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Indagini difensive e parità delle parti: alla ricerca di un equilibrio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

INDAGINI DIFENSIVE E PARITA' DELLE PARTI: ALLA

RICERCA DI UN EQUILIBRIO

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Valentina Bonini

Candidato:

Ercole Riccardo Bruno

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I

INDAGINI DIFENSIVE E PARITA' DELLE PARTI: ALLA

RICERCA DI UN EQUILIBRIO

INDICE

pag.

Considerazioni introduttive

1. Oggetto dell'indagine ... V 2. Struttura della tesi e metodologia di indagine. ... IX

CAPITOLO I

L'EVOLUZIONE NORMATIVA DAL CODICE ROCCO ALLA LEGGE N. 397 DEL 2000 E IL FONDAMENTO

COSTITUZIONALE DEL DIRITTO ALL'INDAGINE PRIVATA

1. Introduzione. ... 1 2. Le indagini difensive nel Codice Rocco e la diffidenza culturale nella vigenza del sistema inquisitorio. ... 2 3. Da una concezione statica ad una concezione dinamica del diritto di difesa e il diritto di difendersi provando... 7 4. Le investigazioni difensive nel Codice "Vassalli" e l'art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura. ... 11 5. Le prospettive aperte dalla legge Carotti e dalla legge

costituzionale n. 2 del 1999. ... 27 6. Il ruolo delle norme deontologiche in rapporto alla disciplina delle investigazioni difensive... 31

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II

CAPITOLO II

I PROFILI GENERALI DELLA LEGGE 7 DICEMBRE 2000, N. 397

1. Introduzione. ... 41

2. I caratteri dell'attività di investigazione difensiva. ... 43

3. I confini temporali dell'attività di indagine del difensore. ... 48

4. I confini territoriali delle investigazioni difensive. ... 62

5. I soggetti legittimati alle investigazioni difensive. ... 88

5.1 Il difensore. ... 89

5.2 Il sostituto del difensore. ... 96

5.3 L'investigatore privato autorizzato. ... 97

5.4 Il consulente tecnico. ... 109

5.5 L'attività del pubblico ministero a favore della persona sottoposta alle indagini e le indagini compiute su richiesta dell'indagato. ... 112

CAPITOLO III L'OGGETTO DELLE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE 1. Introduzione. ... 114

2. L'attività di ricerca ed individuazione di elementi di prova dichiarativa. ... 116

2.1 Le persone contattabili e le tutele di segno particolare. 121 2.2 Gli avvertimenti. ... 136

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III

2.3 I meccanismi per superare il silenzio del dichiarante. ... 146 2.4 Il potere di segretazione del pubblico ministero. ... 162 2.5 La testimonianza indiretta. ... 165 3. La richiesta di documenti alla pubblica amministrazione. ... 168 4. L'accesso ai luoghi. ... 172

4.1 Gli atti non ripetibili compiuti in occasione dell'accesso ai luoghi e gli accertamenti tecnici non ripetibili. ... 180 5. L'esame delle cose sequestrate. ... 190 6. La consulenza tecnica privata extraperitale. ... 195 7. La documentazione degli atti delle investigazioni difensive. ... 201 8. L'utilizzazione degli atti delle investigazioni difensive. ... 226

8.1 Acquisizione e utilizzabilità degli atti delle investigazioni difensive nel procedimento cautelare. ... 227 8.2 Il fascicolo del difensore... 234 8.3 L'utilizzazione degli atti delle investigazioni difensive nell'udienza preliminare. ... 239 8.4 L'attività integrativa di indagine. ... 240 8.5 Acquisizione ed utilizzabilità degli atti delle investigazioni difensive nei riti differenziati predibattimentali. ... 242 8.6 Gli atti difensivi nel fascicolo del dibattimento. ... 252 8.7 Acquisizione e utilizzabilità degli atti delle investigazioni difensive nel dibattimento. ... 256

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IV

8.8 L'utilizzazione degli elementi di prova presentati al

pubblico ministero. ... 263 9. La valenza probatoria degli atti delle investigazioni difensive. ... 266 10. L'investigazione difensiva "atipica" e la legge sulla privacy. ... 267 Conclusioni... 275 Bibliografia ... 284

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V

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. Oggetto dell'indagine

L'oggetto della tesi è la disciplina delle investigazioni difensive alla luce della legge 7 dicembre 2000, n. 397, recante "Disposizioni in

materia di indagini difensive" e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2001 che, in un'ottica di parallelismo e di parità

con l'attività di indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, ha inteso fornire al difensore gli strumenti idonei a sostenere la posizione del proprio assistito per consentire la piena attuazione del diritto difesa attraverso una regolamentazione organica dell'attività di indagine, di documentazione ed utilizzazione delle relative risultanze.

L'elaborato non può prescindere dall'analisi dell'evoluzione che ha caratterizzato la figura del difensore a seguito della svolta in senso accusatorio del sistema processuale avvenuta con l'approvazione del Codice "Vassalli" del 1988 e dell'introduzione dei principi del giusto processo e del contraddittorio in Costituzione, che hanno condotto al superamento dell'atteggiamento di chiusura nei confronti dell'attività di indagine in capo al difensore perpetrato dal legislatore, dalla giurisprudenza e dagli ordini professionali nella vigenza del Codice "Rocco" del 1930.

Si rimarca la presa di consapevolezza nel riconfigurare il ruolo del difensore da un soggetto non idoneo a contribuire all'accertamento della verità processuale e con una funzione di mera resistenza rispetto alle pretese punitive dell'accusa ad un soggetto caratterizzato da una facoltà di ricerca ed individuazione degli elementi di prova a favore del proprio assistito come esplicazione fondamentale del diritto di difesa riconosciuto "in

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ogni stato e grado del procedimento" dall'art. 24 della Costituzione,

a seguito del quale il diritto di difesa non poteva più essere concepito come uno strumento di natura tecnico-processuale, bensì come un diritto che si sviluppasse in una difesa attiva e dinamica che comprendesse anche il "diritto di difendersi provando".

Si dà segno di come tale consapevolezza abbia trovato riscontro nella legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, recante "Delega

legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale" che, recidendo i legami con il passato,

ha previsto che il codice di rito del 1988 dovesse essere incentrato sul modello accusatorio, unico sistema in grado di garantire l'attuazione dei principi fatti propri dalla Carta costituzionale e dalle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia, assegnando un ruolo differente a tutti i protagonisti del processo.

La tesi evidenzia come il legislatore avesse però dedicato alle facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto alla prova il solo art. 38 delle disposizioni di attuazione, attraverso una norma collocata all'esterno del codice di rito. Tale articolo, nella sua formulazione definitiva, risultava peraltro generico e lacunoso: esso non disciplinava le modalità di svolgimento delle attività investigative né tantomeno prevedeva la possibilità di documentazione degli atti compiuti dal difensore. L'inciso iniziale dell'art. 38 disp. att. c.p.p., il quale prevedeva che "al fine di esercitare il diritto alla

prova prevista dall'art. 190 del codice" i difensori potessero

svolgere investigazioni per ricercare elementi a favore del proprio assistito, aveva indotto interpretazioni restrittive secondo le quali il rapporto paritario tra accusa e difesa doveva riferirsi alla sola fase del giudizio; uno dei dati emblematici di tale atteggiamento restrittivo nei confronti dell'attività di indagine del difensore, che continuava ad essere condotto anche a seguito dell'emanazione del

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VII

codice, era costituito dall'elaborazione della c.d. "teoria della canalizzazione" fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale tutti i risultati delle indagini dovevano essere canalizzati sul pubblico ministero, collocando di fatto le ricerche della difesa al di fuori del procedimento e assegnando alle stesse un carattere informale.

In relazione alla legge sulle investigazioni difensive, si sottolinea l'importanza che si è inteso attribuire alla nuova disciplina dell'attività di indagine della difesa in un'ottica di parallelismo con quella della parte pubblica che si evince chiaramente sia dalla previsione dell'art. 327-bis c.p.p., inserito tra gli artt. 327 e 328 c.p.p. relativi all'attività del pubblico ministero e della polizia giudiziaria e a quella del giudice per le indagini preliminari, che attribuisce al difensore la qualifica di soggetto delle indagini preliminari, sia dalla collocazione delle nuove disposizioni all'interno del corpus codicistico in un apposito titolo del libro V, con la previsione di nove articoli, dall'art. bis all'art.

391-decies c.p.p., i quali delineano l'oggetto, i tempi, le modalità di

documentazione e di utilizzabilità dell'attività investigativa compiuta dal difensore delle parti private.

Si analizzano gli aspetti temporali, rispetto ai quali risultano significativi della volontà del legislatore di allargare le maglie dell'attività del difensore a tutto l'iter procedimentale, l'art.

327-bis c.p.p., che attribuisce la facoltà di investigazione difensiva "in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione", e l'art. 391-nonies c.p.p., che

consente al difensore di effettuare attività di investigazione anche "per l'eventualità che si instauri un procedimento penale".

Si fa riferimento altresì all'ampliamento operato dalla legge sulle investigazioni difensive nella previsione dei soggetti di cui il difensore può avvalersi nella ricerca degli elementi di prova a

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VIII

favore del proprio assistito come strumento fondamentale nei casi in cui siano necessarie specifiche competenze tecniche nell'espletamento degli atti di indagine, consentendo così al difensore la compensazione della disparità di risorse operative con il pubblico ministero.

Si esaminano gli artt. 391-bis ss. c.p.p., con i quali il legislatore ha inteso conferire al difensore gli strumenti tipici di ricerca ed individuazione di elementi di prova a favore del proprio assistito necessari a condurre l'indagine parallela in condizione di piena parità con l'indagine dell'antagonista pubblico; si rimarcano tuttavia le criticità della disciplina laddove si impone al difensore di affidarsi all'intermediazione del pubblico ministero per il compimento dell'atto di indagine con i connessi rischi di discovery anticipata dei risultati dell'attività di investigazione difensiva. Nel corso della tesi si segnala come il legislatore, nell'intenzione di omologare la valenza intrinseca degli atti del difensore a quelli del pubblico ministero ai fini della relativa utilizzazione procedimentale, abbia attribuito al dominus delle investigazioni difensive la possibilità di procedere alla redazione di "verbali" dell'attività compiuta, con il necessario riferimento, altresì, alla qualificazione giuridica del difensore e alla natura attribuita agli atti di indagine difensiva dalla giurisprudenza.

Si analizza l'attività di investigazione congegnata dal codice con riferimento all'assunzione della prova dichiarativa e alle altre attività tipiche, rivolgendo lo sguardo anche alla possibilità di svolgere attività atipica d'indagine, necessariamente limitata, oltre che dai diritti costituzionalmente garantiti e dalle norme del codice penale, anche dalla normativa sulla privacy di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante "Codice in materia di protezione dei

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Nel corso dell'elaborato vengono inoltre effettuati riferimenti al ruolo di supplenza ed integrazione assunto dalle norme deontologiche in relazione alla disciplina delle investigazioni difensive, con particolare riguardo alle Regole di comportamento

del penalista nelle investigazioni difensive e alle norme del Codice

deontologico dell'avvocato.

2. Struttura della tesi e metodologia di indagine.

La tesi si compone di tre capitoli che pongono inizialmente l'attenzione sull'evoluzione della disciplina delle investigazioni difensive, anche con riferimento alla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e forense, fino alla legge n. 397/2000 la quale costituirà il punto centrale della trattazione, dapprima con riferimento ai caratteri generali dell'attività di indagine difensiva e, successivamente, in relazione all'analisi delle singole attività di indagine attribuite al difensore dal corpus codicistico, all'attività di documentazione e di utilizzazione dei risultati.

Nel primo capitolo si ripercorrono la tappe fondamentali del lento riconoscimento normativo dell'attività di indagine in capo al difensore, attraverso il superamento dell'impostazione del Codice "Rocco" del 1930 sulla base dei principi costituzionali e tramite l'adozione dei cardini del sistema accusatorio ad opera del Codice "Vassalli" del 1988 e, successivamente, mediante l'introduzione dei principi del giusto processo e del contraddittorio in Costituzione. Viene approfondito il ruolo delle norme deontologiche in relazione all'attività di indagine del difensore sia in funzione integrativa della carente disciplina legislativa, sia in funzione anticipatoria rispetto all'intervento della legge del 2000. Il secondo capitolo prende in esame i caratteri generali dell'attività di investigazione difensiva, dando segno delle differenze

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X

strutturali con l'attività del pubblico ministero, l'ampliamento dei profili temporali dell'attività di indagine del difensore e i confini territoriali con particolare riferimento alle criticità della disciplina. Sempre in questo capitolo si esaminano i soggetti abilitati a compiere attività di indagine difensiva in un'ottica di compensazione della disparità operativa con il pubblico ministero. Il terzo capitolo tratta l'oggetto dell'attività di investigazione difensiva con riferimento alle singole attività di indagine tipiche previste dal codice in capo al difensore, in particolare all'assunzione delle prova dichiarativa e i pericoli connessi ad una

discovery anticipata delle risultanze. Viene altresì analizzata

l'attività di documentazione dei risultati dell'indagine difensiva in relazione alla qualificazione giuridica di pubblico ufficiale del difensore verbalizzante fatta propria dalla giurisprudenza. Dopo aver esaminato le possibilità di utilizzazione delle risultanze durante l'iter procedimentale, il capitolo chiude con la trattazione dell'attività di indagine "atipica" e i relativi limiti connessi alla disciplina sulla privacy.

Nella elaborazione della tesi, la metodologia di indagine si è basata sullo studio delle monografie e dei commenti dottrinali relativi al ruolo del difensore e allo svolgimento dell'attività di investigazione difensiva, con i necessari riferimenti alla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito, nonché alla giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense e alle norme deontologiche.

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1 CAPITOLO I

L'EVOLUZIONE NORMATIVA DAL CODICE ROCCO ALLA LEGGE N. 397 DEL 2000 E IL FONDAMENTO COSTITUZIONALE DEL

DIRITTO ALL'INDAGINE PRIVATA

SOMMARIO – 1. Introduzione - 2. Le indagini difensive nel Codice Rocco e la diffidenza culturale nella vigenza del sistema inquisitorio - 3. Da una concezione statica ad una concezione dinamica del diritto di difesa e il diritto di difendersi provando - 4. Le investigazioni difensive nel Codice "Vassalli" e l'art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura - 5. Le prospettive aperte dalla legge Carotti e dalla legge costituzionale n. 2 del 1999. - 6. Il ruolo delle norme deontologiche in rapporto alla disciplina delle investigazioni difensive.

1. Introduzione.

Il sistema processuale penale ha registrato durante il secolo scorso numerosi interventi legislativi e manipolazioni giurisprudenziali, i quali, segnando il passaggio dal previgente sistema imperniato su un sostanziale modello inquisitorio, hanno condotto all'adozione dei principi del modello accusatorio, consacrati nel nuovo Codice "Vassalli" del 19881.

L'adozione del nuovo impianto processuale, ispirato ai principi del contraddittorio e della parità delle parti, ha reso necessario un ripensamento sulla necessità di una disciplina organica delle investigazioni difensive, strumento di riequilibrio imprescindibile, secondo un auspicato parallelismo di poteri tra parte privata e parte pubblica nell'attività di ricerca e formazione della prova. Si ripercorrono in questo capitolo le fasi salienti di un osteggiato e travagliato riconoscimento dell'attività di investigazione difensiva.

1 Il Codice di Procedura Penale del 1988 venne redatto dalla Commissione

nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia. Il testo venne approvato con d.p.r. 22 settembre 1988, n. 447, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 250 – Suppl. Ordin. n. 92 del 24 ottobre 1988.

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2. Le indagini difensive nel Codice Rocco e la diffidenza culturale nella vigenza del sistema inquisitorio.

Il codice di procedura c.d. "Rocco" del 19302 può essere

considerato un sistema processuale "misto", connotato dalla prevalenza dei caratteri propri del modello inquisitorio, maggiormente rispondente alla politica autoritaria del tempo3.

L'esame delle prospettive difensive nel vigore del codice del 1930, contrastate da un atteggiamento di chiusura e di diffidenza, non può prescindere da una preliminare differenziazione delle caratteristiche tra i modelli processuali che, se pur in gradi differenti, influenzavano il codice di procedura.

Nel sistema inquisitorio, fondato sul principio di autorità4, sussiste

una sostanziale identificazione e cumulo tra la funzione dell'accusa, che dà impulso all'azione penale, e quella del giudice, come soggetto investito del compito di monitorare dall'esterno la contesa tra le parti e decidere su di essa.

Anche sotto il profilo metodologico, tale modello si differenzia da quello accusatorio per essere caratterizzato dalla formazione della prova in una fase istruttoria, connotata dai canoni di segretezza e di unilateralità dell'accertamento e di competenza esclusiva del giudice5, il quale ha l'obbligo di compiere tutti gli atti necessari alla

ricognizione della verità che, una volta accertata in assenza di

2 Pubblicato con r.d. 19 ottobre 1930 n. 1398, congiuntamente al codice penale

del 1930 ed entrato in vigore il 1° luglio 1931.

3 A. De Caro, Ammissione e formazione della prova nel dibattimento, in La prova

penale, diretto da A. Gaito, vol. I, Utet, 2008, p. 364, sottolinea come l'ideologia

del potere "condiziona inevitabilmente il tipo di ordinamento giuridico accolto e,

quale promanazione di esso, anche il modello processuale di riferimento".

4 P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2016, pp. 5-6.

5 Cfr. A. De Caro, Ammissione e formazione della prova nel dibattimento, cit., p.

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qualsiasi forma di comparazione dialettica tra le parti, è assoluta e certa6.

Sul presupposto ideologico che la verità7 è tanto più accertata

quanti più poteri si forniscono al giudice, in tale modello le risultanze probatorie così preconfezionate nella fase istruttoria posso trasmigrare senza limiti nel fase dibattimentale e sono pienamente utilizzabili dal giudice per la decisione.

Diversamente, nel sistema accusatorio, ispirato dal principio dialettico8, dalla separazione delle fasi e dal sistema di

duplicazione dei fascicoli, la prova deve necessariamente formarsi nel contraddittorio delle parti dinanzi al giudice del dibattimento, il quale non ha alcuna libertà di ricerca e scelta delle prove, salvo limitate eccezioni.

Il modello accusatorio affida al dibattimento il massimo risalto che, sul piano della meccanica processuale, comporta l'assunzione del sistema del "doppio fascicolo", distinguendosi così il fascicolo a disposizione delle parti e irrilevante sul piano probatorio, da quello processuale comprensivo di pochi elementi e destinato ad accrescersi in seguito all'attività propria della fase dibattimentale,

6 P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., p. 11, in tal senso sottolinea come

nel sistema inquisitorio "la mancanza del contraddittorio è uno strumento

efficace per realizzare ogni arbitrio e per creare una «verità di Stato»".

7 Secondo A. Pulvirenti, Le indagini difensive: dal nuovo codice di rito alla legge di

riforma n. 332/95, in Cass. pen., 1996, p. 985, "non può dirsi, in particolare, che i due riti perseguano la ricerca di due diverse «verità»: la «verità reale» il processo inquisitorio, la «verità processuale», valida per effetto della sola osservanza delle regole, quello accusatorio, poiché il legislatore che sceglie il «metodo del contraddittorio» lo fa solo perché ritiene questo, a paragone di altri, il più affidabile nella ricerca della verità . Lo stesso concetto di «verità reale», se inteso come accertamento dotato di «attendibilità intrinseca», si risolve in una mera finzione, considerato che la sola attendibilità alla quale può aspirare un giudizio umano, qual è pur sempre il processo penale, è quella derivante dalla correttezza procedimentale dello scontro dialettico tra le parti contrapposte.".

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quest'ultima caratterizzata da "impermeabilità" rispetto alle attività acquisite nell'ambito delle fasi precedenti9.

Il legislatore del 1930 conformemente alle linee politiche del tempo, assieme alla previsione di un incremento dell'autorità processuale dell'organo giudiziario, optò, sulle orme dei codici del 186510 e del 191311, per la conservazione di un sistema

processuale formalmente "misto", prospettando una commistione tra i modelli inquisitorio ed accusatorio.

Il sistema così delineato prevedeva infatti una struttura "bifasica", costituita da una fase istruttoria e da una fase dibattimentale: la prima deputata all'accertamento dei fatti secondo il modello inquisitorio, nella quale il pubblico ministero esercitava l'azione penale scegliendo tra un'istruzione di tipo formale, con rimessione delle indagini al giudice istruttore che procedeva d'ufficio alla ricerca delle prove, o un'istruttoria di tipo sommario, che gli consentiva di trattenere le indagini presso di sé assumendo le stesse prerogative del giudice.

La seconda fase, quella dibattimentale, era la sede di valutazione delle prove, solo formalmente ispirata ai principi del sistema accusatorio.

Il difensore, infatti, risultava essere uno spettatore passivo dell'attività istruttoria ed era relegato ad un ruolo di mero garante dei diritti dell'imputato; il suo contributo non si sviluppava in una partecipazione autonoma all'attività di ricerca e di formazione della prova risolvendosi invece in una "difesa di posizione"12.

9 A. Nappi, Guida al codice di procedura penale, Giuffré, 2007, p. 134, sottolinea

come tale sistema imponga di conservare in fascicoli distinti gli atti soggetti a diverso regime di utilizzazione.

10 Approvato con R.d. 26 novembre 1865, n. 2598 ed entrato in vigore il 1°

gennaio 1866, riproduceva sostanzialmente il codice piemontese del 1859.

11 Approvato con r.d. 27 febbraio 1913, n. 127 ed entrato in vigore il 1° gennaio

del 1914.

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L'attività istruttoria era perciò appannaggio esclusivo del giudice istruttore il quale, a norma dell'art. 299 c.p.p. 1930, aveva l'obbligo di compiere prontamente tutti gli atti necessari che, in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell'istruzione, apparivano come necessari per l'accertamento della verità13.

A ciò faceva seguito un dibattimento del tutto fittizio, che lasciava poco spazio all'iniziativa del difensore, il cui contributo era confinato ad una mera funzione critica14 del materiale probatorio,

esercitata attraverso la sola possibilità di vagliare la regolarità formale dell'attività esplicata nella fase istruttoria dall'autorità giudiziaria.

Il quadro così prospettato era il portato di una diffidenza culturale funzionale alla natura inquisitoria del processo ed espressione della volontà politica autoritaria del tempo, nei confronti dell'attività di ricerca e raccolta delle prove da parte di un soggetto, il difensore, ritenuto non istituzionalmente deputato alla scoperta della verità processuale e animato da un interesse di parte. Il difensore veniva visto "quasi come un convenuto" a cui spettava il mero compito di "resistere alla pretesa punitiva

formulata dal pubblico ministero"15.

Quest'impostazione veniva alimentata dalla giurisprudenza disciplinare forense che, nel vigore del codice del 1930, facendo leva sui principi di correttezza e lealtà richiamati dalla legge professionale16, il cui art. 12 al comma 1 affermava che "gli

avvocati e i procuratori debbono adempiere al loro ministero con dignità e decoro, come si conviene all'altezza della funzione che

13 A. Pulvirenti, Op. cit., p. 985.

14 Cfr., A. De Caro, Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal

codice Rocco alla riforma delle investigazioni difensive, in Cass. pen., 2001, p.

3194.

15 Così L. Suraci, Le indagini difensive, Giappichelli, Torino, 2014, p. 12.

16 R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 recante l' "Ordinamento delle professioni di

avvocato e procuratore" pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 281 del 5 dicembre

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sono chiamati ad esercitare nell'amministrazione della giustizia",

censurava e sanzionava sotto il profilo deontologico l'operato dei difensori che avessero interpellato o avuto contatti con i testimoni, anche se a favore del proprio cliente.

Inoltre, la norma dell'art. 38 della stessa legge professionale prevedeva che "gli avvocati ed i procuratori" che si rendevano "colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o

comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale" fossero "sottoposti a procedimento disciplinare".

Tale procedimento, peraltro, poteva essere avviato sulla base della sola condizione oggettiva del contatto: non occorreva, infatti, che l'avvocato influenzasse i testimoni con una condotta attiva idonea a limitarne la libertà e la sincerità ma era sufficiente il fatto puro e semplice del colloquio, ritenuto idoneo a generare una condizione obiettiva di suggestione e turbamento dell'animo del testimone17.

Questa linea dava vita ad una palese contraddizione: il codice di procedura, infatti, accordava alle parti private la facoltà di richiedere al giudice istruttore o a quello del dibattimento l'ammissione dei testimoni, mentre le regole deontologiche precludevano la possibilità di verificare anticipatamente l'utilità di tale prova e preparare un progetto di difesa basato sul contatto con i testimoni.

La conseguenza di questo atteggiamento di chiusura e di diffidenza trovava il suo riscontro concreto nel mancato riconoscimento, all'interno del Codice, del potere investigativo in capo al difensore,

17 Questa la posizione del Consiglio nazionale forense che si era consolidata

prima dell'entrata in vigore del codice del 1988: così v. Cons. naz. for., 8 gennaio 1976, in Rass. forense, 1978, p. 149, e sulla stessa linea, Cons. naz. for., 29 giugno 1985, in Rass. forense, 1986, p. 80, che affermava fosse "principio consolidato di

deontologia professionale che non sia conforme alla dignità e al decoro professionali il comportamento dell'avvocato che, per qualsivoglia motivo, avvicini il testimone per acquisire notizie sui fatti di causa".

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sul quale tuttavia, non sussisteva un divieto esplicito circa la possibilità di compiere investigazioni.

Si sottolineava come potessero scorgersi nel sistema dati normativi18 che aprivano spiragli per la possibilità di una libertà di

investigazione del difensore, a cui si aggiungeva, altresì, un atteggiamento di favore della dottrina che rimarcava la necessità di consentire l'attività di ricerca delle prove, permettendo al difensore di reperire elementi utili per l'imputato, da presentare al giudice istruttore o al giudice del dibattimento.

3. Da una concezione statica ad una concezione dinamica del diritto di difesa e il diritto di difendersi provando.

La spinta favorevole al riconoscimento di una libertà di investigazione in capo al difensore acquisiva nuova carica con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana19, cui fecero

seguito la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948 e le altre statuizioni internazionali20.

L'approvazione della Carta Costituzionale con la consacrazione ad un livello sovraordinato dei principi del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, unita ai principi di uguaglianza, di

18 G. Frigo, I poteri investigativi del difensore, in Arch. pen., 1996, p. 170, ravvisa

un impulso al tema della libertà di investigazione difensiva nell'art. 461 del codice di procedura penale del Regno Italico del 1807, il quale prevedeva che l'esame dei testimoni indicati dalla difesa fosse condotto in modo tale che "il

soggetto dell'esame è determinato dalle ricerche dell'accusato e dal suo difensore"

e che imponeva al presidente di non omettere "alcuna delle interrogazioni

relative alla causa, che si fossero ricercate dall'accusato o dal suo difensore".

19 Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata

dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

20 La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle

libertà fondamentali, adottata in Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881.

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indipendenza e di imparzialità del giudice, evidenziava una discrepanza intollerabile con il sistema ordinario, espressione di una cultura giuridica che ripudiava tali principi.

Quasi contemporaneamente, il complesso di principi previsti in Costituzione veniva rinsaldato in ambito internazionale ad opera della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 194821,

approvata dall'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali approvata dagli Stati aderenti al Consiglio d'Europa nel 195222, che attribuivano espressamente

all'accusato il diritto ad "un pubblico processo"23 avente "tutte le

21 In particolare, l'art. 11 recita: "1. Ogni individuo accusato di reato è presunto

innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa. 2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso".

22 La Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali,

all'art. 6 recita: "1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata

equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie, sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c) difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza".

(21)

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garanzie per la sua difesa"24, nonché il diritto di "disporre del tempo

e delle facilitazioni necessari a preparare la difesa"25.

Sulla base del nuovo quadro, nazionale ed internazionale, si imponeva un cambio di impostazione anche sul tema delle investigazioni difensive, adesso intimamente connesso al diritto di difesa garantito in ogni stato e grado del procedimento e definito come "inviolabile" dall'art. 24 della Carta costituzionale.

Si cominciava a ritenere che l'attività investigativa dell'avvocato, oltre ad essere funzionale alla difesa, potesse altresì concorrere alla scoperta della verità ponendosi sullo stesso piano dell'attività istruttoria posta in essere dal pubblico ministero e dal giudice istruttore.

Peraltro, con la previsione del diritto di difesa, si determinava l'impulso al superamento dell'impostazione inquisitoria per la quale il processo penale era finalizzato a conseguire una verità assoluta, dovendo adesso confrontarsi con il suo carattere di "accadimento umano", dunque un fenomeno rispetto al quale le norme giuridiche non possono prestabilire il fine, cioè la verità, e addirittura dare ad esso una impegnativa qualificazione di verità assoluta26.

Come era stato sottolineato da autorevole dottrina, l'art. 24 Cost. non sancisce esclusivamente il diritto per le parti di avere un difensore o di far valere le proprie ragioni dinanzi al giudice ma ha la funzione ben più ampia di assicurare all'imputato e al suo difensore il "diritto di difendersi provando", ossia il "diritto di non

veder menomata la propria possibilità di difesa attraverso

24 Vedi supra nota n. 22.

25 Ibidem.

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un'arbitraria restrizione dei mezzi di prova offerti al giudice o dell'oggetto della prova proposta"27.

Leggendo il dettato costituzionale in modo più aderente alle esigenze probatorie, non ritenendosi che la funzione di mera critica del difensore potesse esaurire la valenza del diritto di difesa, si consolidava così l'idea che tale diritto non potesse prescindere dal potere di ricercare e raccogliere materiale probatorio idoneo a dimostrare l'innocenza dell'imputato, spingendo verso un concetto di difesa c.d. di movimento, che non vedeva più il difensore come un soggetto passivo, confinato al ruolo di garante tecnico dell'imputato nella fase istruttoria ma, all'opposto, un soggetto avente un ruolo attivo e propulsivo con piena facoltà di predisporre un progetto di difesa nella consapevolezza delle risorse probatorie disponibili28.

Si manifestavano però delle forti resistenze ad un concreto cambiamento del sistema; prima tra tutte vi era l'interpretazione restrittiva dell'art. 24 Cost. ad opera della Corte Costituzionale, la quale, dimostrando di guardare alla difesa non come ad una prerogativa dell'imputato per dimostrare la sua innocenza bensì come ad un istituto di natura tecnico-processuale, trascurava le relazioni tra funzione difensiva e formazione della prova29.

Inoltre gli ordini professionali30 continuavano a manifestare un

atteggiamento diffidente che impediva al difensore di contattare ed ascoltare i testimoni prima del processo, mortificando la

27 G. Vassalli, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen.,

1968, p. 12, il quale evidenziava come una "difesa senza possibilità di prova a

discarico non sarebbe una difesa" e i poteri del giudice in questa materia

"debbono essere visti, quali che siano le norme scritte nel codice, sotto una

prospettiva mutata".

28 Cfr. N. Triggiani, Le investigazioni difensive, cit., p. 2.

29 Corte cost., 18 marzo 1957, n. 46, nella quale si affermava che il diritto di

difesa "deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e

professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti".

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11

concreta possibilità di qualsivoglia attività di investigazione difensiva.

Nonostante le ostilità, andava affermandosi nella cultura giuridica la consapevolezza a guardare al diritto di difesa come un diritto comprensivo di poteri attivi, direttamente incidenti sulla formazione della prova e, conseguentemente, un'idea di processo penale come processo di parti, incentrato sulla formazione dialogica della prova e con uno stile spiccatamente accusatorio, sulla base di un rapporto di reciproca strumentalità tra diritto di difesa, parità delle armi e contraddittorio.

4. Le investigazioni difensive nel Codice "Vassalli" e l'art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura.

Le istanze in senso accusatorio proposte dalla cultura giuridica sulla base dei principi costituzionali ed internazionali e la maturata concezione del diritto di difesa nella sua veste di diritto di "difendersi provando", nonché l'idea che la giustizia della decisione fosse più compiutamente assicurata ogni qualvolta che la prova scaturisse dalla dialettica processuale, hanno trovato esplicito accoglimento nella legge delega n. 81 del 198731 per

l'emanazione del nuovo codice di procedura penale32. L'art. 2 della

legge delega conteneva le direttive volte a realizzare, nel nuovo codice, i caratteri del sistema accusatorio, prevedendo che "il

codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione

31 Legge 16 febbraio 1987, n. 81, pubblicata in Gazzetta Ufficiale - Suppl. Ordin. n.

62 del 16 marzo 1987 e recante "Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale".

32 L'art. 1 della legge n. 81/1987 riporta "Il Governo della Repubblica è delegato

ad emanare il nuovo codice di procedura penale, secondo i principi e i criteri direttivi e con le procedure previsti dalla presente legge", codice poi emanato con

d.p.r. n. 447 del 22 settembre 1988, pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie

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e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale".

Lo stesso articolo specificava poi che il codice dovesse attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri quali "la massima semplificazione nello

svolgimento del processo", "l'adozione del metodo orale" e la

"partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parità in ogni

stato e grado del procedimento".

Il legislatore, in attuazione della direttiva di delega di cui al punto n. 69 dell'art. 233, ha impresso una svolta decisiva nell'ottica del

diritto di difesa delle parti, sancendo nell'art. 190 c.p.p. che "le

prove sono ammesse a richiesta di parte" ed enucleando, di

conseguenza, un diritto ad esse riservato.

Il palese tentativo di superamento dell'impostazione inquisitoria del Codice di procedura del 1930 è confermato ulteriormente dal punto n. 3 dello stesso art. 2 della direttiva, che prevede un principio generale di "partecipazione dell'accusa e della difesa su

basi di parità in ogni stato e grado del procedimento" con la facoltà

del pubblico ministero e, sopratutto, delle altre parti, dei difensori e della persona offesa di "indicare elementi di prova e di presentare

memorie in ogni stato e grado del procedimento" con l'obbligo del

giudice di provvedere senza ritardo "sulle richieste formulate in

ogni stato e grado del procedimento dal pubblico ministero, dalle altre parti e dai difensori".

Da questa nuova logica di sistema, si è fatto discendere il diritto delle parti private di svolgere le proprie investigazioni difensive parallelamente a quelle esperite dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, per consentire loro la possibilità di individuare

33 L'art. 2 n. 69 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, riporta: "disciplina della

materia della prova in modo idoneo a garantire il diritto del pubblico ministero e delle parti private ad ottenere l'ammissione e l'acquisizione dei mezzi di prova richiesti, salvi casi manifesti di estraneità ed irrilevanza".

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13

e ricercare le fonti di prova per sostenere la ricostruzioni dei fatti e la linea difensiva adottata in contrasto dell'accusa.

Tuttavia con la redazione del codice di procedura, al formale riconoscimento del diritto alla prova nell'art. 190 c.p.p. non fece seguito un riscontro normativo sufficiente a consentire, nella pratica, l'esercizio di attività di investigazione difensiva.

Il legislatore infatti, se da un lato aveva previsto una compiuta ed analitica disciplina dell'attività investigativa della polizia giudiziaria e del pubblico ministero a cui aveva riservato la collocazione all'interno del libro V del codice, dall'altro, non solo non riportava nel proprio corpus una specifica disciplina delle indagini difensive ma, per di più, non prevedeva in nessuna norma il potere del difensore di assumere informazioni dalle persone informate dei fatti, o più in generale, di effettuare investigazioni difensive.

L'attività investigativa rimaneva quindi legata esclusivamente all'impulso e alla gestione del pubblico ministero che, ai sensi dell'art. 358 c.p.p., deve compiere "ogni attività necessaria" ai fini dell'esercizio dell'azione penale e ha l'obbligo di svolgere "accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona

sottoposta alle indagini".

L'art. 358 c.p.p. era preposto all'attuazione del criterio previsto dalla direttiva n. 37 della legge di delega34, il quale disegnava un

nuovo ruolo del pubblico ministero come "parte imparziale" che fosse "allo stesso tempo accusatore e tutore della persona sottoposta

34 All'art. 2, n. 37 si afferma: "potere-dovere del pubblico ministero di compiere

indagini in funzione dell'esercizio dell'azione penale e dell'accertamento di fatti specifici, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato; potere del pubblico ministero, ai fini suddetti, di interrogare l'imputato, di raccogliere informazioni, di procedere a confronti, a individuazioni di persone e di cose, ad accertamenti tecnici, ad ispezioni, di disporre perquisizioni, sequestri e, previa autorizzazione del giudice, intercettazioni di conversazioni e di altre forme di comunicazione"

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alle indagini"; ruolo super partes che, tuttavia, da subito era

sembrato improbabile35.

Oltretutto la giurisprudenza della Corte di Cassazione36, privando

l'art. 358 c.p.p. di una reale efficacia, aveva anche affermato l'irrilevanza processuale della sua inosservanza in quanto "non si

traduce in un obbligo processualmente sanzionato e non toglie il carattere eminentemente discrezionale delle scelte investigative".

Tale impostazione era peraltro stata suffragata successivamente dalla Corte Costituzionale37, la quale aveva ribadito la legittimità

della mancata previsione di sanzioni processuali per l'ipotesi di inosservanza dell'obbligo di cui all'art. 358 c.p.p. da parte del pubblico ministero, visto che tale obbligo, nell'ottica del processo accusatorio, non mira a realizzare il principio di uguaglianza tra l'accusa e la difesa in ogni stato e grado del procedimento, né ad attuare il diritto di difesa ma, piuttosto, si inserisce nel complesso di compiti di cui il pubblico ministero è investito e che hanno come scopo l'assunzione delle determinazioni per l'esercizio dell'azione penale.

L'attività collaborativa del difensore, quindi, restava limitata a quanto previsto dall'art. 367 c.p.p., il quale prevede la facoltà per i difensori nel corso delle indagini preliminari, di "presentare memorie e richieste scritte al pubblico ministero". Alla persona sottoposta alle indagini, in base a quanto previsto dall'art. 374 c.p.p., residuava soltanto la facoltà di presentarsi spontaneamente al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni. Per rintracciare un qualche riferimento normativo sulle investigazioni difensive occorreva guardare esternamente al codice approvato nel 1988, individuando l'art. 38 delle disposizione di attuazione al codice di procedura, approvate l'anno

35 Così L. Suraci, Le indagini difensive, cit., p. 14.

36 Cass., sez. II, 21 maggio 1997, n. 3415, Nappa, in C.E.D. Cass., n. 208759. 37 C. Cost. (ord.), 11 aprile 1997, n. 96.

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successivo38 ed inserito tra le "Disposizioni relative alle parti

private e ai difensori" e rubricato "Facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto alla prova", che si proponevano di attuare

l'intento legislativo di consegnare al difensore gli strumenti utili ad esercitare in pieno il diritto di difesa e il diritto alla prova di cui agli artt. 24 Cost. e 190 c.p.p.

Tuttavia è stato sottolineato come il ruolo attivo assunto dal difensore, secondo una concezione dinamica del diritto di difesa inaugurato dal codice vigente, avrebbe imposto di intendere l'attività di ricerca e verifica di prove a discarico "non già come una

semplice facoltà, ma come un obbligo scaturente dal mandato difensivo"39.

Da più parti si segnalava40, inoltre, l'inopportunità della

collocazione di tali facoltà nelle disposizioni di attuazione e la necessità che una materia così delicata e con un carattere spiccatamente innovativo rispetto al sistema e alla cultura giuridica fosse ricompresa all'interno del codice, ritenuta la collocazione più idonea.

Inoltre lo stesso art. 38 disp. att. c.p.p. riportava una disciplina estremamente lacunosa ed incompleta41, limitandosi a disporre

38 D.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, recante "Norme di attuazione, di coordinamento e

transitorie del codice di procedura penale" e pubblicato in G.U. Serie generale n. 182 - Suppl. Ordin. n. 57 del 5 agosto 1989.

39 L. Suraci, Le indagini difensive, cit., p. 13.

40 Già nel corso dei lavori preparatori e, successivamente, dalla dottrina e dalla

giurisprudenza di merito, cfr. sul tema N. Triggiani, Le investigazioni difensive, cit., pp. 16-17.

41 Di tale avviso E. Amodio, Le indagini difensive tra nuovi poteri del g.i.p e

obblighi di lealtà del p.m., in Cass. pen., 1997, pag. 2286, secondo il quale "la formulazione della norma è, fin dall'origine, monca perché c'è la previsione di un potere del difensore di svolgere indagini e di contattare i testimoni che non si sviluppa fino al punto di offrire sul piano legislativo gli strumenti per formare la prova. In sostanza le indagini difensive sono costruite, all'origine, come potere di conoscere, ma non come potere di utilizzare la conoscenza in sede processuale. Si potrebbe dire - mutuando un'espressione da quella più consueta che si usa a proposito delle norme penali - che l'art. 38 è una norma processuale «in grigio», non «in bianco» perché effettivamente c'è una certa disciplina, ma si tratta di una disciplina che denuncia una sorta di afasia del legislatore".

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genericamente al primo comma che "al fine di esercitare il diritto

alla prova previsto dell'articolo 190 del codice, i difensori, anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, hanno facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni" e, al secondo comma, che le attività previste

potessero essere svolte "su incarico del difensore, anche da

investigatori privati autorizzati".

Peraltro l'art. 38 delle disp. att. c.p.p., come approvato in sede definitiva, si presentava molto più circoscritto rispetto alla sua originaria formulazione nell'art. 33 prog. prel. disp. att. che ne costituiva l'embrione normativo. Quest'ultimo, infatti, riportava una disciplina assai più articolata di quella poi definitivamente approvata: oltre alla previsione della generale facoltà del difensore di svolgere, anche a mezzo sostituti, consulenti tecnici ed investigatori privati, "investigazioni per ricercare gli elementi di

prova a favore del proprio assistito" prevista dal comma 1, lettera a) e dal comma 5, aveva altresì previsto esplicitamente, alla lettera b) del comma 1, la facoltà per i soggetti menzionati di "conferire con le persone che possano dare informazioni e farsi rilasciare dichiarazioni scritte", specificando, ai successivi commi, che la

persona intervistata doveva essere avvertita della facoltà di rifiutare il colloquio e che, allo stesso, potesse partecipare su richiesta dell'interpellato una persona di sua fiducia che doveva poi sottoscrivere la dichiarazione scritta.

In relazione al progetto preliminare, di rilievo innovativo risultava la linea della Commissione parlamentare consultiva. Essa infatti, nell'esprimere il parere sul testo42, aveva suggerito di prevedere la

facoltà per il difensore di avvalersi, nella sua attività investigativa, anche della polizia giudiziaria, ritenendo l'attuazione di tale

42 Seduta del 21 marzo 1989.

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previsione un postulato fondamentale dello Stato di diritto e un contributo necessario a dare concretezza all'ideale di democrazia partecipativa43.

Tale proposta era stata tuttavia criticata apertamente nelle

Osservazioni governative sull'art. 33 prog. def. disp. att., nelle quali

si affermava che la stessa non poteva essere condivisa, da un lato perché avrebbe generato rilevanti problemi organizzativi e di rapporti tra diversi dicasteri e, dall'altro, per la dubbia costituzionalità della norma stessa in rapporto all'art. 109 Cost. che apertamente attribuisce all'autorità giudiziaria il potere di disporre "direttamente della polizia giudiziaria".

Pur connotando uno sforzo importante sia per assicurare una compensazione alla carenza strutturale dell'investigazione difensiva, sia per attuare il principio costituzionale d'imparzialità dell'amministrazione previsto dall'art. 97 Cost.44, la proposta si

sarebbe posta in antitesi con le altre regole generali. Essa, infatti, avrebbe condotto ad una situazione per la quale i pubblici ufficiali, da una parte, sarebbero stati tenuti al segreto nei confronti degli inquirenti e, dall'altra, avrebbero avuto l'obbligo generale di riferire al pubblico ministero fatti e notizie inerenti alle indagini; avrebbe inoltre conferito ai cittadini poteri gerarchici su dipendenti statali rivoluzionando la struttura dei rapporti tra Stato e privati, con il rischio, peraltro, di esautorare del tutto ogni iniziativa privata perpetuando, in tal modo, la situazione di dipendenza dell'indagato alla polizia giudiziaria fatta propria dal sistema previgente45.

43 Vedi N. Triggiani, Le investigazioni difensive, cit., p. 22.

44 L'art. 97 Cost. al comma 2 afferma: "I pubblici uffici sono organizzati secondo

disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione".

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Le Osservazioni governative, inoltre, non ritenevano di dover aderire alla proposta, anch'essa elaborata della Commissione parlamentare, relativa all'inserimento di un art. 33-bis delle disposizioni di attuazione al fine di introdurre una responsabilità civile del difensore nell'ambito dello svolgimento dell'attività disciplinata dall'art. 33. Si voleva evitare da un lato, che nella ricerca di determinati fatti utili per la difesa il difensore eccedesse andando a ricercare arbitrariamente fatti del tutto estranei alle finalità difensive così da ledere i diritti dei cittadini garantiti dall'ordinamento, dall'altro, si voleva proteggere il difensore che si fosse affidato a consulenti o investigatori privati e questi avessero ecceduto nella ricerca di fatti utili alla difesa.

L'originaria formulazione dell'art. 33 prog. prel. disp. att., peraltro, era stata ritenuta incompleta dal parere del Consiglio superiore della magistratura, posizione poi avallata anche dalle Osservazioni

governative, che lamentava l'insufficienza della normativa in tema

di investigazione privata e la necessità di una maggiore determinatezza delle attività rimesse alla difesa, non essendo chiaro se il difensore potesse esaminare persone già sentite dal pubblico ministero o di altri indagati per lo stesso reato o nel medesimo procedimento e in quelli connessi o collegati, e sottolineando l'assenza di qualsiasi forma di disciplina sulla registrazione dei colloqui e degli avvertimenti rivolti alla persona da sentire.

Su tali basi si arrivò ad una seconda stesura della norma che induceva un regresso rispetto alla formulazione precedente del progetto preliminare, attraverso l'eliminazione dal comma 1 di ogni riferimento alle "dichiarazioni scritte" e la soppressione degli altri commi.

Si era quindi ritenuto, a differenza dell'originario comma 5 dell'art. 33 prog. prel. disp. att., di stendere definitivamente la disposizione,

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limitandola alla sola generica previsione del potere investigativo e di contatto con le fonti, aggiungendo però il comma 2 e consentendo al difensore di delegare anche investigatori privati debitamente autorizzati all'esercizio dell'attività di indagine. Come è stato osservato, la ragione della scelta di una norma più generica è da rintracciare nella volontà del legislatore di lasciare la specifica regolamentazione, vista la delicatezza della materia, sia ad un successivo intervento legislativo ad hoc, sia ad interventi integrativi provenienti dagli organi forensi, a cui però, non aveva fatto seguito una disciplina compiuta tale da poter ritenere ormai raggiunta la parità delle parti nella formazione della prova46.

Si contestava che la disposizione finiva per essere solo apparentemente una "norma programmatica" inducendo, proprio a causa della sua genericità, "una interpretazione che impoveriva

completamente la sua portata"47.

L'art. 38 disp. att. c.p.p. così approvato, volutamente generico e lacunoso, aveva indotto, da un lato, le più varie opinioni dottrinali che cercavano di dare una lettura più ampia dell'operatività della norma in particolare sul versante della utilizzabilità degli elementi probatori acquisiti dal difensore; dall'altro aveva generato interpretazioni estremamente restrittive da parte della giurisprudenza di merito e di quella di legittimità, che confinavano

46 Così A. De Caro, Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal

codice Rocco alla riforma delle investigazioni difensive, cit., p. 3199, secondo il

quale in riferimento al potere di investigazione difensiva "ha prevalso l'idea che,

essendo quel potere proiettato soprattutto verso l'esercizio del diritto alla prova nel dibattimento - dove le regole di assunzione della prova sono dettagliatamente disciplinate e valide per tutte le parti -, non era necessario prevederne specifiche modalità di esercizio e di documentazione"; dello stesso avviso A. Pulvirenti Op. cit., p. 987, secondo il quale "Il silenzio seguito a questo rinvio legislativo ha, però, trasformato quella che doveva essere una «contesa ad armi pari», in un sistema profondamente contraddittorio, nel quale di paritario è rimasto solo «l'onere probatorio» delle parti, ma non certo le possibilità e modalità operative per adempierlo".

47 Così ancora A. De Caro, Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo

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la funzione della norma alla mera rimozione dei limiti deontologici al comportamento del difensore.

Il motivo di quest'atteggiamento era da ravvisarsi, secondo quanto affermato dalla dottrina, nel fatto che "il c.p.p. del 1988 era stato

applicato da persone che da anni avevano abituato la loro mente agli schemi del sistema inquisitorio, e dunque al cumulo di funzioni processuali in un unico organo, il pubblico ministero-istruttore del c.p.p. del 1930"48.

La giurisprudenza di merito, escludendo di fatto che l'art. 38 disp. att. c.p.p. attribuisse la titolarità al difensore di un potere di indagine preliminare, si era quindi immediatamente espressa ritenendo che in capo allo stesso non sussistesse alcun potere di documentazione, neanche in caso di dichiarazioni irripetibili; aveva inoltre ribadito la qualifica del difensore come parte privata e, di conseguenza, l'impossibilità dello stesso di redigere verbale di sommarie informazioni e di utilizzarle nel procedimento.

Tale giurisprudenza che accentuava la disparità tra accusa e difesa in materia di indagini era confortata da quella di legittimità. In particolare, in una sentenza "storica" della Corte di Cassazione49, si

affermava, sulla base del fondamento normativo dell'art. 358 c.p.p.50, quello che è stato definito il principio della

"canalizzazione": il pubblico ministero, precisava la Corte, durante le indagini preliminari "non è parte non essendo ancora insorto

alcun conflitto tra l'ordinamento ed un determinato soggetto privato bensì l'unico organo preposto nell'interesse generale, alla raccolta e al vaglio dei dati positivi e negativi afferenti fatti di

48 N. Triggiani, Le investigazioni difensive, cit., p. 32.

49 Cass., sez. fer., 18 agosto 1992, n. 885, Burrafato, in Cass. pen., 1993, p. 1502,

che confermava la decisione del giudice di merito il quale aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni di un teste raccolte dal difensore per scrittura autenticata e presentate direttamente al giudice per le indagini preliminari.

50 L'art 358 del c.p.p. afferma che "il pubblico ministero compie ogni attività

necessaria ai fini indicati nell'art. 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini".

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possibile rilevanza penale" e, proseguiva, "devono quindi essere canalizzati sul pubblico ministero, tutti i dati utili comprese le informazioni acquisite dal difensore".

Al difensore, secondo la Corte, residuava solo una facoltà di scoperta di elementi favorevoli, attraverso investigazioni esplorative e colloqui, senza essere estesa "alla diretta acquisizione

dei dati, essendo questo ultimo compito del pubblico ministero nelle fase delle indagini preliminari e del giudice successivamente".

La Corte, inoltre, pur accordando un carattere strumentale dell'art 38 disp. att. c.p.p. all'esercizio del diritto alla prova della difesa per formare il thema probandum da sottoporre all'autorità procedente, aveva altresì affermato il carattere extraprocedimentale e non surrogatorio rispetto alla prova delle ricerche effettuate e delle relative risultanze, di fatto collocando le investigazioni difensive al di fuori del procedimento vero e proprio, considerandole prive di genuinità ed affidabilità certa51.

Peraltro, sulla base del dato normativo dell'art. 358 c.p.p., l'interpretazione giurisprudenziale era proseguita, in primo luogo, riconoscendo la possibilità di utilizzare le indagini difensive solo per sollecitare l'attività investigativa del pubblico ministero e per avanzare richiesta di incidente probatorio52; in secondo luogo,

escludendo sia la loro utilizzabilità per le decisioni del giudice, in quanto considerate mere scritture private carenti di forza probante sull'esistenza delle dichiarazioni di persone informate sui fatti raccolte dal difensore e della provenienza delle stesse da chi ne appare autore53, sia la possibilità di utilizzarle come

elementi di prova nelle indagini preliminari e nei procedimenti incidentali de libertate davanti al tribunale competente54.

51 Cass., sez. VI, 1° marzo 1993, Minzolini, in C.E.D. Cass., n. 194529. 52 Cass., sez. I, 31 gennaio 1994, Vincenti, in C.E.D. Cass., n. 196853. 53 Cass., sez. II, 16 marzo 1995, Marras, in C.E.D. Cass., n. 202195. 54 Cass., sez. I, 16 marzo 1994, Cagnazzo, in Cass. pen., 1995, p. 115.

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22

Tale linea giurisprudenziale che, fuori dall'ipotesi di utilizzazione delle risultanze difensive nei procedimenti dinanzi al c.d. tribunale delle libertà, aveva importato una assoluta inutilizzabilità o comunque una limitata utilizzazione dei dati probatori recepiti dall'attività difensiva, poteva, come è stato affermato, "essere

superata dalla lettura combinata e sistematica dell'art. 38 disp. att. con le disposizioni costituzionali ed internazionali e con le direttive 3 e 69 della legge delega"55.

Di fatto, però, permaneva un "residuo inquisitorio"56, fatto proprio

dalla giurisprudenza "regressiva" di legittimità e accentuato, oltre che dalle pronunce della Corte Costituzionale del 199257, anche

dalle modifiche apportate dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, che avevano messo in crisi il sistema bifasico e la centralità del dibattimento come momento di formazione della prova, ampliando le ipotesi di utilizzabilità, a fini probatori, degli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria in assenza di contraddittorio.

Il processo penale si trasformava così da processo che "collegava il

versante probatorio interamente al dibattimento, ritenuto unico luogo per la formazione della prova secondo lo schema dialogico (tipico di un processo di parti), a processo nel quale è possibile

55 Così A. De Caro, Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal

codice Rocco alla riforma delle investigazioni difensive, cit., p. 3200.

56 Secondo A. Pulvirenti, Op. cit., p. 986, "Nel nuovo codice il residuo inquisitorio si

è concretizzato nella possibilità che con l'accordo delle parti si giunga alla anticipata definizione del processo sulla base degli atti di indagine compiuti dal p.m. (giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti e procedimento per decreto) oltre che nei numerosi canali di comunicazione tra il fascicolo del p.m. e quello del dibattimento, per il passaggio del materiale probatorio dall'uno all'altro".

57 Si fa riferimento alle sentenze n. 24 del 31 gennaio 1992, nn. 254 e 255 del 3

giugno 1992. In particolare la sentenza n. 24 del 31 gennaio 1992 sancisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 195 comma 4, nella parte in cui vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di deporre, in caso di irreperibilità del testimone, sul contenuto delle dichiarazioni da questi acquisite.

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