CAP 1 LA NATURA CONDIZIONALE DELLA STIPULAZIONE NELLA CONCEZIONE EPISTEMICA
1.5. La terza fase: l'abbandono della nozione di definizione dei termini teorici e il ricorso
Nella terza fase del pensiero di Carnap, un più marcato interesse per la questione dei termini teorici, suggerisce un ridimensionamento del ruolo della definizione condizionale basata su postulati di significato. Essa è intesa ora sempre più come un caso particolare all'interno di una caratterizzazione più ampia dell'analiticità non confinata al caso della definizione (Carnap, 1963=1970: 89, 91 e nota 16: 89), come nelle due fasi precedenti, ma più in generale dal ricorso a un nuovo genere di postulato (teorico) e all'enunciato di Ramsey.
Il passaggio segna un cambiamento nella concezione dell'analiticità che si qualifica ora come una nozione valida anche nell'ambito più complesso delle teorie empiriche e scientifiche. La definizione condizionale, come dicevamo corrisponde al caso in cui i nuovi enunciati di riduzione risultano essere, se presi in congiunzione, equivalenti a un bicondizionale (TM, 1963=1970: 89), ovvero a un enunciato di riduzione bilaterale. Qualche pagina più indietro avevamo osservato tuttavia, lasciando poi in sospeso la questione, che questa soluzione lasciava in realtà irrisolti alcuni problemi. La ragione dell'analogia tra la definizione ottenuta sulla base di postulati di significato e quella ottenuta sulla base di un enunciato di riduzione bilaterale RB, per Carnap, è che in modo analogo a quest'ultimo, la prima non dà origine a conseguenze fattuali, vale a dire a conseguenze analoghe a quella che può essere intesa come la portata fattuale del termine definito all'interno del suo significato e all'interno di una rappresentazione della
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sua teoria. Per quanto riguarda il postulato di significato, in particolare, questa è la conseguenza del fatto che esso poggia su una convenzione.
La particolarità suddetta contraddistingue, dunque, la definizione condizionale poiché l'enunciato di riduzione bilaterale, in modo analogo a un postulato di significato introduce, ma in un modo che può essere qui considerato come esaustivo e definitivo il significato del termine in oggetto come se esso fosse determinato. Ciò nonostante l'eventualità di una possibile indeterminatezza divenne una questione essenziale, quando all'interno della riflessione sui termini descrittivi comparvero termini teorici come gli esempi di “temperatura”, “elettrone” e via dicendo.
Diversamente da un postulato di significato, il ricorso ai soli enunciati di riduzione enfatizzava ora l'esigenza già evidenziata da Carnap nell'articolo del '52 (MP, 1952), che prima ancora di occuparci del significato o della definizione, occorreva far riferimento al modo in cui un termine poteva essere introdotto nella teoria facendo appello a predicati osservativi, e non dunque al modo in cui esso poteva essere definito da questi ultimi.
Se ad esempio avessimo dovuto definire il significato di un termine teorico relativo a una malattia, poniamo il nostro solito Q3, “streptococco”, associata al realizzarsi di una
data condizione Q1, e di certi sintomi, poniamo Q2, il problema sarebbe stato come
porre la questione della modalità di introduzione di un predicato corrispondente a Q3
nella teoria scientifica.
Di fronte a un'eventuale concezione disposizionale del significato di un termine teorico il problema appariva dunque non di immediata soluzione. Una prima risposta era stata, come abbiamo visto, una concezione più ampia di disposizione come quella della seconda fase, ancora in linea con la nozione di definizione, sebbene di stampo condizionale e non più operazionale, ma in seguito, nella terza fase, fu un vero e proprio accantonamento della concezione disposizionale del significato e della stessa idea di definizione.
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piuttosto con l'idea che essa equivaleva alla spiegazione di un concetto o ancora di più, semplicemente alla spiegazione di un termine. L'accento sembrava, dunque, essersi spostato dalla tesi che fosse possibile fornire l'analisi di un concetto all'idea che la questione andasse riformulata in modo tale da non coinvolgere direttamente gli stessi concetti11.
Concentriamoci, dunque, ora sul terzo passaggio. Problemi degli enunciati di riduzione bilaterale
Nonostante la prima soluzione di Carnap al problema dell'analiticità, data nei termini della definizione condizionale, anziché di quella operazionale, la questione, come già evidenziato da Hempel (C.G.Hempel, 1950=1970 ), rimaneva nondimeno controversa.
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Carnap intese la differenza tra le prima due fasi, vale a dire tra le due concezioni operazionale e condizionale della definizione, come differenza tra due modi di intendere la definizione analoghi rispettivamente a una spiegazione e a una definizione
Ma Carnap aveva evidenziato anche un'altra importante differenza.
Essa comportava una distinzione, nella seconda fase, non solo tra spiegazione e definizione intesa nel modo operazionale, della prima fase, ma anche tra spiegazione dell'explicandum e ciò che rappresentava l'analisi di un concetto ( C. Juhl. E. Loomis, 2010: 55) La spiegazione, diversamente dalla definizione di tipo operazionale data mediante regole di designazione, e dunque diversamente anche dall'idea di analisi di un concetto, consentiva il cambiamento e l'arricchimento o implementazione dell'explicandum per scopi scientifici e filosofici, senza necessariamente corrispondere a un tipo di analisi. Il modo in cui questa concezione della definizione anloga a una spiegazione era divenuta plausibile, era stato per l'appunto il ricorso agli enunciati di riduzione
Per questa ragione la concezione della definizione condizionale quale esempio di teorema (definizione 2) è tale da mantenere il vantaggio che si ottiene attribuendo il primato ai postulati di tipo convenzionale, vale a dire a stipulazioni esplicite e che in realtà introducono, e non ancora definiscono, un termine, al contrario di quanto invece inteso dalla definizione basata su D-regole della prima fase.
Cio nonostante, sia Quine che lo stesso Carnap, come abbiamo visto, in alcuni passaggi di “Postulati di significato”, intendono questi postulati come un genere particolare di definizione, che abbiamo chiamato internamente definizione C o introduzione di tipo linguistico-convenzionale del termine. Il vantaggio di queste stipulazioni esplicite quali sono i postulati linguistici per Carnap , è il fatto di asserire semplici relazioni tra significati di termini descrittivi che poggiano su questioni non problematiche di sinonimia. La non problematicità di questa nozione è conseguenza del fatto che Carnap, in questa seconda fase, ritiene ancora possibile giungere a una completa determinazione del significato delle espressioni, compresi i termini descrittivi e teorici. Questa idea, tuttavia , non verrà più sostenuta solo pochi anni dopo, già a partire dal celebre articolo “Il carattere metodologico dei concetti teorici” (Carnap, 1956), il quale segna anche il passaggio alla terza fase del pensiero di Carnap. Si tratta di una diversa concezione della stipulazione, e conseguentemente anche delle nozioni di definizione e di analiticità. L'analiticità non verrà pertanto più costruita sulla base della nozione di definizione, ma a partire da uan diversa nozione.
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La possibilità di mantenere una definizione per termini come “temperatura” mediante la strategia dei postulati di significato risolveva i problemi del condizionale materiale solo a condizione che il significato dei termini teorici fosse inteso in una concezione ancora disposizionale del significato.
Il problema posto ad un'analisi del significato per i termini teorici sembrava infatti dover prevedere la possibilità di una traduzione di queste espressioni nei termini osservativi, tale da poterle distinguere dai termini non sensati della metafisica, lasciando al tempo stesso uno spazio ancora indeterminato all'interno del loro significato. Questa idea richiedeva l'ennesima riflessione sulla nozione stessa di disposizione e sul suo effettivo ruolo all'interno di un'analisi del significato. Possiamo dunque sintetizzare la nozione di Carnap di disposizionalità fin qui esposta come facente capo a due diverse e alternative versioni:
a) una nozione disposizionale pura corrispondente alla prima fase della Costruzione logica (LAW, 1928), ovvero alla prima fase delineata in precedenza, affine alla posizione operazionista dell'empirismo logico e in linea con una concezione operazionista della definizione12 (definizione operazionale) ottenuta a partire dalle D-regole;
b) una concezione disposizionale più complessa in linea con la proposta di definizione condizionale data nei termini di postulati di significato. Tale proposta, nella strategia che fa ricorso a enunciati di riduzione, corrisponde in sostanza a un enunciato di riduzione bilaterale (un enunciato bicondizionale preceduto da un operatore universale).
La questione che rimaneva ancora controversa, alla luce dei problemi menzionati sopra, era pertanto se i termini teorici di una teoria scientifica potessero essere realmente
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Si tratta della nozione di definizione che sopra abbiamo indicato come Definizione D o anche Definizione 1.
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intesi alla maniera disposizionale, pura o complessa che fosse.
Anche nella seconda accezione di disposizionalità, in linea con la definizione condizionale, non sarebbe stato possibile tenere conto della natura “ampia” di un termine teorico. Il significato di questo genere di espressioni andava al di là di ogni suo concreto e particolare utilizzo, e della somma delle sue attuali istanze, dunque la questione della sua traducibilità nei termini di dati osservativi, come abbiamo già osservato, non poteva essere intesa come l'esigenza di una sua totale riducibilità al dato. Questo carattere si mostrava anche nel ruolo svolto dal termine rispetto alle inferenze13 induttive, o meglio ai ragionamenti induttivi, previsti da una teoria che fosse funzionale alla ricerca scientifica e alla capacità di quest'ultima di introdurre previsioni. Le previsioni di stampo sperimentale e osservativo mostravano una maggior estensione del significato del termine rispetto a ciò che era stato testato solo fino a quel momento e fino a quella precisa fase della ricerca scientifica. La sua utilità comprendeva la capacità di incidere su nuove previsioni della teoria e sulla creazione di nuove conoscenze. In seguito, pertanto, Carnap abbandonò del tutto la concezione disposizionale, per una nuova concezione dei termini teorici. La terza fase segnò perciò un passaggio a:
c) una nozione teorica e non più disposizionale dei termini teorici, e una concezione dell'analiticità (ampia) che non faceva più ricorso a una possibile definizione per suddetti termini, ma che faceva capo a un postulato teorico. Si rifiutava pertanto la precedente idea che il significato, meglio descritto come significato empirico dei termini teorici, potesse essere dato attraverso una definizione.
Quest'ultima posizione, come vedremo, (MCTC, 1956=1970: 301-305) nasceva in corrispondenza di una concezione più ampia di analisi, parzialmente orientata ai problemi posti dall'induzione quale legittima modalità inferenziale delle teorie
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Precisiamo, tuttavia, che Carnap ritiene che il carattere induttivo di una teoria non possa essere sempre espresso nemmeno attraverso la nozione di inferenza induttiva (Carnap, 1969=1970: 519-520)
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empiriche, sebbene nell'ambito di un interesse ancora prevalentemente rivolto alla capacità deduttiva di una teoria. La nuova tesi è inoltre intrecciata al nuovo approccio al significato che si manifesta nella nuova nozione di significanza empirica. Essa prende forma, in sintesi, attraverso l'idea che la portata fattuale, sperimentale di un'espressione, ovvero la differenza che l'introduzione di quel termine nella teoria, comportava, rispetto alla formulazione possibile di predittivi osservabili, dovesse entrare a far parte del significato. La portata sperimentale deduttiva, rappresentava, dunque, il carattere fattuale degli enunciati analitici all'interno delle teorie epistemiche. In questo modo veniva introdotta anche una nuova concezione dell'analiticità. Vedremo, infatti, tra poco, come l'argomento sulla base del quale avviene l'abbandono di ogni nozione di definizione, anche nella forma più evoluta della definizione condizionale, si basasse sull'idea che quest'ultima, in modo simile a un enunciato di riduzione bilaterale non prevedeva alcuna conseguenza fattuale sul resto della teoria. Questo carattere della definizione evidenziava infatti come il significato, se così concepito, dopo una prima introduzione del termine, non prevedesse alcun modo particolare di incidere sul resto della teoria, in contrasto con le nuove esigenze poste in luce da Carnap di tenere conto dell'implementazione empirica.
La terza fase o concezione teorico-postulazionale enfatizzò, pertanto, la nuova esigenza di tenere conto, all'interno del significato, e di conseguenza anche della nuova nozione di analiticità, delle conseguenze sintetiche, fattuali, dell'introduzione del termine all'interno della teoria. Solo in questo modo si poteva tenere conto, secondo Carnap, della natura parzialmente indeterminata, e solo parzialmente interpretabile, dei termini teorici. Prima di passare alla fase teorico postulazionale è necessario, tuttavia scendere qualche parola sulle ragioni che rendeva così problematica la definizione condizionale.
Problemi della concezione disposizionale pura associata alla definizione condizionale.
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modo di presentarsi degli enunciati di riduzione (TM 1936-37= 1970: 178- 185; 1952 = 1970: 43), per i motivi menzionati sopra, non rappresentava, per Carnap, la condizione normale della conoscenza.
La possibilità della definizione consisteva, come abbiamo già osservato, in una decisione di intendere certe coppie di enunciati di riduzione come esaustive dell'intero significato. Abbiamo visto prima come questo caso si presentasse quando i due enunciati di riduzione corrispondevano alla coppia R1, R2, simmetrica:
R1: Q1 ⊃(Q2 ⊃ Q3) R2: Q1 ⊃(~Q2 ⊃ ~Q3)
I due enunciati R1 e R2, in questo particolare caso, erano infatti equivalenti all'enunciato
di riduzione bilaterale RB:
R1 e R2: Q1 ⊃ (Q3 ≡ Q2)
(TM, 1936-37=1970: 178; 1952=1970: 43) RB: Q1 ⊃ (Q3 ≡ Q2)
La definizione condizionale o RB non costituiva, pertanto, realmente un modo di comprendere il significato, inteso come significanza empirica del termine Q3 poiché (MCTC,1956=1970: 302) tale definizione risultava analitica solo in virtù del fatto che l'unione di R1 e R2 non prevedeva alcuna conseguenza sintetica. Ciò significava che il termine introdotto Q3 non aveva portata fattuale sul resto della teoria. Questo fatto, dunque, non poteva più essere il caso che interessava a Carnap. Il problema evidenziato della mancanza di conseguenza sintetica non era di poco conto poiché segnava la pressoché totale inefficacia dell'espressione introdotta sul piano dello sviluppo della ricerca e della conoscenza.
Perché una simile concezione dell'analiticità potesse valere occorrevano, infatti, condizioni molto ristrette (MCTC, 1956 = 1970: 302) e assai rare in una teoria
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scientifica o empirica. In primo luogo l'idea che fosse possibile una completa traduzione nei termini osservativi e che il significato potesse dirsi interamente esaurito dalla definizione.
Ma la peculiarità dei termini teorici, come il caso del termine Q3 mostrava, al contrario, come tali espressioni fossero piuttosto sempre solo parzialmente interpretabili e come in virtù di questo fatto, in un genuino resoconto del procedere della conoscenza, potesse essere rintracciata, all'interno del loro significato, una zona di indeterminatezza.
Nel caso del termine Q3 la zona di indeterminatezza equivaleva a una situazione in cui non si sarebbero avuti i sintomi Q1 e Q2, ma poniamo nuovi sintomi Q4 e Q5 senza poter escludere di essere ugualmente in presenza della malattia Q3. Inoltre, posta anche
l'eventualità di nuovi sintomi Q4 e Q5, occorreva pensare che forse nuovi casi si
sarebbero potuti ripresentare in forma ancora diversa e che dunque tale zona di indeterminatezza sarebbe stata equivalente a una situazione in cui non si sarebbero presentati né Q1 e Q2 menzionati prima, né quelli Q4 e Q5 senza che tuttavia si potesse escludere di trovarsi ancora in presenza di un caso di Q3. Non si poteva escludere di poter scoprire, magari in seguito, che la malattia Q3 poteva essere associata ad ulteriori
sintomi ancora non riscontrati Q6, come ad esempio “mal di testa”. In questo caso, dunque, la ricerca avrebbe dovuto prevedere la possibilità di introdurre successivamente altre coppie di enunciati di riduzione per Q3, ad esempio R6, R7 contenenti un riferimento
a Q6 e Q7. L'idea di far riferimento alla zona di indeterminatezza divenne pertanto esprimibile, per Carnap, mediante un enunciato come il seguente, facente capo alla vecchia strategia degli enunciati di riduzione, il quale doveva entrare a far parte integrante del significato, se quest'ultimo avesse dovuto essere inteso anche come significanza empirica:
~[(Q1 e Q2) V (Q4 e Q5)] (TM, 1936-37 = 1970: 188)
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Nondimeno valeva inoltre un'altra importante osservazione.
L'utilità del termine teorico, per Carnap, come abbiamo già osservato, si manifestava nelle conseguenze fattuali che una sua introduzione comportava sul resto della teoria. Questo carattere del termine era appunto ciò che veniva inteso come portata fattuale (deduttiva) dell'espressione, consistente nella differenza che avrebbe fatto una sua introduzione nella teoria rispetto alla previsione di eventi osservabili. Il problema, per Carnap, era che occorreva seriamente far emergere questo aspetto in una spiegazione del significato di un termine come Q3.
La risposta consistette, pertanto, nell'idea che ciò che consente di rendere conto della portata fattuale del termine teorico Q3 è appunto un enunciato S', ottenuto come trasformazione dell'unione della coppia di riduzione R1,R2 utilizzata per introdurre il termine:
S': (x) ~(Q1, Q2 x e Q4,, Q5 x) (Carnap 1936-37 =1970, p. 180)
S' rappresentava così, per varie ragioni, la portata sperimentale, fattuale del termine teorico Q3, introdotto sulla base degli enunciati R1,R2, sulla zona ancora indeterminata di Q3. In primo luogo perché era equivalente alla congiunzione dei suddetti enunciati R1, R2,, ovvero dei due enunciati di riduzione che avevano introdotto nella teoria il termine
Q3, sulla base delle conoscenze attuali della ricerca scientifica. In secondo luogo, sempre per lo stesso motivo, perché S' rappresentava al contempo la zona ancora indeterminata di Q3, gettando un'ombra sui successivi risvolti della ricerca e le ulteriori specificazioni del significato del termine. La peculiarità dell'enunciato S' era che esso avrebbe potuto essere sintetico solo nel caso in cui i due enunciati di riduzione generali introduttivi del termine non fossero stati analoghi al caso specifico R1 R2, menzionato sopra, vale a dire, qualora fossero stati presi in congiunzione, che non fossero stati analoghi all'enunciato di riduzione bilaterale RB corrispondente alla definizione
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condizionale del termine.
La natura analitica di S' avrebbe corrisposto, infatti, in questo caso, all'assenza di conseguenze sintetiche derivante dall'unione di R1 R2, ma ciò avrebbe significato l'assenza di ogni portata sperimentale, fattuale e di ogni capacità del termine di incidere sugli sviluppi successivi della ricerca, nonché l'impossibilità di tenere conto seriamente di nuovi apporti esperienziali. Ciò significava, pertanto, che questo caso non sarebbe stato adeguato come resoconto di una definizione di un termine teorico.
Di conseguenza si mostrò anche l'inadeguatezza di ogni concezione disposizionale del significato che avesse come naturale conseguenza l'analiticità di S'. Un enunciato S' di questo tipo avrebbe figurato, infatti, come analogo a un enunciato che possiamo chiamare S'1 così caratterizzato:
S'1: (x) ~(Q1, Q2 x e ~Q1,Q2 x)
La forma particolare S'1 assunta qui dall'enunciato S' nel caso esso fosse stato equivalente al caso particolare della coppia di riduzione R1 R2, appariva infatti proprio come il genere di enunciato descritto sopra, ovvero privo di conseguenze sintetiche. Per questa ragione S'1 era anche un enunciato analitico.
Questa conseguenza, d'altra parte era in linea, nell'ottica di Carnap della terza fase, con la vecchia tesi sostenuta nell'articolo del '52 (Carnap, 1952) secondo la quale, sulla base degli esempi che abbiamo fornito in precedenza, lo stesso risultato avrebbe potuto essere ottenuto interpretando alla luce della strategia degli enunciati di riduzione i postulati di significato.
Sulla base di queste ragioni, Carnap mostrò dunque che la concezione puramente disposizionale del significato che si trovava alla base della definizione condizionale non poteva valere come nozione esplicativa del significato di un termine teorico, se esso doveva essere inteso come “aperto” e parzialmente indeterminato, in linea con il
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Carnap, così, segnò l'avvio di quella che abbiamo definito la terza fase nella concezione della natura del significato dei termini teorici.
1.6. L'abbandono della definizione. Il nuovo ruolo del condizionale nella