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I caratteri dell'attività di investigazione difensiva

Le disposizioni più significative della nuova legge si hanno sul versante strettamente operativo.

Tali norme, afferenti al profilo della ricerca ed individuazione di elementi di prova, sono contenute nel libro V, dedicato alle indagini preliminari ed all'udienza preliminare, agli artt. 391-bis ss. c.p.p.

Tuttavia, la norma simbolo della nuova disciplina legislativa è l'art. 327-bis c.p.p. che riconosce il principio della libertà investigativa in funzione alla realizzazione di obiettivi inerenti alla tutela della parte privata coinvolta.

La norma fissa dunque un principio di carattere generale dal quale è possibile far discendere il diritto della parte privata di svolgere investigazioni difensive, in quanto al comma 1 afferma che "fin dal

99 Così A. De Caro, Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal

codice Rocco alla riforma delle investigazioni difensive, cit., p. 3217.

100 Si veda V. Grevi, Ancora e sempre alla ricerca del "giusto processo", in Leg.

pen., 2001, p. 475, il quale sottolinea come il legislatore abbia affrontato un tema

delicatissimo per gli equilibri del processo "in maniera frettolosa ed

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momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis del presente libro".

Sintomatica è anche la collocazione della norma, posta tra quella che individua nel pubblico ministero il soggetto cui è attribuita la direzione delle indagini preliminari, l'art. 327 c.p.p., e quella che individua la figura del giudice per le indagini preliminari e ne delimita i poteri, l'art. 328 c.p.p.

Il legislatore segna così il passaggio dall'abrogato art. 38 disp. att. c.p.p. che affermava una generica facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito al fine di esercitare il diritto alla prova di cui all'art. 190 c.p.p., istituendo un chiaro parallelismo tra tale attività del difensore e quella istituzionalmente demandata al pubblico ministero101 e attribuendo al difensore la veste di soggetto delle

indagini preliminari.

L'art. 327-bis c.p.p. determina quindi il venir meno del rapporto di strumentalità tra l'attività di indagine difensiva ed il diritto alla prova, anche se, il comma 2 dello stesso articolo, recupera immediatamente questa strumentalità affermando che la facoltà prevista dal comma 1, "può essere attribuita per l'esercizio del

diritto di difesa"; tuttavia non si intravede in tale scelta una volontà

legislativa tesa a sganciare l'attività di indagine difensiva dall'esercizio del diritto alla prova102.

101 Così A. Tronci, Op. cit., p. 2265; in tal senso anche A. De Caro, Percorsi

legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal codice Rocco alla riforma delle investigazioni difensive, cit., p. 3219, il quale però sottolinea come "in tal modo si consacra l'idea di due indagini parallele realizzate da pubblico ministero e difensore in ovvia posizione di disparità reale (a fronte di una parità solo virtuale) con un giudice chiamato a mediare (ma è mediazione solo probabile) eventuali lesioni di diritti fondamentali".

102 Cfr. L. Suraci, Le indagini difensive, cit., p. 64, il quale riconosce nella

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Le caratteristiche proprie dell'attività di investigazione difensiva, si differenziano da quelle del pubblico ministero; preliminarmente occorre tuttavia evidenziare che sussiste un dato comune ad entrambe le attività costituito dall'art. 188 c.p.p., il quale, affermando che "non possono essere utilizzati, neppure con il

consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti", fissa un limite di carattere

assoluto e generale.

La norma si premura di stabilire che non possono essere utilizzati tali metodi e tecniche neppure con il consenso dello stesso interessato, in modo tale da assicurare margini di protezione rispetto alle influenze sullo stesso.

Non solo, la norma dispiega la sua azione anche verso l'esigenza di garantire la genuinità dei risultati probatori.

Di conseguenza il divieto, pena inutilizzabilità degli atti d'indagine ad esso relativi, si estende a tutte le attività aventi natura probatoria a prescindere dal soggetto che le pone in essere, derivandone altresì la sua necessaria applicabilità anche alla fase delle indagini preliminari.

Stante quindi questa caratteristica comune alle attività di investigazione della difesa e del pubblico ministero, in ordine alle differenze occorre rilevare che, primariamente, l'attività di investigazione difensiva è una attività "facoltativa" in quanto la decisione di compiere indagini è posta in capo al difensore, sulla base di una valutazione di opportunità della stessa ai fini di tutela della persone assistita103; in ciò differisce dall'attività del pubblico

riconducibile ad un fenomeno di sciatteria legislativa", per la quale sembra che "il diritto all'indagine non spetti al difensore ex lege, ma soltanto per concessione di qualcuno".

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ministero che essendo un'attività di carattere pubblicistico è anche "necessaria" e basata su un obbligo di lealtà processuale.

L'attività investigativa del difensore può comunque essere soggetta a una rinuncia da parte dell'assistito volta ad escludere tale attività dall'oggetto del mandato difensivo, essendo, queste, operazioni che implicano uno sforzo economico imponente.

L'attività di indagine difensiva è inoltre caratterizzata da una "monodirezionalità"104, nel senso che l'opera di investigazione del

difensore, il quale ha un dovere di correttezza ma non un obbligo di ricercare e presentare al giudice elementi sfavorevoli alla parte assistita, è rivolta esclusivamente a favore del proprio assistito; ciò a differenza del pubblico ministero che, invece, deve svolgere la propria attività in tutte le direzioni sulla base dell'art. 358 c.p.p., norma che gli impone di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini105.

Inoltre l'attività di indagine difensiva è connotata da una possibile "frammentarietà", essendo il difensore libero nella scelta degli atti da compiere e delle risultanze di essi da portare a conoscenza della controparte e da sottoporre al giudice106.

La capacità espansiva del principio di frammentarietà presenta delle particolarità in relazione a due norme: l'art. 360 c.p.p. e l'art. 430, comma 2, c.p.p.

Infatti nel primo caso, in occasione di atti irripetibili compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, l'art. 391-decies c.p.p., prescrive che la relativa documentazione sia depositata nel fascicolo del pubblico ministero e in quello del difensore.

Allo stesso modo, la disposizione dell'art. 430 c.p.p., modificata dall'art. 14 della legge n. 397/2000, implica la peculiarità che il difensore possa svolgere attività integrativa di indagine

104 L. Suraci, Le indagini difensive, cit., p. 68.

105 Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., p. 652. 106 Cfr. L. Suraci, Le indagini difensive, cit., pp. 68-69.

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successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio, la cui documentazione, al pari di quella formata nell'ambito delle corrispondenti investigazioni del pubblico ministero, deve essere "immediatamente depositata nella segreteria del pubblico

ministero"107.

Ulteriore caratteristica dell'attività di investigazione difensiva è quella della "consensualità": non essendo conferita ai soggetti dell'investigazione privata la titolarità di poteri coattivi, in relazione ai casi in cui il compimento di un atto di indagine si ponga in contrasto con i diritti di libertà di determinati soggetti, occorre la necessaria adesione di essi108; differentemente il

pubblico ministero è titolare di poteri coercitivi sulle persone e sulle cose, anche se, di regola, soggetto a controllo del giudice109.

Riferimento particolare merita il carattere di "tassatività" degli atti investigativi atipici, sul versante difensivo.

Infatti per il compimento di questi atti ritroviamo un elemento comune tra attività del pubblico ministero e del difensore, in quanto nessun elemento di differenziazione sembra potersi ravvisare rispetto ai caratteri generali dell'indagine pubblica, non essendo rinvenibile un "numero chiuso" di atti investigativi difensivi.

Il silenzio del legislatore, tuttavia, potrebbe alimentare una tesi opposta e restrittiva, volta ad enucleare invece un principio di tipicità, alla quale potrebbe pervenirsi tramite una interpretazione letterale e formale del rinvio, operato dall'art. 327-bis c.p.p., alle forme stabilite nel titolo VI-bis del libro V.

Tale ultima opzione restrittiva sarebbe però frutto di un approccio semplicistico, e addirittura pericoloso, sul piano dell'impiego processuale delle risultanze investigative, potendo realizzare un

107 Cfr. L. Suraci, Le indagini difensive, cit., p. 69. 108 L. Suraci, Ivi, p. 70.

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risultato volto a vietare il compimento di attività di indagine diverse da quelle oggetto di tipizzazione legislativa e quindi a sanzionarne l'inutilizzabilità delle relative risultanze110.

Nonostante il silenzio legislativo, nulla porta a ritenere che il legislatore abbia inteso formalizzare un numero chiuso di atti di indagine difensiva; infatti, con il riferimento operato dall'art. 327-

bis c.p.p. alle "forme" del titolo VI-bis, il legislatore ha voluto

richiamare, non i singoli atti d'indagine di cui all'art. 391-bis c.p.p., bensì le modalità di svolgimento delineate da ciascuna attività tipizzata111.

Fermo restando che i soggetti privati devono astenersi dal compimento di operazioni con l'impiego di strumenti restrittivi di diritti inviolabili della persona o lesivi di situazioni giuridiche altrui, deve ritenersi, inoltre, che le attività diverse da quelle tipiche, possano essere compiute con le modalità idonee alla realizzazione del risultato acquisitivo atteso.

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