• Non ci sono risultati.

La seconda fase: la definizione condizionale

CAP 1 LA NATURA CONDIZIONALE DELLA STIPULAZIONE NELLA CONCEZIONE EPISTEMICA

1.3. La seconda fase: la definizione condizionale

Se nella prima fase della Costruzione logica del mondo la definizione operazionale prevedeva la possibilità di una corrispondenza totale di un'espressione al dato osservativo, nella nuova fase essa è intesa al contrario, come la conseguenza derivabile da una serie di modi di introdurre un concetto in una teoria. L'idea, in sostanza, è che il primato vada non più tanto alla definizione come riduzione totale al dato espressa mediante le regole di designazione o protocolli, bensì nella nuova veste di definizione condizionale ottenuta mediante il ricorso a convenzioni di tipo linguistico, chiamati postulati di significato, introduttive del termine.

Tutto questo è strettamente intrecciato al modo in cui, come avevamo anticipato, è intesa nella seconda fase la nozione ora più complessa di disposizione associata al modo di intendere i postulati di significato.

La concezione disposizionale del significato: dalla prima alla seconda fase

Fino a questo punto Carnap appare, dunque, sostenere una concezione che egli definisce ancora disposizionale dei termini teorici. Mentre la concezione disposizionale originaria, per Carnap corrispondeva all'idea che un termine o DSR, rappresentava la

disposizione di un oggetto in senso lato, data una situazione S, a dare origine a un evento correlato R, il passaggio alla seconda nozione di disposizione comportava l'idea che fosse possibile individuare disposizioni tra gli stessi termini descrittivi come scapolo o pettirosso, intendendo questi ultimi a loro volta come termini disposizionali del tipo più semplice, facenti capo direttamente a dati percettivi e termini originari del linguaggio puramente osservativo L0. I termini disposizionali più complessi come

46

“scapolo” o “pettirosso” avrebbero fatto uso, dunque, di altri termini disposizionali più primitivi che erano stati introdotti in precedenza, all'interno di un linguaggio osservativo ora concepito nel suo complesso come linguaggio osservativamente esteso L'0.

Il problema che la nuova soluzione doveva fronteggiare era infatti la maggiore complessità di un termine teorico, come ad esempio un possibile termine Q3, che

indicasse una malattia associata a determinati sintomi (TM, 1936=1970: 201-202), poniamo “streptococco”, rispetto a una possibile caratterizzazione di tipo disposizionale puro sul tipo di quello della prima fase, dato nei termini delle D-regole. Tale questione era quanto occorreva prendere seriamente in considerazione posto che tra i termini di una teoria scientifica figuravano termini teorici sul tipo del caso menzionato Q3. I

termini teorici come “streptococco” si riferivano, infatti, a qualcosa di cui non è possibile, in generale, dare una piena e definitiva caratterizzazione, ma solo una caratterizzazione per ogni singola fase della ricerca, intendendo poi quest'ultima come una pratica in continua evoluzione.

La complicazione, per una concezione disposizionale di “streptococco”, sorgeva pertanto poiché poteva accadere che in una fase della ricerca, il termine Q3 che la

indicava poteva apparire correlato a sintomi Q'2, come ad esempio la nausea, che sarebbero apparsi in aggiunta alla connessione originaria tra Q1, la condizione di malattia, e Q2, il primo sintomo apparso di streptococco, ad esempio la gola infiammata. “Gola infiammata” era equivalente, infatti, alla condizione di manifestabilità di Q3, in una concezione disposizionale pura del significato del termine Q3. Q3 poteva poi risultare addirittura correlata a un'ulteriore condizione Q4, pienamente controllabile, come l'esame del sangue o il tampone, che avrebbe potuto essere intesa come rivelatrice della presenza, o in caso di esito negativo, dell'assenza, della malattia.

Questo stesso problema si presentava per tutti i termini disposizionali come ad esempio i termini “elasticità” e “magnetico” ecc. se intendiamo con disposizionale ogni termine che esprima una disposizione di un oggetto R a rispondere in un determinato modo S, secondo l'accezione pura, del primo tipo, della nozione di disposizione concepita da

47 Carnap.

La questione della definizione di Q3, posto questo carattere dei termini teorici, diveniva, dunque, più oscura alla luce di un fondamentale aspetto della nuova concezione del significato del Circolo di Vienna.

Un elemento essenziale di ogni teoria, per l'empirismo logico, era infatti, la necessità di intendere come genuini solo quegli enunciati che avrebbero potuto essere verificati. In questo modo gli enunciati non suscettibili di verifica sarebbero rientrati in quegli enunciati metafisici lasciati ai margini quali enunciati non genuini, e non realmente dotati di un significato. La nozione di verifica di un enunciato, quale insieme di condizioni di verità associate al suo significato, divenne, dunque, col tempo intrecciata alla nozione di confermabilità, specie se riferita ad una teoria empirica che come le teorie scientifiche comprendeva termini teorici.

La prima nozione di confermabilità della teoria, vale a dire quella sostenuta nella prima fase, corretta poi in seguito, faceva, infatti, capo alla cosiddetta nozione forte di controllabilità, vale a dire alla completa traducibilità al dato osservativo. Quest'ultima era poi a sua volta fondata sulla condizionale di realizzabilità di ogni condizione sperimentale. L'idea era in linea con la concezione operazionista di Bridgman ancora sostenuta anche da Carnap nella prima fase della Costruzione logica del mondo. Non affronteremo qui questa questione che esula dagli scopi del presente lavoro, tuttavia ci limitiamo a dire che la definizione operazionale fondata su D-regole o regole di designazion, in LAW, sebbene facente capo a questa concezione forte della confermabilità, non sembrò a un certo punto in grado di mantenersi, in linea con quanto richiesto da quest'ultima. La condizione di realizzabilità comportava, infatti, l'esistenza di una procedura per produrre sempre sperimentalmente la condizione S. Il problema, tuttavia, era che la condizione S per un termine disposizionale DSR, nel caso in cui questo termine fosse la nostra malattia Q3 associata a sintomi, e in cui S fosse rappresentato dal sintomo Q1, avrebbe potuto anche essere una condizione che si dava, per il nostro oggetto, in modo casuale, mentre al contrario la realizzabilità di S era intesa

48

come un prerequisito indispensabile della condizione di traducibilità. Posto che il soddisfacimento del requisito di realizzabilità imponeva la presenza della cosa, e al contrario la concezione materiale del condizionale, nella definizione operazionale avrebbe comportato invece una banalizzazione della sua verità nel caso di assenza dell'oggetto, per via della falsità dell'antecedente, la definizione operazionale apparve improvvisamente agli occhi di Carnap come una soluzione inadeguata.

Di qui nacque la proposta di una nozione diversa della definizione che potesse evitare le fallacie che conseguivano alla definizione operazionale: la definizione condizionale (Hempel, 1950=1970: 223). Pur introducendo una nozione non puramente disposizionale, Carnap continuava tuttavia a mantenere nell'articolo “Controllabilità e significato” (TM, 1936), una concezione ancora disposizionale dei termini teorici (C.G.Hempel, 1950=1970: 224), che abbiamo definito prima una nozione complessa, ma che Hempel nell'articolo “Il criterio empiristico di significato” (C.G.Hempel, 1950) giudicò inadeguata. Hempel in modo a nostro avviso molto interessante, introduceva in quest'articolo anche l'idea che una soluzione alla questione sarebbe potuta andare nella direzione di un'analisi della relazione tra definiens e definiendum data nei termini di un condizionale controfattuale. Nondimeno il giudizio di Hempel era che l' ipotesi, tuttavia, non era praticabile data la mancanza, all'epoca, di un'analisi dei condizionali controfattuali (C.G.Hempel, 1950=1970: 223). Ma per il Carnap di quella fase, la strategia della definizione condizionale fu intesa alla maniera di condizionali come gli enunciati di riduzione bilaterale. La soluzione rappresentava in ogni caso una soluzione alternativa al problema posto in evidenza sopra e menzionato anche da Hempel, relativo alla definizione operazionale della prima fase. Vediamo dunque in che modo si articola questa proposta di soluzione.

Carnap. I postulati di significato come disposizioni convenzionali (disposizioni complesse)

49

mondo prima fase della Costruzione logica, il significato, ad esempio di "pettirosso" era determinato da una lunga serie di tutte le proprietà di tipo osservativo, espresse mediante le cosiddette regole di designazione o D- regole, indicate dal termine 4, nella seconda fase di “Postulati di significato” (MP, 1952), introdotta già dalle riflessioni che appaiono in “Controllabilità e significato” (TM, 1936) tali regole furono sostituite dai più semplici postulati di significato. La novità era che tali postulati potevano rappresentare solo delle relazioni di significato consentendo di ridurre la complessità delle regole di designazione, di tipo osservativo.

Il ricorso alle D- regole avrebbe richiesto, infatti, una complessità eccessiva, in quanto si sarebbero dovute indicare tutte le proprietà necessarie per specificare il significato del corrispettivo termine. Abbiamo visto prima il caso del termine “pettirosso” (vedi p. 9) rimandiamo dunque a quel paragrafo per un'esposizione integrale dell'esempio. In ogni caso il termine poteva essere analizzato e tradotto in questo modo, quando il termine era definito sulla base di regole di designazione

(D-regole) del tipo D1, D2, D3:

Sempre in occasione dell'esempio di “ pettirosso” avevamo visto in seguito come tuttavia i nuovi postulati di significato della seconda fase, al contrario, consentissero di far riferimento solo a relazioni come ad esempio tra “uccello” e “animale” e tra ”pettirosso e “uccello”. Così al posto delle D- regole potevano essere introdotti, nel caso in questione, solo due postulati di significato (vedi p. 9) (PFP, 1966=1970: 100 ) che riportiamo per comodità qui di seguito:

Postulati di significato

P1: “Tutti gli uccelli sono animali”

in simboli:

(x) (Ux ⊃ Ax) 4

50

(“Per tutti gli x, se x è un uccello allora x è un animale”) e

P2:“Tutti i pettirossi sono uccelli”

in simboli:

(x)(Px⊃Ux)

(“Per tutti gli x, se x è un pettirosso allora x è un uccello”) (PFP,1966=1970:100)

Un vantaggio della strategia dei postulati di significato (MP, 1952=1956) era il fatto di essere già orientata alle soluzioni suggerite dall'approccio semantico tarskiano per i linguaggi non naturali (MP, 1952=1970: 36). Come anticipato alla fine della sezione precedente, tale strategia consisteva nel ricorso a stipulazioni di tipo convenzionale. Rispetto alla strategia della definizione basata su D- regole, essi presentavano il vantaggio di poter giungere a una nozione di definizione tale da aggirare la questione della vaghezza dei concetti descrittivi scientifici. Ciò avveniva, in sintesi, rimpiazzando l'idea che le

le definizioni, come al contrario accadeva nella prima fase della definizione operazionale basata su D-regole, fossero assimilabili a un' analisi dei concetti così definiti. Esse apparivano così nella nuova veste di definizioni cosiddette condizionali. Tuttavia la nuova tesi prevedeva anche un secondo fondamentale passaggio.

La natura della definizione delineata mediante il ricorso alle convenzioni, veniva, infatti anche paragonata a un enunciato di riduzione bilaterale (MP, 1952=1970: 43), il quale altro non era che un enunciato bicondizionale. Quest'ultimo era ottenuto a partire da due enunciati di riduzione rappresentativi del modo in cui era introdotto un concetto nella teoria, sulla base di disposizioni semplici.

L'idea di un ricorso a coppie di enunciati di riduzione, come mostra l'osservazione di Carnap (TM, 1936=1970: 204) citata in precedenza, è che questa strategia è la sola a

51

consentire la possibilità di ridurre, anziché totalmente tradurre un termine a percezioni primitive e termini del linguaggio puramente osservativo. Il caso particolare della sua versione bicondizionale, o enunciato di riduzione bilaterale poteva rappresentare, tuttavia, ancora il caso particolare della traducibilità all'interno della più generale condizione di riducibilità. L'enunciato di riduzione bilaterale, in modo analogo a una definizione ottenuta sulla base dei postulati di significato, rappresentava, infatti, per Carnap, l'analogo di una decisione di intendere il significato dell'espressione come dato in modo esaustivo. Come realizzò in seguito il filosofo, ciò significava, infatti, che un significato delineato in questo modo non sarebbe stato passibile di ulteriori specificazioni relative a nuovi e diversi enunciati di riduzione per il termine introdotte nelle fasi successive della ricerca o in generale della conoscenza.

Carnap: gli enunciati di riduzione

Poco fa era stato evidenziato il fatto che la definizione condizionale di questa seconda fase poteva essere caratterizzata, secondo Carnap, come intrecciata a una concezione disposizionale del significato, nel senso più complesso di disposizione menzionato sopra. Inoltre Carnap osserva che questo genere di definizione può essere intesa come un analogo dell'enunciato di riduzione bilaterale. Sebbene il ricorso alla strategia degli enunciati di riduzione divenga centrale solo nella terza fase, un profilo di questo genere di enunciato è necessario per comprendere che cosa possa significare istituire questo paragone. Questa considerazione di Carnap si rivela, infatti, particolarmente rilevante poiché indica le ragioni della presa di distanza, nella terza fase, dalla fase dei postulati di significato e della definizione condizionale. L'origine del cambiamento parziale di direzione fu un interesse più marcato circa la questione del significato, della definizione e dell'analiticità dei termini teorici che figuravano nelle teorie empiriche e scientifiche i quali non potevano essere né tradotti né ridotti a dati percettivi. Tali termini non potevano infatti essere eliminati dalla teoria a favore di una loro possibile riduzione ad altre nozioni più basilari.

52

Ma torniamo alla questione degli enunciati di riduzione. Un enunciato di riduzione bilaterale risultava essere la congiunzione di due enunciati di riduzione semplici, gli enunciati di base sui quali era costruita la possibilità di rendere conto dell'analiticità. Un enunciato di riduzione semplice, corrispondeva invece a un enunciato condizionale5 R, preceduto da un quantificatore universale, sul modello del seguente esempio:

Enunciato di riduzione R : Q1 ⊃(Q2 ⊃ Q3 )

Il vantaggio che presentava questo genere di enunciato era il fatto che a differenza delle D-regole di designazione poteva introdurre un termine ovvero un concetto, anche scientifico, in una teoria, senza alcuna pretesa di definirlo. Esso poteva essere inteso come analogo ad un condizionale all'interno di un secondo condizionale (TM, 1936- 1937=1970: 175, 176-180). L'esempio R riportato sopra avrebbe potuto rappresentare, ad esempio, il caso del termine teorico Q3 uguale a “streptococco” menzionato prima,

in occasione delle nostre riflessioni sulla nozione di disposizione, facendo appunto riferimento ai rispettivi sintomi Q1 e Q2 citati in quell'ambito.

L'enunciato R costituiva, per Carnap, una soluzione al problema del significato dei termini teorici emerso con la vecchia definizione operazionale della prima fase poiché non vincolato, in realtà, all'idea di “totale” traducibilità al dato osservativo.

Un enunciato di riduzione semplice risultava, pertanto, appetibile perché un termine teorico come Q3 sarebbe potuto apparire all'interno della teoria come introdotto, e non definito, anche da una coppia di enunciati di riduzione R1*, R2* come la seguente.

(R1*) Q1 ⊃(Q2 ⊃ Q3 ) (R2*) Q4 ⊃(Q5 ⊃ ~Q3 ) (TM, 1936-1937 = 1970: 176) 5

Da non confondere con la reazione 'R', rispetto a un evento correlato S, all'interno della nozione di disposizione.

53

Ma il vantaggio di questa strategia era il fatto che rendeva possibile introdurre ulteriori nuove coppie di riduzione per Q3, poniamo ora R3, R4, contenenti altre situazioni e sintomi Q6, Q7 e Q8, Q9 che sarebbero potuti emergere in seguito sulla base degli sviluppi successivi della ricerca. La nuova nozione di enunciato di riduzione sostituiva, perciò, la D-regola di designazione sulla quale si basava la vecchia concezione di definizione operazionale. Essa, inoltre, era strettamente associata a quella variazione della concezione di confermabilità6 menzionata al paragrafo precedente, che Carnap

6

La nozione di confermabilità per enunciati di questo tipo appariva diversa dal caso operazionista della definizione. Per poter risultare confermabile nel senso forte e nel senso di ciò che era controllabile per l'operazionismo, si sarebbe dovuto descrivere il metodo di controllo per l'enunciato in questione. Quest'ultimo consisteva in un metodo di controllo per il predicato Q3 . Tale metodo avrebbe dovuto corrispondere all'effettiva disponibilità di una procedura equivalente a una sorta di riduzione, quale quella richiesta da Carnap, ma comprendente le seguenti implicazioni:

1)il predicato Q1 avrebbe dovuto corrispondere a una condizione di controllo per Q3, ovvero una situazione sperimentale che si sarebbe dovuta istituire per controllare Q3

2)il predicato Q2 avrebbe dovuto descrivere una condizione di verità per Q3

, vale a dire un possibile risultato sperimentale della condizione di controllo Q1 in un dato punto b. Tale risultato, se presente, avrebbe consentito l'attribuzione di Q3 a b. L'idea di fondo era che se la condizione di controllo si fosse trovata ad essere realizzata in b, qualora la condizione di verità fosse stata anche soddisfatta in b, b avrebbe avuto la proprietà Q3

sottoposta al controllo.

Per soddisfare il primo requisito secondo la vecchia nozione di controllabilità forte, Q1 avrebbe dovuto , tuttavia, essere realizzabile, vale a dire che si sarebbe dovuto sapere come produrre la condizione sperimentale, mentre per soddisfare il secondo requisito, Q2, si sarebbe dovuto sapere in anticipo in che modo avrebbe dovuto essere confermabile la condizione di verità per Q3. Q2 avrebbe dovuto essere, dunque, osservabile o esplicitamente definito in base a predicati osservabili, poiché solo gli osservabili potevano essere controllati senza che occorresse la descrizione di un ulteriore metodo di controllo- Un genuino metodo di controllo associato alla confermabilità poteva dunque essere espresso solo mediante un enunciato in forma universale, come l'enunciato di riduzione R citato sopra R: Q1 (Q2 Q3 )

R non avrebbe potuto, infatti essere espresso da un semplice condizionale come quello che esprimeva le D-regole di designazione:

D: Q1 Q2

il quale facesse riferimento a un dato osservativo inteso come percezione, poiché avrebbe dovuto consentire la possibilità di non essere in presenza dell'effettivo caso in questione, senza ricadere nella banale verità del corrispondente condizionale materiale. Il caso è preso in considerazione anche da Hempel (Hempel, 1950=1970) . Hempel prospetta la possibilità di giungere a due diverse soluzioni di fronte alla trivializzazione del condizionale materiale che conseguiva dalla definizione nel senso classico,

54

intendeva in questa seconda fase come una nozione più “debole”, a differenza di quella "forte" di stampo operazionista della prima fase.

Diversamente da quest'ultima, la nozione debole di confermabilità non prevedeva infatti il soddisfacimento della condizione di realizzabilità (cfr. qui nota 8). Questo fatto avrebbe così consentito a un enunciato di riduzione di riferirsi a termini teorici che come Q3 non possedevano un referente preciso o che fosse facilmente individuabile una

volta per tutte.

La traducibilità totale al dato osservativo, cioè a un punto spazio temporalmente determinato, venne così sostituita con una nozione di riduzione al dato osservativo che non comportava una completa eliminazione dell'espressione nei termini del dato. Questo accadeva nonostante che l'obiettivo di fondo fosse ancora quello di giungere a una definizione dell'espressione in gioco. Con definizione condizionale si intendeva perciò la possibilità di ridurre le proprietà teoriche introdotte nella teoria a una sorta di descrizioni che facevano riferimento al dato osservativo, senza che questo pregiudicasse la possibilità di definire termini che come quelle teorici scientifici presentavano situazioni più complesse degli ordinari termini descrittivi. La differenza rispetto a una normale definizione, tuttavia, era che l'enunciato di riduzione, sebbene anch'esso in forma di condizionale, non veniva più concepito, in questo contesto, alla maniera di un secondo e più basilare genere di definizione, come appariva invece nel caso delle D- regole della Costruzione logica, ma come l'elemento che introduceva l'espressione nella teoria, senza che questo comportasse una descrizione di quest'ultima. Tuttavia Carnap

operazionista basato su D-regole. Si trattava o del riferimento a un'interpretazione controfattuale di tale condizionale che intendesse il caso della falsità dell'antecedente dato dalla sua mancata realizzazione, come il darsi di una possibilità, o alternativamente la soluzione carnapiana di anteporre a tale condizionale un quantificatore universale, in analogia con la forma conferita da Carnap agli enunciati di riduzione. La questione e la scelta tra le due diverse opzioni è strettamente associata, come osserva Hempel, al problema della natura della legge scientifica. Nonostante le indicazioni Hempel, tuttavia, non considera ancora del tutto soddisfacente la soluzione proposta da Carnap in questa fase. Non affronteremo qui questa questione, sebbene riteniamo che essa possa rappresentare un problema centrale nella critica williamsoniana alle concezioni epistemiche dell'analiticità e alla conseguente propsota di un metodo di formazione delle credenze che assume le vesti di un condizionale controfattuale.

55

riteneva possibile ottenere ancora una definizione, qualora due enunciati di riduzione, ovvero una coppia di riduzione, fossero apparsi, se presi in congiunzione, nella forma di un enunciato di riduzione bilaterale, o enunciato bicondizionale. A questo corrispondeva, per Carnap la nuova concezione della definizione condizionale elaborata nella seconda fase.

Una definizione siffatta, ottenuta mediante il ricorso ai postulati di significato, venne così descritta dal filosofo, anche come analoga alla situazione in cui un termine teorico Q3 potesse essere definito mediante una coppia di riduzione bilaterale. Una coppia

“bilaterale” di enunciati di riduzione, appariva infatti diversa dal caso R1*, R2* menzionato sopra. Al contrario, essa corrispondeva a una coppia simmetrica R1, R2del