Nell‟illustrare il pensiero politico di Guglielmo di Malmesbury, sarà opportuno precisare come anche le riflessioni dell‟autore conservassero la memoria delle speculazioni precedenti, anche attraverso la meditazione dei classici modelli romani, scelti con attenzione oculata e sottile, che peraltro mai si discostava dai canoni classici sviluppati dalla Bibbia e dalle teorie dei Padri e dei Dottori della Chiesa, aspetto del resto presente in ogni pensatore del medioevo.
Alla base del pensiero di Guglielmo si era andata cristallizzando la classica concezione secondo la quale il governo era un‟istituzione divina e il sovrano il rappresentante di Dio sulla terra al quale si doveva obbedienza in nome di Dio, giacché occupava il proprio ufficio regio in virtù della grazia divina (Rex Dei gratia). Nel caso inglese, il regno era un‟autorità unica che s‟identificava col potere di una persona che si poneva come legittimo titolare dei poteri pubblici entro un‟area geografica relativamente estesa368. Così, il re teneva il posto di Dio e per grazia divina si era emancipato dal popolo, riconoscendo Dio come fonte del suo potere369.
Nello specifico, per quel che concerne il ruolo del sovrano, è possibile cogliere un richiamo di Guglielmo ai concetti elaborati nelle opere di tre autori in particolare: le Epistolae e il De virtutibus et vitiis di Alcuino370, il De institutione regia di Giona d‟Orleans371 e il De regis persona et regis
367
«la vostra probità si sfrozi di progredire di virtù in virtù» GRA, V.449, p. 800. 368
Barrow, Kingship in medieval England, pp. 23-44; Canning, A history of medieval political thought, pp. 110-114; Coleman, A history of medieval thought, II; Garnett, Conquered England, pp. 1-44; Hollister, Monarchy, magnates and
institutions in Anglo-Norman World, pp. 1-57; Kern, Kingship and Law, pp. 1-80; Ullmann, Principi di governo e politica nel medioevo, pp. 193-254; Maitland, The Constitutional history of England, pp. 6-10; Myers, Medieval Kingship, passim e Trends in medieval political thought. Più i lavori segnalati in nota 388, p. 82.
369
Ullmann, Op. cit., p. 147. 370
Alcuino di York (735-804), di nascita inglese, frequentò e diresse la scuola episcopale di York, fin al 786, quando fu chiamato da Carlo Magno a dirigere la Schola Palatina. Fu, in seguito, abate a Ferrières, a Troyes e a Tours. Tra le sue opere più importanti, si ricordano: il Dialogus de rhetorica et virtutibus, le Epistolae, il De animae ratione e il De
virtutibus et vitiis. Cfr. Bullough, Alcuino e la tradizione culturale insulare, pp. 571-602; Brunhölzl, Histoire de la letterature latine du Moyen Age, I e II, pp. 29-46 e 267-272; Leonardi, Alcuino e la Scuola Palatina, pp. 459-506;
Marocco Stuardi, Alcuino di York nella tradizione degli specula principis; Rochais, Le liber de Virtutibus et Vitiis
d‟Alcuin, pp. 77-86; Szarmach, The Latin tradition of Alcuin‟s Liber de virtutibus et vitiis, pp. 13-41; West, Alcuin and the rise of Chistian School. Per le edizioni delle opere di Alcuino qui utilizzate, cfr. Chase (a cura di), Two Alcuin letter Books; Alcuinus, De virtutibus et vitiis liber ad Widonem comitem, Coll. 613-638.
371
Giona d‟Orléans (780 ca.-842) nacque in Aquitania e venne nominato vescovo di Orléans nell‟818 da Ludovico il Pio (778-840), ricoprendo tale incarico sino alla sua morte. Il De institutione regia venne composto nell‟831 e indirizzato a re Pipino I d‟Aquitania, re dei Franchi dall‟817 all‟838, come manuale di comportamento del re. Per l‟edizione dell‟opera, cfr. Ionas Aurelianensis, De institutione regia, Coll. 279-306; Jonas d'Orléans, Le metier du roi:
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ministerio di Incmaro di Reims372; opere che a loro volta, come si vedrà nelle pagine successive, riflettevano i concetti politici elaborati nelle fonti bibliche e patristiche. Questi autori avevano, infatti, ereditato uno schema di filosofia politica – quello dei Padri della Chiesa – nel quale avrebbero inserito le loro concezioni politiche. Infatti, il pensiero politico patristico si rifaceva, in primo luogo, alla teoria, presente sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento, dell‟origine sacra del potere politico, il cui passo più celebre e rilevante – importantissimo per l‟intero sviluppo del pensiero politico medievale, essendo, infatti, continuamente citato dal II secolo in poi373 – si trova nel XIII capitolo della lettera di San Paolo ai Romani, dove l‟apostolo afferma che ogni anima deve essere soggetta alle autorità superiori, ma dal momento che non esiste potestà se non da Dio, quelle che vi sono, sono da Dio ordinate374. Tale passo definiva la dottrina cristiana della natura della società politica e il significato di tali parole era molto preciso: l‟ordinamento civile era di origine divina e sottomettersi a esso significava sottomettersi a Dio. Ci si trovava di fronte alla dottrina del carattere sacro e dell‟autorità divina del sovrano esposta in maniera precisa – e che verrà ripresa più avanti – da Agostino nel De civitate Dei375, da Ambrogio nel De Obitu Theodosii376, da Gregorio nei Moralia in Job e nella Regula Pastoralis377 e da Isidoro nelle Sententiae378.
De institutione regia e Jonas of Orleans, De Munere regio sive De Institutione regia. Per gli studi, cfr. Reviron, Les idées politico-religieuses d‟un èvêque du IX siècle; Savigni, Giona d‟Orléans: una ecclesiologia carolingia.
372
Incmaro di Reims (806 ca.-882), consigliere politico di Carlo il Calvo (823-877), fu vescovo di Reims dall‟845. Tra le sue opere più importanti si ricordano: De regia persona et de regio ministerio, il De praedestinatione Dei et libero
arbitrio. Cfr. Devisse, Hincmar, archevêque de Reims. Per l‟edizione della sua opera «politica», si veda: Hincmarus Rhemensis Archiepiscopi Opera Omnia, De regis persona et regio ministerio.
373
Carlyle, Il pensiero politico medievale, I, p. 106. 374
«poiché non c‟è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono state stabilite da Dio» La Sacra Bibbia, p.1207. 375
Sull‟opera politica del Vescovo di Ippona – tenendo conto della vastità dei lavori su un tema così fondamentale, ci si limita a alcuni accenni, anche per quel che concerne le note successive –, cfr. Arquillière, L‟augustinisme politique; Bettetini, Introduzione a Agostino; Cavalcanti (a cura di), Il “de civitate Dei”. L‟opera, le interpretazioni, l‟influsso; Flash, Agostino di Ippona; Gilson, La metamorfosi della città di Dio; Mariani, Le teorie politiche di S. Agostino; Marrou, Saint Augustin et la fin del la culture antique; Perrini, La visione agostiniana della città politica, pp. 3-17; Raschini, La problematica politica del “De civitate Dei”, pp. 5-18; Sizoo, Augustinus over den Staat.
376
Sul pensiero politico del vescovo di Milano e sul De obitu Theodosii, cfr. Aiello, Tempo del potere negli auspici di
Ambrogio vescovo di Milano, pp. 117-130; Bonamente, Potere politico e autorità religiosa nel “De obitu Theodosii” di Ambrogio, pp. 83-133; Consolino, L‟optomus princeps secondo S. Ambrogio, pp. 1025-1045; Consolino, Teodosio e il ruolo del principe cristiano dal De obitu di Ambrogio alle storie ecclesiastiche, pp. 257-277; Corsaro, Il trono e l‟altare. Da Costantino a Teodosio, pp. 601-611; Meda, La politica di S. Ambrogio; Sordi, I rapporti di Ambrogio con gli imperatori del suo tempo, pp. 107-118.
377
Per un accenno bibliografico su queste due opere e sul loro influsso nel mondo medievale, cfr. AA. VV., Gregorio
Magno e l‟invenzione del Medioevo; AA. VV., L‟eredità spirituale di Gregorio Magno tra occidente e oriente;
Camastra, Libido dominandi. La teoria politica da Gregorio Mango a Gregorio VII; Cremascoli, La fine dei tempi in
Gregorio Magno, pp. 283-295; Evans, The thought of Gregory the Great; Filippini, Spiritualità e potere in Gregorio Magno, pp. 171-178; Floryszczak, Die “Regula Pastoralis” Gregors des Großen; Gastaldelli, Teologia e retorica in San Gregorio Magno, pp. 269-299; Recchia, La memoria di Agostino nell‟esegesi biblica di Gregorio Magno, pp. 405-
434; Recchia, Gregorio Magno papa ed esegeta biblico. 378
Su Isidoro, cfr. Hillgart, The position of Isidorian studies; Crouch, Isidore of Seville and the evolution of kingship in
Visigotic Spain, pp. 9-26 e Isidore of Seville on time, eternity, events, and history; O‟Donovan e Lockwood, From Irenaeus to Grotius, p. 204-211; Maltby, Late latin and etymologizing in Isidore of Seville, pp. 441-450; Maglio, Il pensiero politico e giuridico di Isidoro di Siviglia, pp. 777-788; Orselli, Santi re e santi imperatori nell‟occidente
81
Attraverso i loro trattati testé citati, i pensatori del IX secolo (Alcuino, Giona e Incmaro) ribadivano le affermazioni dei Padri per quel che concerne la natura divina della potestà civile. Tale dottrina si rifletteva decisamente in questi tre autori che, nel continuo armonizzare le proprie idee con le teorie dei Padri, ricorrevano a essi per trovare un‟espressione compiuta delle loro convinzioni e, analogamente, questo era quanto Guglielmo faceva. Tuttavia, sebbene tali autori restassero fedeli alla tradizione tramandata dai Padri379, si spingevano oltre: tutti i valori precedenti sopravvissero, ma tradotti «nei nuovi modi di pensiero secolari»380. Se l‟opera di Giona sottolineava come la condotta personale e l‟integrità del principe e dei suoi collaboratori fossero la migliore garanzia di un governo giusto e sano381, l‟opera di Incmaro si soffermava sul fatto che la sicurezza del regno dipendeva in particolar modo dalle leggi che dovevano essere chiare nella formulazione e fatte rispettare382. Per entrambi, la base della stabilità del regno era nella personale moralità di un principe ed entrambi, parafrasando Isidoro di Siviglia, osservavano che le principali virtù regali (due delle quattro) erano la iustitia e la pietas – «Regiae virtutes praecipuae duae: iustitia et pietas; plus autem in regibus laudatur pietas; nam iustitia per se severa est»383 –.
Questi trattati dedicati al potere regio erano generalmente composti da ammonizioni al re affinché governasse il popolo di Dio con equità, clemenza, giustizia, misericordia, saggezza e virtù, facendo sì che esso potesse avere pace e concordia. Così Alcuino, nelle Epistolae rivolgeva ai vari governanti i medesimi ammonimenti, sottolineando che i loro principali doveri erano la giustizia e la misericordia nei confronti dei loro popoli384. Anche Giona, peraltro sempre richiamandosi a Isidoro, sottolineava che il principale dovere del sovrano era quello di governare il popolo di Dio
medievale, pp. 97-118; Henderson, The medieval world of Isidore of Seville; Wood, Brevitas in writing of Isidore of Seville, pp. 37-54; Wood, The politics of identity in Visigotic Spain, passim.
379
Per l‟influenza della Bibbia in tali autori, cfr. Lobrichon, L‟esegesi biblica, pp. 355-382 e Gli usi della Bibbia, pp. 523-562; Ullmann, The Bible and the principles of government in the Middle Ages, pp. 181-227; Walsh e Wood (a cura di), The Bible in the Medieval World. Per l‟influenza dei Padri, cfr. Carlyle, Il pensiero politico medievale, I, pp. 97- 211; Moreschini, I padri, pp. 563-604; Smalley (a cura di), Trends in medieval political thought, pp. 1-41; Ullmann, Il
pensiero politico del medioevo, pp. 13-43.
380
Kantorowicz, I due corpi del re, p. 99. 381
«His quae praemissa sunt declaratur, quod hi, qui post regem populum Dei regere debent, id est duce set comites, necesse est ut tales ad constituendum provideantur, qui sine periculo eius, a quo constituuntur, constitui possint, scientes se ad hoc positos esse, ut plebem Christi sibi natura aequalem recognoscant eamque clementer salvent et iuste regant, non ut dominentur et affligant, neque ut populum Dei suum aestiment aut ad suam gloriam sibi illum subiciant, quod non pertinet ad iustitiam sed potius ad tyrannidem et iniquam protestatem. Valde enim exigit necessitas ut, quia ipse procul rex aequissimo iudici de commisso sibi ministerio rationem redditurus est, ut etiam singuli, qiui sub eo costituti sunt ministri, diligentissime ab eo inquirantur, ne ipse pro eis iudicium incurrat divinum» De institutione regia, V, pp. 208-210.
382
Incmaro di Reims, De regis persona, 27:«Igitur aut a populo promulgatae iustae leges servandae, aut a principe iuste ac rationabiliter sunt in quolibet vindicandae», p. 851.
383
Isidoro di Siviglia, Etymologiae, IX.3, p. 736. 384
Alcuino, Epistola I ad Aedelredum regem: «Regis est omnes iniquitates pietatis suae potenita obprimere, iustum esse in iudiciis, pronum in misericordia (semper, quod ille miseretur subiectis, miseretibus ei Deus), sobrium in moribus, veridicum in verbis, largum in donis, providum in consiliis, consiliarios habere prudentes, Deum timentes, honestis moribus ornatos» in Two Alcuin letter Books, p. 42.
82
con equità e giustizia – «gubernare et regere cum aequitate et iustitia»385 – e di applicarsi per procurargli pace e concordia, prevenendo ogni ingiustizia e nominando persone adatte per amministrare lo stato sotto di sé386.
Guglielmo di Malmesbury, nel descrivere i re anglo-sassoni e anglo-normanni, si richiamava a questi principi – onnipresenti nella concezione politica altomedievale relativa al ruolo del governante –, adombrando le virtù richieste al sovrano, mantenendosi nella tradizione degli specula principum. In tal modo, un buon sovrano doveva possedere le caratteristiche fondamentali per il buon funzionamento del suo governo387, che necessariamente comportava ordinamenti d‟interesse cristiano: doveva essere in grado di mantenere la pace, applicando le leggi del regno e ponendone di nuove; di praticare la giustizia, mantenendo l‟ordine nella nazione; di fondare e mantenere con elargizioni i monasteri, incrementandone i possedimenti terrieri; di verificare che il clero si comportasse adeguatamente e autorevolmente, di punire i criminali, di evitare comportamenti amorali, ma allo stesso tempo non essere troppo blando nelle decisioni, evitare i danni che potevano condurre alla rovina i propri sudditi388. In maniera concreta, la superiorità del sovrano si
385
De Institutione regia, IV, p. 198. 386
«Quibus verbis liquido claret, quod pietas, iustitia et misericordia stabiliant regnum et lesiones vidarum et pupillorum calumniaeque miserorum violentaque iudicia et misericordiae et perversio iustitiae euidenter illud evertant»
Ibidem, VI, p. 214. «Da ciò si faceva discendere il ruolo peculiare degli uomini di chiesa nella dimensione politica, vale
a dire quella di suggeritori e consiglieri del principe, tutori della sua anima e delle sue virtù, nelle quali si scorgeva la condizione necessaria per una politica di giustizia. […] Poiché la correzione dei sudditi e il mantenimento della giustizia dipendono direttamente dalle virtù del sovrano, il problema centrale della politica ruota attorno alle qualità e alla formazione morale del principe: il genere degli specula principum concretizza tale preoccupazione in una sequenza, sovente ripetitiva e ispirata alle medesime fonti patristiche (soprattutto Agostino e Gregorio Magno) e scritturali (in particolare veterotestamentarie), di riflessione e di consigli sull‟umiltà, la mitezza, la fermezza e la misericordia, l‟attenzione ai consiglieri e le altre virtù che devono contraddistinguere il rappresentate terreno del Re dei Re (di cui anzi il sovrano terreno dovrebbe essere una immagine)» Fiocchi, Mala Potesta, pp. 21-22.
387
Sui dettami di carattere etico-politico suggeriti dalla Bibbia, dai Padri della chiesa e dai modelli romani, nonché sul pensiero politico medievale contingente a questo lavoro, cfr. Black, Political Thought in Europe, pp. 14-23; Blythe,
Civic Humanism and Medieval Political Thought, pp. 30-74; Brezzi, Considerazioni sul cosidetto «Agostinismo politico», pp. 235-254; Burns, Cambridge history of medieval political thought, pp. 92-156; Canning, A history of medieval political thought, pp. 44-81; Capitani, Papato e Impero nei secoli XI e XII, pp. 117-163; Carlyle, Il pensiero politico medievale, I, pp. 167-180 e pp. 239-259 e Trends in medieval political thought, pp. 1-41; Coleman, A history of medieval thought, II; Costa, Iurisdictio, pp. 63-91; Dolcini (a cura di), Il pensiero politico dell‟età antica e medievale,
pp. 95-115; Fumagalli Beonio Brocchieri, Il pensiero politico medievale, pp. 3-40; Lambertini, Il filosofo, il principe e
la virtù, pp. 239-279; Lucentini, Platonismo medievale, passim; Maitland, The Constitutional history of England, pp. 6-
10; Miethke, Le teorie politiche del medioevo, pp. 37-41; Kantorowicz, I due corpi del re, pp. 107-142; Oakley, Politics
and eternity, passim; Olivieri, Imago Dei, passim; Sassier, Royauté et idéologie au Moyen Age, passim; Tabacco, La relazione tra i concetti, pp. 5-118 e Le ideologie politiche nel Medioevo, passim; Tierney (a cura di), Authority and power, passim; Ullmann, Principi di governo e politica nel medioevo, pp. 193-254; Ullmann, Il pensiero politico del medioevo, pp. 13-43 e pp. 144-177; Per un ulteriore approfondimento al tema del pensiero politico medievale, si
rimanda a: Dolcini, Prolegomeni alla storiografia del pensiero politico medievale, pp. 9-117. 388
Le medesime caratteristiche – che qui sono solo accennate, ma che verranno approfondite nelle pagine successive, attraverso gli esempi dei sovrani descritti da Guglielmo – si leggono anche in Jonas, De institutione regia, III, pp. 188- 190: «Iustitia vero regis est neminem iniuste per potenitam obprimere, sine acceptione personarum inter virum et proximum suum iudicare, aduenis et pupilli set viduic defensorem esse, furta cohibere, adulteria punire, iniquos non exaltare, inpudictos et istriones non nutrire, impios de terra perdere, parricida set periurantes vivere non sinere, ecclesias defendere, pauperes elemosinis alere, iustos super regni negotia constituere, senes et sapiente set sobrios consiliarios
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manifestava nella funzione di protettore del regno a lui affidato, adempiendo un obiettivo voluto da Dio, come era accaduto con Alfredo il Grande che «Hoc commento pacem infudit provintiae» e «Monasteria ubi opportunum videbat construxit»389 e come fece Edoardo il Confessore, durante il cui regno «[…] nullus tumultus domesticus qui non cito comprimeretur, nullum bellum forinsecus, omnia domi forisque quieta, omnia tranquilla»390; il mantenimento della pace pubblica così come il rendere giustizia erano i principali doveri del re391.
Peraltro, è possibile intravedere, nel pensiero di Guglielmo, un‟assonanza con la concezione politica del quasi contemporaneo Ugo di Fleury, che emerge dalla lettura dell‟opera Tractatus de regia potestate et sacerdotali dignitate392. Nel confrontare tale lavoro, composto intorno al 1102 e dedicato a Enrico I d‟Inghilterra, con le Gesta Regum, si potrebbe avvertire un carattere ispiratore del trattato del monaco su alcune riflessioni politiche che Guglielmo avanza. Le virtù e gli obblighi del re sono, infatti, i medesimi: il sovrano in quanto manifestazione della volontà di Dio regge la società e deve provvederla di pii e santi ministri di culto; deve «governare con giustizia ed equità il suo popolo e difendere con tutte le sue forze la santa Chiesa»; «deve inoltre eccellere in quattro virtù: la temperanza, la giustizia, la prudenza, la moderazione»393. In pratica, i concetti che Ugo di Fleury propone e che riemergono frequentemente in Guglielmo sono quelli che si trovano
habere, magorum et ariolorum phitonissarumque superstitionibus non intendere, iracundiam difere, patriam fortiter et iuste contra adversarios defendere, per omnia in Deo vivere, prosperitatibus non elevare animum, concta adversa patienter ferre, fidem catholicam in Deum habere, filios suos non sinere impie agere, certis horis orationibus insistere, ante horas congruas non gustare cibum».
389
GRA, II.122, pp. 188-190. 390
Ibidem, II.196, p. 348. 391
Per un riferimento, invece, alla tradizione giuridica romana concernente il tema della sovranità, cfr. Carlyle, Il
pensiero politico medievale, I, pp. 47-96; Cortese, Il problema della sovranità nel pensiero giuridico medievale; Grossi, L‟ordine giuridico medievale, pp. 39-85; Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, pp. 151-203; Paradisi, Il pensiero politico dei giuristi medievali, pp. 211-342; Post, Studies in Medieval Legal Thought, pp. 61-102 e 415-433.
392
Ugo di Fleury (morto tra il 1118 e il 1135) fu un cronista francese. Monaco dell‟abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire, compose una Historia Ecclesiastica (1109-1110), ma soprattutto fu autore del trattato De Regia potestate et sacerdotali
dignitate, dedicato a Enrico I d‟Inghilterra, in cui si discute della natura dei due poteri, laico ed ecclesiastico, ribadendo
l‟ordigine divina del primo. Cfr. Bauduin, Hugues de Fleury et l‟histoire normande, pp. 157-174; Bautier, L‟école
historique de l‟abbaye de Fleury d‟Aimoin à Hugues de Fleury, pp. 59-72; Landman, Skrifhantering in die «Tractatus de regia potestate in sacerdotali dignitate» Von Hugo Floriacensis; Lequercq, Hugues de Fleury et nous, pp. 531-536;
Lettinck, Pour une edition critique de l‟Historia Ecclesiastica de Hugh de Fleury, pp. 386-397; Mégier, La chiesa
cristiana, erede della Roma antica o dell‟antica alleanza? I punti di vista di Ugo di Fleury e Ottone di Frisinga, pp.
505-536; Van Liere, Hugo Von Fleury‟s geschiedbeschouwing in ziin politieke tractat «de Regia potestate et
sacerdotali dignitate», pp. 25-34; Wilmart, l‟Histoire ecclésiastique composé par Hugh de Fleury et ses destinataires,
pp. 293-295. La traduzione italiana del trattato politico del monaco si trova in Ugo di Fleury, Potere regale e dignità
sacerdotale. «Il dovere di un legittimo re consiste nel governare con giustizia ed equità il suo popolo e difendere con
tutte le forze la santa Chiesa» Ibidem, p. 212. 393
«Porro legitimi regis officium est populus in iusticia et aequitate gubernare et aecclesiasticam sanctam totis viribus defendere. […] Debet etiam quattuor principalibus maxime pollere virtutibus, sobrietate videlicet, iustitia, prudentia ac temperantia» Hugo dictus de Sancta-Maria, monachus Floriacensis, Tractatis de regia potestate et sacerdotali dignitate
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nell‟«ideologia» vetero-testamentaria, nel sostrato franco-germanico (Alcuino, Incmaro e Giona) e nell‟attribuzione di virtù e obblighi morali, giacché il sovrano era persona conscrata394.
Così, anche nelle Gesta Regum, clementia, iustitia, pietas e virtus erano le qualità fondamentali di un buon sovrano che doveva, inoltre, promuovere arti e letteratura, difendere il regno e proteggere i