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Hysteron proteron all’interno di discors

Nel documento Hysteron proteron nell' Eneide di Virgilio (pagine 70-135)

Meritano una riflessione distinta quei casi d’inversioni temporali all’interno dei discorsi diretti e indiretti, che posso essere attribuiti all’inclinazione del parlante a collocare per prima l’azione soggettivamente più importante, tralasciando la successione reale e giustapponendo i vari passaggi. Non di meno lo h. p., anticipando un’azione temporalmente posteriore, rappresenta in modo efficace la rapidità di una scena, accelerando il ritmo narrativo, non di rado si colloca in contesti dove una serie di eventi si susseguono in modo veloce, come movimenti repentini e improvvisi e sequenze rapide. Molti di questi casi si collocano nei libri II e III, all’interno della digressione del racconto di Enea, che costituisce un lungo discorso diretto. Talvolta lo h. p. avviene non tra due verbi ma tra sostantivi, ed è in tali casi assimilabile allo stile elencativo omerico, che giustappone vari elementi paratatticamente in dicola sinonimici e alla Doppelung del linguaggio arcaico.

relinquunt,|vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. Cfr. A. Fo, s. v. maereo, EV, vol. III, p. 308, che attribuisce all’aggettivo maestus, una “valenza luttuosa”, riferito alla tristezza sia per la morte altrui che per la propria fine imminente «A volte maestus è usato per l’atteggiamento di un personaggio nei confronti della propria morte: è il caso dell’anima di Lauso (E 10, 819-20 tum vita per auras|concessit maesta ad Manis corpusque reliquit), e di quelle di Erifile (6, 445) e del guerriero Oronte (12, 514); a tale tristezza sembra mescolarsi quella della mancata sepoltura nei casi delle anime di Leucaspi e Licia…e di Palinuro».

215 Page, comm. cit. ad loc. rigidamente interpreta il corpusque relinquit come «a explanation of the

main clause», tuttavia il primo colon non ha bisogno di essere ulteriormente chiarito, il secondo colon costituisce un ulteriore ritornare sulla stessa immagine cambiando la prospettiva. Cfr. la più convincente interpretazione di Mcdevitt, Hysteron proteron…. cit. pp. 320-321, «the pedant will say that his life must leave the body before withdrawing to the Manes, but here again (cf. 8. 125, fluvium relinquunt, discussed above), reliquit does not mean 'left', but 'left behind'. We are here given a picture of the body abandoned by the soul and left lying on the ground, an image which is quite distinct from that of the soul flying through the air, and since these images are distinct, there is no illogicality in the order in which they are presented. Further, the victim Lausus is a hero for whom Virgil and Aeneas display considerable sympathy. His death is handled by the poet with tenderness, and it is to be noted that the order of clauses chosen by Virgil immeasurably enhances the pathos of the scene. We watch his soul depart through the air to the Underworld, but we are not allowed to dwell on it; our vision is redirected to the earth, where the shell of the man lies empty on the ground. By placing corpusque reliquit at the end, Virgil has underlined for us the sad finality of death. If the clauses were reversed, reliquit could only mean 'left', the line would be simple narrative, and the exquisite pathos would be wholly lost».

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Giunone si adira poiché nonostante sia la regina dell’Olimpo e divinità tutelare del cielo216 non può impedire a Enea di raggiungere il mar Tirreno, mentre Atena con le sue stesse mani e senza intermediari217 aveva potuto in passato vendicare l’oltraggio di Aiace Oileo a Cassandra, distruggendone la flotta in una tempesta, I 39-45:

Pallasne exurere classem Argivum atque ipsos potuit submergere ponto, unius ob noxam et furias Aiacis Oilei?

Ipsa, Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem,

disiecitque rates evertitque aequora ventis,

illum expirantem transfixo pectore flammas turbine corripuit scopuloque infixit acuto.

Giunone narra l’episodio scandendo le azioni compiute da Atena, così da esaltare quegli stessi poteri che a lei sono interdetti: attraverso una serie di coordinate è rappresentata la distruzione della flotta (v. 43 disiecitque rates evertitque aequora

ventis), successivamente la fine di Aiace (vv. 44-45 illum expirantem transfixo pectore flammas|turbine corripuit scopuloque infixit). Il v. 43 costituisce h. p.218, infatti prima è enunciato il risultato ottenuto (disiecit rates), poi il mezzo usato dalla dea219 (evertitque aequora ventis) e corrisponde a quello che Giunone chiede ad Eolo

216 Cfr. Cic., De nat. d., II 26, 66, aer…interiectus inter mare et caelum Iunonis nomine consecratur,

quae est soror et coniunx Iovis.

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Cfr. Conington-H. Nettleship, Vergil, London 1881-93, ad loc., Conington osserva che in Euripide Tro., v. 80, Zeus manda la tempesta e Poseidone sconvolge il mare, mentre Pallade si limita a scagliare saette, qui i poteri di Pallade sono esagerati così da esaltare il contrasto fra i poteri illimitati di Pallade e la frustrazione di Giunone.

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La critica si divide sull’interpretazione dello h. p.: Austin, comm. cit. ad loc. obietta «the two action are simoultaneous, linked by the double -que, and there is no h. p.»; solitamente il doppio – que come osserva Austin, P. Vergili Maronis, Aeneidos liber quartus, Oxford 1955, ad. v. 83, «tended to be employed with words related in sens or type, sometimes almost as formulae» come caelique marisque o noctesque diesque; tuttavia in Aen. I 43 le due azioni correlate non sono simultanee, Giunone infatti sta narrando la vendetta di Atena passaggio dopo passaggio- secondo quindi una cronologia- così da enfatizzare tutto ciò che la dea fu capace di compiere e che a lei è interdetto. Si veda anche Harrison, comm. cit. ad. v. 186 che riporta esempi in cui le due azioni connesse da –que non sono simultanee: «rarely the phrases connected are not parallel, e. g. v. 521 “ostentans artemque pater arcumque sonantem”, VIII 277 “velavitque comas foliisque innexa pependit”». Cfr. anche Knight, Roman Vergil, Harmondsworth 1944, p. 274 « unlike Greek τε, -que in Latin should not strictly mean ‘both’, but only ‘and’». G. Stégen, comm. cit. ad loc. polemizza con Austin, «Il y a bien là un hysteron proteron contrairement à ce que croit Austin. Car le moyen (bouleverser la mer) précède normalment le but (disperser des navires).». Sbaglia invece Stégen a portare a confronto Aen. 4, 430, dove non vi è h. p. ma tautologia.

219 Cfr. Paratore Virgilio. Eneide, trad. it. di L. Canali, Milano 1978-1983, ad loc. «se disiecit rates è

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di realizzare, v. 69 incute vim ventis submersasque obrue puppes, dove le azioni sono collocate nella sequenza temporale naturale e i venti sono menzionati all’inizio (incute vim ventis), enfatizzati in quanto competenza primaria del dio. Il v. 43 ripete quanto già espresso ai vv. 39-40 Pallasne exurere classem|Argivum atque ipsos

potuit submergere ponto aggiungendo dettagli e enfasi alla descrizione delle azioni

straordinarie compiute da Atena, come nota Scaliger «Grandius dici evertit, quam subvertit, quasi mare extra alveum suum verterit», in contrasto con il più tenue avertere, negato a Giunone, vv. 37-38 …mene incepto desistere victam|nec posse

Italia Teucrorum avertere regem?; mentre Corradus osserva «signatius dici aequora, quam mare; quae deinde agitata, turbata, eversa ventis». Le due azioni che formano lo h. p. sono legate dal doppio –que polisindetico (disiecitque… evertitque), un

pattern dello stile epico arcaico che contribuisce a conferire solennità al miracolo

compiuto da Atena220. L’uso della paratassi in luogo della subordinazione fa risaltare le immagini singolarmente e le colloca sullo stesso piano, benché una sia logicamente conseguente all’altra, evocando la rapidità e l’estrema facilità con cui Atena poté piegare al suo volere la potenza del mare.

Gli Scholia Danielina a Servio rilevano un caso di hysterologia221in IV 14 heu,

quibus ille|iactatus fatis! Quae bella exhausta canebat!: “per tanta pericula casus

insequitur? et est hysterologia: nam prius est ut bella exhauserit, post fatis iactatus”. Didone confida alla sorella la profonda impressione suscitata in lei da Enea e dai suoi racconti, nel cui ricordo ha trascorso la notte insonne, IV 3-5 Multa viri virtus animo,

sembra esprimere, con un’inversione frequente fra i poeti, la causa che determina l’azione precedente: proprio perché scatenando i venti sollevò la furia del mare, Minerva riuscì a disicere rates». Cfr. R. G. Kent, Hysteron Proteron in the Aeneid I-VI, “The Classical Weekly”, Vol. 3 No. 10 (Dec. 18, 1909) pp. 74-78 «disiecitque rates evertitque aequora ventis, 'roused the waves and scattered the ships'; the scattering of the ships is the result, not an antecedent fact, of the stirring up of the waters».

220 Sul legame correlativo -que…-que cfr. Austin, comm. cit. ad I 18 «this correlating -que…-que is a

feature of epic style, found already in Ennius, who took it over from the Homeric τε...τε […] the words so linked are normally related concepts». Per questo stilema in Plauto ed Orazio cfr. l’importante studio di E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto, Firenze, 1960 (trad. di F. Munari), p. 199 sgg.

221 Un caso di h. p. notato dagli Scholia Danielina è da respingere per un’ inesatta interpretazione del

testo cfr. ad Aen. IV 130 : « iubare exorto nato lucifero: nam proprie 'iubar' lucifer dicitur, quod iubas lucis effundit: unde iam quicquid splendet iubar dicitur,ut argenti, gemmarum. est autem lucifer interdum Iovis: nam et antiqui 'iubar' quasi 'iuvar' dicebant: plerumque Veneris stella:unde Veneris dicta est, ut quem Venus ante alios astrorum diligit ignis. alii iubar solem; alii splendorem siderum dicunt. sanemodo hysteroproteron in sensu est; [nam si lucifer iubar est] iubar enim praecedit auroram. et facit 'hoc iubar, huius iubaris'.». Il termine iubar in questo contesto significa “luce irradiata dal sole”, cfr. Pease ad loc. «sun mane…may refer to shalfts of light radiating from the not yet visible sun».

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multusque recursat|gentis honos: haerent infixi pectore voltus|verbaque. L’ordine

temporale degli eventi narrati da Enea è stravolto nella mente di Didone, i cui pensieri seguono una ‘gerarchia’ interiore, che mette in risalto ciò che più ha colpito la sua sensibilità. L’elemento in proteron è iactatus fatis v. 14-15 con iactatus che, come nota Pease, rappresenta una delle espressioni chiave dell’Eneidea, caratterizzando Enea come alter Ulisse, agli occhi della regina “bello di fama e di sventura”, come nota Austin, «Dido loves him for the danger he has passed». Il participio iactatus è collocato all’inizio del verso dall’enjambement, analogamente a I 628-29, Me quoque per multos similis fortuna labores|iactatam hac demum voluit

consistere terra.|Non ignara mali, miseris succurrere disco dove è la stessa Didone a

definirsi iactata. Didone s’innamora di Enea anche per la symapheia verso i labores che hanno segnato le esistenze di entrambi – il lutto del coniuge, la ricerca di una nuova patria – più importante rispetto ai bella, di cui era già giunta fama a Cartagine, che connotano Enea sul piano eroico più che su quello umano222. In questo caso l’h.

p. non è costituito da due proposizioni coordinate da –que o et ma da due

proposizioni esclamative con anafora e poliptoto dell’aggettivo qui e si realizza grazie alla subordinazione del tempo oggettivo al tempo interiore, raramente lineare.

Dopo la profezia della Sibilla, Enea replica alla sacerdotessa che nulla di quanto predetto gli era ignoto (VI 103-104), egli chiede solo che gli sia permesso di passare per la vicina porta degli inferi al fine di poter incontrare il padre (unum oro VI 106). Enea, per predisporre positivamente la Sibilla ad accogliere la sua istanza, ricorda le traversie trascorse per trarre in salvo il genitore e le difficoltà che Anchise stesso sopportò, superando i limiti imposti dall’età avanzata (v. 114). In VI 115-116 Enea introduce il padre stesso a formulare la richiesta, ponendosi in veste di supplice:

Quin, ut te supplex peterem et tua limina adirem idem orans mandata dabat.

222 Cfr. G. Lotito, Dal IV libro dell'Eneide al XXIV dell'Iliade. Qualche esplorazione, Pisa 2008, p. 51-

52 «Quei concetti che il narratore aveva sintetizzato ritornano trasformati dalla potenza dell’amore: labllezza ora conquista il primo posto, sia pure con la sobrietà del pudore, trattenuta neitermini ma veemente nel tono (quem sese ore derens…!, 11); nello stesso giro di frase segue l’ammirazione per la virtus (quam forti pectore et armis); poi il riconoscimento dell’aristocrazia altissima del genus (Credo equidem, nec vana fides, genus esse dorum) dedotto dal (e perciò legato al) suo coraggio (degeneres timor arguit): per dirla con le parole di Cicerone, alla sua contemptio doloris et mortis, dal tema del coraggio alla compassione per la sventura: heu quibus ille /iactatus fatis! Quae bella exhausta canebat! Una compassione a cui si mescolano l’empatia dell’esule e il fascino dei verba».

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Il discorso è reverenziale e appropriato allo statuto divino della Sibilla, e fa riferimento alla richiesta dell’ombra di Anchise in V 731-736:

Ditis tamen ante infernas accede domos et Averna per alta

congressus pete, nate, meos. Non me impia namque

Tartara habent, tristes umbrae, sed amoena piorum concilia Elysiumque colo. Huc casta Sibylla nigrarum multo pecudum te sanguine ducet.

I mandata di Anchise non dicono che Enea dovrà farsi supplex, ma si limitano ad asserire che la Sibilla guiderà Enea223. Nel discorso di Enea al v. 115 si osserva un caso di h. p.: la proposizione in hysteron, et tua limina adirem, ripete variando quanto espresso dalla proposizione all’inizio del verso, Quin, ut te supplex peterem, e cambia il complemento oggetto con uno spostamento metonimico – al posto della sacerdotessa il luogo in cui si trova224. Il primo colon contiene l’informazione fondamentale (recarsi dalla Sibilla) e la destinataria stessa della preghiera, mentre nel secondo colon si trova il comando “accessorio” che consente il realizzarsi del te

supplex peterem e che in esso è implicito, ovvero raggiungere il santuario in cui è

possibile incontrarla225,

In relazione al v. 115, Norden226 parla di un tratto stilistico tipico della prosa più arcaica e nota che adire limina è immagine religiosa227: Il dicolon paratattico te

223Cfr. Servio non riconosce lo h. p. e osserva: “orans mandata dabat sic dictum est, ut “supplex tua

numina posco” : maior enim ad impetrandum vis est eum rogare, qui possit iubere. mandata dabat ut “huc casta Sibylla nigrarum multo pecudum te sanguine ducet”.

224 Horsfall, comm. cit. ad loc. interpreta peterem nel senso di “recarsi” (“make for”) e a differenza di

Norden è d’accordo con Austin nel negare l’h. p. cfr. Austin «tua limina adirem simply restates te supplex peterem, with supplex common to both verbs».

225 Cfr. E. Courtney, op. cit. p. 5 «When Vergil wrote moriamur et in media arma ruamus, he was not

thinking which action preceded the other in time, but putting the vital point first and exercising his fondness for coordination indead of such subordination as would have been achieved by moriamur ruendo.»

226 Cfr. E. Norden comm.cit. ad loc. e Anhang II, 2. Cfr. anche E. Courtney, op. cit, p. 5 che osserva la

tendenza nella sintassi arcaica a costruire la frase come una serie di unità semindipendenti, con anticipazione dell’elemento più urgente, poiché «psychological factors are more important».

227

Cfr. D. Scagliarini Corlaita, s. v. limen, in EV, vol. III, p. 225 «Il termine…si estende come sineddoche […] a indicare l’intera struttura della porta e in generale l’ingresso, la parte anteriore di un edificio, e addirittura un edificio, una sede nel suo complesso, in questa accezione segnalandone l’accesso condizionato, l’inviolabilità, l’impenetrabilità e quindi evocando un atteggiamento di rispetto da parte di chi vi accede, o, al contrario, di violenza da parte di chi tale limite infrange

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supplex peterem et tua limina adirem riflette la tendenza della prosa arcaica e del

linguaggio solenne-religioso alla Doppelung, ovvero a raddoppiare un’espressione in una coppia sinonimica.228 Simili h. p. si riscontrano in Omero Od. VI 314-315

ἐλπωρή τοι ἔπειτα φίλους τ᾽ ἰδέειν καὶ ἱκέσθαι|οἶκον ἐυκτίμενον καὶ σὴν ἐς πατρίδα γαῖαν e Catullo, nel C. 64, 85 magnanimum ad Minoa venit sedesque superbas, che ugualmente identificano lo stesso luogo attraversodue termini distinti, invertiti rispetto all’ordine in cui sono raggiunti, dove però l’inversione è meno netta in quanto avviene tra sostantivi e può essere interpretata come una forma di elencazione. Lo “Streben” virgiliano verso l’andamento paratattico lo porta a mutare strutture sintattiche che in prosa si esprimerebbero con subordinate, con il risultato che talvolta due azioni appartenenti a momenti cronologicamente diversi sono poste su uno stesso piano (ad es. in prosa al v. 115 la proposizione et tua limina adirem sarebbe stata introdotta da cum, simul etc.229), la mancanza di gerarchia fra le proposizioni data dall’assenza di subordinazione porta a collocare in prima posizione la parte fondamentale del messaggio.

In VI 337-383 si descrive l’incontro con l’insepolto Palinuro, fidato nocchiero della nave ammiraglia di Enea, che racconta le dinamiche della sua morte. Palinuro cadde in mare e vagò naufrago per tre giorni prima di poter raggiungere l’Italia, dove trovò la morte per mano di popolazioni locali. VI 358-361:

Paulatim adnabam terrae: iam tuta tenebam,

Ni gens crudelis madida cum veste gravatum

Prensantemque uncis manibus capita aspera montis

Ferro invasisset praedamque ignara putasset

[…]Nella discesa agli inferi di Enea, il termine l[imen]. scandisce ripetutamente le partizioni dell’oltretomba, e ancor prima la sacralità dell’antro della Sibilla, di cui Enea non supera la soglia: ventum erat ad limen, 6, 45; ut te supplex peterem et tua limina adirem, v. 115; nostro…in limine pendes, v. 151». Per l’uso del verbo adire per il recarsi presso un oracolo, cfr. Aen. VII 81 sgg. At rex sollicitus monstris oracula Fauni,|fatidici; genitoris, adit lucosque sub alta|consulit Albunea.

228 Cfr. la più lunga testimonianza in nostro possesso di un componimento preletterario, la preghiera a

Marte tramandata da Catone De Agr., 141, 2-3, caratterizzata da un’alta presenza di Doppelungen sinonimiche. Cfr. la profezia di Eleno che prescrive ad Enea di recarsi presso la Sibilla, caratterizzata dallo stesso andamento per dicola, Aen. III 456 sgg. quin adeas vatem precibusque oracula

poscas|ipsa canat, vocemque volens atque ora resolvat. 229

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Norden fa notare che il poeta non lascia dire a Palinuro in maniera diretta che dei briganti l’hanno assassinato e neppure la sorte del suo cadavere, il racconto è ellittico e usa la forma eufemistica di una possibilità di salvezza delusa, espressa attraverso il periodo ipotetico dell’irrealtà, sebbene l’evento sia veramente accaduto230

: egli ormai si considerava al sicuro (v. 358 iam tuta tenebam, come nota il Pascoli «nell’apodosi è la sicurezza, che solo dall’azione inaspettata della protasi è distrutta») se una gens

crudelis non lo avesse aggredito: v. 361 ferro invasisset, praedamque ignara putasset. Il v. 361 presenta un’inversione della causa e dell’effetto - il pensiero

espresso dall’astratto putasset è posposto rispetto all’azione (ferro invasisset). Il racconto di Palinuro è un crescendo di tensione ottenuto attraverso la combinazione di diverse scelte lessicali e sintattiche: il senso d’attesa dell’imperfetto, l’andamento paratattico, l’ipotetica che trasmette il senso di stupore tipico di chi sta per morire; l’esito tragico è anticipato prima da crudelis, e dopo la condizione già precaria del naufrago è espressa attraverso due participi, gravatum e prensantem, e raggiunge il suo culmine in ferro invasissent. Interessante è l’osservazione di Page231 secondo il quale Virgilio ha collocato all’inizio il pensiero principale e ha trasformato «a phrase which is logically subordinate though in strict grammar coordinate». L’azione espressa da ferro invasissent smentisce inoltre con forza iam tuta tenebam, che riproduce il pensiero di Palinuro, che si riteneva ormai al sicuro.

Per ellissi narrativa è omessa la sorte del cadavere di Palinuro, ma sono rappresentati i pensieri degli aggressori, definiti ignari, così da sottolineare la tragicità dell’assassinio consumatosi nell’indifferenza dei trascorsi di Palinuro e della sua identità.

La richiesta di Palinuro di poter attraversare il fiume suscita la viva riprovazione della Sibilla: le leggi della casa di Ade sono inviolabili e la sacerdotessa rimprovera seccamente il desiderio blasfemo dell’inhumatus (dira cupido v. 373). In VI 374-375

Tu Stygias inhumatus aquas amnemque severum| Eumenidum aspicies, ripamve iniussus adibis? Norden nota lo h. p.: l’azione in hysteron (ripamve iniussus adibis) è

230 Cfr. A. Traina-T. Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, Bologna 19932, p. 437 (§382, n.

2) relativamente ale periodo ipotetico di III tipo con tempo storico dell’indicativo nell’apodosi «con l’imperfetto “dell’azione sospesa”,a indicare che il processo verbale dell’apodosi era già in corso prima che intervenisse la protesi a impedirne il compimento».

231 Cfr. T. E Page, comm.cit. ad loc. «…Virgil does continually append to the main clause, which

naturally comes first, an explanatory clause introduced by que (or sometimes et), and this clause, which is really subordinate to the main clause and naturally follows it, often refers to something which

Nel documento Hysteron proteron nell' Eneide di Virgilio (pagine 70-135)

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