• Non ci sono risultati.

Parte 2. Approccio sistemico all’analisi dei conflitti intrattabili

8. I conflitti intrattabili nella Teoria Sistemica

Coleman, nel libro The Five Percent. Finding solution to seemingly impossible conflicts, riporta alcuni studi che affermano che circa il 5% dei conflitti mondiali diventano presto intrattabili (Diehl e Goertz, 2001). Si fa riferimento a dispute che si affermano in tutti i campi della vita sociale, a livello familiare, comunitario, regionale, nazionale e internazionale. Quando fronteggiamo questo 5% ci confrontiamo con la nostra incapacità nel gestirlo e nel trasformarlo in modo costruttivo.

44

certezza e in anticipo se un conflitto evolverà in un modo che possa diventare ingestibile o no. Questo perché l’intrattabilità trae origine da possibilità molteplici di evoluzione della relazione che s’intersecano, fino a quando non ne emerge solo una, quella intrattabile appunto. Un piccolo evento può trasformarsi, attraverso una catena conseguente di fatti, in un evento più ampio e determinante per il futuro del conflitto17; mentre un evento di grandi dimensioni può non avere nessuna influenza sull’evoluzione effettiva del conflitto.

Il coinvolgimento personale nella disputa potrebbe essere anche molto alto ma si scontra con l’impossibilità di risolverlo. In un certo senso è come se fosse il conflitto a condurre le parti coinvolte verso determinati pensieri e comportamenti e non la loro capacità cognitiva nel gestirli. Infatti, una caratteristica che emerge in questi conflitti è rappresentata dall’eccessiva semplificazione degli elementi: tutto si riduce a uno scontro “noi” contro “loro”, un “noi” vittima contro un “loro” stereotipato. A questo punto il conflitto è ritenuto senza speranza e si auto alimenta, poiché non permette un’altra visione della relazione se non quella conflittuale. Coleman arriva ad affermare che un confitto non è considerato intrattabile per il suo livello di violenza o di distruzione ma per la sua capacità di semplificare un sistema complesso in una semplice contrapposizione fra “noi” e “loro”. Il libro di Coleman18 ruota intorno all’idea che esistano delle forze che conducono gli individui a pensare, sentire e agire in un determinato modo, congruente con l’idea che il conflitto stesso trasmette. Egli suggerisce che quando ci si sente coinvolti in una disputa, per prima cosa non bisogna porre troppa fiducia nelle prime valutazioni che facciamo su di essa; c’è molto altro da scoprire analizzando nel dettaglio il conflitto che in un primo momento sembra invisibile. Questi schemi comportamentali che si riproducono in un contesto sono chiamati attrattori, per la loro forza di “attrarre” appunto e di perpetrare comportamenti. Questo concetto lo riprenderemo in seguito.

Perché i metodi tradizionali non funzionano con i conflitti intrattabili

Negli anni sono stati sviluppati delle metodologie e degli strumenti, analitici e pratici, per aiutare le parti in conflitto a gestirlo. Sono modelli volti a creare relazioni costruttive, in cui ciascuno è

17 Quest’idea trova fondamento nel cosiddetto “butterfly effect”, per la prima volta definito dal matematico meteorologo Edward Lorenz.

Agli inizi degli anni ‘70, lo scienziato fece un intervento durante una conferenza, dal titolo: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Il concetto, presente nella teoria del caos, sostiene sinteticamente che in sistemi complessi, un lieve cambiamento nello stato iniziale di un singolo elemento possa produrre effetti indeterminabili, sia nella breve sia nella lunga distanza, spaziale e temporale, anche in altri elementi.

18 The Five Percent. Finding solution to seemingly impossible conflict (2011) scritto da Peter T. Coleman è il frutto di un lavoro di

collaborazione con altri studiosi. Si tratta di un gruppo di esperti provenienti da diverse discipline accumunati però dal loro coinvolgimento nello studio sui conflitti intrattabili. Insieme hanno formato un team che indaghi questo tipo di conflitti attraverso gli strumenti dell’analisi sistemica. Il Team Sistemi Dinamici, come è definito nell’introduzione del libro, è formato da Robin Vallacher, Andrzej Nowak, Lan Bui-Wrzosinska, Andrea Bartoli, Larry Liebovitch, Naira Musallam, Katharina Kugler e infine Peter T. Coleman.

45

riconosciuto per il suo valore individuale e l’altro acquista un’importanza ai propri occhi.

Talvolta queste metodologie hanno funzionato e il conflitto è stato gestito efficacemente. Tuttavia, ciò non accade quando ci confrontiamo con questo 5% dei conflitti. Gli strumenti classici risultano del tutto inefficaci di fronte a quelli che chiamiamo conflitti intrattabili.

Le ragioni di questa fallibilità possono essere molte e riconducibili ai conflitti in sé, che sono particolarmente complessi e quindi difficili da comprendere, ma anche ai modelli, che si basano su paradigmi scientifici limitati.

Riguardo ai modelli, Coleman (2011, p. 19) individua alcune problematicità particolari:

- Confondono eventi fluidi con eventi fissi: le scienze sociali spesso osservano gli aspetti della vita sociale, come per esempio la personalità, le attitudini, gli obiettivi, come se fossero eventi statici. Ciò tuttavia non considera il loro carattere evolutivo, il cambiamento che subiscono nel tempo, anche in un intervallo di breve periodo. Spesso quello che avviene viene letto attraverso delle etichette che da una parte permettono di avere una base dalla quale partire per conoscere il mondo, ma dall’altra rinchiudono gli avvenimenti in degli schemi concettuali che limitano la visione delle cose.

- Pensano seguendo linee diritte: gli approcci tradizionali alla risoluzione dei conflitti osservano gli eventi in un modo sequenziale, per cui l’evento X conduce all’evento Y. Tuttavia un conflitto è caratterizzato da una molteplicità di elementi che si intersecano in un modo complesso, annullando la linearità degli effetti prodotti.

- Privilegiano il breve periodo: l’approccio tradizionale è volto a elaborare strategie che trasformino il conflitto il più velocemente possibile. Ciò che spesso manca è una strategia di lungo periodo da implementare nei contesti in crisi per avere la certezza che gli accordi vengano rispettati e per verificare l’implementazione degli stessi.

- Si focalizzano sui problemi: studiosi della trasformazione dei conflitti hanno ormai elaborato una vasta letteratura di studio del conflitto, mentre pochi di loro si concentrano sull’analisi delle relazioni pacifiche.

- Marginalizzano le emozioni: soprattutto nei conflitti intrattabili le emozioni, come rabbia, frustrazione, disperazione, ansia, hanno un ruolo preponderante nel proseguo della controversia. Tradizionalmente invece non sono tenute in considerazione quando si pensa a una strategia per risolvere il conflitto. Si pensa spesso di poter raggiungere un accordo abbandonando le emozioni per raggiungere una scelta razionale e quindi priva del carico emotivo.

46

- Privilegiano o la semplicità o la complessità: per meglio comprendere un conflitto, molti approcci tradizionali privilegiano un’analisi semplice che conduca a una soluzione semplice. Tuttavia proprio perché l’analisi condotta non è completa, spesso le soluzioni raggiunte sono sbagliate. Per ovviare a questa problematica, soprattutto recentemente, con gli studi sistemici, il rischio è di voler comprendere un conflitto in tutta la sua complessità, conducendo un’analisi che indaghi tutti gli elementi che lo compongono e le loro interrelazioni. Tuttavia, è molto alto il rischio di perdersi fra tutti gli aspetti del conflitto senza riuscire a smuovere la situazione con soluzioni efficaci.

Ci vuole la giusta dose di semplicità nell’analisi di un sistema complesso.

- Non considerano l’invisibile: elementi latenti nel conflitto producono effetti che non sono

previsti. Indagare questi elementi aiuta a comprendere i fatti che accadono e a fare delle previsioni più esatte sull’evoluzione del conflitto.

- Tengono distinte ricerca teorica e pratica: ciò significa che pochi dei modelli teorici si appoggiano a ricerche empiriche.

- Spesso sbagliano nel considerare le conseguenze di azioni compiute: questi errori di valutazione sono generati da un approccio lineare di causa effetto, e da un approccio temporale di breve periodo. I conflitti intrattabili hanno bisogno di un'analisi diversa, più completa e complessa (Coleman, 2011 a).

-

I conflitti intrattabili nella Teoria Sistemica – la prospettiva dei sistemi dinamici

Alla luce di quanto è stato affermato, cerchiamo adesso di creare un framework di analisi in cui poter confluire insieme gli studi sui conflitti intrattabili e la Teoria dei Sistemi.

Un sistema dinamico abbiamo detto esser definito da una serie di elementi interconnessi (come credenze, emozioni e comportamenti) che cambiano e si evolvono nel tempo. Un cambiamento in ciascun elemento dipende dagli input che arrivano dagli altri. In questo modo il sistema evolve sempre nel tempo.

Nell’articolo Protracted conflict as dynamical systems (Coleman, 2006) gli autori affermano che il primo passo per un’analisi dinamica dei conflitti è la consapevolezza che essi siano essenzialmente dinamici; passano fasi di alta e bassa intensità della violenza, cambiano forma e possono coinvolgere più generazioni. In secondo luogo si osserva che le risposte del sistema, a input interni o esterni, siano sempre impredicibili, per la complessità delle interazioni fra gli elementi e per le innumerevoli

47

possibilità di risposta a un mutamento. Per esempio quando una terza parte interviene per sedare il conflitto, le conseguenze delle sue azioni non sono determinabili a priori. Prima di tutto perché ogni sistema ha le sue dinamiche, le sue regole di comportamento. Inoltre il conflitto può rispondere a questo intervento in modi diversi: resistendo completamente e mantenendo lo status quo; rispondendo in modo esagerato rispetto alla portata dell’intervento, anche se nella direzione sperata; evolvendo in una maniera completamente impredicibile, nonostante l’intervento esterno; rispondendo in modo proporzionale all’intervento esterno. Ciascuna di queste risposte sono possibili.

Tuttavia ciascun sistema di conflitto evidenzia schemi generali d’interazione tra le parti che sono più stabili. Per comprendere un conflitto è utile concentrarsi su questi schemi di relazione fra gli elementi, piuttosto che cercare di trovare una soluzione esatta.

Analizziamo, perciò, da un punto di vista sistemico quali tipi di dinamiche si riproducono nei conflitti intrattabili.

Consideriamo innanzitutto che il modo di relazionarsi con l’altro subisce un cambiamento qualitativo, perché un cambiamento è avvenuto a livello psicologico, sociale e comunitario. Tuttavia questi mutamenti sono guidati da forze conflittuali, forze che inibiscono i fattori cooperativi e pacifici.

In particolare osserviamo alcune caratteristiche riprendendo alcuni concetti analizzati nel pensiero sistemico e introducendone di nuovi.

Feedback positivi

Prima di tutto, abbiamo parlato dell’esistenza di feedback tra gli elementi di un sistema. In una realtà non conflittuale agiscono sia feedback positivi sia negativi. I primi sono quelli che stimolano cambiamenti nella stessa direzione fra gli elementi, un aumento di un fattore produce un aumento di un altro (ad esempio, maggiori controlli di repressione di una parte generano un aumento di frustrazione dall’altra, e quindi di mobilitazione); i secondi invece sono quelli che provocano cambiamenti in direzioni opposte, un aumento di uno provoca una diminuzione dell’altro (ad esempio, l’intensificarsi di scontri violenti in un’area può determinare una minore pressione demografica, nello stesso territorio, a causa di emigrazioni massicce).

In un conflitto intrattabile, secondo un’analisi presentata nell’articolo citato in precedenza (Coleman, 2006), i feedback positivi aumentano, mentre diminuiscono quelli negativi. Ciò produce dei cicli di retroazione che si autoalimentano, poiché non esistono più degli inibitori (feedback negativi) che invertano la direzione delle azioni.

48

Riprendendo l’esempio del conflitto israelo-palestinese, nel 2004 si era formato un ciclo di violenza in cui agivano feedback positivi, perché l’aumento degli attentati suicidi palestinesi aveva come effetto quello di aumentare la paura e quindi la repressione israeliana che conduceva a maggiori attentati palestinesi, e così via.

Un altro esempio, presente nell’articolo sopra citato, osserva come la nostra morale interna agisca tipicamente come un feedback negativo, respingendo la nostra aggressività e reazione contro gli avversari nel conflitto. Tuttavia quando l’altra parte inizia a utilizzare mezzi più violenti, e la relazione è sempre più intrattabile, l’influenza dei feedback negativi diminuisce, creando una giustificazione per azioni aggressive.

Il problema dei feedback positivi non si riduce solamente alla relazione fra elementi dello stesso livello del sistema. Un conflitto si manifesta, infatti, in diversi livelli della realtà sociale e psicologica: a livello individuale, relazionale, tra gruppi sociali e nazioni. Nei conflitti intrattabili, questi livelli sono molto più interconnessi, quindi i meccanismi che agiscono su uno di essi influenzano anche gli altri. Ad esempio, un conflitto che inizia tra gruppi sociali, diventando piano piano più ingestibile, pervade anche i pensieri, le emozioni e le azioni nelle relazioni interpersonali. Utilizzando la terminologia precedente, possiamo affermare che tra i diversi livelli iniziano ad agire maggiori feedback positivi. Gli anelli di feedback tra i livelli sono responsabili di molti conflitti intrattabili.

Collasso della complessità

Un secondo aspetto, che ha comunque relazione con il concetto di feedback positivo, osserva come in presenza di un conflitto intrattabile le diverse dimensioni, che agiscono a livello relazionale, si annullino per confluire nell’unica dimensione conflittuale. Come affermato nell’articolo Navigating the landscape of conflict: Application of dynamical system theory to addressing protracted conflict (Coleman et al., 2011), una relazione è caratterizzata da diverse questioni e problematiche. Tuttavia, non è la quantità di problematiche che determinano l’intrattabilità di una disputa, piuttosto è il collasso dei molteplici aspetti del conflitto in uno unico ad alimentare il ciclo conflittuale perverso. Quell’unica problematica intrattabile definisce ogni dimensione e ogni livello della relazione.

La complessità delle relazioni può fungere da inibitore per il conflitto poiché le parti possono avere molte incompatibilità ma, allo stesso tempo, dei punti di accordo. Su questi ultimi è possibile agire, attraverso anche i metodi tradizionali di soluzione del conflitto, come il problem solving o la negoziazione. In un conflitto intrattabile questi punti d’incontro spariscono perché tutto nel sistema ruota attorno alla questione intrattabile.

49

In sintesi, è il collasso della complessità, o altrimenti detto collasso della multidimensionalità (Coleman, 2006), che promuove l’intrattabilità del conflitto. Quest’aspetto ha come conseguenza quella di creare relazioni polarizzate: l’ingroup appare come un insieme chiuso rispetto all’outgroup.

Complessità, contraddizione e coerenza

Veniamo quindi a quella che Coleman definisce un’intuizione degli Studi per la Pace: l’esistenza di una relazione profonda fra complessità, contraddizione e coerenza, analizzata nel libro The Five Percent (Coleman, 2011a). L’autore osserva il mondo nella sua realtà complessa, in cui agiscono forze diverse e che ospita spesso molte contraddizioni. Di fronte a questa complessità e queste contraddizioni, l’essere umano ha una necessità naturale a ricercare coerenza nel sistema. Ciò accade ancora di più quando fa esperienza di un conflitto, che potremmo definire già una contraddizione in sé in un sistema molto complesso. In questo contesto l’uomo cerca ancora di più coerenza per ridurre la tensione e la può trovare attraverso la semplificazione della realtà.

Perciò, da un lato, il bisogno di coerenza spinge a ridurre il sistema conflittuale alla sola lotta fra un “noi” e un “loro”. Tuttavia ciò non è utile né per comprendere il conflitto né per tentare di risolverlo. Dall’altro lato, troppa complessità crea confusione nella relazione fra gli elementi e rischia di far naufragare ogni tentativo di comprensione.

Perciò, è necessaria una giusta dose di semplificazione della realtà complessa, al punto da permetterne la comprensione e rendere intuitiva una via di risoluzione.

Il modo in cui è vissuta la relazione fra complessità, contraddizione e coerenza è determinante per il conflitto.

Quest’intuizione, secondo Coleman, genera una regola: l’essere umano ha bisogno, in modo naturale, di dare coerenza ai suoi pensieri e comportamenti; ciò è ancora più vero nel conflitto dove, però, troppa coerenza può essere disfunzionale e determinare il prolungamento del conflitto. Quindi, lo sviluppo di schemi di pensiero e comportamento più complessi, non coerenti con l’analisi semplificata del conflitto, può mitigare questo risultato e suggerire risposte più cooperative nella relazione conflittuale.

La matematica della complessità

Abbiamo già fatto riferimento alla possibilità dell’utilizzo delle scienze matematiche per comprendere fenomeni sociali. Gli strumenti matematici possono aiutare a semplificare una realtà complessa, creando delle strutture coerenti. In particolare possono spiegare l’evoluzione di alcuni comportamenti

50

sociali attraverso l’interazione dei singoli elementi, ad esempio come azioni di poca portata possano condurre a fenomeni di larga portata.

Coleman (2011a) afferma che ci sono numerosi modelli matematici che spiegano i fenomeni sociali e le loro conseguenze; per i conflitti intrattabili gli specialisti adottano uno strumento particolare, quello delle equazioni differenziali ordinarie (EDO, oppure ODE dalla definizione inglese ordinary differential equations).

Le equazioni differenziali ordinarie sono essenzialmente equazioni in cui l’incognita è una funzione e i cui termini sono le derivate della funzione stessa. Alcune volte regole deterministiche introdotte nell’equazione producono valori che sembrano essere casuali. Altre volte l’apporto di un piccolo cambiamento nell’equazione comporta una drastica variazione di tutti i valori.

Ai fini della nostra ricerca, un modo per pensare alle equazioni differenziali è quello rappresentato da variabili che si spostano in un ambiente fittizio, artificiale. Le variabili sono quegli elementi che si possono misurare in un conflitto, come le emozioni o il livello d’intensità. Si può osservare il movimento di queste variabili come se attraversassero valli, colline e montagne. Come in un ambiente reale, è più facile scendere giù dalla montagna verso la collina, che risalire la montagna. Per cui le valli sono chiamate attrattori (nella figura, i punti A e B), poiché attraggono il movimento delle variabili, mentre la cima della montagna è chiamata repellente, poiché nessuna variabile si mantiene stabile su di essa.

Figura 6. L'ambiente degli attrattori

Immagine tratta da Vallacher (2010)

La figura mostra due attrattori A e B che hanno una forza e un bacino di attrazione differenti. Lo stato del sistema, identificato dalla posizione della palla, si stabilisce nella valle del primo o del secondo attrattore; nel lungo periodo non può mantenersi sulla cima della montagna.

Attrattore

Analizziamo nel particolare il concetto di attrattore che cerca di spiegare il perpetrarsi nel tempo dei conflitti, nonostante il possibile alto livello di violenza e i numerosi tentativi per risolverli. Nel

51

prossimo paragrafo invece riprendiamo le equazioni differenziali, nel tentativo di costruire un modello matematico specifico per i conflitti intrattabili.

Quando un conflitto evolve verso una situazione distruttiva e violenta, governata da percezioni con un basso livello di complessità e sostenuta da anelli di feedback positivi, si nota l’emergere di un attrattore forte e stabile. Esso spinge tutti i pensieri, le emozioni e i comportamenti verso un unico stato negativo e distruttivo che si auto-organizza e si auto-alimenta. In questo stato tutti gli eventi costruttivi e positivi non vengono considerati. A questo punto la disputa culmina in un conflitto intrattabile.

Un attrattore è quindi un insieme di stati o di fattori di cambiamento verso i quali il sistema tende a convergere nel tempo. Anche se il sistema si trova in una posizione iniziale differente, l’attrattore spinge il comportamento del sistema verso gli stati da esso definiti. Da questi stati il sistema non si può spostare perché l’attrattore resiste al cambiamento di lungo periodo, si oppone a influenze che lo condurrebbero in una posizione diversa.

Questo spiega come molti sistemi persistono in relazioni sociali maligne nonostante gli aspetti negativi che ne conseguono. In questi casi la violenza può emergere proprio nel momento in cui le dinamiche conflittuali sono messe in dubbio da input differenti. Attrattori conflittuali sono quindi quegli stati che nel tempo conducono al conflitto, resistendo a ogni tentativo di risolverlo. In questo contesto gli individui imparano un determinato modo di pensare, di sentire e di reagire che riflette esperienze di vita, differenze di personalità, reazioni a circostanze specifiche, o una storia personale del conflitto. Tuttavia la presenza di un attrattore non è indice di stabilità del sistema che, invece, è una realtà sempre in movimento, dinamica. Un attrattore forte conflittuale è però capace di riemergere dopo un periodo di cambiamento per guidare di nuovo i pensieri e le azioni degli individui.

-Nascita di un attrattore

Come affermato nell’articolo Intractable conflict as a dynamical system (Vallacher, 2013) un attrattore è creato quando vari elementi associati a relazioni interpersonali o inter-gruppo si legano per formare un significato e un giudizio globale e integrato. Per esempio un individuo può essere compreso alla luce di diversi elementi, ma c’è la tendenza di questi elementi a essere integrati in un giudizio collettivo

Documenti correlati