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Horwich: la stipulazione semantica

CAP 2 ARROGANZA e ACCETTAZIONE

1.1. Horwich: la stipulazione semantica

Tenere conto dell'aspetto semantico della stipulazione significa, in primo luogo essere consapevoli dell'idea che pur istituendo un nuovo fatto semantico, con la decisione che due espressioni devono avere lo stesso significato, non è tuttavia in nostro possesso la capacità di stabilire quali fatti sottostanti concorrono alla determinazione del nuovo fatto (semantico) istituito.

Ciò che non sappiamo è come devono essere intese le relazioni tra le cose cui le espressioni in questione si riferiscono. La soluzione può dunque essere rintracciata solo in una teoria del significato come uso, in analogia con l'atto di conferire un nome a un oggetto. Una stipulazione del riferimento rappresenta perciò, per Horwich, un esempio del modo in cui l'uso di un enunciato, quale forma del suo significato, è chiarificatore non solo dell'aspetto convenzionale della stipulazione, ma anche della relazione che la prima istituisce tra le cose.

Ad esempio il fatto di ritenere vero un enunciato come “Questo (indicato mediante ostensione) pupazzo è Pooch” (SMA, 2001: 153) stabilisce dapprima l' uso della parola Pooch da parte del parlante, assumendo la forma determinata dal modo in cui si fa riferimento al pupazzo, e successivamente, proprio attraverso l' uso, fornisce anche un significato a Pooch.

Questo caso può essere inteso, pertanto, come un esempio di stipulazione genuinamente semantica, poiché, a differenza della stipulazione semantica di stampo convenzionalista, si compone di ben due fatti:

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(“battezzare”, chiamare) il pupazzo in quel modo, intendendo l'enunciato come vero accanto a

b) un secondo fatto, indipendente dal primo, corrispondente all'idea che questo pupazzo è effettivamente Pooch.

Le condizioni appena enunciate corrispondono al soddisfacimento di due ulteriori condizioni:

c) che la decisione di dare un significato a una parola ha come conseguenza il fatto di conferirle un uso;

d) che un atto di stipulazione richiede per lo meno la credenza che esso possa servire a ottenere lo stato di cose stipulato;

Questi requisiti sono ciò che per Horwich rende la stipulazione semantica una questione sostanziale.

Anche il caso dell'esempio di NN citato sopra, può essere ora inteso in questa nuova luce. Affinché il termine 'f' abbia un significato, non basta infatti dire che #f, ossia l'insieme degli enunciati che contengono il termine f, deve essere vero. Ciò che serve, e che ancora manca, è l'essere in grado di usare f nel modo richiesto affinché l'insieme di enunciati #f sia reso vero.

Ma ciò richiede un vincolo sull'uso. Il motivo è che l'uso effettivo degli enunciati #f, che viene richiesto dalla stipulazione potrebbe essere precluso da significati preesistenti delle parole che figurano nella matrice #-, o da alcuni atteggiamenti epistemici che il parlante potrebbe avere nei confronti di enunciati formati con quelle parole. Un caso di questo genere è il connettivo “tonk” menzionato in un noto esempio di Prior. Tonk corrisponderebbe a un connettivo per il quale valgono le regole

Tonk:

(p tonk q) → q

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p → (p tonk q)

La ragione per la quale il connettivo non può funzionare è proprio il precedente significato dei connettivi “&” e “→”

L'argomento di Horwich evidenzia, perciò, il fatto molto importante che in questo caso, come del resto anche in altri esempi di tipo non logico (Horwich, 2001, p. 155), una decisione può comportare una modificazione del significato di altri termini ai quali non siamo disposti a rinunciare:

Ciò che rende problematica la stipulazione arbitraria (free), basata su convenzioni, è dunque il fatto che la decisione non è una questione che riguarda solo il parlante, ma che, al contrario, è relativa a come è fatto il mondo, vale a dire a fatti empirici che non sono in potere del parlante che effettua la stipulazione.

Il problema dell'arroganza, ossia la richiesta di un lavoro epistemico a posteriori, nasce, perciò, proprio dall'esigenza di evitare il rischio introdotto da una concezione errata di ciò che corrisponde a una decisione nell'idea convenzionalista. Quest'ultima non è infatti sufficiente a conferire una giustificazione della verità a priori dell'enunciato basata sul significato.

Horwich. Critica della forma condizionale della stipulazione semantica: la questione dell'implementazione.

Se non è possibile stipulare a piacere che f significa tutto ciò che rende vera la teoria #f, ovvero, se non può valere una stipulazione del seguente condizionale:

Se f ha qualche significato, (senza, con questo, asserire nulla), allora ha qualunque significato che renderebbe vero #f:

Nondimeno a nulla può servire, per Horwich, la scappatoia di attribuire a questo condizionale la forma linguistica che gli attribuisce Carnap attraverso la procedura di fattorizzazione della teoria #f.

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Un punto fondamentale, per Horwich, come abbiamo già osservato, è infatti, che per una concezione epistemica, e dunque un modello genuinamente semantico della definizione, deve essere possibile rendere conto della capacità di implementazione empirica di una teoria.

Se perciò la forma condizionale non favorisce o rende oscura l'implementazione, per quanto essa possa apparire risolutiva del problema dell'arroganza, essa non può, per Horwich, rappresentare una soluzione adeguata. Vediamo perché.

Horwich. Un'interpretazione della strategia carnapiana di fattorizzazione

Questo giudizio di Horwich, a nostro avviso, è la conseguenza di un modo particolare di intendere la fattorizzazione di Carnap e i fondamenti dell'analiticità dell'enunciato condizionale che in quella idea fa le veci di un postulato. La proposta di Carnap viene, infatti, descritta come un tratto comune ad altre note teorie epistemiche dell'analiticità, come quelle di Russell (Russell 1927, “The Analysis of Matter”), Ramsey (Ramsey, 1929, The Foundations of Mathematics) Carnap (Carnap, 1928, LAW), Lewis (Lewis 1970, “How to Define Theoretical Terms”) che fanno ricorso alla strategia del condizionale.

L'argomento di Carnap, come abbiamo visto nel capitolo precedente, consiste proprio nell'idea di intendere l'insieme di enunciati #f, o teoria di f, in simboli T(f), sia come ciò che rappresenta la somma ideale dei postulati teorici (T) e dei termini osservativi o regole di corrispondenza (C ) o TC, sia come un insieme fattorizzabile trasversalmente21.

Nella ricostruzione di Horwich quest'idea corrisponde, in primo luogo, alla tesi che la

21

Rimandiamo al Cap. I per una spiegazione più dettagliata di questa concezione della teoria. Essa è associata alla strategia di fattorizzazione e alla sua scomposizione in due fattori diversi dai due sottogruppi di postulati T (solo teorici) e C (solo di corrispondenza) che apparentemente la compongono Si tratta, pertanto, dell'enunciato di Ramsey, e del condizionale alla Carnap, che corrisponde al condizionale del quale stiamo parlando.

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teoria #f non è che l'unione di due congiunti, ossia del fattore S, di carattere esistenziale e sostanziale, l'enunciato di Ramsey, che cattura tutto il contenuto empirico della teoria (Horwich, 2001: 157), e del fattore M, di natura linguistica e di forma condizionale, il condizionale di Carnap, rappresentativo del significato di f

(S): ∃x (#x) (Esiste un x tale che x è # )

(M): ∃x (#x) →#f

(Se esiste un x tale che x è #, allora c'è un insieme vero #f di enunciati che contengono il termine)

L'idea di Carnap è intesa da Horwich come il tentativo di scaricare tutta la questione dell'implementazione empirica, o arricchimento del significato su nuova base evidenziale, sul fattore esistenziale S. Si consentirebbe, in questo modo, ad M, il condizionale, di essere un fattore di natura linguistica. La peculiarità di questa proposta sta, tuttavia, per Horwich nel fatto che la concezione linguistica del condizionale è quanto corrisponde ad una nozione materiale del condizionale che si presta a varie obiezioni. Prima fra tutte la possibilità di essere ritenuto vero semplicemente sulla base della verità del conseguente, ossia della semplice condizione che sia ritenuto vero l'insieme#f.

Lo svantaggio di questa forma è, tuttavia, il fatto che il condizionale non è, in realtà, in grado di aggiungere nulla di più di quanto non possa fare la forma non condizionalizzata della stipulazione. In caso contrario esso risulterebbe sempre banalmente vero, senza che esso possa davvero rendere conto della possibilità di implementare empiricamente, in modo sensato, la teoria. Al fine di evitare questo spiacevole risultato si richiederebbe, dunque, la verità dell'antecedente, o fattore S, di carattere esistenziale, ma questo renderebbe la stipulazione o definizione arrogante.

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come una questione di carattere solo linguistico, analoga al fattore M condizionale, basata esclusivamente su una decisione di carattere convenzionale. Horwich ne trae così la conseguenza che un requisito indispensabile affinché si possa dire che f significa veramente tutto ciò che rende vero #f, è che la definizione implicita deve essere puramente costitutiva del significato di f.

Ciò significa che #f deve entrare in gioco nella sua interezza senza che si possa supporre di fattorizzare #f in due congiunti (fattori) dei quali solo quello linguistico, possa essere ritenuto sufficiente alla fissazione del significato di f.

Se dunque l' originale stipulazione che “f significa ciò che rende vero #f” non può essere puramente costitutiva del significato, la conclusione di Horwich è che piuttosto è l'impegno alla credenza in S, ossia la credenza nell'esistenza di una proprietà corrispondente a f, e solo successivamente alla credenza nel condizionale M, ciò che fornisce veramente il significato dell' espressione f. La stipulazione può dunque essere descritta solo come impura.

1.2. Horwich. Considerazioni sulle interpretazioni consequenzialista e