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2. Gli indicatori bibliometrici nella valutazione della ricerca scientifica

2.1. Lo sviluppo degli indicatori bibliometrici

Gli indicatori bibliometrici rappresentano oggi lo strumento principale dei policy-maker per la valutazione dei prodotti di ricerca, ricercatori, Dipartimenti, Università ecc. (Esterle, 2007). Nonostante la crescente attenzione sugli indicatori bibliometrici si è avuta negli ultimi venti anni con lo sviluppo delle grandi banche dati bibliografiche, bisogna tornare indietro agli inizi degli anni ‘60 per ripercorrere la nascita di tali strumenti, inizialmente nati con

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finalità diverse rispetto al loro attuale utilizzo nel processo di valutazione della ricerca scientifica (Czellar & Lanarès, 2013).

Lo sviluppo degli indicatori bibliometrici infatti, si ha con la nascita della bibliometria e, più in generale, della scientometria.Quest’ultima, fondata in torno agli anni ’60 da John De Solla Price, è l’insieme delle tecniche, procedure e strumenti atti a misurare e analizzare la scienza e in particolare le produzioni scientifiche (De Robbio, 2007; Banfi & De Nicolao, 2013). La scientometria è un campo di studio molto specialistico e piuttosto complesso che coinvolge varie figure e comunità in tutto il mondo, specialisti e ricercatori in bibliometria, società scientifiche, periodici e i partecipanti ai forum e liste di discussione entro le varie discipline.

Il concetto di bibliometria invece, termine utilizzato per la prima volta da Pritchard (1969) che la definì come “l’applicazione di metodi matematici e statistici a libri e altri mezzi di

comunicazione”, fa riferimento a quella scienza, all’interno della scientometria, che utilizza

tecniche matematiche e statistiche per analizzare i modelli di distribuzione delle pubblicazioni scientifiche e per verificare il loro impatto all’interno delle comunità scientifica di riferimento. Essa quindi ha l’obiettivo di valutare la qualità della ricerca scientifica in termini di produttività e impatto, popolarità e prestigio, attraverso l’utilizzo di metodi quantitativi (Cassella & Bozzarelli, 2011; Banfi & De Nicolao, 2013).

È all’interno della bibliometria che nascono gli indicatori bibliometrici, strumento di misurazione quantitativa per eccellenza, declinato in numerose varianti e calcolato sulla base di una fonte bibliografica accreditata (Giuliani & Marasca, 2015). La nascita degli indicatori bibliometrici e, più in generale lo sviluppo dal punto di vista teorico della scientometria e della bibliometria, è da far risalire in gran parte al lavoro di una persona, Eugene Garfield,

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che identificò l’importanza delle citazioni e creò, nel 1950, lo Science Citation Index (SCI)1

come database per catturare le citazioni, e l’Institute for Scietific Information per supportarlo (Mingers & Leydesdorff, 2015)2.

Inizialmente, lo scopo di Garfield era quello di supportare i ricercatori nella ricerca della letteratura, rendendola più semplice ed efficace, e di permettere al tempo stesso agli autori poco conosciuti di essere scoperti. Le potenzialità di tale strumento come supporto per la scienza vennero subito riconosciute e, già a partire dagli anni ’60 - ’70, l’analisi bibliometrica cominciò ad essere utilizzata per la valutazione della ricerca prima negli Stati Uniti e poi anche in Europa. Infatti, i Governi e le istituzioni cominciarono a finanziare diversi progetti di ricerca con l’obiettivo di perfezionare gli strumenti di gestione e diffusione dell'informazione scientifica, promuovendo allo stesso tempo lo studio degli indicatori bibliometrici come supporto alle decisioni in merito alla politica della scienza ed ai finanziamenti della ricerca. Per esempio, lo stesso Garfield nel 1972 sviluppò una misura per valutare le riviste, ovvero l’impact factor, che per anni è stato il principale indicatore ad essere utilizzato nella valutazione della ricerca, nonostante i numerosi difetti.

Negli anni successivi, l’interesse verso l’analisi bibliometrica crebbe notevolmente grazie ad una serie di eventi, dovuti soprattutto al rapido sviluppo delle tecnologie informatiche e all’aumento della disponibilità e della copertura dei database citazionali (Mingers & Leydesdorff, 2015). In particolare, gli studi quantitativi della scienza si trasformarono in una vera e propria disciplina a sé stante e cominciarono ad apparire le prime riviste specializzate

1 Lo SCI è una banca dati bibliografica che consente a un ricercatore di identificare quali articoli successivi

hanno citato un particolare articolo precedente, o di aver citato gli articoli di un particolare autore, o sono stati citati più frequentemente. Successivamente, lo SCI si aggiunse al Social Science Citation Index (SSCI) e all’Arts & Humanities Citation Index e, nel 1991, fu rilevato dalla Thompson Corporation (divenuta nel 2008 Thompson Reuters) che lo convertì in Web of Science come parte della loro piattaforma Web of Knowledge, portale web attraverso la quale è possibile accedere ai diversi database citazionali.

2 Tuttavia, vale la pena precisare che un contributo essenziale allo sviluppo della disciplina si era avuto già

agli inizi del ‘900 con i primi articoli sul tema firmati da A.J. Lokta nel 1926 e P.L.K. Gross e E.M. Gross nel 1927.

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del settore, come per esempio Scientometrics, Research Evaluation, Research Policy, le prime conferenze sul tema e le società scientifiche di riferimento come l'International

Society for Scientometrics and Informetrics fondata nel 1993.

Mingers e Leydesdorff (2015) hanno effettuato una rassegna della letteratura sul tema della scientometria, ripercorrendo i vari passaggi che hanno portato l’analisi bibliometrica da semplice strumento a supporto dei ricercatori, a strumento/criterio base utilizzato nella valutazione della ricerca scientifica, ed evidenziando i diversi eventi avvenuti nel periodo tra il 1990 e gli anni 2000 che hanno contribuito al suo sviluppo.

Primo fra tutti, come menzionato precedentemente, l’aumento della disponibilità dei database citazionali e del loro grado di copertura. In particolare, durante il periodo dal 1990 al 2000, il grado di copertura di Web of Science crebbe notevolmente, includendo molte riviste e conferenze. Inoltre, sempre in quegli anni cominciarono ad apparire sul mercato i nuovi competitori di Web of Science (WoS) ovvero, Scopus dell’editore Elsevier e Google

Scholar.

In secondo luogo, in aggiunta allo sviluppo dei nuovi database citazionali, cominciarono ad apparire sul mercato anche nuove metriche citazionali alternative all’impact factor per la valutazione delle riviste, come per esempio il Source Normalized Impact per Paper (SNIP) e lo SCImago Journal Rank (SJR), o anche per la valutazione dei singoli ricercatori come l’H-index di Hisch con tutte le sue varianti (per esempio il G-index).

Gli autori inoltre mettono in risalto anche l’importanza dello sviluppo della mappatura e della visualizzazione dei network bibliometrici, a partire dalle mappe di connessione (historiographs) tra i documenti chiave (key papers) sviluppate da Garfield, Sher e Thorpie nel 1964, che hanno l’obiettivo di ricostruire i legami citazionali storici o, connessioni intellettuali, di un’importante scoperta. Ne è un esempio l’analisi delle co-citazioni, che utilizza tecniche multivariate (come per esempio l’analisi fattoriale, l’analisi dei gruppi ecc.)

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per analizzare e mappare le reti degli articoli altamente correlati con l’obiettivo di individuare gli argomenti “core” (core topics) e i possibili argomenti “emergenti”

(Marshakova, 1973; Small, 1973).

Infine, quello che i due studiosi chiamano il cambiamento più significativo, ovvero il passaggio dell’analisi bibliometrica e, più in generale della scientometria, da semplice branca statistica della scienza dell’informazione, al ruolo centrale ricoperto all’interno delle Università, degli organi di governo delle stesse e dei governi in generale nel processo di valutazione della ricerca scientifica (van Raan, Moed, & Van Leeuwen, 2007). Nello specifico, in numerosi Paesi in tutti il mondo oggi gli indicatori bibliometrici vengono utilizzati come strumento alternativo alla peer review nella valutazione dei ricercatori, riviste, Dipartimenti, Università ecc.

Secondo Mingers e Leydesdorff (2015), la centralità del ruolo ricoperto oggi dagli indicatori bibliometrici nell’ambito della valutazione della ricerca scientifica può essere considerata l’effetto dell’agenda neo liberale del New Public Management (NPM) e dei suoi requisiti di trasparenza e responsabilità. Infatti, negli ultimi anni l’avvento del New Public Management (Hood, 1991; Hood, 1995; Lapsley, 2008) unito alla crescente pressione finanziaria e i tagli alla spesa per le università, insieme alla crescente competizione a livello internazionale, hanno portato all’implementazione dei Sistemi di Misurazione della Performance (PMS) all’interno del sistema universitario (Ter Bogt & Scapens, 2012; Aversano, Rossi, & Polcini, 2017). In particolare, si è introdotto l’utilizzo di misure quantitative (Hood, 1995) con l’obiettivo non solo di valutare e controllare il rispetto di parametri di efficienza e di efficacia delle attività svolte in generale, ma anche di valutare ricercatori, docenti, Dipartimenti e più in generale le Università, al fine di agevolare i processi di accountability e di transparency (Aversano, Rossi, & Polcini, 2017).

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È in un tale contesto che gli indicatori bibliometrici assumono un ruolo chiave all’interno del processo di valutazione della ricerca: essendo gli indicatori bibliometrici misure quantitative e quindi, oggettive, essi si presentano meglio ad essere utilizzati come sistemi di misurazione delle performance dell’attività di ricerca, e quindi nella valutazione della produzione scientifica, con l’obiettivo di allocare in maniera efficace ed efficiente le risorse scarse, alle Università, ai Dipartimenti e ai ricercatori più performanti.