge, nel capitolo preso in considerazione:

Ita episcopo et abbates illius temporis religione, ita optimates magnanima liberalitate certabant ut mirum sit quod non dum sexaginta annis evoluti utraque turba, abortiuum bonitatis effecti, iurata bella contra iustitiam susciperint: illi pro ambitione sacrorum magis distortum quam aequum et bonum amplectentes, isti reiecto pudore indecumque captatis occasionibus compendia pecuniarum velut cotidianam stipem emendicantes.

Nella revisione:

Ita episcopo et abbates illius temporis religione, ita optimates magnanima liberalitate certabant ut mirum sit quod paucissimis annis evoluti pleraque et pene omnia in utrisque ordinibus mutata videas: illi in quibusdam hebatiores, sed

326

GRA, Prol. II, p. 152. 327

Ibidem, Prol. IV, p. 540. Analoghe ipotesi di lettura relative alle modifiche all‟interno delle GRA, sono presenti anche in Gransden, Historical Writing in England, p. 180 e in Willelmi Malmesbiriensis Monachi, de Gestis Regum

Anglorum libri quinque & Historiae Novellae, libri tres, I, p. xxvi.

328

Ibidem. 329

La battaglia di Hastings – 14 ottobre 1066 – vide lo scontro tra il re d‟Inghilterra Aroldo (1022-1066) e Guglielmo (1028-1087) per la conquista dell‟Inghilterra. Cfr. Morillo, The Battle of Hastings.

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largiores; isti in minibus prudentiores, sed tenatiore; utrique tamen in defensanda patria manu validi, consilio providi, fortunas suas evehere, inimicorum deprimere parati.330

Se nella prima stesura si indica con precisione il dettaglio temporale d‟inizio del mutamento (sessant‟anni); nella seconda, Guglielmo è più vago: parla di «paucissimis annis evoluti»; non solo, ma anche nel descrivere i mutamenti non pare così perspicuo come nella prima stesura. In essa, infatti, si legge «illi pro ambitione sacrorum magis distortum quam aequum et bonum amplectentes»: poiché si facevano fuorviare dall‟ambizione per le cose sacre, gli ecclesiastici seguirono un atteggiamento corrotto, anziché l‟equità e la giustizia. Nella revisione, Guglielmo è molto più vago e soprattutto tende ad ammorbidire le sue parole con pronomi e congiunzioni quali «quibusdam», «sed» e «in minibus» che attenuano il significato dell‟espressione. In questa stesura, gli ecclesiastici e i nobili normanni erano certamente più superficiali331, ma più generosi («largiores»), meno prudenti, ma più avari; comunque tutti pronti a difendere la patria, decisi ad aumentare le loro fortune, deprimendo quelle dei nemici. Effettivamente, dalla prima stesura alla seconda, qualche cosa è mutato.

Poco più avanti, nel capitolo CCLXXX del III libro, si accenna all‟avidità di denaro di Guglielmo il Conquistatore, ma mentre ciò viene condannato nella prima stesura è ampiamente giustificato nella seconda e nella terza. Si legge, infatti, nella prima:

Sola est de qua merito culpetur pecunaie cupiditas, quam undecumque captatis occasionibus nichil umquam pensi habuit quin corraderet, faceret diceret nonnulla, et pene omnia, tanta maiestate indigniora, ubi spes nummi affulsisset.

Nella seconda:

Sola est de qua nonnichil culpetur pecunia aggestio, quam undecumque captatis occasionibus, onesta modo et regia dignitate non inferiores posset dicere, congregabat. Sed excusabitur facile, quia novum regnum sine magna pecunia non posset regere.332

Come si può osservare, da «merito», che si potrebbe tradurre con «meritatamente», si passa a «nonnichil», termine che indica la possibilità di una considerazione e che ha un impatto su chi legge

330

GRA, III.238, p. 448. 331

«hebatiores» viene da «hebes», comparativo di maggioranza plurale: «hebetiores», Dictionary of Medieval Latin

from British Sources, Vol. I A-L, p. 1141.

332

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decisamente minore rispetto a «merito», giacché sfuma la perentorietà della prima affermazione333. Oltretutto, la frase «sola est de qua merito culpetur pecunia cupiditas» è tratta dal De vita XII Caesarum di Svetonio, dove l‟autore romano descrive, nell‟VIII libro, l‟avidità dell‟imperatore Vespasiano. Inoltre, «pecuniae cupiditas», traducibile con «cupidigia di denaro», viene sostituito con un termine più leggero: «aggestio» da «aggerare» che con il termine «pecunia» indica un «accumulo di denaro»334. Guglielmo di Malmesbury opera una revisione lessicale: sostituendo alcune parole con vocaboli più sfumati e cauti, avrebbe potuto alleggerire e mitigare il significato della frase. A ciò, l‟autore aggiunge, nella seconda stesura, che se mai Guglielmo il Conquistatore esercitò una forte pressione fiscale, ciò accadde perché, per gestire un grande regno, era necessario disporre di una liquidità considerevole per sopperire a tutte le esigenze. Per questo diviene facile scusare qualche eccesso che a occhi veloci e disattenti, ma soprattutto lontani dal comprendere come funziona un regno, può apparire come prepotenza dettata da puro egoismo: la conclusione della prima stesura carica alquanto l‟avidità del Conquistatore; la seconda, al contrario, la giustifica. Ma per quale motivo? Al di là della possibilità, rimarcata anche dai curatori dell‟edizione critica, che durante la stesura della seconda versione, Guglielmo fosse in possesso di informazioni che prima non aveva335, è anche ipotizzabile che, essendo la versione definitiva (1135) dedicata a una figura legata alla dinastia normanna, si volessero mitigare alcune informazioni sul Conquistatore – avo di Roberto –. Questo, tuttavia, avveniva in un momento in cui le azioni compiute da Guglielmo I, del quale il conte possedeva alcune caratteristiche, sarebbero potute apparire analoghe a quelle che Stefano perpetuava nei confronti di abbazie e monasteri336. Sicché, nel 1135, la condotta del primo sovrano normanno sarebbe dovuta risultare più pragmatica e meno feroce, in confronto a quella dell‟usurpatore del trono di Matilde e avversario di Roberto.

333

Si passa da questa affermazione (tradotta): «Ciò di cui veniva giustamente incolpato era l‟avidità di denaro», a una meno caustica: «Ciò di cui talora veniva incolpato era l‟accumulo di denaro», dove la seconda ha un impatto minore, rispetto alla prima.

334

Dictionary of Medieval Latin from British Sources, per «aggerare»: Vol. I A-L, p. 52. Per «pecunia»: Vol. IX P-Pel,

p. 2162. 335

GRA, Vol. I, p. xx. 336

Guglielmo di Malmesbury, nell‟Historia Novella, riporta il discorso di Enrico di Blois durante il concilio di Winchester. In esso, il vescovo dell‟omonima diocesi, avrebbe accusato il fratello Stefano di aver permesso che sotto il suo regno le abbazie fossero defraudate e vendute (HN, III.47, p. 92). «The chronicles gave vivid account of their houses‟ tribulations during the anarchy. On the Ely estates a bad harved combined with rapine to produce famine. People died by hundreds and thousands and their corpes lay unburied, a pray to animals and carrion birds. For twenty or thirty miles there was neither ox nor plough to ben seen and the smallest bushel of grain cost at last two hundred pence. And the land was filled with cruelty: people of all classes, including women and the aged, were captured, tortured and held to ransom» Gransden, Historical writing in England, p. 280. Per la situazione delle abbazie e dei monasteri durante il regno di Stefano, cfr. Callahan, The impact of Anarchy, pp. 218-232; Dalton, Churchmen and the promotion of peace, pp. 79-119; Davis, King Stephen, pp. 34-36; Holdsworth, The Church, pp. 207-230; Stringer, The reign of Stephen, pp. 40-48.

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Inoltre, si potrebbe avanzare anche un‟ulteriore considerazione, secondo la quale queste modifiche fossero frutto di una prospettiva differente, dovuta a una situazione sfavorevole nella quale Guglielmo e la sua abbazia potevano trovarsi, come lo stesso autore lascia intravedere nel prologo al commento alle Lamentazioni di Geremia, opera composta nel 1135, in seguito alla morte di Enrico I337: «Nunc aetas progressior et fortuna deterior aliud dicendi opus expostulant»338. Da queste parole è forse possibile individuare una spiegazione per quel che concerne le modifiche alle descrizioni di Guglielmo – forse un mutamento di visione –: se in certi punti, infatti, si coglie una critica, essa viene però ridimensionata, operando un‟attenta analisi delle circostanze in cui determinati atteggiamenti venivano assunti da parte dei sovrani. Se il Conquistatore fu intransigente nei confronti di alcuni – e qui ci si riferisce al caso di York, che il Conquistatore pose sotto assedio facendone morire i cittadini per fame e ferro, poiché la città costituiva un sostegno per le ribellioni339 – non fu perché egli era tiranno, ma perché la sua reazione era diretta contro chi aveva commesso oltraggio e che perciò, avrebbe dovuto pagare per le azioni compiute. Quantunque nelle correzioni Guglielmo non giustifichi in toto l‟operato del Conquistatore, nondimeno, mitigando le parole con cui descrive determinate azioni del primo sovrano normanno d‟Inghilterra, marca la capacità del re di sapersi adattare alle circostanze, di essere prudente, rispettato e temuto, pur senza operare un‟apologia incondizionata. Ma, ancora, questo eventuale mutamento di visione va inserito nel contesto storico nel quale Guglielmo rivedeva la sua opera: azione di re Stefano nei confronti delle abbazie e condizione del cenobio di Malmesbury sotto il controllo di Ruggero di Salisbury. Un‟analoga revisione avviene anche per il regno di Guglielmo il Rosso – figlio di Guglielmo il Conquistatore e sovrano d‟Inghilterra dal 1087 al 1100 –. L‟autore, nella prima versione, precisa che, in seguito alla morte di Lanfranco, il comportamento del Rufo mutò in peggio: in particolare tutto l‟amore per la virtù si raffreddò, mentre il calore della cattiveria ribolliva in lui. Viceversa, nella versione seguente, l‟affermazione è alquanto mitigata: pur mantenendo l‟indicazione del cambiamento caratteriale del sovrano, l‟autore definisce questi cambiamenti come «indesiderabili». Scrive, infatti, nella prima:

[…] omni gelante studio virtutum, vitiorum in eo calor efferbuit.

Nella seconda:

337

William of Malmesbury‟s Commentary of Lamentations, pp. 283-311. 338

Willelmi Malmesbiriensis Monachi, de Gestis Regum Anglorum libri quinque & Historiae Novellae, libri tres, I, pp. cxxii-cxxiii.

339

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[…] bonorum gelante studio, incomodorum seges succrescens incalvit.340

Ancora una volta, la domanda relativa al significato di questi mutamenti emerge con decisione: in questo caso, è opportuno riprendere quanto scritto dall‟autore nel prologo al IV libro – incentrato principalmente su Guglielmo II –. Come è stato notato in precedenza, il monaco lascia intendere di aver ricevuto critiche relative al proprio lavoro («hoc studium prava sugillatione contaminant»), sicché si era convinto a interromperne la stesura («iam pridem vel illorum ratiocinio vel istorum fastidio perculsus in otium concesseram, silentio libenter adquiescens»).

Tuttavia, grazie al supporto e alle esortazioni di amici che temevano che l‟autore potesse subire malanimo o non riportasse con esattezza gli episodi («qui michi timent ut aut odiar out mentiar»), Guglielmo riprese a scrivere, indirizzando alla verità, più che alla completezza storica, le sue ricerche («nichil desit sententiae, etsi aliquid deesse putetur historiae»). Si tratta, d‟altra parte di un aspetto fondamentale del suo modo di interpretare gli eventi: nel prologo al I libro, infatti, egli afferma che la credibilità di quanto scriveva si trovava o no, nel merito delle sue fonti; in pratica Guglielmo non fondava la sua autorità sull‟accuratezza, ma sull‟utilità di ciò che vergava.

Forse, questo potrebbe motivare alcune modifiche, soprattutto se coloro che esortarono l‟autore a riprendere la stesura delle Gesta Regum erano legati alla dinastia normanna. Ancora, se nella prima stesura l‟ambiente di corte durante il regno di Guglielmo il Rosso viene descritto come luogo corrotto e prossimo alla lascivia, nonché colmo di effeminati e meretrici, nella seconda stesura vengono anticipati i cambiamenti (morali) introdotti da Enrico I nella corte, una volta assunto il trono d‟Inghilterra. Spostando l‟attenzione di chi leggeva alle novità che sarebbero state instaurate da Enrico e alla fortuna dell‟Anglia se a regnare fosse stato quest‟ultimo sovrano, avrebbe potuto Guglielmo indurre i lettori a sorvolare sulle negligenze del Rufo e della sua corte? Enrico rappresentava il sovrano ideale, il modello a cui i successori dovevano ispirarsi: l‟uso del potere da parte di Enrico I non avrebbe condotto a una crisi del regno, come avvenne durante la reggenza di Guglielmo II.

Si legge, nella prima stesura:

Sequebantur curiam effeminatorum manus et genearum greges, ut non temere a quodam sapiente dictum est: “Curia regis Angliae non est maiestatis diversorium sed exsoletorum prostibulum”.

In seguito:

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Sequebantur curiam effeminatorum manus et genearum greges, ut non temere a quodam sapiente dictum sit felicem fore Anglia si Henricus regnaret, talia coniectans quod is ab adolescentia obsceniatates execraretur.341

In questo caso Guglielmo non propone un lessico differente, ma riprende una frase completamente diversa: se nella prima stesura viene riportata, in discorso diretto, l‟esternazione di un «quodam sapiente», che descrive la corte di Guglielmo il Rosso come un luogo postribolare; nella seconda, Guglielmo muta completamente l‟esternazione del saggio che, in primo luogo, viene ripresa indirettamente e soprattutto non utilizza il termine «prostibulum», ma sottolinea che l‟Anglia sarebbe stata fortunata se al posto di Guglielmo il Rosso avesse regnato Enrico I che, fin dalla propria adolescenza, aveva esecrato le oscenità. Quest‟ultimo, benché non diverga totalmente dal termine «postribolo», è comunque un termine più vago e meno specifico.

Un‟ulteriore alterazione del testo viene operata ai capitoli CCCXVII e CCCXVIII, sempre in relazione a Guglielmo il Rosso, anche se più che di «alterazione» si potrebbe parlare di «mutamento sostanziale». L‟autore, infatti, nel primo dei due capitoli, ricorda un episodio in cui alcuni ebrei di Londra diedero prova della loro arroganza nei confronti di Dio, tentando di ricondurre alla fede ebraica alcuni convertiti al cristianesimo342. Nella città, tali giudei intrapresero una discussione con un vescovo inglese e d‟innanzi a tale circostanza il re – scherzando, suppone Guglielmo di Malmesbury343 – avrebbe affermato che qualora questi avessero confutato le argomentazioni cristiane (fatto che non avvenne), egli avrebbe accettato il giudaismo come sua religione. E però, se tale era la versione rivista, la prima stesura era decisamente agli antipodi. In essa, infatti, si legge che in realtà fu il re a dare prova della sua arroganza nonché della sua ignoranza verso Dio, sfidando alcuni ebrei di Londra a discutere con dei cristiani: se i primi avessero prevalso sui secondi, allora si sarebbe convertito.

Un nuovo esempio di arroganza del Rufo viene ricordato da Guglielmo nel capitolo successivo, allorquando un‟eccessiva tassa viene imposta alla popolazione: di questa azione dettata dall‟avidità vengono incolpati in maggior misura i funzionari regi rispetto al sovrano, mentre nella prima versione la colpa ricade interamente sul Rufo.

Capitolo CCCXVII con relativa revisione:

341

GRA, IV.314, p. 560.

342

Sul problema relativo al tentativo di riportare all‟Ebraismo coloro che si erano convertiti al cristianesimo (definiti, durante il medioevo, cani rinnegati) cfr. Logan, 13 London Jews and conversion to Chhristianity: problems of apostasy

in the 1280‟s, pp. 214-229; Morghen, Medioevo cristiano, pp. 129-149; Stacey, The conversion of Jews to Christianity in thirteenth-century England, pp. 263-283.

343

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Insolentiae vel potius inscientae contra Deum hoc fuit signum. Iudei qui Lundoniae habitabant, quos pater e Rotomagno illuc traduxerat, eum in quadam sollemnitate adierunt xenia offerentes. Quibus delinitus etiam ausus est animare ad conflictum contra Christianos, „per vultum de Luca‟ pronuntians quod si vicissent in eorum sectam transiget.

Insolentiae in Deum Iudei suo tempore dedere inditium, semel apud Rotomagnum ut quosdam ab errore suo refuso ad Iudaismum revocarent muneribus inflectere conati; alia vice apud Lundoniam contra episcopos nostros in certamen animati, quia ille ludibundus, credo, dixisset quod, si vicissent Christiano apertis argumentationibus confutatos, in eorum sectam transiget.344

Capitolo CCCXVIII, accompagnato dalla revisione:

Paris arrogantiae altera vice dedit inditium […] quicquid enim pene sancta servavit avorum paricas, unius hominis absumpsit aviditas.

Posteriori tempore, id est anno regni eius ferme nono […] quicquid enim pene sancta servavit avorum paricas, illorum grassatorum absumpsit aviditas.345

Pochi capitoli più avanti – CCCXXXIII del IV libro –, nel descrivere la morte di Guglielmo il Rosso, avvenuta a causa di una freccia scoccata involontariamente da Lord Tirell – un nobile a seguito del re346 –, nel bosco dell‟Hampshire, dove era solito andare a caccia, Guglielmo ricorda alcuni comportamenti biasimevoli del secondo sovrano normanno d‟Inghilterra. Ma, nuovamente, se nella prima stesura Guglielmo descrive in maniera esplicita il comportamento del re normanno, nella seconda egli attenua quanto detto nella prima. Guglielmo il Rosso non doveva di certo apparire come un tiranno347, benché i passaggi in cui l‟autore ne descrive gli atteggiamenti mostrino

344 GRA, IV.317, p. 562. 345 Ibidem, IV.318, p. 562. 346

Hollister, The strange death of William Rufus, pp. 637-653. 347

La riflessione sul tiranno, che attraversa tutto il Medioevo – basti pensare a Gregorio Magno nei Moralia in Job e Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae – verte principalmente sul problema della giustificazione e dei limiti del potere: aspetti, questi, basati principalmente su valutazioni etico-religiose, per quel che concerne il periodo di Guglielmo di