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2. Gli indicatori bibliometrici nella valutazione della ricerca scientifica

2.3. Gli indicatori bibliometrici

2.3.2. H-index

I numerosi limiti dell’impact factor individuati in letteratura, hanno spinto diversi studiosi a sperimentare nuovi indicatori bibliometrici con l’obiettivo di superare i limiti del fattore d’impatto. Tra i numerosi indicatori bibliometrici sviluppati dopo l’IF, quello che ha avuto maggiore successo è sicuramente l’h-index, introdotto ad opera del fisico Jorge E. Hirsch

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nel 2005, che ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi come dimostrato dalle numerose pubblicazioni sul tema (Ball, 2005; Bornmann & Daniel, 2005; Glanzel, 2006; Costas & Bordons, 2007; Alonso, Cabreizo, Herrera-Viedma, & Herrera, 2009; Mingers, Macri, & Petrovici, 2012).

Secondo Hirsch (2005), “un ricercatore possiede un indice h, se h dei suoi articoli pubblicati

in n anni (Np) hanno ottenuto almeno h citazioni ciascuno, e i rimanenti (Np – h) articoli hanno ricevuto ognuno meno di h citazioni”. Dunque, dire per esempio che un ricercatore

ha un h-index = 10, vuol dire che quell'autore ha pubblicato 10 articoli che hanno ricevuto ciascuno almeno 10 citazioni; mentre, la restante produzione scientifica è stata citata meno di quel numero, o non è stata citata affatto.

L’indice è stato ideato con la finalità di rendere comparabile la produzione di autori poco prolifici, ma con alto numero di citazioni, e quella di autori molto prolifici ma con basso numero di citazioni (Piazzini, 2010). In sostanza, l’obiettivo di Hirsch è stato quello di sviluppare un indicatore capace di calibrare la reale influenza di uno studioso che produce pochi articoli di grande rilevanza scientifica, rispetto a colui che pubblica un gran numero di articoli di scarso rilievo scientifico (Giuliani & Marasca, 2015). Tuttavia, anche se ideato inizialmente per valutare la produzione scientifica del singolo ricercatore, successivamente l’indice è stato utilizzato agevolmente anche per valutare i gruppi di ricercatori, le riviste, ecc.

La caratteristica principale dell’indice H è quella di comprendere, in un singolo indicatore, una misura della quantità della produzione scientifica (ovvero il numero di articoli pubblicati in un dato periodo di tempo) di un ricercatore, e una misura della qualità/impattodella stessa (impatto citazionale totalizzato in un dato periodo di tempo) (Hirsch, 2005). Inoltre, altra caratteristica importante dell’indice è che, essendo un indicatore “libero” e quindi privo di un proprietario esclusivo come l’IF, esso può essere calcolato partendo da differenti basi

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dati, più o meno ampie e interdisciplinari, come WoS, Scopus, Google Scholar, ecc. (Giuliani & Marasca, 2015). Ciò, favorisce l’idea del confronto, con il conseguente rischio però di ottenere risultati diversi a seconda della fonte utilizzata (Piazzini, 2010).

Come menzionato sopra, numerosi sono stati gli studi (Bornmann & Daniel, 2005; Glanzel, 2006; Costas & Bordons, 2007; Harzing A.-W. , 2008) focalizzati su tale indicatore che hanno individuato i suoi vantaggi e svantaggi nell’ambito della valutazione della ricerca scientifica. In particolare, oltre ai vantaggi offerti generalmente da tutti gli indicatori bibliometrici (per esempio l’oggettività, la facilità di calcolo dell’indice e la facilità di ottenere il valore dell’indice grazie alle diverse banche dati a disposizione), Hirsh (2005) mette in evidenzia il fatto che, trattandosi di un indicatore in grado di riassumere in un solo valore sia la quantità, sia la qualità della produzione scientifica di un ricercatore, esso si presta meglio rispetto agli altri indici ad essere utilizzato nel processo di valutazione della ricerca. Costas e Bordons (2007) supportano questa idea sostenendo che, essendo l’H-index un indicatore oggettivo, esso potrebbe giocare un ruolo importante nell’allocazione dei fondi tra i diversi dipartimenti, Università, nelle promozioni dei ricercatori, professori e nell’assegnazione di premi.

Altro beneficio importante dell’H-index è la sua robustezza (Vanclay, 2008), data la sua insensibilità agli articoli poco citati. Infatti, la difficoltà di aumentare il valore dell’indice cresce esponenzialmente dato che gli articoli maggiormente citati devono ricevere nuove citazioni per ottenere un valore dell’indice più alto. Di conseguenza, il valore dell’indice non risentirà degli articoli poco citati.

Altri studi condotti sul tema evidenziano come l’H-index risulti essere preferibile ad altri indicatori nella valutazione non solo dei singoli ricercatori (Bornmann, Mutz, & Daniel, 2008), ma anche di gruppi di ricerca (Van Raan, 2006), riviste (Braun, Glanzel, & Schubert, 2006) ecc; inoltre, data la possibilità di calcolare l’indice su differenti banche dati

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(soprattutto GS che risulta avere una copertura maggiore), ciò permette all’indice di essere preferito ad altri indicatori nella valutazione della ricerca in quelle discipline, come quelle economico-aziendali, dove l’IF presenta i maggiori limiti. Studi empirici (Harzing & Van der Wal, 2009; Mingers et al., 2012) supportano questa tesi, sostenendo la maggiore accuratezza dell’H-index rispetto agli altri indicatori come l’IF nella valutazione della ricerca nelle discipline economico-aziendali.

Questa serie di vantaggi identificati in letteratura hanno consentito all’indice di Hirsch di diventare uno degli indicatori maggiormente utilizzati ai fini della valutazione della ricerca. Tuttavia, nonostante i numerosi punti di forza, anche l’H-index presenta diversi limiti come gli altri indicatori bibliometrici (Glanzel, 2006; Costas & Bordons, 2007; Egghe, 2008). Lo stesso Hirsch (2005) ha evidenziato una serie di limiti del suo indice. Per esempio, come per altri indicatori bibliometrici, Hirsch consiglia di non utilizzare l’indice per comparare scienziati di differenti discipline, a causa delle differenti abitudini a pubblicare e citare. Altro limite è dovuto al fatto che l’H-index dipende dalla durata della carriera di ogni scienziato, in quanto il numero di pubblicazioni e di citazioni aumenta negli anni. Ciò, quindi favorirebbe chi vanta una lunga carriera universitaria (quindi gli scienziati più anziani che avranno prodotto più articoli rispetto ai ricercatori più giovani). Dunque, è sconsigliato comparare il valore dell’indice di scienziati che si trovano a diversi stadi della carriera. Inoltre, ci sono una serie di limiti tecnici, dovuti sia alla difficoltà di ottenere l’output completo e preciso degli scienziati o riviste con lo stesso nome o, nomi comuni, sia il problema dell’inclusione o meno delle autocitazioni che possono essere molte, e quindi possono accrescere il valore dell’indice. Infine, come gli atri indicatori citazionali, anche

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l’h-index non tiene conto del contesto (e della tipologia5) delle citazioni e del numero di

autori degli articoli.

Altri limiti peculiari dell’indice sono stati individuati dai numerosi studi condotti sul tema. In particolare, i principali sono:

l’H-index risulta essere insensibile al numero effettivo di citazioni ricevute dagli articoli dell’H-core. Nello specifico, una volta che questi articoli entrano a far parte dell’H-core, e quindi vengono utilizzati nel calcolo dell’indice, le restanti citazioni da essi ricevuti non vengono più considerate (Egghe, 2006). Per esempio, un articolo potrebbe raddoppiare o triplicare le sue citazioni, senza che ciò eserciti la minima influenza sul valore dell’indice. Dunque, l’indice non riesce a descrivere in maniera completa il valore della produzione scientifica di un ricercatore (Piazzini, 2010), come nel caso di 2 ricercatori con lo stesso valore dell’indice, ma con differente numero di citazioni6.

Come per l’IF, anche l’H-index può provocare cambiamenti nel comportamento a

pubblicare degli scienziati (Van Raan, 2006). Per esempio, dato che l’H-index dipende dal numero totale degli articoli pubblicati, l’indice penalizzerà il lavoro degli scienziati molto selettivi (ossia di coloro che pubblicano pochi articoli), ma che ricevono molte citazioni (Costas & Bordons, 2007). Ciò quindi, potrebbe stimolare il ricercatore a parcellizzare la sua produzione scientifica con l’obiettivo di modificare il valore del suo indice (Giuliani & Marasca, 2015).

5 Per esempio, è il caso delle citazioni negative ovvero quelle citazioni che criticano il lavoro di uno scienziato.

In questo caso, la citazione è da considerare come positiva o negativa nel calcolo dell’impatto del lavoro dello scienziato?

6 Per esempio, si pensi a 2 scienziati, ognuno con 10 articoli con 10 citazioni, ma uno dei due ha altri 50 articoli

con 9 citazione ognuno; o ancora, si pensi a un ricercatore con 10 articoli con 10 citazioni ognuno, e l’altro ha 10 articoli con 100 citazioni ognuno.

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 Infine, dato che l’indice utilizza solo valori interi, non è in grado di discriminare bene le differenze di valore delle produzioni scientifiche dei ricercatori (Mingers & Leydersdoff, 2015).

Per superare alcuni di questi limiti, diverse varianti ed estensioni dell’H-index sono state proposte in letteratura (Alonso et al., 2009) che, tuttavia, ad oggi non hanno raggiunto la diffusione dell’indice originale. Per esempio, per compensare il problema dell’insensibilità dell’H-index al numero effettivo di citazioni ricevute dagli articoli nell’H-core, Egghe (2006) propose il G-index definito dallo stesso autore come “il numero d'ordine più grande

(quando gli articoli sono classificati in ordine decrescente per numero di citazioni ricevute) tale che i primi g articoli abbiano ricevuto (cumulativamente) almeno g2 citazioni”. In

questo modo il G-index riesce a riflettere meglio, rispetto all’H-index, il numero totale di citazioni ricevute dagli articoli in quanto dà più peso agli articoli maggiormente citati. Altre alternative sviluppate con l’obiettivo di misurare al meglio il numero effettivo di citazioni degli articoli nell’H-core sono:

l’A-index (Jin, 2006; Rousseau, 2006) ovvero, il numero medio di citazioni ricevute dagli articoli nell’H-core;

il R-index (Jin, Liang, & Rousseau, 2007) che invece rappresenta la radice quadrata della somma delle citazioni nell’H-core;

un’ulteriore sviluppo basato sui precedenti indicatori è l’AR-index (Jin et al., 2007), ovvero una variante dell’R-index che tiene conto non solo dell’intensità delle citazioni nell’H-core, ma anche dell’età degli articoli presenti nell’H-core;

infine, il M-index (Bornmann et al., 2008) che invece rappresenta la mediana del numero di citazioni ricevute dagli articoli nell’H-core.

Riguardo invece il problema della forte dipendenza dell’indice dalla durata della carriera del ricercatore, Burrell (2007) propose di considerare l’H-rate ovvero l’H-index al tempo t

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diviso per il numero di anni dalla prima pubblicazione del ricercatore, idea proposta già da Hirsch (2005) nel suo lavoro originale chiamandola m-quotient. Infine, altre due variante importanti dell’H-index sono l’h-i-index proposto da Batista et al. (2006) e l'h-b-

index (Hirsch-Banks Index) sviluppato da Michael Banks (2006) del Max Planck Institute for Solid State Research. Il primo, l’h-i-index, ha l’obiettivo di tenere conto nel calcolo

dell’indice anche del numero degli autori di una pubblicazione, e viene calcolato come rapporto tra l’H-index e il numero medio degli autori degli articoli nell’H-core. Il secondo invece, l’Hb-index, è focalizzato sulle pubblicazioni in fisica dello stato solido, ed è definito allo stesso modo dell'indice H, ma è basato sulla ricerca di uno specifico argomento o composto, invece che del nome dello scienziato.